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Autore: MizzGreen93    18/06/2010    2 recensioni
I Green day partono per il prestigioso tour di "21st Century Breakdown". Ma avvenimenti strani accadono: minacce, aggressioni,suite distrutte finchè... arriva la goccia che fa traboccare il vaso, la goccia che segna l'inizio della fine. Mia prima fanfiction. Attenzione: questa FF è DRAMMATICA dunque se vi aspettate roba smielosa e, soprattutto, a lieto fine NON FA PER VOI. Semplice consiglio. =)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Tré Cool
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Signore e signori, a velocità supersonica posto il capitolo 12. L'ho terminato ieri alle due di notte, ma va beh. Quindi se non vi piace, fatevelo piacere che c'è il sudore qui! ù.ù XD

Ci tengo ad avvisarvi che qui non si parla dei cari omini verdi (per sapere la loro fine dovrete aspettare il prossimo capitolo, muahahaha u.u) ma bensì degli altri personaggi. Ma prometto che posterò al più presto il tredici. ^^

@Helena89: Ciao! Ebbene sì rieccomi! Sono conenta che questa storia ti sia mancata! Pensavo infatti di aver perso tutti i lettori assentandomi... ma d'ora in poi posterò come una volta o almeno cercherò. E grazie per i complimenti, davvero! :D

Ok, vi lascio al capitolo!

Ah, forse è il caso che cominci anche io a mettere codesta frase (??): non scrivo per lucro, i personaggi non mi appartengono ne' fanno, hanno fatto o faranno le cose da me descritte. (anche se in questo capitolo non c'entra molto ma va beh. .-.)

_______________________

 

 

John camminava a passo rapido lungo Columbia St; dietro i suoi spessi occhiali da sole neri nascondeva i suoi occhi azzurri arrossati non solo dalla forte dipendenza ma stavolta da un nuovo dolore che mai avrebbe voluto provare. La morte di sua sorella. Ripensandoci, una lacrima gli rigò il viso. L’asciugò rapidamente mentre scene d’infanzia gli si catapultavano nella sua stanca mente…

…Un bussare alla porta.

“Andate via!” ruggì John.

Ma la persona dall’altra parte non si arrese. Con fare delicato spinse in basso la maniglia d’ottone della porta. Sporse la sua testa dai capelli castani e mossi al di là della porta.

“Posso?” sorrise. John si arrese a quel sorriso.

“Ti ho portato qualcosa da mangiare… ma non dire nulla a papà altrimenti s’incazza.” si voltò verso il fratello porgendogli una scatola di cerotti “Questo è per la ferita che ti ha fatto papà. Non mi piace quando ti picchia.. Cosa hai fatto stavolta?”

“Io…”

“E’ di nuovo a causa di quell’erbetta strana che nascondi nei libri?”

“Sì”

“John secondo me devi smetterla. Stai sempre male. E io non voglio… io ti voglio bene. Mi prometti che farai uno sforzo?”

“Io.. io… voglio provarci ma…” due braccia lo cinsero.

“Grazie. Ti voglio bene!”

 Il rumore di un clacson risvegliò John dai suoi pensieri. Sua sorella era morta. Svoltò verso 9th Avenue e si diresse verso la St. James Cathedral dove un folto gruppo di persone vestite di nero si apprestavano a dare l’ultimo saluto alla sua sorellina.

Ashley stava stringendo la mano a diverse persone; aveva un vestito nero che le arrivava fino al ginocchio e la faccia coperta da una retina nera che sbucava dal cappello. Girando il capo verso destra quasi sussultò; stentava a credere che quell’alta figura che proseguiva in smoking nero fosse davvero chi lei credeva.

“John!?”

Si aggrappò al figlio, unendo le sue lacrime materne a quelle di lui. Non dissero altro. Il dolore comune rendeva inefficace qualsiasi parola.

