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Autore: AlphaStarlights    23/06/2010    1 recensioni
Niente BellDom (pur sostenendolo fermamente), niente ragazze, niente storie d'amore. Qui ho cercato di inserire il lato di Matt che amo di più: quello paranoico, nerd, pazzoide, riflessivo, complottista, in bilico tra sogno e realtà... quello che lo porta a scrivere testi così profondi, complessi, a lettura multipla. E la cosa grave è che ne sono stata contagiata e mi sono messa a leggere libri assurdi, guardare documentari assurdi... aaah che fatica essere una Muser! :-D
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva deciso di prendersela con calma quella mattina e ne aveva tutti i motivi. Il primo era che la band era in pausa dal tour per qualche giorno e lui voleva godersi un po’ di aria di casa - e per casa, questa volta, intendeva sua madre e la sua sempre amatissima nonna, e quell’ambiente tanto controverso in cui era cresciuto, quel Devon combattuto tra il ruolo di noiosa contea del Sud-Ovest e quello di scenario di vite sfrenate di giovani poco inclini a tutto.

Il secondo motivo per cui indugiava sotto le coperte era la pioggia. Quel tempo conciliava sonno prolungato, specie se farcito di una notevole emicrania, souvenir della rimpatriata con vecchi amici del TCC. Era stato davvero piacevole rivederli. Spesso lo assaliva la sensazione che a stare sempre in movimento ci si perdesse buona parte delle emozioni che le cose semplici potevano regalare.

Il terzo e più forte motivo per cui non aveva alcuna voglia di alzarsi era che non si trattava esattamente della mattina di un giorno qualunque per la sua patria. Già, perché da tutte le parti, là fuori, si stava ripetendo la solita farsa: milioni di cittadini chiamati alle urne per - di fatto - non avere alcuna influenza, su niente. Perché l’ultimo grado della piramide era proprio quel cittadino che si illudeva di cambiare qualcosa apponendo una X su un foglio pieno di nomi insignificanti.

“Quanto sono tutti fottutamente uguali...”, pensò per l’ennesima volta fissando il soffitto della propria stanza. A cosa sarebbe servito sprecare una mezz’ora della propria vita per andare al seggio più vicino? Avrebbe cambiato qualcosa? No, lo avrebbe fatto sentire ancor di più in fondo a quella stramaledetta piramide che lo ossessionava ormai da anni. Forse aveva un’idea di come cambiare realmente le cose... o forse pensava di averla e invece non sapeva un bel niente, non aveva mai saputo un bel niente.

Si girò di nuovo. Sul comodino la copia non ancora terminata di The Fourth Reich di Jim Marrs, l’autore che gli aveva fatto nascere alcune delle sue paranoie più fisse, ma che adorava proprio per questo. Afferrò il volume che non aveva avuto tempo di leggere causa tour perenne, prolungato, intenso, sfiancante. E poi... tutto il resto dei casini... fece una smorfia. Non aveva ancora cominciato a leggere che già si era distratto. Nella sua mente frullavano gli ultimi mesi, litigi, lacrime, depressione. Ma anche quei palasport fottutamente stracolmi di gente che pendeva dalle sue labbra, dalle loro canzoni; quelle migliaia di fan che sapevano perfettamente a memoria ogni testo - e non di rado era capitato che lui sbagliasse mentre il coro proseguiva imperterrito.

Ora un sorriso si allargò sul suo volto pallido. Tutto ciò continuava a farlo sentire vivo, in ogni momento della giornata, dell’anno, della vita: forse l’unica ragione per cui valeva davvero la pena vivere, la musica.

Tese l’orecchio al silenzio della casa prima di tornare ad assorbire teorie complottistiche e quant’altro. Marilyn e la madre erano andate a votare nonostante le proteste di Matt.

«Calci in culo, altroché voti!» aveva detto nel tentativo di dissuaderle, ma loro avevano persistito nel dovere di cittadine coscienziose. Coscienziose. Appunto. Buon termine con cui rovinarsi l’umore di nuovo. Lui troppo spesso non era stato coscienzioso, specie ultimamente, e...

«Oh, ‘fanculo Bells!» si disse. «Menatela ancora un po’ e poi sì che potrai veramente andare a scrivere i testi a Celine Dion!».

