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Autore: cioccolatoprego    23/06/2010    3 recensioni
Andando nel mondo di Hyperversum, Ian corona il suo amore, e gli unici insoddisfatti sono i genitori di Daniel. Almeno, così sembra. Chi è quel tipo sullo sfondo che osserva torvo lo svolgersi dei fatti??
Genere: Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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quel tipo sullo sfondo cap. 13 CAPITOLO 13 - Miracoli

Si dice che l'amore renda tutto sopportabile, ma non ci avevo mai creduto. Almeno finchè non ebbi modo di certificarmi di persona della veridicità di tale sentenza, osservando un soggetto quanto mai interessante.
Sto parlando, ovviamente, di Ian Maayrkas, che finalmente poteva godersi la persecuzione per la quale sembrava fatto apposta, per mano del conte di Ponthieu.
In quei giorni, vidi il mio compagno di sventure frequentare assiduamente i soldati di Béarne, nella speranza di riuscire perlomeno a tenere in mano la spada durante il prossimo torneo. Quando il prode tornava, poi, stanco morto e maleodorante - si, anche gli eroi sudano - il suo nuovo, amato fratellone gli rifilava occhiate di ghiaccio, al che Ian, da anima sensibile qual era, ci rimaneva male e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime, finché non vedevo passare nei suoi occhi, lampante, il pensiero "Isabeau" e "moglie", e gongolava soddisfatto, risolvendosi a sopportare le cattiverie del conte cattivo per non rattristare la sua bella.
Daniel Freeland, molto più irritabile e meno incline ai sensi di colpa, meditava oscuri propositi di vendetta contro Ponthieu, se avesse anche solo osato sfiorare il suo amichetto. Cosa che avvenne, ma quando Freeland era lontano, e non ne seppe niente.
Daniel era infatti partito alla volta di Arras, per procurarsi la tanto sospirata dispensa del vescovo, senza la quale il conte Jean rimaneva scapolo a vita. Io ero rimasto a Béarne, "dove Ian può controllarti", e ciondolai nel castello finchè non incappai in Ponthieu che, non gradendo il fatto che non combinassi niente, mi consigliò lo svolgimento di qualche attività socialmente utile. In pratica, mi minacciò di spedirmi in cucina a spennare pollame se non mi fossi trovato qualcosa da fare.
Così, mi vidi costretto a rivolgermi al mio tutore, il caro Ian, che con aria molto magnanima mi porse una spada, chiedendomi - con un sorriso che mi ricordò la mia maestra di asilo - se avessi mai tirato di spada. La sua faccia, quando risposi affermativamente, fu impagabile. Poi scrollò le spalle e mi ordinò di allenarmi con i soldati.
Un giorno, quando avevo appena finito di allenarmi - ero a pezzi - vidi una losca figura in avvicinamento, e riconobbi il conte, che congedò tutti con un gesto, estraendo la spada. Era facile intuire le sue intenzioni, e feci per muovermi, bloccandomi subito, però, al ricordo di alcuni  tremendi fumetti della mia adolescenza, in cui i protagonisti sparavano cose del tipo "è la sua battaglia" o "combatte per il suo onore". Ecco, Maayrkas sembrava uscito da quei fumetti, ragion per cui me ne rimasi fermo e zitto ad assistere, anche perchè il conte non si accorse nemmeno di me.
La mia decisione traballò un poco quando Ponthieu puntò la spada alla gola di Ian. A quel punto, nel mio cervello scattò l'allarme, ma ad intervenire ci pensò dama Isabeau.
- Monsieur! - invocò, all'indirizzo del conte.
I due si separarono, cercando di far finta di nulla, e Ponthieu si defilò silenziosamente. Ian abbracciò Isabeau, e sospirò. - Mi odia, ma posso capirlo.
- Oh, no! - esclamò la candida fanciulla - Il mio tutore non vi odia, ne sono certa.
Maayrkas sospirò di nuovo, pensando probabilmente che solo un miracolo avrebbe potuto riconciliarlo con il conte. Già lo era, un miracolo, il fatto che fosse ancora vivo, e glielo feci presente, aggiungendo che il suo matrimonio sarebbe stato osteggiato.
Non la prese molto bene.

Difficile dire chi fosse più agitato, se Ian o Daniel.
