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Autore: Rota    25/06/2010    2 recensioni
La prima impressione che Coralin gli aveva suscitato dentro certo non era stata delle migliori.
Occhi scuri – tendenti al nero pece – e lunghi capelli biondi, all’occorrenza legati in una coda.
Aveva notato quella ragazza al rientro dell’ennesima spedizione nel lontano Est, in mezzo alla folla di donne che sempre formicava attorno ai banconi affollati della mensa.
Silenziosa, schiva, con un’espressione in viso tale da ricordare la definizione stessa della noia. Una semplice macchia di incolore nel tutto, una nota grigia in mezzo al sangue degli Umani e al nero delle Caserme militari.
A Viral non era proprio piaciuta, quella donna con le orecchie da gatto.

**Fanfiction partecipante all’Iniziativa 2010: a years together, indetto dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight }**
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Viral
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dolce sogno'
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tale's end Fanfiction partecipante all’Iniziativa: 2010: a year together, indetto dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight since 01.06.08 }


Credits: Né i personaggi né l'opera di Tengen Toppa mi appartengono, ma sono proprietà di chi ne detiene i diritti.
Note personali: Questa ff mi è stata commissionata tempo addietro da un utente del forum di EFP. Voleva che ci si concentrasse sul “dolce sogno” di Viral, sulla sua relazione con la donna che diventa, almeno in questa realtà alternativa, sua moglie e la madre di sua figlia. Bene, è quello che ho cercato di fare °°’ Spero solo che Gufo non mi uccida per l’immane ritardo con cui consegno questa ff >_>’’ e la possa leggere con un sorriso sulle labbra ^^ A voi :3
[Il titolo vorrebbe dire “fine della favola”, fine del sogno, praticamente, in riferimento a quanto succede a Viral. Vorrei far notare anche un’altra cosa: in realtà le Bestie non potrebbero riprodursi, lo dice molto chiaramente il Re Spirale. Il fatto che invece Coralin e Viral diventino effettivamente genitori fa parte dell’illusione creata dalla mente di Viral per l’occorrenza. Così, almeno, la si deve intendere ^^]








Tale's End – Smile to me
[25 Giugno]





Coralin per prima aveva notato quella scia verde nel cielo.
Aveva alzato gli occhi scuri e l’aveva osservata in silenzio, mentre un vento placido le scompigliava delicatamente i capelli biondissimi.
Mentre ancora la bimba trillava gioiosa tra le sue braccia, Viral seguì l’esempio della moglie, tuffando lo sguardo nel cielo della prima sera di quel caldo pomeriggio d’estate.
Il sole calante – rosso di fuoco immortale – non gli impedì di veder nulla.
Un bagliore colse la coscienza sopita e la Bestia ricordò ogni cosa, all’improvviso.
L’antico passato, con re Rasen, Adiane, i Re celesti… e Kamina.
Il presente gravoso, con Simon, gli Anti- Spiral e Nia.
Ricordò, semplicemente, ogni cosa che era ed era stata.
Lasciò andare Haname che, appena toccato suolo, trottò felice verso la madre, facendosi abbracciare anche da lei.
Coralin non pronunciò una sola sillaba, rimanendo avvolta in un silenzio completo. Guardava suo marito, aspettando la sua decisione. E di questo Viral gliene fu davvero grato.
-Capisco… Era solo un dolce sogno…-
La Bestia ghignò, soffocando ogni illusoria beatitudine in una smorfia ferina. Ad un sogno benevolo preferiva la realtà stridente – perché il freddo del fango lo faceva sentire vivo, non altro.
Si elevò in cielo, divenendo parte della scia verde. In un lampo, tutto quello che non era sparì alle sue spalle.


******


La prima impressione che Coralin gli aveva suscitato dentro certo non era stata delle migliori.
Occhi scuri – tendenti al nero pece – e lunghi capelli biondi, all’occorrenza legati in una coda.
Aveva notato quella ragazza al rientro dell’ennesima spedizione nel lontano Est, in mezzo alla folla di donne che sempre formicava attorno ai banconi affollati della mensa.
Silenziosa, schiva, con un’espressione in viso tale da ricordare la definizione stessa della noia. Una semplice macchia di incolore nel tutto, una nota grigia in mezzo al sangue degli Umani e al nero delle Caserme militari.
A Viral non era proprio piaciuta, quella donna con le orecchie da gatto.

