Titolo: To
Tomorrow
Fandom:
Tengen Toppa Gurren Lagann
Personaggi: Simon + Kamina
Genere: Generale,
Malinconico, Non-sense
Avvertimenti:
One-Shot, Missing Moments, Alternative Universe
Timeline:
Parallel Work: The Sense of Wonder
Argomento: 11° [Ordine e Caos]
Prompt: 55° - Libertà
Istruzioni per l’uso:
°
Questa fanficion fa riferimento al Parallel Work
“The Sense of Wonder”, e quindi non alla serie originale. In
quell’universo tutti i personaggi –citati e non- hanno caratteri
relativamente differenti da quelli di TTGL, in particolar modo Kamina, che non
è affatto l’idiota che urla e salta come un matto.
°
Quindi per capire questa fiction vi consiglio, se non lo avete già
fatto, di vedere questo (http://www.youtube.com/watch?v=qp7Mh9eslbE)
video, che rappresenta appunto il mondo su cui ho scritto. Qui (http://community.livejournal.com/gurren_lagann/576216.html)
inoltre trovate scans e traduzioni del video,
nonché spiegazioni sui personaggi.
°
Aggiungo infine che questo Missing Moments è da collocare temporalmente prima
dell’inizio del video, e quindi della fuga.
°
Credo di aver detto tutto, buona lettura <3
To Tomorrow
« Do you know what these mean? They're identification numbers in
the order that we're created in.
It means we can't live anywhere but here... »
Poteva
sentire la sua spina dorsale premere contro le proprie dita leggere, vertebra
dopo vertebra, e la consistenza dura delle scapole tra i polpastrelli. Poteva
sentire il suo respiro lento e calmo, pacato contro la stoffa chiara delle
lenzuola, e i capelli morbidi sfiorargli la pelle - mentre vi infilava dita
mano e polso per il semplice gusto di toccarlo.
Poteva sentirlo, vivo come lo vedeva ad occhio
nudo, e ogni volta si domandava come potesse essere possibile.
Mentre compiva
poi il percorso inverso, riprendendo a muovere il braccio come fosse un
pennello su tela bianca, volle andare a sfiorargli i fianchi con la punta
dell’indice – facendo trasalire il corpo nell’insinuare un
accenno di unghia nel gesto.
Kamina
aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il riflesso della prima luce
dell’alba sulla parete, e si voltò sul fianco. Simon ritrasse la
mano, esitando appena, e artigliando l’aria con le dita la ripose tra le
proprie gambe, incrociate diligentemente sul letto sfatto.
Ci fu
silenzio, così come da quando quella donna se ne era andata fino a quel
momento, e Simon vide chiaramente l’uomo tentare di focalizzare il tutto.
Lo vide girarsi sulla schiena, ancora, e inspirare piano nel posarsi una mano
sul viso. Vide le coperte sfaldarsi sotto quel movimento e in parte lo vide nudo,
anche se non abbastanza da fargli provare imbarazzo.
«
Ti ho svegliato? » domandò allora, pacato
–come se ancora stessero sognando entrambi, come se la voce della Cantante
risuonasse ancora da muro a muro- mentre allungava entrambe le mani per
coprirlo di nuovo, fino al ventre piatto e lisco, libero dai tatuaggi che non
aveva mai avuto.
Kamina
scostò appena il braccio, seguendo con lo sguardo i suoi movimenti, e
tornando a chiudere gli occhi scosse piano la testa la testa.
Simon
annuì, come avessero entrambi saltato parte
della conversazione, e gli si stese affianco. Arricciò le labbra,
ritrovandosi a fissare il soffitto, e tendendo il braccio verso l’alto
sentì la luce del sole filtrare attraverso la propria figura. Aprendo il
palmo della mano e le dita sottili, come un ventaglio fatto di carne e ossa,
poté chiaramente sentire la pressione della gravità spingerlo
contro il materasso non troppo cigolante.
«
Non dovresti venire qui mentre dormo. » disse Kamina, e la sua voce sembrò ancora
addormentata, tenue ma seria, rigida. Aveva perso da tempo l’ardore dello
schiavo che credeva di non essere, lasciando al suo posto il ricordo amaro e
l’ombra della ribellione. Non aveva mai smesso di odiare le regole, ma
non aveva neanche cercato di contestarle. « Lord Genome manda sempre
qualcuno, di prima… »
Simon
ruotò il polso teso, piegando il gomito verso l’altro con un
movimento fluido, e insinuando le dita tra le sue lo costrinse implicitamente a
sollevare a propria volta il braccio, a mostrare il volto e l’espressione
del viso.
«
Lo so. » disse poi, battendo piano le palpebre,
mentre si perdeva a fissare mani e braccia, muscoli tesi e tatuaggi ormai
sbiaditi.
A Simon
non piacevano, quei tatuaggi. Erano catene mentali, ricordi su bambole che
ricordi non ne avevano. Ne amava la forma e il colore, il senso di forza che donavano a Kamina, ma non li
invidiava.
Sentì
Kamina voltarsi verso di lui, mentre lo lasciava fare, e non poté far a
meno di abbozzare un sorriso pacato, che non mostrava né denti né
lingua.
«
Questa sera voglio andare a sentire
Sentì
una fitta al petto, distrattamente.