Il primo aveva ragione di esserlo - diamine, stava per diventare cavaliere - il secondo era invece orgoglioso dell'amico.
Nella stanza c'era anche Martin Freeland, di cui avevo quasi scordato l'esistenza, che saltellava per la stanza nell'illusione di sentirsi utile. Era stato portato da Chatel Argent, dove si trovava con Jodie Carson, fino ad Arras, ed era arrivato a Béarne, con suo fratello.
Quanto alla ragazza, seppi che era ancora ad Arras, dove avevano trovato una loro amica, imprigionata in un convento. Ian e Daniel ne avevano parlato a lungo, e infine avevano chiesto aiuto al conte, che si era impegnato ad aiutarla.
Risolto il problema, si erano immersi nei preparativi per l'investitura.
Era ormai sera, e io giravo per la mia stanza. All'inzio, nessuno mi aveva contato per assistere alla cerimonia, ma Ian, mosso da cavalleresca misericordia, mi aveva proclamato suo scudiero in seconda, autorizzandomi a venire.
La cosa non mi aveva esattamente riempito di orgoglio - scudiero in seconda? - ma ero curioso e accettai di buon grado.
Fu, in effetti, piuttosto interessante, tranne un gusto abbastanza discutibile sui vestiti. Voglio  dire, rosso come il sangue che si vuole versare, nero come la terra a cui si torna dopo la morte... roba allegra, insomma.
Comunque, ripeto, fu interessante, finchè Ponthieu non attaccò a parlare. E cosa poteva dire, se non "scusa, ti voglio bene, mio caro fratellino, ma niente passi falsi o ti uccido"?
E come poteva reagire Ian Cuore D'Oro, se non con gli occhi umidi?
E io, potevo non addormentarmi?
Mi svegliò il rumore terribile che fecero quando attaccarono a urlare. Non so bene cosa, ma sembrava molto epico.

A Béarne era in atto un'invasione. Non inglese, né fiamminga. Peggio.
Erano arrivati i cavalieri.
Ora, uno dovrebbe sentirsi emozionato, felice di osservare con i propri occhi personaggi storici. E invece, io ero seccato.
Già dal mattino presto erano iniziati ad arrivare figuri sospetti indicati da Ian come nobili guerrieri. Tutti insieme, erano in grado di produrre un chiasso pari a quello dell'ultimo giorno di scuola. Mancavano solo i gavettoni, e per supplire a questa mancanza i coraggiosi si affrontavano scherzosamente nel cortile, salvo poi ricomporsi immediatamente quando passava il re, o il padrone di casa.
Era stata organizzata una battuta di caccia, quindi ai rumori festanti del castello - cavalieri rimasti, servi che erano sempre e comunque in festa - si aggiungevano le strida acute dei rapaci.
Ian e Ponthieu non cacciavano, ma avevano seguito comunque i cavalieri, per sondare il terreno attorno al novello conte cadetto. Ian doveva osservare gli altri cavalieri, imparare bene come comportarsi in pubblico, e farsi conoscere da tutti come Jean de Ponthieu, approfittandone per creare una buona squadra per il torneo.
In un parola, socializzare.
Io ero al castello, con un mal di testa feroce e un gran raffreddore. Doveva essere stato all'investitura, quando mi ero appoggiato al muro umido per dormire.
In ogni caso, non mi sentivo affatto bene, e mi chiusi in camera, per prevenire gli attacchi dei valletti, di Freeland Uno e Due, di dama Isabeau e dei cavalieri che sbagliavano camera. Erano arrivate a Béarne anche la Carson e l'amica, tale Donna Barrat: ragazza molto, ma molto carina, che quando mi ero azzardato a sorriderle mi aveva guardato con terrore.
Riuscii a stare tranquillo finchè non ebbi la malaugurata idea di un bicchiere d'acqua. Aprii la porta, e chi c'era,  in procinto di bussare, se non Ian?
- Ben svegliato! - trillò, attribuendo la mia aria stravolta all'essermi appena alzato.
Grugnii in risposta.
- Sarebbe ora di scendere a mangiare qualcosa. Scendi con me. - invitò, cordiale.
- La gola... non... - Avrei voluto dire "non posso parlare", ma tutto quello che uscì fu un gorgoglio inarticolato, e la mia faccia si colorò di verde, o almeno credo, a giudicare dal senso di nausea.