“Mamma…i-io…”

“Shhh. Ormai le parole servono a ben poco, John. Lei non c’è più…  la… la mia bellissima bambina!” disse l’ultima parola con un urlo quasi straziante che fece rompere qualcosa nel petto del ragazzo. Quanti dispiaceri aveva provato quella povera donna? Aveva due figli un tempo. Due figli che si rincorrevano nel parco, giocavano a nascondino. Adesso? Uno non c’era più, era morto: l’altro, era soltanto un ammasso di ossa dall’animo assassinato. Il ragazzo ricordava ancora con dolore quel maledetto giorno di Settembre: a quei tempi lui aveva quindici anni, era visto come la pecora nera a scuola sua. Era vestito in maniera estremamente alternativa, la stragrande maggioranza degli studenti lo evitavano. Ma una volta conosciuto, diventava una delle persone più apprezzate, almeno nella sua ristretta cerchia di amici. Finché una strana “amica” non era entrata nella sua vita. Quel giorno John si trovava nel corridoio della sua scuola: non aveva voglia di andare a lezione. Mentre se ne stava col fianco destro appoggiato alla parete a fumare una sigaretta, qualcuno lo chiamò:

“Ehi, amico! Dì un po’, mi faresti un favore?”

John si voltò di scatto. Era Rob,  il bullo d’eccellenza.

“Senti Rob: non voglio rogne oggi, quindi levati dalle palle.”

“Vengo in pace, stai calmo” alzò le mani come in segno di arresa “Dì, un po’ ti andrebbe di fare soldi a palate?”

John si grattò il mento.

“Ok, spara”

“Sai cos’è questa?” estrasse una bustina contenente della strana roba verde e cominciò a sventolargliela sotto al naso.

“Ma questa è… Rob. E’ illegale.”

“Oh beh, se ti fai tanti scrupoli non c’è problema, cercherò qualcun’ altro. E’ un vero peccato comunque” continuò prendendo una cartina con l’erba e arrotolandola “sai, tu non sei popolare.T i manca quella marcia in più che potrebbe darti questa cosa… illegale, come la chiami tu. Cazzo, non oso immaginare le ragazze che ti verrebbero dietro e… ma fa nulla, non sei interessato, non voglio, assillarti” accese la sua canna, fece un tiro e girò per andarsene.

“Aspetta. Cosa devo fare?”

Rob sorrise: conosceva troppo bene quel tizio. Faceva tanto il duro ma in realtà era un tipo debole e facilmente condizionabile. Insomma, il tipo perfetto per i suoi loschi scopi. Si girò e si incamminò verso la figura magra, ma non eccessivamente, anzi, che si trovava dall’altra parte del corridoio.

“Il tuo compito non è altro che portare questa bustina al porto. Poi parla col tizio, si chiama Edward: dì che ti mando io. Ti darà la roba e tu potrai venderla e diventare ricco e figo” gli gettò la bustina.

John la prese al volo: da una parte non voleva ma dall’altra la prospettiva di avere le ragazze e non solo ai suoi piedi, di essere potente gli faceva gola quanto il polline alle api.

“Sarà fatto.” face per andarsene ma la mano di Rob lo bloccò.

“Non prima di aver stretto il patto con me” e gli porse la canna panciuta con fare ammaliante.

John dapprima esitò, poi l’afferrò e fece un profondo tiro. Un tiro innocuo, un tiro che ormai si trova sulla lista delle “cazzate da fare” di molti giovani. Ma proprio quel tiro innocuo, quel tiro che lo sballò, lo tranquillizzò, lo rasserenò diede inizio ad un giro vizioso fatto di bugie, sniffate, botte e aghi sottili infilati nelle sue vene. Dalla semplice marijuana passò a roba più pesante: più vendeva, più faceva soldi, più il suo corpo si trasformava in una macchina di tortura prepotente che gli ricordava nei modi più spiacevoli che volente o nolente il guadagno andava speso. La sua vita cambiò quando una sera fu scoperto dai genitori a tirare due strisce di cocaina. Il volto della madre si contrasse in un’espressione mista tra dolore e delusione, espressione che portò il giovane ragazzo al desiderio di sconfiggere quei dannati demoni che da dieci anni ormai lo avevano reso schiavo. Il volto del padre invece non riuscì a coglierlo poiché all’improvviso l’unica cosa che gli si parò davanti fu il parquet del salotto di casa sua: gli era stato assestato un calcio in pieno stomaco e adesso si trovava chinato a terra a vomitare sangue misto al pentimento.

“Mi dispiace!” urlò tra le lacrime.

“FAI SCHIFO!” altro calcio “Pensavo che avere un fottutissimo figlio punk fosse ormai il limite per me… INVECE NO! Adesso mi ritrovo un fottutissimo figlio punk DROGATO!” cominciò a sfilarsi la cintura e la piegò in due.

