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Autore: Lady_Draconibus    09/09/2005    0 recensioni
Eccola qui! Questa è la mia seconda storia. Era pronta da un pò ma l'ho rivista più volte prima di essere sicura. E poi c'è stata tutta una serie di casini, il trasloco eccetera e nn ho potuto pubblicare, ma ora... Ebbene, questa fic è il prequel di un'altra a cui sto lavorando insieme alle menti malate di Eledh e Elfa, ma visto che in tre NON facciamo un cervello, aspettatevi di tutto. (Ah, ho messo non minori di tredici, ma è solo x precauzione, anche se sarà su uno stile molto più duro dell'altra mia fic) Questa è la storia di Ghiliat, una maiar, creata per combattere l'oscurità di Morgoth, in tempi tutt'altro che facili per la Terra di Mezzo, quando Arda era ancora giovane...
Genere: Avventura, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Cap. 3: Il sentiero nascosto.

 

Fissai Galad sbalordita: cosa credeva di fare? Perché quella sfida?

Partì all’attacco, roteando Aeglos. Alzai Helkaluin e parai il colpo. Nello scontro, le nostre armi mandarono scintille. Era forte! Mi concessi un sorriso: si prospettava una sfida interessante.

Ritirò la lancia e balzò indietro, prendendo spazio. Lo imitai.

Restammo a guardarci a lungo, studiandoci, girando attorno l’uno all’altra come animali che si preparassero all’attacco.

Scattai per prima, sperando di avere il vantaggio della sorpresa. Parò il colpo e lo deviò. La triplice lama di Helkaluin si conficcò nel pavimento, restando incastrata tra le mattonelle divelte.

Galad tornò all’attacco. Schivai, ma dovetti abbandonare l’arma. La mia veste si strappò sotto al seno ma la lama mancò pelle e carne.

Saltai all’indietro, atterrando in piedi, sul parapetto. Galad si riprese presto dalla sorpresa e si slanciò verso di me. Aeglos tagliò l’aria dove, fino a un istante prima, c’erano i miei piedi. Lo colpii da dietro, sul collo, con il gomito. Cadde in avanti, sbattendo il mento contro il parapetto. Sentii l’odore del sangue. Il suo.

Esitai: forse avevo esagerato! O forse no. La distrazione mi costò un lungo graffio sulla guancia. Finii a terra, lui sopra di me. Poggiai i piedi sul suo petto e lo calciai via. Rotolai su me stessa e afferrai l’asta della mia alabarda, tirai, liberandola. Balzai in piedi, di nuovo pronta alla battaglia. Galad roteò la lancia come un derviscio. < Sei brava… > Mormorò. < Altrettanto… > Urlai e gli corsi incontro. Lui fece lo stesso e le nostre lame s’incontrarono, cozzando tra loro e mandando scintille, mentre combattevamo, come in una strana e micidiale danza.

Caddi all’indietro, inciampando nell’abito. Galad mi fu subito addosso, ma riuscii a ripararmi con l’asta. Lo spinsi indietro e retrocedetti.

Un attimo di pausa in cui non facemmo che guardarci in cagnesco, cercando ognuno una breccia nella difesa dell’altro. Il vento si era levato, portando sulla terrazza l’odore e il rumore del mare. Il nostro combattimento era durato qualche ora e la luna, piena, brillava alta in un cielo senza nuvole e punteggiato di stelle.

Una calma irreale era scesa intorno a noi.

La battaglia riprese.

Per tre volte mi attaccò, e altrettante lo respinsi, cedendo e prendendo terreno di volta in volta. Le nostre lame s’incontrarono per l’ennesima volta, mandando una pioggia di scintille. Feci una finta e riuscii a prenderlo sul fianco. Gli strappai la blusa e sulla sua pelle chiara si aprì un graffio. Corse all’indietro e saltò sul parapetto. Lo seguii. Lancia e alabarda si scontrarono più volte, tagliando l’aria fischiando. Provai, con un colpo basso, a fargli perdere l’equilibrio, ma lui intuì le mie intenzioni e parò l’attacco. Colpii l’asta della sua arma.

Saltò giù dalla balaustra con me dietro.

Continuavamo a combattere. Paravo i suoi colpi e li sentivo vibrare sulle mie mani.

Finalmente, trovai una breccia nella sua difesa!

Calò la lancia verso di me. Mi rattrappii verso il basso, Helkaluin con l’asta poggiata al braccio, perfettamente dritta e posta in diagonale, a parare l’attacco. Quando Aeglos la colpì, usai il suo slancio come una catapulta, gettandomi all’indietro e alzandomi come per eseguire una ruota. Lo colpii con un calcio sotto al mento e piegai l’altra gamba a uncino, aggrappandomi al suo collo e gettandolo a terra accanto a me. Batte violentemente il fianco e lo intontì. Feci una ruota di lato e recuperai l’equilibrio, impugnando meglio la mia alabarda. Corsi verso di lui prima che si rialzasse e lo bloccai a terra, mettendogli un piede sulla pancia. Spinsi e lui gemette e sbuffò, quasi soffocando, con l’altro piede gli pestai il polso, impedendogli di usare la sua arma. Gli infilai la triplice lama sotto al mento, minacciandolo. Sorrisi. < Fine dei giochi, mio principe… >

 

Più tardi, Galad mi spiegò il motivo del suo comportamento.