- Non ti senti bene? - notò l'Occhio di Falco.
- Testa...
Lui annuì comprensivo. - Mi dispiace. E' meglio se ti riposi, allora. Sai, io... - e qui gli occhi si illuminarono -... ho fatto amicizia.
Emisi un rantolo che avrebbe voluto essere sprezzante, ma Ian sorrise. - Sono felice che partecipi alla mia gioia.
Viva la libera interpretazione.
- Il torneo inizierà domani, e io ho già formato una squadra con Etienne de Sancerre, Henri de Bar ed Henri de Grandpré. - tacque, forse aspettando complimenti, poi si ricordò che non potevo parlare e aggiunse - Sono dei valorosi.
Non dissi nulla. Ian continuò a cianciare. - Sono emozionato al pensiero di aver conosciuto personaggi storici, ma ti confesso che questo torneo mi inquieta un po'. Tutti si aspettano che io compia la mia vendetta, e io lo desidero con tutto il cuore, ma se non ci riesco? Se non sono all'altezza, se quel maledetto mi uccide? Oh, la mia povera Isabeau... D'altra parte, il conte mi sta aiutando molto e io gliene sono grato. Ci pensi che mi ha davvero accettato come fratello? Ha accettato me, un estraneo venuto dal nulla, e non osavo sperare che mi accordasse tanta fiducia... non voglio deluderlo! Sconfiggerò quell'inglese, a ogni costo, e tornerò da Isabeau sano e salvo! Devo farcela, per lei, Daniel, Ponthieu...
Avevo smesso di ascoltare da un pezzo, e mi stavo chiedendo se non mi avesse per caso eletto al ruolo di Diario Segreto, quando all'improvviso calò il silenzio.
- Scusa? - bofonchiai, sorpreso che si fosse zittito spontaneamente.
- Ho detto - ripetè paziente - che mi dispiace tu non possa assistere.
A me non dispiaceva affatto, ma non lo dissi, annuendo con aria di circostanza, mentre la testa riprendeva a girare. Ian sembrò accorgersene, e mi salutò alzandosi.
Avrei voluto augurargli in bocca al lupo, almeno per buona educazione, ma la mia gola era a secco. Accidenti a Maayrkas, dovevo prendermi l'acqua!

Il giorno dopo, mi sentivo un po' meglio, ma optai comunque per una giornata di quiete. Il che era assurdo anche solo da pensare, visto che stava per aver luogo un torneo.
Ero ormai rassegnato agli inevitabili fastidi dovuti al fracasso, perfettamente udibile, ma in ogni caso all'esterno. Mai e poi mai mi sarei voluto trovare là in mezzo.
E ovviamente, nell'istante in cui formulai quel pensiero, un fastidio bussò alla porta, materializzandosi davanti a me, nella persona di Guillaume de Ponthieu.
Il conte aveva una faccia scura, e sorreggeva un altro uomo, con una gamba sanguinante. Erano seguiti a ruota da una ragazza con i capelli rossi, che dopo un attimo riconobbi come Donna Barrat, la Traumatizzata.
Il trauma doveva però esserle passato, perché marciò verso di me con passo sicuro, tirandomi letteralmente giù dal letto.
- Venite con noi. - ordinò il conte, perentorio.
- Abbiamo bisogno del vostro aiuto. - specificò la ragazza, più diplomatica.
Provai a dire qualcosa, ma Ponthieu riprese a parlare. - Quest'uomo è il conte Pierre de Courtenay. Suo fratello, deceduto da poco, è stato il mio primo avversario in torneo, e il conte intende onorarare la sua scomparsa confrontandosi oggi con Jean. Ma - mi lanciò un'occhiata accusatoria, che non compresi - monsieur de Courtenay si è ferito poco fa, inciampando in un bicchiere davanti alla vostra porta, e cadendo per le scale.
Mi mordicchiai le labbra. Non era stata colpa mia: avevo semplicemente sperato che qualche servitore solerte passasse e racogliesse il mio bicchiere vuoto, come faceva mia madre. Inoltre, bisognava essere fenomeni per inciampare in un bicchiere e cadere per le scale.
- Lo abbiamo medicato, ma, ora come ora, il conte non può combattere, e gli rincresce per la sfida che aveva progettato.
- Che... che c'entro io? - tossii, con un orrendo presentimento.
