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Autore: MizzGreen93    21/06/2010    2 recensioni
I Green day partono per il prestigioso tour di "21st Century Breakdown". Ma avvenimenti strani accadono: minacce, aggressioni,suite distrutte finchè... arriva la goccia che fa traboccare il vaso, la goccia che segna l'inizio della fine. Mia prima fanfiction. Attenzione: questa FF è DRAMMATICA dunque se vi aspettate roba smielosa e, soprattutto, a lieto fine NON FA PER VOI. Semplice consiglio. =)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Tré Cool
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finalmente, cari, posto il tredicesimo capitolo! Spero non siate morti di ansia, ma non credo dai. u.u Ci tengo a precisare una cosa: in questo capitolo uso (o almeno ci provo XD) un linguaggio di tipo medico-scientifico. Per scrivere il capitolo, ho fatto delle ricerche in quanto non me ne intendo. Quindi, se ho scritto qualche boiata impossibile, vi prego di avere clemenza. XD

E detto ciò passiamo a:

@Helena89: prima di tutto: grazie per i complimenti! Ho voluto rendere questa storia il più reale possibile quindi mi è sembrato opportuno metterci questo personaggio in mezzo (che io adoro) molto travagliato. E sono contenta che sia piaciuto! Quello precedente è stato l'ultimo capitolo che parlava di lui: infatti volevo utilizzare la Novocaina come metafora. Intendevo che lui alla fine torna a drogarsi, sfortunatamente. Ma se avrò l'occasione magari farò un altro accenno a questo personaggio.

@ShopaHolic: Ciao!  Grazie mille anche a te per i complimenti, davvero! Spero che questo capitolo ti piaccia quanto i precedenti!

Detto ciò, vi lascio al capitolo.

Ah: non scrivo per lucro, tutto ciò (per fortuna aggiungerei! XD) è solo frutto della mia immaginazione, i personaggi sono vivi e vegeti e si divertono come matti in Europa, in questo moento. ç__ç

_________________

 

Come diceva il caro indovinello della Sfinge, la vita umana può essere divisa in tre differenti fasi: un periodo iniziale in cui camminiamo a quattro a zampe, un periodo in cui siamo avvolti in un mondo ovattato che ci tiene lontano da tutti i mali, un mondo tutto rosa in cui la parola “male” perde ogni valenza. Poi subentra il periodo delle due zampe: è il picco della nostra vita, poiché è questo il periodo in cui facciamo le scoperte più formidabili, i cambiamenti più radicali e le scelte più decisive. Infine diventiamo esseri a tre zampe, esseri che hanno ormai bisogno di supporto non solo morale ma fisico. Il fiore degli anni è scomparso, la rosa sta lentamente appassendo, l’ultimo petalo sta ormai per staccarsi. Questo ci porterebbe a pensare che il periodo più debole dell’uomo è l’ultimo. Ma non è così: in questo periodo l’uomo si affida alla rassegnazione, alla fortuna. No: il periodo più difficile si cela, paradossalmente, dietro alla forza delle sole due gambe che ci sostengono. Le emozioni si accavallano, l’emotività si presenta più forte che mai. In questo periodo forti tempeste si scatenano, saette e lampi travagliano i nostri pensieri,  i boati ci spaventano, ci rendono deboli. La pioggia cade ininterrottamente, la tua anima non è altro che un foglio di carta che a contatto con l’acqua si stropiccia, si indebolisce, si strappa. E solo tu poi stabilire se aprire o meno l’ombrello e contrastare la pioggia che cade.

La stanza grande e bianca con le sedie verde acqua cominciava a dargli un vero e proprio senso di claustrofobia. Non ne poteva più. Il pallido sole mattutino con i suoi tiepidi raggi avrebbe dovuto dargli il buon umore, una forza interiore più grande. E invece no. La stanza squallida nel suo candore, la gente malaticcia che giungeva e si sedeva, i volti disperati di chi aveva appena avuto una brutta notizia e quelli ansiosi di chi ne aspettava una cominciarono a renderlo nervoso ed inquieto. Sentimenti diversi però gli suscitavano quei cinque volti seduti alla sua destra. Adrienne, con i due figli uno a destra e l’altro a sinistra che dormivano appoggiati sulle sue gambe, aveva il viso teso e lo sguardo arrossato e assente. Una strisca nera di rimmel sciolto le colava dall’occhio destro. Stringeva a pugno la mano destra: se “qualcuno” le avesse dato una cattiva notizia non avrebbe di certo esitato a fargli fare la fine del suo palmo in quel momento che presentava i marchi delle sue cinque unghie lunghe. L’espressione di Britt non era visibile ma dal modo patetico in cui manteneva la testa china sulle ginocchia era immaginabile. Purtroppo. Sembrava quasi che anche il piccolo Brixton avesse percepito che spirava aria negativa: se ne stava seduto tranquillo nel suo passeggino, succhiandosi il pollice sinistro con fare tranquillo, cosa insolita per lui.