-Certo che potresti anche cercare di sorridere ogni tanto, Coralin… Sembri uno zombie!-
Alzando il muso dal proprio vassoio pieno di cibo dall’aspetto e dall’odore fin troppo sospetto e costretto com’era a rimanere fermo in piedi, intrappolato nella fila che si era formata, Viral aveva sentito la Capo- Cuoca, Chrom, rivolgersi alla donna con un ché di fare accusatorio.
Se non altro ora sapeva anche il suo nome.
Coralin non aveva neanche distolto lo sguardo dal suo “lavoro”, prendendo col mestolo sporco la zuppa verdastra e riempiendo in malo modo il piatto di un povero sventurato davanti a lei.
-Sarebbe abbastanza stupido sorridere senza un valido motivo, signora…-
Aveva la voce flebile, come quella degli ammalati. Probabilmente nel suo intimo considerava inutile anche farsi capire dagli altri – o semplicemente da coloro che non riteneva degni di tale onore.
Si sentì Chrom sospirare pesantemente, presa da chissà quale sconforto.
-Potresti ricordare ogni tanto di essere giovane e bella. Credo che questi siano motivi più che sufficienti per essere felici, alla tua età!-
Coralin prese un piattino di gelatina rossa e lo schiacciò con impeto sopra il vassoio di Viral, senza mutare assolutamente espressione.
-Non sono un animale. Vorrei avere qualcosa per continuare a respirare di mia volontà senza che sia l’istinto di sopravvivenza a dettarmene il bisogno…-
La donna alzò gli occhi sulla Bestia, incrociando il suo sguardo incredulo.
Fu un solo attimo, poi venne sospinto via da un compagno ansioso di togliersi di mezzo il prima possibile.


Sangue, polvere, sabbia.
Non si fermava mai, non cessava mai di muoversi.
Come formiche indegne, gli Uomini uscivano da ogni dove, cercando quel posto sotto il sole benevolo che – lo dicevano loro – gli apparteneva di diritto.
Infidi e rozzi, creature sciocche e arroganti.
Viral era sempre lì, in prima linea, ad insegnar loro quale fosse il loro vero posto.
Là dove non arriva alcuna luce, assieme ai vermi e alle talpe spaurite.
Una razza tanto misera non poteva avere la pretesa di considerarsi loro pari – questo la sua mannaia insegnava, questo Enki.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e ancora.


-Posso chiedere cos’hai da fissare, Sterminatore?-
Viral non era una persona che conosceva molto bene la discrezione – tutti lo sapevano, e chi ancora lo ignorava andava a sbattere contro un muro fatto di cemento e chiodi appuntiti.
Eppure Coralin non rimase tanto impressionata dal ghigno poco rassicurante che l’altro le srotolò sotto gli occhi, o almeno così parve.
-Mi stavo solo chiedendo come mai sei ancora qui dal momento che è palese che i militari non ti piacciono!-
La poltiglia giallognola dalla paletta in mano a lei passò direttamente al piatto di lui con un sonoro “squaw”. Nessuno dei presenti – spettatori e non – le diede attenzioni, troppo presi dall’assistere allo scontro verbale e visivo intrapreso dai due.
Coralin alzò un sopracciglio scettico, come a considerare quell’individuo non troppo superiore al cibo che distribuiva con malgarbo a chiunque gli si parasse davanti.
Una cosa simile alla feccia, per cui.
-Devo pur sopravvivere in qualche modo… Nella nostra società non danno mai nulla per nulla, sicché la gente è costretta a lavorare…-
Viral sbuffò, parecchio irritato.
-Dovresti essere grata a tutti noi, donna! Dopotutto, stiamo estirpando l’erbaccia che nuoce alla comunità! Senza il nostro intervento gli Umani farebbero di questa terra uno sfacelo!-
Il sopracciglio di Coralin si alzò ancora di più, palesando un fin troppo acuto scetticismo.
-Ne dubito assai… Ma cosa mai potrebbe pensare uno che non fa altro che agitare un coltello a destra e a manca? Sicuramente, il tuo senso critico giace qualche metro sotto terra…-
Viral si zittì per qualche istante, mentre l’istinto omicida che era in lui si risvegliava furiosamente e lo invitava con una certa urgenza a prendere la prima arma disponibile alla sua mano e cavare qui dannati occhi scuri dalle loro orbite.
Si trattenne, cominciando a fumare di rabbia come mai aveva fatto – però non riuscì a non urlare mentre si allontanava dal bancone a grandi passi.
-Certa gente non capisce né capirà mai!-