- Io ho avuto un'idea, allora. - intervenne Donna - So che combattete abbastanza bene, per cui potreste prendere il posto del conte.
- Non... sono cavaliere... - obiettai debolmente, stordito.
- Poco importa. - sentenziò Ponthieu - E' solo per uno scontro. Monsieur de Courtenay vuole solo osservare il comportamento di mio fratello.
Se fossi stato in condizioni normali, avrei protestato presentando tanti  ragionevoli motivi per i quali non potevo assolutamente prendere parte a un torneo. Contro Rambo, poi!
Se fossi stato in condizioni normali, appunto. Ma non lo ero, e mi lasciai trascinare via capendo solo la metà di ciò che mi spiegavano.
Mi sentii imprigionare in quella che dedussi essere un'armatura, spaventosamente simile ad una gabbia. La vestizione non fu lunga: dopo avermi calato l'elmo sulla testa - ero stato inscatolato in modo irreversibile, ormai - mi issarono sul cavallo - conciato male quanto me - e mi raccomandarono di non scoprirmi mai il volto. Fui nuovamente istruito sul mio compito di toccare il blasone di Ian e poi combattere con lui. Da qui un lungo elenco di consigli su come comportarmi evitando di essere fatto a pezzi, ma non ne capii neanche mezzo. Infine, mi augurarono buona fortuna e mi spinsero verso il campo, abbandonandomi al mio destino.
Trottai verso i blasoni esposti con un notevole rumore di ferraglia, percependo addosso gli sguardi curiosi del pubblico. Mi fermai, incerto.
Qual era, il blasone di Ian?

Mi salvai dall'immane figuraccia posando casualmente lo sguardo su un cavaliere troppo alto, vestito di bianco e azzurro. Una figura nota.
Cercai fra gli altri un blasone bianco e azzurro: erano più d'uno, ma ce n'era un unico con un falco. Un falco. Cielo, che cosa pacchiana.
Il mio fine senso estetico rabbrividì, prima di costringermi ad impugnare la lancia per toccare in qualche modo il blasone. Riuscii nell'impresa senza troppi sforzi, e fui premiato dal boato eccitato della folla. Più difficile fu abbassare la lancia senza darmela in testa, ma trionfai anche in quello.
Vidi Ian posizionarsi nel bel mezzo della lizza, seguito a ruota da altri tre cavalieri. Notai con una certa apprensione che anch'io ero seguito da qualcuno, ma non avevo idea da chi.
Ci piazzammo l'uno davanti all'altro, a una distanza sufficiente per prendere la rincorsa. La testa martellava, non so se per la febbre che tornava o l'ansia. Mi limitai a tener ferma la lancia spronando il cavallo, nella speranza che facesse tutto lui.
Per esprimermi in modo poetico, potrei affermare di aver sentito il sibilo del vento che mi scompigliava i capelli, ma non sarebbe vero, perchè avevo le orecchie rintronate e l'elmo e l'armatura in cui ero incastrato non mi davano la possibilità di sentire alcunchè.
Inoltre, la mia vena poetica si prosciugò nell'istante in cui realizzavo che uno Ian Maayrkas rivestito di ferro stava galoppando verso di me. Sembrava un incubo, ma compresi che era realtà dopo l'impatto tremendo fra le nostre lance.
Chiusi gli occhi, facendo fermare il cavallo. Il colpo mi aveva intontito, e riuscivo a malapena a reggermi in sella. Dopo un'occhiata disperata a Ponthieu, che ricambiò impassibile, controllai le condizioni del braccio - era ancora intero -, accettai un'altra lancia dagli scudieri e spronai di nuovo il cavallo, o più che altro il mio corpo si mosse da solo mentre la mente semplicemente si scollegava.
Il secondo colpo fu se possibile anche peggio, e bastò per riportarmi sulla Terra. Avevo spezzato un'altra lancia, proprio come Ian. Fui prontamente rifornito, mentre osservavo con disgusto che era la seconda volta che finivamo in parità. Ormai c'eravamo solo noi, e il pubblico seguiva le nostre mosse quasi esaltato.
Per la terza volta, partii al galoppo, e la scena si svolse quasi al rallentatore. Furono solo pochi istanti, ma parvero millenni: il mio cervello elaborò, molto lentamente, l'immagine di Ian, la mole spaventosa piegata sul cavallo, lancia tesa, un'espressione determinata ben visibile sotto l'elmo.