Afferrò nuovamente il libro, costretto a sfogliare le pagine per ritrovare il segno perduto. Ma dopo due righe qualcos’altro lo obbligò a fermarsi: lo squillo del telefono. Sbuffò pensando di non rispondere; il chiamante, però, insistette per molti altri, fastidiosi squilli.

“Ciao Jim, a dopo!... forse...” pensò buttando il libro sul letto.

«Pronto!» esordì con voce impastata di noia dopo essersi trascinato a passi lenti verso l’ampia sala.

«’Cazzo è successo, Bells?» domandò Dom dall’altra parte.

«Che un mio fottuto compagno di band mi rompe le palle alle nov... - Guardò l’orologio: erano le undici. - beh, alle undici di un piovoso giovedì mattina di una giornata magnificamente libera.»

Dom sorvolò. Non gli venivano battute brillanti in risposta. «Vieni con me a votare?» chiese piuttosto.

«Mi prendi per il culo?» replicò il cantante con voce acuta. «Sai benissimo come la penso in merito. E comunque me l’hanno già chiesto mia madre e mia nonna. Ho detto di no e non ho intenzione di dire sì a te. A proposito: che cazzo ci vai a fare?».

«Vediamo... ipotizziamo... rimorchiare? Mmm... Brown o Cameron? Beh, Cameron è più giovane in effetti... potrei provarci con lui!». Il tono del batterista era sarcastico ora.

«Oh no, ti supplico, così mi spezzi il cuore! Vuoi farmi ingelosire?»

«Come potrei? Sai che tu sei l’unica donna per me...

«Ti offro una cenetta romantica sul Tamigi una sera se vieni con me a votare, tesoruccio...»

«Oddio... questa voce sexy mi sta eccitando... fottiti, Dominic James Howard!».

Scoppiarono a ridere per l’enfasi da facile doppio senso che Matt aveva messo nell’imperativo.

«Ehi, Miss Paranoia, ci vediamo stasera almeno o vuoi fare il pensionato palloso di Teignmouth?»

«Se non rompi le palle con le elezioni sì, potremmo vederci.»

Una chiacchierata leggera da amici fraterni concluse la telefonata. Matt appoggiò la cornetta e si diresse verso il bagno, proprio nel momento in cui la porta di casa si apriva.

«Alzato Matt?» urlò sua madre dall’atrio.

Il ragazzo mugugnò un «Sì!» prima di chiudersi la porta alle spalle ed entrare in doccia.

 

Pioveva ancora quando quella sera uscì per incontrare Dom e gli altri. L’appuntamento era un tranquillo bar vicino al molo, non troppo dentro la zona del casino di Teignmouth, ma nemmeno troppo fuori da quella stessa area che li aveva formati psicofisicamente durante l’adolescenza. Raggiunse il locale a piedi, sotto un enorme ombrello giallo e blu. Lì i fan schizzati non erano un problema: gli abitanti si erano ormai abituati a vederli girare per la città come ragazzi normalissimi e, a parte qualche turista di passaggio, nessuno andava troppo oltre il saluto e, magari, lo scambio di un paio di battute.

Entrò e si diede una rapida occhiata intorno per cercare la compagnia. Gli altri non erano ancora arrivati. Un tavolo nell’angolo sarebbe andato benissimo: lo puntò e si sedette scompostamente su una delle quattro sedie.

Lì lo trovarono Chris e Dom qualche minuto dopo, mentre, con le braccia incrociate sul petto, fissava il vuoto. Bassista e batterista si scambiarono un’occhiata tra il confuso e il divertito.

«Ha vinto Blair. Vieni a festeggiare con noi?» domandò Chris chinandosi per parlare all’orecchio di un Matt ancora assorto nei propri pensieri.

Il cantante sobbalzò: «Ehm... oh... eh? Chi ha vinto? Cosa? Blair? Ma... ma se non...»

«Appunto idiota,» intervenne Dom, «non era candidato! Cosa prendi da bere?».

Ordinarono mentre un’altra manciata di amici si univa al loro tavolo.

