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Autore: Alkimia    19/06/2010    4 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Schifosamente in ritardo e orribilmente di fretta... talmente  di fretta che non ho nemmeno il tempo di cospargermi il capo di cenere  -_-''



CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

Complicazioni

Il vuoto ingoiava ogni cosa, dai suoi pensieri, al cigolio delle ruote della carrozza, al vento freddo che entrava dai finestrini della vettura.
Erik teneva tra le braccia il corpo esanime di Christine, con le dita che circondavano il polso sottile della fanciulla per tenere sotto controllo il battito: le pulsazioni erano deboli ma regolari, lei non era in pericolo di vita, non ancora almeno, non se avessero medicato al più presto quella ferita che avevano tamponato alla meno peggio con un fazzoletto per evitare che la ragazza perdesse altro sangue. Eppure Erik non riusciva a guardarla, teneva lo sguardo fisso in un punto impreciso davanti a sé, oltre le spalle dei due giovani uomini seduti di fronte a lui e lasciava che il vuoto continuasse ad avvolgerlo per non sentire su di sé gli occhi di Alexandre che cercavano sul suo volto le tracce di una verità che il ragazzo aveva accettato ancora prima di scoprire, e che i suoi pensieri invece rifiutavano persino di immaginare.
Un fratello, una famiglia. Le risposte che aveva sempre cercato. Tutti i suoi desideri che prendevano corpo negli occhi limpidi di quel giovane che solo pochi minuti prima considerava un suo nemico,  quel giornalista ostinato e ficcanaso che aveva torturato fino allo sfinimento e che aveva quasi ucciso.
No, quella realtà era troppo grande e sconvolgente persino per il Fantasma dell'Opera!
«Smettila» sibilò Erik in tono irritato, come se stesse parlando al vento.
«Di fare cosa?» domandò Alexandre, mentre Raoul corrugava la fronte.
«Di pensare a ciò che stai pensando, ragazzo».
Il giornalista scosse debolmente il capo,
«Hai davvero così paura di scoprire che quello che ha detto Christine sia vero?» mormorò lanciando al Fantasma uno sguardo di sfida.
«Se tua madre fosse la stessa donna che mi ha messo al mondo, dovresti considerare che è anche la donna che mi ha abbandonato» replicò l'uomo.
«Se così fosse io non ho nessuna colpa» concluse secco il giovane.
«Christine può... essersi sbagliata» ipotizzò Raoul premendo la schiena contro il sedile, come temendo che  la tensione negli sguardi degli altri due potesse ucciderlo. Era davvero in una carrozza con Christine ferita e il Fantasma dell'Opera?... Forse si sarebbe svegliato da quell'incubo. Forse no...
In quel momento la carrozza si fermò davanti al palazzo dove abitava la famiglia Dubois. Alexandre sospirò pensando che ora avrebbe dovuto affrontare sua madre, che se ciò che aveva detto Christine nella grotta era vero, allora c'erano molte cose che madame Ginette avrebbe dovuto spiegarli: la donna che lo aveva allevato, che lo aveva amato, che si era presa cura di lui era davvero la stessa donna che aveva abbandonato suo fratello?
Il giovane ebbe l'impulso di strappare via la maschera di Erik, vedere cosa c'era di così terribile su quel volto, tanto da costringere sua madre ad abbandonarlo per poi rimpiangerlo tutta la vita. Ma si impose di mantenere la calma e di aspettare un momento più adatto, adesso lui teneva la sua Christine stretta al petto e quella fanciulla era l'unica cosa di cui dovevano preoccuparsi.
Anche Raoul faceva fatica a controllarsi, la vista della ragazza che amava esangue tra le braccia dell'uomo che aveva odiato più di ogni altra cosa lo turbava, ma anche lui si impose di mettere la salute di Christine prima di tutto il resto e resistette all'impulso di strapparla dal petto del Fantasma.