Allora, l'istinto di conservazione ebbe la meglio, e cercai disperato un modo per fare dietro front, ma mi resi conto che la bestia su cui mi trovavo non presentava nulla di vagamente somigliante ad un freno. Provai a girarmi leggermente, e quello, ben deciso a proseguir dritto, si oppose, imbizzarendosi. Non so bene come, ma riuscii a tenermi in sella, e arrivai incolume fino in fondo alla lizza. E Ian, dov'era finito?
Allo stesso tempo udii un'ovazione: alzai la testa, e a giudicare dall'aria nobile di Maayrkas - "ho appena fatto una buona azione" - s'intuiva che non stavano acclamando me. Alzai la lancia, nel vano tentativo di sistemarla in mano per il prossimo assalto, ma le mani mi tremavano e tutto ciò che ricavai fu di spingerla in alto agitandola un po'.
Il pubblico applaudì ancora, e con mia immensa sorpresa Ian abbandonò il campo. Intravidi poi Ponthieu che mi faceva segno di tornare. Mi avvicinai, e lui, approfittando della momentanea distrazione di Ian, mormorò: - Si è comportato in modo degno di un cavaliere, rifiutando di colpire un avversario in difficoltà. Avete fatto bene a concedergli la vittoria.
Non avevo la forza di ribattere, e non ne ebbi nemmeno il tempo, perchè il nobile cavaliere si era avvicinato.
Tirando fuori la poca voce che avevo, e ingegnandomi a storpiarla, borbottai banalità a proposito dell'onore e della rivincita, e me la svignai, verso la tenda in cui riposava il conte.
Là fui accolto da Donna e qualche servitore, che mi tolse da cavallo dicendo qualcosa che non compresi. Avevo una nausea tremenda.
Donna mi sorrise. - Com'è stato partecipare ad un torneo?
- Voglio un'aspirina.
Lei si accigliò. - Non ti senti bene?
Non risposi. Mi squadrò per qualche istante, e cinguettò: - Ian si è comportato in modo splendido, eh? Ma sei sicuro di star bene? Sei forse commosso dal suo gesto?
- Dov'è il bagno?

Ritengo che qualche anima pia mi abbia trasportato a letto, dove sono rimasto in pace per un pezzo, subendo solo qualche piccola interruzione.
Non per colpa del pubblico, a cui mi ero abituato, ma più che altro per qualche urlo sgradito degli sfidanti, come un "Derangale!" urlato a voce altissima mentre sonnecchiavo. Maledetto Maayrkas.
A parte questo, godetti di una rara tranquillità, finchè, ancora una volta, non udii bussare. Ero pronto ad accogliere uno Ian su di giri, invece mi trovai davanti alla Barrat.
- Come va? - salutò gentilmente - A giudicare dal colorito, la febbre è passata.
Assentii. Lei gongolò, compiaciuta. - Benone. Ti ho fatto bere una tisana, anche se credo non te ne ricordi, e ha avuto effetto. Quindi funziona!
Aggrottai le sopracciglia. - Cioè, mi hai usato come cavia?
La ragazza sorrise, ammettendolo senza un briciolo di vergogna. - Però, ero sicura al 99% che avrebbe funzionato. - rettificò.
Sorrisi di rimando. Ero guarito, e mi bastava quello. La ragazza attaccò a chiacchierare, e io sospirai di gioia. Non mi pareva quasi vero di stare conversando normalmente con qualcuno, in quel covo di svitati. Era un miracolo.
- Quindi verrai al banchetto?
Annuii con foga. - Certo!
La ragione per cui i medioevali, dopo essersi presi a botte nei tornei, sentivano il bisogno di mangiare, cantare e ballare mi era oscura, ma la prima azione mi attirava un bel po', e avevo davvero voglia di fare una mangiata per riprendermi dagli ultimi giorni.
Ero stressato, per cui avevo fame. Penso sia una cosa abbastanza comune.
Scesi allegramente in sala, dove trovai riuniti Ian, Daniel, Martin e due tizi sconosciuti, uno biondo e silenzioso e l'altro bruno ed espansivo. Ian me li presentò rispettivamente come Henri de Bar ed Etienne de Sancerre, suoi compagni di squadra.