Passeggiavamo nei giardini. In silenzio. Il sole non era ancora sorto ma già s’intravedeva un chiarore ad est.

Era quell’ora prima dell’alba, in cui ogni cosa era grigia e immota, e sembrava che potesse accadere qualsiasi cosa. Era come se tutta la terra, gli alberi, gli animali, tutte le creature parlanti, e pure, forse, l’aria stessa, trattenessero il respiro, per poi liberarlo all’improvviso al primo raggio. Al primo trillo di un uccello.

Faceva ancora freddo, nonostante l’estate fosse ormai alle porte. Gil Galad mi aveva ceduto il suo mantello. Molto cavalleresco, dovevo ammetterlo.

Mi aveva portato lì per spiegarmi, ma fino a quel momento, nessuno di noi due aveva proferito una sola parola. Ci limitavamo a camminare, in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri, tanto che a un certo punto, mi chiesi se non ci fossimo persi nei nostri sogni e pensieri, camminando in quel giardino. Ma poi, Galad si riscosse di colpo, al primo trillo di un passero, come se aspettasse quel segnale.

< Vuoi sapere perché ti ho attaccato, non è così? > Lo guardai. Sembrava che stesse tastando il terreno… lasciai che parlasse. < Volevo metterti alla prova. Vedere quanto valevi e sapere se davvero eri all’altezza della tua fama. Avevo già sentito parlare di te… > Rise. < Anche se dopo il casino che hai combinato con le mie guardie, cominciavo a dubitare! > Sbuffai, scocciata: voleva prendermi in giro? Lui continuò. < Ora so che non è così. > Si fermò e mi si parò di fronte, afferrandomi per le spalle e obbligandomi a guardarlo negli occhi. Quegli occhi… brillanti più delle stelle e più puri degli stagni di Ivrin! Occhi che rapivano e stregavano l’anima, incatenandola a loro. Sentivo il cuore battere fortissimo nel petto, quasi dolorosamente, e una strana ansia attanagliarmi lo stomaco. Le mie labbra si seccarono improvvisamente. Mi teneva. Sorrise, ma il suo sguardo rimase serio. < Ora che ti ho messo alla prova, e conosco il tuo valore, so di non sbagliarmi. > Tacque per alcuni istanti, nei quali non mi staccò mai gli occhi di dosso. Era quasi come fissare un drago… < Sto per farti una proposta, Ghiliat, e voglio sperare che tu l’accetterai! > Non risposi. Del resto, non era una domanda. Attesi. E finalmente… < Entra al mio servizio, Ghiliat. Combatti per me. >

Lo fissai esterrefatta. Mi stava chiedendo di restare… mi stava offrendo una casa! Ma io potevo accettare? Mi potevo fermare in quel posto? Mettere radici? Era quello che volevo? Certo che sì! Ma non sapevo se potevo. Del resto però, perché i Vala mi avrebbero mandata proprio li? Per quale motivo? Forse era proprio Gil Galad, la risposta… forse mi avevano mandata lì a servire e proteggere uno degli ultimi, grandi re tra gli elfi ad est del mare! Forse era davvero quello, il mio obbiettivo… Il mio compito… la mia missione… tacevo, mentre i minuti passavano. E Galad era ancora lì in piedi, in attesa della mia risposta.

Rialzai lo sguardo e lo fissai su di lui.

< Gil Galad… la tua offerta mi onora e mi riempie di orgoglio… > Tornai ad abbassare gli occhi. < Ma purtroppo, non so se potrò accettarla. > Su di noi calò un silenzio pesante. Il sole sorse, e la sua immagine, contornata di luce, mi parve più bella che mai! E più simile a quella di un Vala che a quella di un elfo… lo guardai. < Dammi tre giorni. E io, per allora, ti darò la mia risposta. >

Gli voltai le spalle e me ne andai, il suo mantello, ancora posato sulle mie spalle, ondeggiava ad ogni movimento, mentre correvo via.

Entrai nella stanza che mi era stata assegnata. Serinde e Calacalen mi vennero incontro ma le congedai subito. Volevo riflettere. Da sola. Senza nessuno intorno.

Uscii sul terrazzo. Ad est il sole era sorto e la sua luce allungava l’ombra del palazzo fino alla spiaggia. Mi appoggiai alla balaustra, pensando. Riflettendo tra ciò che volevo e ciò che dovevo fare, chiedendomi se non fosse possibile, per la prima e forse unica volta, che queste due cose coincidessero.

Alzai la testa a guardare l’oceano. Cantava sempre la sua solita, malinconica canzone, ma Ulmo non mi parlò. E anche il vento, che mi soffiava in faccia, movendomi i capelli e gonfiando il mantello, quel giorno, rimase silenzioso.

 

  
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