Non erano
fratelli, lo sapevano entrambi. Bambole di fatto e di nome non avrebbero
neanche saputo dire, cosa fosse un
legame fraterno. Ma in quei momenti, sotto le lenzuola consumate dalla passione
di qualcun altro, Simon si sentiva al sicuro. Gli bastava intrufolarsi nella
gabbia privata di Kamina per sentirsi un po’ suo, per sentirsi meno solo in
attesa dell’arrivo della piccola Nia.
L’uomo
lo fissò, con l’espressione di chi prova nostalgia e non ne
capisce il motivo, sfilando la propria mano dalla presa del più piccolo.
Sollevò il braccio di poco, per scostargli una ciocca della frangia, e posò
un paio di dita sul marchio che gli graffiava da sempre la fronte.
Non se ne
sarebbero mai potuti andare, nessuno dei due. Né Simon né Kamina,
né Yoko e neanche i piccoli Gimmy e Darry.
Riflessi
di specchi rotti che non esistevano, granelli di polvere che volteggiavano
nella luce viola della sala da ballo.
«
Devo lavorare, Kyoudai.
» replicò dopo un po’ lui, con una
punta di stanco e irriverente divertimento nel tono della voce. Gli
picchiettò un dito sulla fronte, quasi schioccando le dita, e poi si
mise a sedere.
Le
lenzuola scivolarono nuovamente verso il basso, con un fruscio -come un
ruscello che versa a valle- e Simon si corrucciò. Sbuffò,
alzandosi a propria volta, e si affrettò a coprirsi nuovamente la
fronte. Sorrise ancora, inclinando il viso di lato, e tornò ad
incrociare le gambe sul letto.
«
Potresti venire comunque. » insistette, annuendo
convinto.
Kamina pensò
che avrebbe potuto, ma anche che sarebbe stato complicato. Non a fatti e
neanche a parole, non per Lord Genome e neanche per Yoko.
Scese dal
letto, lasciandosi scivolare a terra, e nel movimento si portò dietro
parte delle lenzuola. Mosse un passo avanti, si sentì tirare
all’indietro e sgranando gli occhi cade nuovamente sul letto.
Il mondo
si ribaltò, insinuandosi nel profondo, e Kamina si ritrovò ancora
una volta a guardare il piccolo Simon, che piccolo non lo era più.
Lo vide
allungare le mani e posargliele ai lati del viso, contro le guance, mentre al
contrario si chinava per posargli la fronte contro la sua.
« Ce
la faremo, Aniki. »
disse quello, chiudendo gli occhi. « Non so come
e non so quando, ma ce la faremo. Me l’hai insegnato tu, da qualche
parte, in qualche modo. »
Gli
batteva forte il cuore, tanto da sembrare doloroso.
«
Non possiamo fuggire, non ancora, ma possiamo ribellarci. Combattere, in
qualche modo, vivere. »
Gli
mancava semplicemente il respiro, nel profondo, in un lento pulsare di sorpresa
e rammarico, apatia e voglia, voglia
di alzarsi in piedi sopra il letto e urlare con tutta la forza che aveva in
corpo.
«
Anche se Lord Genome dovesse vivere in eterno, anche se dovesse stancarsi di
noi e rinchiuderci nelle viscere del pianeta. Anche allora, anche in quel caso,
ci basterà farci forza e scavare, salire verso l’alto e combattere, ancora, e ancora, e ancora. »
Sentiva la dita premute contro il proprio viso, la frangia scura
pizzicargli la punta del naso e i muscoli tendersi, cauti.
Kamina
sentiva il cuore battere e l’aria farsi meno, sentiva la speranza e lo
scherno, l’apatia, ancora, e
l’odore di sesso che da sempre impregnava la stanza.
« Voglio guardare l’azzurro del cielo senza catene, Aniki.
»
Risuonava
in lontananza, la voce della Cantante.
Riecheggiava
da muro a parete, da corridoio a stanza, insinuandosi tra le fessure delle
porte e gli squarci delle anime altrui.
Kamina
respirava piano, con lo sguardo puntato verso il soffitto –verso il cielo- e restava semplicemente
in ascolto, nel silenzio della propria gabbia, lasciando che quella lenta
melodia fatta di suoni e gemiti lo distraesse dai propri pensieri.
Si
posò una mano sul ventre ancora scoperto, ormai solo nella stanza, e
chiuse gli occhi. Raggiunse con la punta delle dita le ossa sporgenti del
bacino, soffermandosi in particolar modo sul marchio rosso vivo che vi sostava,
e inspirò con forza.
Aprì
gli occhi, « Io… non posso venire con te neanche questa volta, Simon. » e poi li richiuse.
To Tomorrow
Fine
Note:
Uhm,
allora. Non ho molto da dire.
E’
la prima fan fiction che abbia mai scritto su Tengen Toppa, quindi abbiate
vagamente pietà. Ho inoltre tentato di usare uno stile che richiamasse
quello del video, cercando di ridurre il parlato al minimo per non spezzare
l’atmosfera creata.
Inoltre
Simon chiama Kamina “Aniki” e quest’ultimo lo chiama
“Kyoudai”, che sarebbe un modo per dire rispettivamente
“fratello” e “fratellino”, ma dato che in giapponese il
termine ha molto più significato rispetto alla versione italiana, ho
preferito lasciare così com’era.
E poi io
la versione italiana non l’ho mica vista, oh.
“To
Tomorrow” è, inoltre, la traduzione inglese del titolo della
canzone che si sente nel video.