- Non ne manca uno? - domandai innocentemente, e, ahimé, scatenai così l'appassionato racconto di Martin, da cui appresi i nuovi misfatti di Jerry, che aveva gravemente ferito il giovane Henri de Grandpré. Naturalmente, ghignò Daniel, Ian gli aveva dato il benservito subito dopo.
Sbadigliai, Martin tacque, e venimmo raggiunti dalle dame. Dopo i complimenti di rito,  ci avviammo verso il tavolo, dove regnava il caos. Cani che scorrazzavano sotto la tavola, nessuna posata - notai con orrore Sancerre servirsi del pugnale per tagliare la carne - e neanche una goccia d'acqua.
Stavo contemplando sconsolato il pezzo di carne, quando Ian, con fare caritatevole, mi passò un coltello. Ringraziai, e iniziai a divorare la mia cena, senza curarmi di nulla, e avrei continuato così per un bel pezzo, se Ian non avesse esclamato: - Guardate!
Reggeva in mano una pergamena, e, allungando il collo, capii che conteneva la lista dei campioni del torneo. Ian teneva il dito puntato su un nome: "Comes Johannes Marcus".
Lo guardai con aria interrogativa. - Sei tu?
Lui annuì, frenetico. - Si, ma... il nome! Ho sempre trovato il nome Jean Marc nelle cronache che ho studiato a casa. Qui, invece, solamente Jean, ed è cosi che veniva chiamato il conte cadetto. Ma questo... questo non è "Marcus". E' "Maarcus", perchè quel segno indica la lunghezza doppia. E' il mio cognome scritto male! Lo ha dettato re Filippo Augusto!
Daniel sorrise. - Così ha attribuito a te la vittoria!
Ian non sorrise. - Non capisci... in quelle cronache c'era il mio nome. Erano la mia storia.
Rimanemmo tutti folgorati, e Jodie mormorò qualcosa a proposito di miracoli. Ci fu una pausa di silenzio, in cui Ian constatò a voce bassissima che stavamo mettendo radici, o perlomeno le stavano mettendo loro. Iniziarono le danze.
Io tornai a mangiare, godendomi la meschina figura di Ian come ballerino.

Nei giorni che seguirono, Ian andò a fare un'innocua visita a Grandprè insieme a Ponthieu, e quando tornarono il conte era al corrente della nostra lontana provenienza e avevano fissato il matrimonio fra Ian e Isabeau.
Il tutto a testimoniare che Ian non andava mai perso di vista.
Per il resto, il tempo passò noiosamente. Certo, Chatel Argent si stava coprendo di fiori e festoni a velocità allarmante, ma cercai di non badarci. Il matrimonio si sarebbe tenuto a breve, e si trattava solo di pazientare.
Le mie giornate scorrevano tranquille, e ogni tanto punzecchiavo Daniel sulla questione "ritorno a casa". Su Ian, ormai, avevo smesso di contare: si sposava, e nel Medioevo contava di rimanerci. Anche Daniel, però, non mi ascoltava più, dopo la notizia bomba ricevuta al banchetto, e aveva cominciato a riempirsi la testa di interrogativi mistici.
A rompere la monotonia ci pensò Ian, comunicandomi di avermi già annoverato fra gli "amici dello sposo". La cosa mi inquietò, e non poco.
Alzare la spada urlando per salutare l'Angelica che si sposava non era proprio la mia massima aspirazione, ma andatelo a spiegare a Ian!
Magnanimamente, la Stanga permise all'umile sottoscritto di assistere alla sua vestizione, altra cosa non contemplata fra i miei sogni nel cassetto. Appresi così che nel Medioevo ci si sposava in blu elettrico, presumibilmente per non potersela svignare non visti. Con raccapriccio notai anche che lo sposo era costretto a indossare una collana di diaspro rosso e una corona di nastri e fiori. Ian, ovvio, lo fece con gioia.
Infine, ecco la chiesa. Per metà del tragitto Donna mi intontì a furia di chiacchiere sui suoi ex, ma mi mollò non appena avvistò Etienne de Sancerre, al quale diede il braccio. Poi gli amici dello sposo - me compreso - si appostarono all'entrata. La sposa arrivò poco dopo, acconpagnata da un oltremodo compiaciuto tutore.