“Ragazze per caso volete che vi prenda qualcosa alla macchinetta?” disse Pat alzandosi di scatto e rivolgendosi alle due donne.

“Io un caffè, grazie” disse Adrienne in modo quasi meccanico. Sembrava che qualcuno le avesse succhiato l’anima.

“A me servirebbe un po’ di latte, devo dare da mangiare al piccolo” Britt, alzo un po’ la testa e sorrise debolmente.

“Ok, torno subito.”

Pat si avviò verso le macchinette poste dall’altra parte della sala d’attesa: premette i vari pulsanti e si voltò ad osservare le due donne da lontano appoggiandosi al muro. Erano le 5.30 di mattina. Quasi otto ore prima, tre barelle erano scomparse dietro le porte dell’ospedale: era stata l’ultima volta che le aveva viste. Ma lì per lì il pensiero che maggiormente colpì la sua mente era che gli spettava avvisare due donne dell’incidente dei rispettivi mariti. Pat compose il numero di Adrienne convulsivamente per poi staccare la chiamata prima che la donna potesse rispondere. Il manager si sedette su di una sedia e stette per dieci minuti in silenzio a pensare il modo più adatto per avvisare le donne. Alla fine, animatosi di coraggio, ricompose il numero. Dopo due segnali acustici rispose la donna.

“Ehi Pat! Avuto notizie di quei tre scalmanati? Non sono ancora raggiungibili”

“Sì”

“Ah, meno male! Ehi ma tutto ok? Pat? … Ci sei ancora?”

“Sì”

“E’ successo qualcosa?” chiese infine con un timbro vocale vacillante tra il timoroso e ansioso.

“Adie… devi venire al Virginia Mason Hospital. Con Britt”

Dall’altra parte il cuore di Adrienne mancò due battiti.

“Ok…”

“Se vuoi vi vengo a prendere, dite dove siet…”

“Non è il caso, prendiamo un taxi” e staccò la chiamata.

Adrienne aveva lo sguardo perso nel vuoto. Sapeva che qualcosa sarebbe successo, sapeva che doveva fidarsi delle sue sensazioni.

“Adie, tutto ok? Pat ha detto qualcosa?”

“Dobbiamo andare all’ospedale”

“Eh?” Britt spalancò gli occhi “Che dici? Che cazzo è successo?”

“Non, lo so, non lo so! Dobbiamo correre”

La donna raccattò i due figli, che ancora protestavano dal momento che non erano informati sull’accaduto, e si fiondò con l’amica nel primo taxi che trovarono.

 Mezz’ora dopo Pat Manganella era intento a bere il suo caffè quando una moglie preoccupata  gli si parò di fronte e, afferrandolo per la maglietta cominciò a scuoterlo.

“Dove cazzo sono, Pat? Eh? DOVE CAZZO SONO?”

“Mamma, calmati, CALMATI!” Joey l’afferrò per le braccia e la bloccò. Britt osservava la scena in silenzio.

“Sono… sono… io non lo so. Li hanno portati dentro e… e hanno detto di aspettare nella sala d’attesa… e di avvisarvi”

Adrienne lo fissò per una decina di secondi in silenzio. Poi si sedette mentre continuava a sibilare tra le sue labbra “bene… bene…”. Voleva urlare, voleva mandare ogni cosa  a farsi fottere.  Se non ci fossero stati i suoi figli probabilmente avrebbe aggredito anche Pat solo per sfogarsi. Britt al contrario, sembrava che la cosa non la riguardasse: la sua espressione, anzi la sua maschera, non tradiva alcuna emozione. Come se la vera Britt, la moglie di quel bassista la cui sorte era ignota, fosse stata sostituita da una perfetta copia inanimata. Con lo sguardo spento portò avanti il carrozzino: si sedette accanto Joey, prese Brixton in braccio, tirò fuori il biberon dalla borsa e cominciò ad allattarlo, canticchiando una specie di ninna nanna.

Da allora erano passate otto ore. Era come se il tempo per quel quadretto si fosse fermato, come se si trovassero in un unico, eterno ed immisurabile tempo. O forse era solo la magia della signora Morte a provocare quell’illusione?

Il flusso di pensieri di Pat si arrestò non appena  comparvero due figure in camice bianco con una cartella in mano. Quasi automaticamente, le due donne balzarono n piedi. Pat subito corse verso questi dimenticandosi dei caffè e del latte.