Sangue, polvere, sabbia.
L’avevano detto, i Re Celesti: nessuna pietà, per nessuno. L’avevano detto e ripetuto, con quell’impeto tipico dei comandanti che non hanno rivali.
Lui, da buon soldato, aveva obbedito con fin troppo zelo.
Rideva, rideva e rideva. Rideva per l’assoluta certezza di star agendo nel giusto, di non sbagliare nulla nelle proprie azioni.
Non quando a cadere era un vecchio dalla lunga barba candida, non quando lo faceva una madre con in braccio il suo bambino.
Tutto quello era utile, tutto quello era necessario, in un’assurda logica che lui – lo sapeva – non aveva diritto di comprendere, ma il dovere di assecondare.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e ancora.


Aveva pensato, sempre più spesso, di richiedere a Thymilph di essere spostato di zona.
Il deserto sabbioso non era il luogo a lui più congeniale, preferiva di gran lunga sassi rossi e gole profonde, dove l’eco si perdeva tra superfici lisce di pietra e lo sguardo si confondeva in un orizzonte dai colori caldi.
Aveva desistito, ogni volta, dallo smuovere un passo dalla sua posizione. Forse intuiva che, dato il ruolo che rivestiva, difficilmente il Re avrebbe acconsentito dall’allontanarlo troppo da una zona di frontiera dove gli attacchi erano all’ordine del giorno – non, almeno, senza un motivo più che serio.
E un suo capriccio non rientrava certo in questa categoria.
Ma forse era meglio così. Forse era meglio occupare il proprio corpo in una battaglia continua e duratura piuttosto che lasciare che la mente vagasse pericolosamente per i fatti propri, lontano da ogni logica che si conveniva a una Bestia quale lui era.
Eppure, sentiva distintamente che mancava qualcosa…
-Quante teste Umane hai reciso oggi, signor Sterminatore?-
Viral guardò Coralin pieno di astio negli occhi, quasi la volesse incenerire.
-Tu conteresti le formiche che ti si appiccicano alla suola della scarpa quando calpesti un formicaio?-
Vide però solo stanchezza rassegnata dipingersi negli occhi della donna, quasi ogni sua parola fosse banale e scontata, priva di attrattiva.
-Ripeti sempre gli stessi concetti, fino alla nausea… ma non ti stanchi mai?-
Viral alzò le spalle stizzito, troppo stanco per arrabbiarsi sul serio – non avrebbe urlato quella volta, non avrebbe dato un’altra soddisfazione a quella donna.
-Si chiama coerenza, questa!-
E per la prima volta sentì qualcosa di più che la semplice indifferenza nella sua voce, qualcosa di simile alla vera rabbia.
I suoi occhi furono per la prima volta vivi.
-Solo gli stupidi restano della stessa opinione quando tutto il resto attorno a loro cambia… Si vede che sei un soldato, la tua unica ragione di vita è far scorrere del sangue, e finché ci saranno teste da mozzare tu continuerai a sentirti vivo. Ma una volta che tutto sarà finito, che rimarrà di te? Nient’altro che polvere in mezzo a un cumulo di cadaveri!-
Silenzio, ancora. Poi  l’oggetto che Coralin teneva tra le mani si mosse, invitandolo implicitamente a muoversi – e alla svelta.
-E ora scansati che tocca al prossimo…-