Erik osservò la strada deserta e il portone del palazzo, uno scorcio del mondo da cui si era nascosto, un mondo che mai come in quel momento suscitava i suoi pensieri peggiori. Tuttavia non indugiò in simili riflessioni, strinse un po' di più la ragazza tra le braccia e si incamminò all'interno dell'edificio preceduto da Alexandre che gli faceva strada lungo le scale.
Raoul ordinò al cocchiere di andare a chiamare il suo medico personale e di portarlo lì il più in fretta possibile, poi entrò anche lui nel palazzo lasciando sbattere il portone e avviandosi verso l'ultimo piano della palazzina dove vivevano  Alexandre e sua madre.

Il giornalista infilò una pesante chiave di ottone nella serratura di una porta di legno scuro che si aprì su un corridoio tappezzato con una fine carta da parati azzurra e arredato con mobili di mogano.
«Alexandre?» disse una voce femminile dal fondo.
Erik ebbe un sussulto quando oltrepassò l'uscio seguito da Raoul che richiuse la porta d'ingresso alle loro spalle.
Una donna in vestaglia, con lunghi capelli scuri striati da ciocche argentate e raccolti in una spessa treccia, fece capolino da una stanza e andò incontro al figlio.
Madame Ginette si fermò impietrita in mezzo al corridoio quando scorse l'imponente figura alle spalle del ragazzo. I suoi occhi si fissarono sgomenti sulla maschera di cuoio che nascondeva parzialmente il volto dell'insolito visitatore.
Alexandre aprì bocca come per parlare ma ammutolì di colpo mentre riusciva quasi a percepire il battito del cuore di Erik alle sue spalle fermarsi per un lungo istante. La reazione di sua madre valeva più di ogni altra prova.
Raoul scostò indelicatamente il suo amico e fece cenno a Erik di seguirlo,
«Perdonate l'intrusione e l'irruenza, madame Dubois, ma Christine ha bisogno di cure» disse semplicemente il visconte avviandosi verso la camera degli ospiti. Rendersi utile era l'unica alternativa allo stramazzare svenuto sul pavimento.
Erik passò accanto alla donna senza degnarla di uno sguardo mentre lei rimase a fissarlo fino a quando non sparì oltre la porta, poi si voltò a guardare Alexandre con aria smarrita stupendosi di leggere negli occhi di suo figlio una durezza che non aveva mai visto,
«So tutto» dichiarò il giovane con voce fredda. «O meglio ho saputo parte di quello che mi avete sempre nascosto, il resto esigo che me lo raccontiate ma non adesso».
Ciò detto Alexandre si avviò per raggiungere la stanza dove si erano diretti Erik e Raoul insieme a Christine, madame Ginette trattenne suo figlio afferrandogli la manica del soprabito,
«Aspetta...» gli mormorò con voce tremula e implorante. «Nemmeno io lo sapevo, l'ho scoperto quella notte, al ballo di capodanno e...»
«Non importa come e quando, penso che l'unica cosa rilevante è che mi abbiate fatto credere per anni che piangevate un figlio morto, quando in realtà lo avevate abbandonato!» replicò il ragazzo sottraendosi alla stretta di sua madre e allontanandosi per poi sparire oltre la porta della stanza.

Erik appoggiò la fronte contro il vetro della finestra e chiuse gli occhi ascoltando il ticchettio della pioggia che aveva cominciato a cadere su Parigi e pregando che il rumore dei tuoni in lontananza potesse sovrastare il brusio doloroso dei pensieri che lo avevano assalito da quando aveva oltrepassato la soglia di quella casa.
Raoul si sporse a spiare il volto della ragazza che avevano adagiato sul letto in attesa dell'arrivo del medico. Christine sollevò debolmente le palpebre e le strizzò più volte tentando di mettere a fuoco la stanza, ma la vista era appannata e la testa le doleva in maniera indicibile.
Il visconte la osservò con un moto di ansia mentre lei tentava di muovere le labbra per parlare,
«Erik...» fu l'unica parola che uscì dalle labbra smunte.
Con un sospiro Raoul si staccò dal letto e lasciò che Erik si sedesse al capezzale della giovane.