Il più anziano dei medici, un medico canuto con una barbetta leggermente incolta, entrò per primo nella grande sala e si guardò intorno. Individuate le due donne, si diresse verso di loro seguito dal medico più giovane, probabilmente uno specializzando.

“Salve” strinse loro la mano “Siete qui per Billie Joe Armstrong, Michael Pritchard e Frank Edwin Wright?”

Le donne annuirono.

“Dottore, come stanno?” s’intromise subito Pat. Voleva saperlo davvero?

Il medico lo squadrò poi cominciò ad esaminare la cartella che aveva in mano.

“Beh…”

Continuò ad esaminarla. I presenti deglutirono un nodo alla gola provocato dall’ansia e dalla angoscia.

“Per quanto riguarda il signor Wright tutto ok. Si è rotto la caviglia destra, ha riportato una serie di ferite superficiali a causa dei vetri e qualche ematoma a causa degli urti. Ma nel complesso va più che bene. Con buon esercizio e un soggiorno in riabilitazione riprenderà totalmente l’uso del piede. Fortunatamente aveva allacciato la cintura altrimenti…” alzò le sopracciglia “Insomma, non se la sarebbe cavata con poco. E’ appena uscito dalla sala operatoria, è ancora sotto l’effetto dell’anestesia. L’orario di visita è dalle otto alle undici. Potete andarlo a trovare.”

Nella stanza si udì non sospiro di sollievo. Un sospiro azzardato.

“E gli altri?” chiese subito Pat.

Il medico diede un’altra occhiata alle cartelle, stavolta con l’aria più grave.

“Il signor Armstrong ha sbattuto violentemente la testa contro lo sterzo che gli ha causato la rottura del setto nasale. Alla tac non risultano danni al cervello, fortunatamente. In compenso però abbiamo trovato un emorragia  interna nell’addome. Siamo riusciti ad intervenire in tempo quindi non ci dovrebbero essere complicazioni” Adrienne si passò una mano sul volto con fare sollevato. Suo marito stava bene. Il padre dei suoi figli stava bene. Il suo uomo stava bene. “Mentre per il signor Pritchard…” il medico rialzò le sopracciglia. Quel mentre non piacque a nessuno dei tre presenti. Britt ebbe un violento sussulto, Adrienne spalancò leggermente la bocca mentre Pat sgranò gli occhi. “Sfortunatamente, non ha messo la cintura di sicurezza e questo gli è costato caro” passò la mano sotto gli occhiali massaggiandosi gli occhi e riprese a parlare “Qualcosa, non si sa ancora cosa, è sbattuto violentemente sulla sua testa causandogli una lesione esterna e un trauma cranico. Le braccia sono rimaste illese, a parte dei graffi profondi poiché mentre la macchina si ribaltava le ha usate come… insomma, come freno, per intenderci. E poi ha una slogatura alla gamba destra. Però…”

“Però cosa, dottore?” Brittany lo guardava con una lacrima in equilibrio instabile sulle sue ciglia inferiori.

“Signora, noi abbiamo fatto il possibile. Ma non abbiamo potuto evitare che il paziente andasse in coma. Mi dispiace.”

Quando camminiamo a quattro zampe la vita è più facile. Non abbiamo preoccupazioni, non abbiamo obblighi e doveri. Le delusioni non ci tangono. La tristezza non ci afferra. La nostra massima preoccupazione è costruire un castello di sabbia alto, maestoso e bello. Un castello di sabbia che susciti l’ammirazione degli amici. Poi arriva quell’onda più grande e potente delle altre che colpisce il tuo bellissimo castello. E lì resta solo un mucchio di sabbiolina di forma indefinita. Tutto è andato distrutto. La colpa è del mare. No, non puoi controllarlo, è troppo forte. E’ semplicemente indomabile.

In quella sala d’ospedale, il castello di una donna era appena stato fatto in frantumi. Brittany, che finora aveva mantenuto un’aria distaccata, scoppiò in un pianto convulso. I singhiozzi a momenti la soffocavano, l’aria era diventata bollente ed irrespirabile. Adrienne, che fino a quel momento era stata consolata da quella donna forte, cominciò ad abbracciarla. Gli spasmi del pianto si facevano sempre più pesanti. Lo sguardo della donna dai capelli corvini si spostò dapprima sul piccolo Brixton che giocherellava con un mazzo di chiavi nel carrozzino , poi sui suoi figli che dormivano sulle sedie ed infine verso la finestra: il sole era sempre più pallido, era ormai coperto da nuvole nere. Una fine pioggerella cominciò a scendere. E quella pioggia cadeva non solo all’esterno di quella finestra ma anche nell’animo dei presenti.

  
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