Sangue, polvere, sabbia.
Per quanto fosse esaltante catturare e uccidere gli Umani, la stanchezza di vedere budella sempre della stessa forma rotolare fuori dai ventri alla lunga stancava – alla lunga metteva alla prova l’anima, ponendo di fronte dubbi innominabili.
Perché continuare una Guerra infinita che pareva non avere senso?
Per quanto il suo viso ghignasse di soddisfazione incredibile ogni volta che la mannaia lesta recideva una testa, per quanto lo spirito si esaltava ballando su cadaveri mutilati di tutto inneggiando ad un odio senza pari, Viral sentiva che qualcosa non tornava.
E certo, considerando la natura della sua professione, quei dubbi erano davvero fuori luogo.
Ma finché non avrebbe considerato gli Uomini altro che carne da macello, allora andava bene.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e ancora.


Si era ritrovato solo, in un angolo isolato della mensa, a ragionare sopra una zuppa di cavoli dall’odore disgustoso.
Quel giorno aveva ucciso cinquantasette umani. Li aveva contati uno a uno. La cosa era stata fin troppo deleteria, per lui.
Cinquantasette. Un numero davvero spropositato, contando quanto lentamente gli Umani si riproducessero.
Il punto era che si era reso conto di star davvero contando i cadaveri che lasciava sul terreno solo dopo che si era concluso il tutto – quasi a ricordare le parole irritanti di una certa persona in un luogo indebito e in una situazione assolutamente inopportuna.
Sospirò, affondando il cucchiaio nella melma chiara. Non aveva fame.
-Non hai fame, signor Sterminatore?-
Viral alzò gli occhi stancamente, ritrovandosi la figura di Coralin fin troppo vicina.
Ora che la guardava, senza bancone né cibo nauseante a nascondere le sue fattezze, gli pareva quasi avere una sua fisicità.
Alta, slanciata, forse addirittura bella. Ma i suoi occhi scuri erano sempre e comunque spenti.
Ghignò, guardandola torvo.
-Non sono dell’umore adatto a battermi ancora con te, donna… Lasciami in pace…-
Lei non disse nulla per parecchi minuti, restando immobile a fissarlo in piedi.
Viral ebbe la tentazione di alzarsi e andare via, di urlarle contro qualcosa di sgradevole che la costringesse a sloggiare, ancora di buttarle la zuppa in faccia così che non gli rivolgesse più la parola.
Era irritante, persistente quanto la coscienza che aveva messo a tacere da fin troppo tempo.
Forse, proprio in virtù di questa considerazione, sospirò appena e disse a bassa voce.
-Li ho contati, questa volta… li ho contati…-
Ancora silenzio. La Bestia pensò di ridere, scacciando così ogni sensazione opprimente, ma lei fu più lesta.
Si sedette accanto a lui, guardandolo in viso in maniera strana – dolce, forse?
-Io mi chiamo Coralin. Dimmi come ti chiami, così che io possa pronunciare il tuo nome la prossima volta…-


Sangue, polvere, sabbia.
Enki pareva cigolare ogni volta che si muoveva, ormai. La mannaia s’era fatta pesante e il sangue rosso degli Uomini non pareva più così lucente come una volta.
Non ghignava più, Viral. Urlava e basta.
Urlava un odio che sentiva sempre più flebile e lontano – che lasciava sempre più posto all’indifferenza e al dubbio. Urlava a più non posso, cercando la verità che aveva sempre guidato le sue zanne e i suoi artigli.
Non la vedeva più, non la scorgeva più. Ormai il suo corpo pareva più quello di un burattino che quello di un essere vivente in quanto tale.
Ma forse non era stato sempre così, fin dal principio?
Non lo sapeva, non lo voleva sapere.
E il sangue, a quel punto, si mescolava alla sabbia calda. Ancora e ancora.