Christine sollevò lentamente una mano che l'uomo strinse tra le sue,
«Erik... stai bene?» chiese a fatica.
Il Fantasma sollevò un sopracciglio,
«Amore mio, non sono io ad avere un proiettile in una spalla, ma avrei preferito un colpo di cannone in pieno petto che un solo graffio sulla pelle» mormorò con tristezza.
La giovane sorrise,
«Non è niente... starò bene» gli disse in tono rassicurante.
In quel momento Alexandre entrò precipitosamente nella stanza e si appoggiò con le spalle contro la porta come a tentare di chiudere fuori di lì l'angoscia che aveva cominciato ad attanagliargli lo stomaco.
Christine si voltò a guardarlo e gli fece cenno di avvicinarsi. Il ragazzo andò verso il letto e si fermò  alla destra di Erik,
«È stata madame Giry a dirmelo» sussurrò.
«Non parlare Christine, non devi affaticarti» la interruppe il giornalista in tono apprensivo.
«Il dottore sta arrivando» aggiunse Raoul.
«Smettetela di preoccuparvi per me» replicò la ragazza. «Voglio che sappiate»
«Christine non...» tentò di dire Erik ma la giovane lo zittì con uno sguardo così deciso e penetrante che lui fece quasi fatica a credere che fosse proprio lei.
«È stata Madame Giry a dirmi tutto: madame Dubois l'aveva accidentalmente sentita mentre parlava di te con Raoul e aveva capito che tu eri il figlio che lei aveva abbandonato tanti anni prima. Io e Madame Giry avevamo avuto paura di dirtelo, in mezzo a tutta la confusione a tutti gli eventi che ci hanno sconvolto in questi mesi non volevamo aggiungere altre complicazioni ma non potevamo permettere che voi vi faceste del male, che due fratelli si causassero dolore a vicenda».
Erik e Alexandre si scambiarono un rapido sguardo indecifrabile, stavano per dire qualcosa ma Raoul richiamò la loro attenzione,
«Il dottore è arrivato, sta salendo in casa!» esclamò indicando la finestra dalla quale aveva appena visto il medico scendere dalla carrozza ed entrare nel palazzo. «Tu devi sparire Erik, non puoi farti trovare qui!»
«Andiamo!» aggiunse Alexandre afferrando l'uomo per un braccio e trascinandolo via. Lui e Christine si scambiarono una rapida occhiata colma di tenerezza prima che il ragazzo lo portasse fuori dalla stanza.
Il giornalista condusse Erik in una camera attigua e chiuse la porta a chiave. I due restarono ad ascoltare i passi di Raoul che andava verso la porta per accogliere il dottore, poi sentirono il medico chiudersi nella stanza con Christine e restarono in attesa.
«Mi avevano raccontato che eri morto» disse all'improvviso Alexandre fissando tristemente il cerchio di luce giallastra che una candela disegnava sulla superficie di un tavolino di ciliegio laccato.
«È la verità. Io non sono il figlio di tua madre, Alexandre, non sono tuo fratello» rispose Erik in tono piatto. «I figli sono tali solo quando vengono allevati dai propri genitori, i fratelli crescono insieme, io e te non siamo altro che estranei»
«Mia madre ha passato tutta la vita a piangerti, ha sempre sofferto di crisi di depressione. Anche io trovo orribile quello che ha fatto, ma sono certo che non è stata una scelta facile...»
«Nemmeno la mia vita lo è stata. Non chiedere di mostrare pietà verso chi non ne ha avuta per me»
«Anche io sono arrabbiato con lei in questo momento ma voglio concederle almeno la possibilità di spiegare, voglio capire prima di condannare» asserì il giovane in tono deciso.
Erik gli scoccò un'occhiata penetrante,
«Per te è facile, tu sei il figlio che hanno amato, la persona brillante... guardati» Erik indicò i loro riflessi sbiaditi contro l'anta di vetro di una cristalliera. «Guarda; in questi mesi non c'è stata una sola persona che non ti abbia stimato, una sola donna in tutto il teatro che non abbia sospirato per te!»