“Michael, fermati, ti prego!” urlò non la madre, ma bensì il suo istinto materno.

Dopo quella movimentata nottata, John fu beccato in autostrada dalla polizia con dell’eroina. Fu portato via e dopo essere stato liberato grazie ad una costosa cauzione, si seppe che ormai l’eroina non solo la vendeva ma ne faceva anche uso. Senza pensarci due volte il padre l’aveva sbattuto nella prima clinica di intossicazione che aveva trovato. Ma oltre alla delusione di aver perso il padre nel momento del bisogno, seguì il tradimento di colui che riteneva suo socio, suo amico.

Era in clinica da una settimana quando lo chiamarono poiché qualcuno lo cercava al telefono.

“Pronto?”

“Ehi, sono Rob.”

“Rob?” abbassò il tono di voce “amico, come stai?”

“Lascia perdere ‘ste cazzo di formalità. Ho saputo che la polizia ti ha fottuto.”

“Sì… però…”

“Però non me ne fotte: dì, hai fatto il mio nome, figlio di puttana?”

“No, ovviamente, siamo soci!”

“Ahahaha, soci, bella questa!” disse facendo una risata ipocrita “allora avevo proprio ragione nel pensare che sembri duro ma in realtà non sei buono a nulla”

“Che intendi dire?”

“Strano che tu non te ne sia accorto” proseguì “sono quasi undici anni che ti prendo per il culo e tu continui a chiamarmi amico”

“Ma che cazzo stai dicendo? Dì, hai fumato?!”

“John, ricordi dieci anni fa, quando ti mandai da Edward e ti feci fare quel tiro? Beh, sappi che era tutto calcolato per farti entrare nel giro. Insomma, si sa come vanno queste cose… e tu eri un cucciolotto così debole ed in cerca di gloria…” rise.

“FIGLIO DI PUTTANA! SEI UN BASTARDO! BASTARDO! BASTARDO!”

Quella fu l’ultima volta che sentì Rob. Le infermiere lo staccarono dal telefono e lo riportarono nella solitudine della sua stanza. Era stato pugnalato. Di nuovo.

Nella St. James Cathedral adesso risuonava solo l’eco delle ultime parole della messa. Quattro persone sollevarono la bara bianca, la loro meta ormai era il cimitero.

John, non poteva reggere nient’altro. Non avrebbe resistito alla vista di sua sorella scomparire nelle viscere della terra. No, era troppo per lui.

Senza farsi vedere, scappò via da quella chiesa. Cominciò a correre per la strada, piangendo, sperando che una macchina mettesse sotto anche lui. Nella sua mente risuonava una canzone da lui tanto amata:

Take away the sensation inside
Bitter sweet migraine in my head
Its like a throbbing tooth ache of the mind
I can't take this feeling anymore
Drain the pressure from the swelling,
The sensations overwhelming,
Give me a long kiss goodnight
and everything will be alright
Tell me that I won't feel a thing
So give me Novacaine.

Il dolore lo stava uccidendo. Il dolore stava ormai per prendere il sopravvento. Doveva anestetizzarlo, doveva trovare assolutamente la sua dannata novocaina. Si fermò all’improvviso. Quasi meccanicamente, la sua testa si girò verso il mare. Le sue gambe scattarono e cominciarono a correre verso quel luogo dove tutto era iniziato: il porto.

 

Al cimitero di Seattle, tutti si apprestavano a dare l’ultimo saluto a quell’anima innocente a cui il destino aveva giocato un brutto scherzo. All’improvviso un cellulare, provocando l’irritazione dei presenti, iniziò a squillare. Michael si allontanò e rispose al cellulare con rabbia.

“Ti sembra il momento adatto?”

“Capo, lo so, mi scusi. So che non serve a nulla ma rinnovo le mie condoglianze. Ma dovevo parlarle di una cosa che di sicuro le interesserà.”

“Fai rapidamente.”

“In centrale hanno scoperto chi ha ucciso vostra figlia.”

Non appena sentì ciò che l’uomo aveva da dire, sul volto di Michael si disegnò un’espressione di frustrazione.

“Maledetti bastardi! Spero che siano crepati in ospedale! E se non lo fossero… beh, allora sai che fare.”

“Certo capo”

“Quel dannato bastardo del front-man pagherà sulla sua pelle il danno che mi ha arrecato. E ad un prezzo molto caro.”

  
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