Benché ogni tanto le sue parole abbandonavano l’astio che le aveva caratterizzate all’inizio, Coralin non accoglieva mai Viral calorosamente quando rientrava da una missione di sterminio.
Era sempre accigliata, sempre scorbutica, sempre di malumore.
Viral se ne rendeva conto ora meglio di prima, quanto poco apprezzasse la sua mansione – ma dopotutto, più di tanto non poteva fare: lui era nato per quello.
-Potresti sempre chiedere di fare altro… Insomma, in una società non esistono solo i militari…-
Viral aveva ghignato, incapace di sorridere in maniera triste.
-Non è così semplice… Non mi lasceranno andare tanto facilmente. Io servo loro!-
Coralin l’aveva guardato in viso, addentrandosi nel suo sguardo come poche altre persone erano state in grado di fare con lui.
Tremò appena, come trapassato.
-Viral, non è questione di altri. Sei tu che non vuoi staccarti dal campo di battaglia… Hai forse paura di smarrirti? Non è un luogo impervio quello che esploreresti…-
La Bestia spostò lo sguardo su altro – che quegli occhi non lo fissassero a quel modo, dannazione!
Ghignò, sputando parole piene di sarcasmo.
-Facile a dirsi per una persona come te! Quando sei stato abituato a fare nella vita solo e soltanto una cosa non puoi cambiare tanto facilmente! Non si può, non è possibile!-
Ancora una volta Viral sentì la rabbia nelle sue parole, ancora quell’irritazione acuta.
Si chiese in effetti cosa mai spingesse Coralin a provare cotali sentimenti.
-Che senso ha continuare a fare una cosa che non si comprende? Vuoi ridurti a essere un oggetto? Che razza di uomo sei?-
Tornò a guardarla, senza sapere bene cosa fosse.
Ma ancora una volta, lei fu più veloce della sua lingua: si alzò dalla sedia dove era seduta accanto a lui e se ne andò, senza più dire nulla.


Sangue, polvere, sabbia.
Ormai Viral evitava di andare in prima linea, laddove il sangue scorreva più rapido e le urla di morte riempivano le orecchie.
Era saturo, completamente.
Aveva indugiato nell’uccidere un ragazzo che, con le mani congiunge davanti al viso, gli aveva chiesto pietà – solo dopo qualche secondo la sua arma si era abbattuta su di lui, tranciandogli di netto metà del petto.
Non provava più nulla, non sentiva più nulla.
Aveva i loro occhi di fronte ai propri, le grida lo tormentavano di notte così come i loro fantasmi perseveravano nell’apparire di fronte a lui in ogni singolo istante.
Non capiva più nulla.


Forse per disperazione, forse nella ricerca di una felicità perduta tempo addietro, Viral si era ritrovato a stringere tra le braccia il corpo esile di Coralin fin troppo spesso.
L’aveva trovata morbida la prima volta, piacevole la seconda, necessaria tutte le altre.
Era egoista – lo sapeva benissimo lui per primo – sconfiggere la malinconia che provava con l’oblio dei sensi che durava qualche attimo. Eppure cominciava a trovare bello e appagante baciare il suo viso e vedere un leggero rossore tingerle gli zigomi quando l’accarezzava piano, delicatamente.
Non credeva di poter provare sensazioni simili, non ancora una volta.
Far scivolare le dita nei suoi capelli – farli scorrere per tutta la loro lunghezza – semplicemente sentire il suo respiro calmo e tranquillo accelerare di tanto in tanto quando erano soli e quando le sue labbra la richiamavano alla dolcezza pareva avere un significato che altrove, la Bestia, davvero non trovava.
Aveva cominciato quindi a rifuggire qualsiasi cosa, era mosso da fretta durante le missioni, era diventato schivo e ancora più scorbutico del solito.
Aveva imparato a sorridere in tali situazioni che quasi lui stesso se ne era vergognato – ma solo per un istante, poi Coralin sorrideva a sua volta e niente aveva più importanza.
E avrebbe continuato a essere così, all’infinito. Farsi un’amante non era cosa poi così rara in una Caserma militare.
Eppure qualcosa cambiò quando Coralin ebbe la pretesa di volerlo per sé – e lui non provò alcun fastidio per questo.
Forse successe tutto così in fretta proprio perché a Viral mancava la reale intenzione di frenare la cosa, troppo assuefatto dalle emozioni che lo animavano.
La notte gli piaceva più del giorno – e il crepuscolo che tingeva di rosso ogni cosa si tingeva della pallida e rassicurante promessa di ore piacevoli.
La luna, a quei tempi, non era mai stata così bella.