«Ma tu hai Christine» ribatté Alexandre.
Il Fantasma strinse gli occhi,
«Tu la ami...» asserì con un filo di voce.
«Non alla tua stessa maniera. La amo come si amano le cose belle che vanno protette, le voglio molto bene ma il mio affetto o l'amore di un altro uomo non potrebbe mai competere con ciò che tu provi per lei, e lei lo sa»
«È la mia vita, la sola cosa che abbia mai contato davvero nella mia esistenza miserabile e il non essere riuscito a proteggerla mi fa sentire un maledetto idiota, un buono a nulla!»
«Anche io avrei voluto proteggerla e anche Raoul, ma devi ammettere che la tua trovata di piombare sul placo durante la rappresentazione di stasera è stata piuttosto folle» disse il giornalista.
«Onestamente, non credevo che Bertrand sarebbe arrivato a tanto, comunque, hai ragione, sono stato un incosciente e non me ne pentirò mai abbastanza» borbottò Erik con un moto di stizza.
«Ormai non è più il caso di tormentarti, ora devi pensare a Christine»
«Non volevo costringerla a una vita da fuggiaschi insieme a me, ma temo che dovremmo lasciare Parigi...».
La pioggia si era fatta più fitta, ora martellava incessante contro le finestre, scrosciando copiosamente sui vetri.
«Puoi contare su di me» disse Alexandre in tono deciso, parlando al di sopra del rimbombo di un tuono in lontananza.
«Non sei obbligato ad aiutarmi, te l'ho già detto: non siamo fratelli» rispose l'uomo mettendosi a camminare nervosamente su e giù per la stanza.
«E invece lo siamo Erik, che tu lo voglia o no. Sono stati i nostri genitori ad abbandonarti, ma io non commetterò i loro stessi errori»
«Dio, Alexandre! Sei così altruista da darmi sui nervi!».
Il ragazzo si concesse una mezza risata,
«Ho sempre saputo che avevi il senso dell'umorismo!» disse sorridendo.
«E sei anche dannatamente ostinato, quasi quanto...» aggiunse l'uomo interrompendosi con l'aria di qualcuno colto in fallo.
«Quanto te» concluse suo fratello guardandolo negli occhi.
I due restarono in silenzio per lunghi minuti fin quando Raoul non li raggiunse,
«Che dice il dottore?!» esclamò di colpo Erik appena lo vide entrare nella stanza notando l'espressione affranta del ragazzo.
«È fuori pericolo, il proiettile è stato sparato da una distanza abbastanza ravvicinata e non ha fatto grandi danni, è riuscito a estrarlo senza fatica e l'ha medicata. È molto debole perché ha perso molto sangue ma si riprenderà presto» spiegò il visconte con voce spenta.
Il Fantasma non fece caso alla sua aria cupa e fece per avviarsi fuori dalla stanza ma Raoul lo trattenne spingendolo indietro con una mano all'altezza del petto.
«Che vuoi?» borbottò Erik piccato
«C'è un'altra cosa»
«Cioè?».
Raoul deglutì come se stesse ingoiando un boccone amaro e strinse i pugni con fare rabbioso,
«Il dottore ha detto che Christine è incinta» concluse in tono adirato.
«Oh mio Dio...» sussurrò Alexandre spalancando gli occhi.
Erik ebbe la sensazione che ogni cellula del suo corpo fosse divenuta di pietra, l'aria non riusciva ad arrivare ai polmoni e gli occhi confondevano la stanza e il volto del visconte davanti al suo facendo diventare ogni cosa un misto di macchie sfocate.
«Che cosa hai detto?» farfugliò incredulo.
«Mi hai sentito benissimo!» esclamò Raoul. «Come hai osato?!»
«Credi che lo sapessi? Credi che se l'avessi saputo l'avrei fatta salire su quel palco?!» tuonò il Fantasma furente.
«No, come hai osato approfittare di lei, della sua innocenza?» precisò il visconte con il volto che gli si arrossava per la collera.