Giocherellando con il suo calice di vino vuoto, estraneato dalle chiacchiere degli altri e dalle noiose canzoni che stavano passando alla radio, Matt guardò l’ora: undici e mezzo. Si sentiva stanco. Forse sarebbe tornato a casa. Sì, ma a fare che cosa? Dormire... aveva una gran voglia di dormire negli ultimi giorni. Che qualche bastardo dell’FBI gli avesse messo un microchip per averne il controllo ed era questo a prosciugare le sue energie? Chissà, magari l’ultimo disco era andato bene perché qualcuno lassù in cima l’aveva voluto... poi ripensò ad Exogenesis, quel pezzo che sognava da anni di scrivere. Per la seconda volta in un giorno mandò a quel paese se stesso: un disco come quello non poteva essere pilotato.

All’improvviso tornò alla realtà. «Bellamy», qualcuno lo aveva detto, qualcuno dallo studio di chissà quale noiosa emittente su cui il barista si era sintonizzato. E siccome da qualche anno a questa parte il Bellamy in oggetto era sempre (sempre? Sì, ormai sempre!) lui... ma era troppo tardi. I Biffy Clyro avevano già preso il posto di quella voce di donna che lo aveva nominato.

Guardò Chris, seduto accanto a lui, momentaneamente in silenzio: «Mi hanno nominato ma non ci stanno passando. Perché? Ho le palle piene che continuino a blaterare sulla mia vita... non sanno un cazzo dei fatti miei. Poss...»

«Ehi, amico, calma!» il collega gli posò una mano sul braccio. «Che cacchio hai oggi? Sei un gattino attaccato alle palle!».

Matt scosse la testa e si sforzò di sorridere. Si tenne per sé l’ipotesi del microchip che viveva come un parassita dentro il suo corpo e che lo portava all’equazione meno energia uguale meno buon umore.

«Avranno detto che sei l’uomo più sexy del rock... l’hanno detto anche i Brit Awards per cui, cazzo, deve essere vero!»

Matt non ebbe tempo di rispondere perché la sua attenzione fu richiamata da qualcun altro: «Ehi, Matt, ma ti sei candidato?». Era il barista del locale, amico di vecchia data della band.

«A che? Ai Brit Awards? No, mi ci hanno nominato!»

«No, cretino! Parlo delle elezioni di oggi!».

Il cantante guardò divertito l’uomo che gli si stava facendo incontro. «Pacco... anche tu? Non sono nemmeno andato a votare!»

«Ma loro hanno votato te!».

Matt si alzò; i compagni di tavolo lo fissavano trattenendo una risata fragorosa. «Loro chi? ‘Cazzo stai dicendo? Quanto hai bevuto stasera?»

«Meno di te, idiota! Matt, ti hanno votato, l’hanno appena detto alla radio!».

Sul volto del cantante ora era dipinta un’espressione di perplessità, era troppo confuso persino per associare quello che l’amico gli stava dicendo alla risposta che stava cercando pochi minuti prima. Teneva gli occhi incollati sul barista, ma non riusciva a scorgervi tracce di scherno.

“Mi sta prendendo in giro. Deve starmi prendendo in giro! ‘Cacchio si è fumato?”. Si girò verso i compagni di tavolo: tutti avevano un’espressione indecifrabile. Sospirò. “Mi sta allucinando - quel microchip mi sta allucinando! Dove me l’hanno impiantato? Sono una cavia di qualche fottuto esperimento e impazzirò. Addio ragazzi, addio Muse, adesso gli alieni vengono a riprendersi l’amico Matt.”

Il barista lo scosse per le spalle: «Ancora dei nostri, Primo Ministro?».

Matt sospirò nuovamente. Un’occhiata intorno non lo aiutò affatto a capire se l’allucinato fosse lui o tutti gli altri.

«Vieni con me», gli disse il barista spingendolo gentilmente verso una postazione Internet. Davanti agli occhi vacui di un’inerte Matt, aprì la pagina della BBC.

«Prime proiezioni dai seggi. Pare che un grandissimo numero di votanti non abbia assegnato alcuna preferenza ai candidati in lizza, scegliendo invece di scrivere “Matthew J. Bellamy (Muse)” sulla scheda elettorale.»

Matt guardò quelle parole senza trovare alcun senso logico.

“Matthew J. Bellamy... dovrei essere io. E poi Muse tra parentesi... sono io! Naaah... dai...”.

«Hai visto?» lo riscosse il barista.

Matt finalmente realizzò, annuì e scoppiò a ridere. Non aveva senso, quella storia non aveva nessun senso, ma tanto valeva divertircisi!