-Penso di essere incinta, Viral…-
La Bestia era stata zitta, guardando con una certa apprensione la mano di Coralin che accarezzava un ventre piatto e non ancora gonfio.
La sua mente si ritrovava in una bolla di stasi completa.
Sussurrò a malapena, quasi avesse paura forse di farsi sentire da qualcuno.
-È un problema…-
Coralin lo guardò a lungo, senza fiatare – probabilmente aspettando il resto.
Nessuna parola arrivò, solo un vortice di emozioni dentro la testa dell’uomo.
La rinuncia avrebbe comportato una palese sconfitta, ma certo non poteva permettersi di abbandonare la donna in quelle condizioni. Sarebbe stato vile, lo riconosceva anche lui.
Inoltre era stanco, stanco di doversi dividere tra un dovere che non sentiva più proprio e una vita che stava dichiarando a gran voce la propria esistenza.
La donna, ancora una volta, lo capì appieno.
-Non voglio che questa sia una scappatoia, per te. Non voglio averti se non ne sei convinto. Se così non fosse, preferirei averti lontano che sentirti costretto vicino a me. Non usare nostro figlio per fuggire, fallo tu. E allora noi ti seguiremo anche fino in capo al mondo…-
Viral l’aveva guardata in viso, atono nell’espressione e negli intenti.
Poi aveva sorriso, dimenticando in un angolo remoto tutto il resto che non fosse una convinta felicità
-Parlerò con il Nobile Thymilph il prima possibile…-
E, allora, Coralin aveva sorriso a sua volta.

Nacque femmina, la chiamarono Haname. Era bionda come entrambi i suoi genitori, strillava come una dannata ogni santa notte rubando sogni e sonno in una quantità considerevole.
Eppure Viral imparò a godere di ogni più piccolo sorriso, di ogni singolo gesto compiuto da quelle manine paffute e grassocce – l’espressione gioiosa di quella creaturina fu la sola ragione di vita che riuscì a colorargli i giorni a quel punto.
Lontano da ogni campo di battaglia, lontano da ogni minima traccia di lotta, Viral era riuscito a isolare sé e la sua nuova famiglia, cedendo al nulla il nome e l’orgoglio di Sterminatore.
Sorrideva Viral, sorrideva Coralin, sorrideva Haname. Questo era la sola cosa veramente importante – la Bestia lo comprese fin troppo rapidamente.
E ora le sue mani sporche non puzzavano più di sangue.


*****

Quel giorno – quel istante – aveva ricordato tutto.
Il “qualcosa” che tanto gli era mancato si era palesato ai suoi occhi con tutta la forza donatagli dalla verità intransigente.
Alla fine, anche Coralin era una semplice via di fuga, un espediente della sua mente per salvarsi da una realtà che non si poteva accettare con facilità.
Faceva male, terribilmente male la consapevolezza di non essere altro che un vile vigliacco.
Eppure  era stato felice – davvero felice – durante quegli attimi di pura illusione.
In fondo, solo quello importava. Non altro.

Quella era una favola senza morale alcuna, un gioco stupido di intenti e di volontà ferita.
La ricerca di un senso che colorava il tutto.
Viral lo sapeva bene, Viral l’aveva compreso fin dall’inizio.
Qualsiasi fosse la partenza, alla fine il traguardo era sempre e comunque quello.
Non si voltò, neanche un secondo, a guardare negli occhi Coralin.
Sarebbe bastato, in un futuro, chiudere gli occhi e sospirare cercando calma e serenità.
E l’avrebbe vista, mentre sorrideva mesta, andandogli incontro a braccia aperte.

Così, per sempre così.

   
 
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