«Credi forse che l'abbia costretta? Credi che l'abbia manipolata per farle fare qualcosa che non voleva? Non ti permetto di offendermi in questo modo, né di considerare lei uno sciocca ingenua che si lascia sedurre dal primo arrivato. Io la amo Raoul, e lei ama me, fattene una ragione!»
«E questo credi ti dia il diritto di disonorarla?!»
«Ah già, perché nel tuo mondo l'amore è un contratto, una specie di asta, una lotteria per scegliersi la fanciulla più ricca e più virtuosa!» esclamò Erik in tono canzonatorio. «E tutto quello che sapete fare è pensare all'onore e alle vostre anime che ritornano immacolate dopo aver recitato un rosario, non importa quanta gente lasciate a morire di fame fuori dalle vostre case, quanti disgraziati ignoriate e permettete che marciscano nella loro miseria! Non credere di essere in condizione di farmi la morale, ragazzino, non pensare di poter giudicare le mie azioni o quelle di Christine!»
«Perché tu al mio confronto saresti un grand'uomo?! Tutta Parigi vuole la tua testa mentre di là c'è una ragazza stesa in un letto con tuo figlio in grembo!»
«Basta!» tuonò Alexandre allontanando i due uomini con una violenta spinta.  
«Adesso non vorrai prendere le sue parti?!» esclamò Raoul con fare offeso.
«Come se ci fossero parti da prendere!» replicò il giornalista esasperato. «L'unica cosa che conta qui è che Christine adesso ha bisogno di tutto il nostro affetto, non del suo uomo e di un suo amico che litigano come cani rabbiosi!»
«Esattamente» tagliò corto Erik. «Io vado da lei!».
Il visconte lo seguì fuori dalla stanza ma Alexandre lo trattenne per l'orlo della manica,
«È la loro vita Raoul, temo che tu debba starne fuori» concluse in tono perentorio.
«Già... dopo questo credo mi ci vorrà qualcosa di forte» borbottò il ragazzo. «Per favore, offrimi da bere...».
Il giornalista fece cenno all'amico di mettersi seduto attorno al tavolino, poi aprì il vano inferiore della cristalliera e ne estrasse una bottiglia di cognac e due bicchieri a calice larghi e bassi.
I due giovani bevvero d'un fiato poi si fissarono con un lieve imbarazzo, con il disagio di chi sa che il proprio migliore amico sta vivendo qualcosa di troppo grande e complesso per riuscire a comprenderlo. Alexandre aveva appena scoperto che l'uomo a cui aveva dato la caccia nei mesi precedenti in realtà era suo fratello mentre Raoul si era reso conto che non avrebbe mai potuto avere la donna che amava e che lei aspettava il figlio di un altro.
«Come stai?» blaterò il visconte versandosi dell'altro liquore.
«Credi davvero che esistano parole per spiegarlo? Tu piuttosto come stai?» rispose il giornalista con un sospiro.
«Credo che l'unica parola che esista per spiegarlo sia: annientato»
«Io invece mi sento come se ogni cosa, tutto quello che ho sempre pensato, tutto quello che ho sempre vissuto, fosse stato fatto a pezzi e poi rincollato in un modo totalmente diverso da com'era prima. Mi sento smarrito...»
«Dio, vorrei tornare all'anno in cui ti ho conosciuto... tutto questo era così lontano e inimmaginabile»
«Le cose vanno sempre in una direzione, Raoul, è giusto che le vite delle persone si evolvano, cambino...» replicò Alexandre poggiando il bicchiere sul tavolino.
«D'accordo, ma direi che il destino si è sbizzarrito con noi nelle ultime ore!» esclamò il visconte scuotendo il capo.
«Anche questa situazione evolverà, vedrai, prima o poi le cose si rimetteranno a posto»
«Tu hai trovato un fratello... una persona del tutto discutibile, ma pur sempre un fratello, io invece ho perso un amore»
«Non lo hai perso: non lo hai mai avuto. Mi dispiace amico, sul serio, ma non è la tua ultima occasione di essere felice, un giorno te ne renderai conto».