«Siete stati voi?» domandò il cantante all’amico pensando all’incipit “Prime proiezioni” e supponendo che gli scrutini fossero partiti dal Devon, in cui magari Chris e Dom avevano organizzato qualcosa di scemo pur di convincerlo a candidarsi alle elezioni successive.

«Oddio, non credo, non so gli altri, ma nemmeno io sono andato a votare.»

Matt continuava a ridere, ora appoggiato scompostamente sulla tastiera del terminale.

«Allora?» chiese il resto della compagnia schierata ora alle sue spalle. Il cantante si limitò ad indicare lo schermo e rise ancora, fragorosamente, forse istericamente.

Il barista si allontanò per un istante, per poi tornare con una bottiglia di champagne: «Al nostro futuro Primo Ministro!» esordì, stappandola e versandone un po’ in faccia a Matt. Quest’ultimo rideva imperterrito. Non che avesse bevuto più del solito... era forse solo allucinato, ma non se ne curava più.

«A me, a voi, a noi, a chi cazzo vi pare!» urlò impossessandosi della bottiglia per fare la doccia a chiunque gli capitasse a tiro.

Altro champagne, altre docce, poi un brindisi vero, un altro, e un altro ancora. Avevano saputo fare peggio di così, molte volte, specialmente nei primi anni di tour, comunque il livello fu notevole: il tranquillo bar della cittadina costiera rimase aperto fino all’alba perché i clienti euforici potessero continuare a festeggiare.

Quando i colori sgargianti del nuovo giorno illuminarono la città e la pioggia aveva smesso di accarezzare il profilo della costa inglese, i ragazzi si trasferirono in spiaggia a celebrare ciò che era rimasto incelebrato precedentemente. Avvolta dall’aria fredda di una mattina non ancora completamente iniziata, la compagnia si riscaldava a suon di alcohol. Matt continuava a ridere - praticamente non aveva mai smesso - e lo stesso facevano i suoi amici.

 

«Ehi, tesoro, svegliati, c’è una chiamata per te.»

Il ragazzo socchiuse gli occhi. Chiamata? Che volevano? Chi lo cercava? Si era addormentato da nemmeno cinque minuti e già lo svegliavano... prima o poi sarebbe andato in standby per una settimana intera!

«A meno che non sia la regina», biascicò, «chiunque può aspettare.»

“Oddio, anche lei potrebbe aspettare, in effetti!” concluse tra sé rigirandosi nel letto.

Marilyn lo scosse: «No, non è la regina, ma penso sia comunque importante. È la Sede Centrale del Comitato Elettorale. A proposito, piccolo Bellamy: cos’è questa storia di tutti i voti che hai preso? Perché sistematicamente mi tagli fuori da tutto?».

Matt si tirò a sedere sull’orlo di un’altra risata isterico-incredula: «Boh! Quando capirò ti spiegherò, tranquilla mamma.»

Dopo un paio di colpi di tosse per scacciare sonno e stanchezza dalla voce, si precipitò ad afferrare la cornetta.

«Signor Bellamy, gradirebbe spiegarci cosa sta succedendo? È una trovata pubblicitaria del vostro manager, della vostra casa discografica, oppure un metodo stupido per “rovesciare il sistema”?». L’interlocutore, tono freddo di chi è abituato a comandare, scandì le ultime parole con particolare enfasi sarcastica.

«Non so», rispose placidamente il cantante.

«Non sa. Bello! E cosa dovremmo fare noi di questi ottomilionienovecentomilarotti voti?».

Matt addocchiò l’ora sul display del telefono per capire se gli scrutini erano già terminati: tre e mezzo. Non aveva dormito giusto i cinque minuti che pensava, e per di più non si ricordava nemmeno come aveva fatto a tornare a casa. Ringraziò dentro di sé l’anima gentile che lo aveva riaccompagnato.

«Nemmeno questo so», proseguì infine. «Potreste ad esempio propormi di candidarmi.»

«Eccolo... era qui che voleva arrivare, eh? E se glielo proponessimo, lei si candiderebbe?».

Il cantante fece un rapido sorriso a quella disponibilità troppo immediata. «Non so», si limitò a ripetere.

«E c’è qualcosa che lei sappia, signor Bellamy?».

Matt non rispose preferendo studiare la tattica dell’avversario.