Sventolai la spada tentando di assumere un'aria intelligente, con scarsi risultati vista anche la compagnia in cui ero. Sancerre rise come un pazzo e Daniel si permise di darmi una gomitata nelle costole per farmi abbassare la spada. Obbedendo, mi lanciai in un'indignata protesta che non ascoltò, fingendosi molto interessato alle parole del sacerdote.
Lo strazio finì, e mentre tutti ballavano incappai in Daniel e Jodie che farfugliavano qualcosa guardando Ian e Isabeau. Chiesi chiarimenti. Mi guardarono malissimo.
- Stavamo pensando al fatto che... sulle cronache... ci sia il nome di Ian... beh, è strano, no? Come se... fosse tutto già scritto. - spiegò Jodie.
- Anche che Hyperversum ci abbia portato qui. - aggiunse Daniel.
Aggrottai la fronte. Volevano dire che se ero stato catapultato in un mondo assurdo dove stavo lentamente impazzendo, lontano dal mio caffè, dalla mia cioccolata e dal mio divano, lo dovevo solo al signor Ian Sono Destinato A Essere Cavaliere Maayrkas?!
- E' stato un miracolo. - cinguettavano i fidanzatini.
Li avrei uccisi su due piedi, ma mi fermai a riflettere. In primo luogo, un omicidio a un matrimonio non porta fortuna. Inoltre, ciò che avevano detto era un ottimo spunto per un tema: il "destino". Averlo saputo a dodici anni...
Diciamo che, qualunque cosa mi avesse telestrasportato là, in quel folle castello di un'epoca sbagliata, insieme a dei contemporanei a dir poco imbarazzanti, era una cosa che avrei fatto a pezzi volentieri. Non era un miracolo, di sicuro. Se potevo dire la mia, c'era sotto qualche organizzazione criminale.
Ma questo, a Daniel e Jodie, non lo spiegai. Ce ne erano stati, di miracoli, è vero: ero uscito vivo dal torneo, non ero ancora uscito di testa, dama Isabeau mi aveva parlato, non avevo ancora strozzato nessuno, Ponthieu era più gentile, Ian non aveva più quegli orrendi tic nervosi, tipo la mano sulla faccia. Beh, no, questo doveva ancora accadere.
Erano indubbiamente eventi sovrannaturali, che non bastavano però a convincermi che l'insubordinazione di quello stupido videogioco fosse un semplice "miracolo". Non ero mica un bambino, pretendevo risposte, le favole non mi bastavano.
A Daniel e Jodie, invece, anime semplici, bastavano eccome.


Siete ancora vivi?
Stavolta forse ho esagerato con la lunghezza. L'ultima volta ho annunciato di voler scrivere del torneo e del matrimonio, ma più tardi ho scoperto orripilata che, in mezzo, c'erano tante, troppe cose. Mi ero scordata persino di Donna! Il risultato è che ho impiegato ore a scrivere, mentre mia madre mi domandava se stessi scrivendo le mie memorie.
Se comunque siete arrivati fin qui, e non avete mollato il capitolo a metà, allora vi ringrazio. A metà luglio dovrei partire, ma credo proprio che riuscirò a postare almeno un altro capitolo. E adesso ringrazio:
- MonyPurpa: per favore, non suicidarti prima della fine della storia. Come farei senza i tuoi commenti?! Confesso che non mi era nemmeno passato per la testa di far partecipare Jimmy, ma visto che mi hai dato l'idea... spero ti sia piaciuto!
- Pilatigirls: ma in pratica vi piacciono tutti? Beh, sono contenta! Per quanto mi riguarda, io non trovo divertenti le cose che scrivo, forse perchè ci penso molto su... l'importante è che piacciano a voi! Grazie per aver messo me e la mia storia fra i preferiti, e ringrazio anche i vostri fratelli!
- Maggie_Lullaby: ammiro chiunque riesca a dormire fino a mezzogiorno: io alle sette e mezza non riesco più a prendere sonno, e alle otto saltello per casa cercando di tirare mia sorella giù dal letto! Il soprannome "Angelica" nasce dal fatto che la Randall definisce Isabeau "un angelo" non so quante volte, quindi Jimmy si adatta.
Grazie anche a tutti quelli che leggeranno in silenzio, perchè si sono fratturati tutte le dita e non possono recensire.
A presto,
cioccolatoprego

  
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