Il visconte sospirò,
«Torna a ripetermelo quando sarò un vecchio solo e ingrigito!» borbottò.
Alexandre gli tirò una pacca affettuosa sulla spalla e sorrise, in quello stesso momento madame Ginette comparve sull'uscio della porta.

*

Erik si sedette sul bordo del materasso e accarezzò dolcemente il viso di Christine, sistemandole alcune ciocche di capelli che le si erano attaccate sulla fronte. Lei aprì piano gli occhi e bastarono una manciata di secondi perché il suo sguardo si facesse lucido di lacrime,
«Oddio... Erik...» mormorò cominciando a piangere.
L'uomo le sorrise rassicurante,
«Voglio sperare che siano lacrime di gioia» le disse fingendo una sicurezza e una tranquillità che non aveva.
«Non lo so...»
«Christine, sono stato un incosciente. Ho desiderato il tuo amore e la tua vicinanza più di ogni altra cosa, senza rendermi conto che non avevo nulla da offrirti, ma adesso... non so cosa farò, ma ti giuro che ogni mio singolo respiro non avrà altro scopo che quello di renderti felice»
«Io ti amo... questo basta».
Erik le appoggiò una mano sul grembo coperto da una spessa trapunta che la teneva al riparo dal freddo della notte ormai inoltrata,
«Sì, ma credo che lui abbia bisogno di qualcosa di più» concluse in tono calmo.
«Andiamo via, lasciamo Parigi, riprendiamoci la nostra vita dove il mondo non potrà farci del male!»
«Il mondo è pronto a far del male ovunque e a chiunque, ma se nel nostro destino c'è un po' di pace, la troveremo, te lo prometto...»
«Grazie...»
«Adesso riposa però»
«Sì, ma... Erik, puoi fare una cosa per me?» domandò la ragazza stringendo con ansia la mano dell'uomo.
«Certo» rispose lui mentre le rimboccava le coperte.
«Parla con madame Dubois. Lo so, lo so che è terribile quello che ha fatto, ma dalle almeno la possibilità di spiegarti, sarebbe un peccato perdere una famiglia appena dopo averla ritrovata» disse Christine.
Erik sospirò e alzò gli occhi al cielo,
«Sono le stesse cose che ha detto Alexandre» borbottò.
La fanciulla accennò un sorriso
«È un ragazzo così meraviglioso che non c'è da stupirsi che sia tuo fratello» sospirò per poi chiudere gli occhi e abbandonarsi a un profondo sonno ristoratore.

*

Madame Ginette camminò lentamente verso il centro della stanza e si fermò di fronte a suo figlio. L'angoscia e lo stupore le attanagliavano la gola e le annebbiavano i pensieri, ma si impose di essere lucida e di trovare le parole adatte.
«Mi dispiace, Alexandre, io non potevo immaginare» sussurrò.
Il ragazzo scosse il capo,
«Avreste dovuto dirmelo prima» disse.
«Avrei dovuto fare tante cose. Avrei dovuto essere più forte di tuo padre e non lasciare che mi costringesse ad abbandonare tuo fratello, ma la mia debolezza non è una giustificazione»
«Dunque è stato mio padre?»
«Sì. La levatrice disse che era una forma di infezione delle pelle, qualsiasi cosa fosse sai che tipo d'uomo era tuo padre, voleva che ogni cosa fosse perfetta, per questo lo ha rifiutato ed è per questo che si è accanito così tanto su di te, sul fare in modo che tu diventassi qualcuno».
Alexandre deglutì,
«Io ero il suo risarcimento per il figlio che non aveva voluto» disse con amarezza.
Raoul gli posò una mano sulla spalla in un gesto di conforto. Avrebbe voluto trovare qualcosa da dire, qualcosa da fare che potesse in qualche modo alleviare quella situazione, ma non poté fare altro che alzarsi e uscire per lasciare a madre e figlio la loro intimità.