«Senta, signor Bellamy: facciamo che lei adesso prende e viene qui a Londra e ne parliamo faccia a faccia, OK?»

«Oh-hoh! “Facciamo che lei prende... viene... fa...” si ricordi che potrei essere il suo Primo Ministro un giorno!» ribatté il giovane dopo essersi mordicchiato un dito per non scoppiare a ridere in faccia a quell’interlocutore così irritante.

«Le auguro buona giornata», si limitò a rispondere l’altro.

«Aspetti aspetti!» Matt dovette nuovamente trattenere una risata e questa volta fu il labbro inferiore a subirne le conseguenze. «Quanti voti ha detto che ho preso?»

Il funzionario del Comitato Elettorale si schiarì la gola prima di dire: «Ottomilionienovecentomilaqualcosa.»

«Wow!». L’espressione di trionfo nella voce del cantante era genuina. «E le giuro che non mi sono autovotato, non sono nemmeno andato a votare! Non pensa sia fantastico?». Un ulteriore morso al labbro per non ridere.

«Le auguro buona giornata, Bellamy. Ci raggiunga qui in giornata, è urgente.»

Terminata la chiamata, Matt si poté sfogare nell’ennesima risata che ora conteneva divertimento, sarcasmo, confusione, e ancora incredulità e isteria. «Eh, mamma... pare proprio che ottomilionienovecentomilapassa persone abbiano votato per me. E ora il Comitato si trova col culo a terra perché suppongo non sia mai successa una cosa simile.»

La donna continuava a fissarlo, ora anche sul suo volto un’espressione divertita. «E non solo!» concluse Marilyn. «Pare che i candidati abbiano preso briciole al tuo confronto. Qualche centinaio di migliaio di voti, ma niente più.»

Risero insieme questa volta.

Dopo alcuni minuti Matt lasciò la madre per andare a prepararsi in vista del grande appuntamento ufficiale.

“Ottomilionienovecentomilapiù voti... wow, sono un bel po’!” pensava mentre entrava nella sua stanza. Sorrise ancora nel constatarlo. Prima di dirigersi verso l’armadio per cercare vestiti per quanto possibile “normali”, si chinò a raccogliere The Rise Of The Fourth Reich che era caduto dal comodino. Fu a quel punto che si trovò faccia a faccia con la copertina del libro e la foto dell’autore in primo piano. Il sangue gli si gelò nelle vene. Era come se quegli occhi saggi lo stessero scrutando, interrogando, accusando, invitando a pensare.

“E perché così tante persone hanno votato te senza che nemmeno ti candidassi?” sembrava domandare Marrs. “Sei sicuro che l’azione sia così spontanea e genuina?”. Matt respirò a fatica, congelato nella propria posizione, incapace di distogliere gli occhi da quella copertina. “Attento”, diceva ancora l’autore, “non pensi ti stiano usando? Qual è il loro scopo? Non pensi sia un modo gentile per metterti fuori scena? O forse semplicemente farti fuori...”.

«Basta!» urlò il cantante scagliando il libro nell’angolo più lontano della stanza.

Si girò: intorno a lui era tutto buio, l’unica illuminazione quella dell’orologio digitale che dal comodino segnava 06/05/2010 03:41 am. Sotto la sua guancia il morbido conforto del cuscino di piume, la testa effettivamente oppressa dall’emicrania post-sbornia con i vecchi compagni del TCC, accanto alla sveglia The Rise Of The Fourth Reich, ma questa volta gli occhi di Jim Marrs erano inermi.

“Dove ti porteranno le tue paranoie?” si domandò. Non era certo che andare a votare quel giorno sarebbe stata la cosa giusta, tuttavia ora sapeva che non avrebbe mai occupato il posto di timoniere dall’alto della piramide; mai, perché tanto sarebbe semplicemente caduto nel sistema, non se ne poteva fare a meno. Accantonò definitivamente il suggerimento di molti amici e conoscenti che lo invitavano a candidarsi a qualche carica perché, secondo loro, lui era sempre stato una valanga di idee nuove, fresche, brillanti, e questo avrebbe solo giovato alla politica. No. La sua lotta personale per migliorare il mondo era la musica e avrebbe dato la vita pur di continuare a farla.

«Tanto il voto che ci concedono è inutile...» mormorò sconsolatamente.

  
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