«La vita con lui è stata terribile anche per me» proseguì madame Ginette ricordando i lunghi anni trascorsi con suo marito, con quell'uomo che le era sembrato così perfetto e che invece si era rivelato un despota. «Ma mai quanto il rimpianto per Erik. Sai come è stata misera la mia esistenza... ma non voglio la tua pietà o la sua. Ho dovuto mentirti per dare almeno a te la serenità che non ho potuto avere io, ora vorrei solo essere perdonata, ma non so quanto lo merito, non dopo aver visto cosa n'è stato di lui... il Fantasma dell'Opera... se non fossi stata tanto meschina la creatura che tutti hanno temuto così tanto non sarebbe esistita»
«Erik ha solo cercato di riprendersi la sua vita...»
«La vita che io gli ho tolto, intendi dire. Ma il vero orrore in tutta questa storia è che avete rischiato di farvi del male, di spargere il vostro stesso sangue, è un pensiero che non riesce a darmi pace. Sarò maledetta per sempre!». Così dicendo Madame Ginette si voltò e si nascose il volto tra le mani in un moto di vergogna e angoscia, Alexandre si alzò e le si avvicinò incerto se consolarla o lasciarla a consumarsi nel rimorso. Nemmeno lui sapeva cosa fare, cosa pensare, ma in quel momento la porta si aprì e Raoul entrò trafelato.
«Che altro c'è ancora?!» sospirò il giornalista in tono esasperato.
«I gendarmi! Con Bertrand! Stanno venendo qui!» esclamò il visconte.
«Erik!» esclamarono all'unisono Madame Ginette e suo figlio.
Alexandre si lanciò fuori dalla stanza e raggiunse il Fantasma che era rimasto in piedi a vegliare su Christine,
«Stanno venendo a prenderti» bisbigliò il ragazzo per non svegliare la fanciulla addormentata, poi trascinò Erik fuori dalla camera.
«Cosa diavolo?...» replicò lui seccato.
«Bertrand ha portato i gendarmi qui! Devi nasconderti»
«Bertrand! Perché non lo avete ucciso?! Ah, tu e il tuo buonismo!».
Alexandre sospirò stizzito,
«Non ho nessuna intenzione di discutere di etica e omicidi in questo momento!» replicò.
«Molto bene, allora dovrai farti venire qualche idea prima che il tuo compare salga le scale insieme ai suoi amici» borbottò Erik.
«Ma se sei tu quello abituato a sparire nel nulla!» si intromise Raoul che li aveva raggiunti.
«Questa casa non è il mio teatro»
«Ma per fortuna questa casa è all'ultimo piano» asserì il giornalista indicando la finestra.
Il Fantasma si sporse fuori e calcolò la distanza dal davanzale al suolo. Erano al quinto piano di un'enorme palazzina, una caduta da una simile altezza non gli avrebbe lasciato un solo osso intatto in tutto il corpo.
«Magnifico! Così se cado non vi farete venire i sensi di colpa» sibilò.
«Insomma, vuoi muoverti?! Se ti trovano qui non sarà solo la tua testa che il boia farà cadere!» esclamò Raoul.
«Non vorrei mai che la lama della ghigliottina rovinasse la tua chioma dorata, visconte» ghignò il Fantasma.
«Erik! Maledizione!... Sul tetto!» gracchiò Alexandre un attimo prima che una violenta bussata alla porta li facesse sobbalzare.
La pioggia aveva certamente reso le tegole scivolose e il giornalista si rese conto che far arrampicare Erik fuori dalla finestra era una follia, ma non avevano altra scelta.
L'uomo rivolse ai due giovani uno sguardo beffardo poi, prima che se ne rendessero conto, sparì con un balzo oltre il davanzale come se fosse stato risucchiato dal cielo buio della notte. 


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Si... ok... il risvolto "cicognoso" era scontato.
 Come omaggio per chi non ha già impungato i pomodori marci da lanciare all'autrice offro la COLONNA SONORA per il  capitolo (per la serie "si ride per non piangere").
 Al prossimo aggiornamento.



Capitolo reinserito il 29\12\2011
   
 
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