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Autore: Ayako_Chan    26/06/2010    3 recensioni
Pandora.
Sacerdotessa di Hades o bambina vittima di un destino più grande di lei?
Una tragedia in tre tempi, per raccontare la sua storia.
"Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna Pandora, perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l’avevano donata in dono, sciagura agli uomini laboriosi."
[ Personaggi: Pandora. Ho messo "Sorpresa" perché non avevo altra scelta ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Purple Shadow'
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Pandora CAP3 Titolo: Quale Vita?
Rating: Giallo
Capitolo: 2 di 9
Personaggi: Pandora
Disclaimer: I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice: Ora. Sinceramente. Io sono MORTA scrivendo questo capitolo. Ma ho stoicamente ignorato la sensazione che mi stringeva lo stomaco mentre digitavo sulla tastiera, e alla fine ce l'ho fatta.
Spero appreziate, e soffriate almeno un po' un con me çOç Vi voglio bene.
Groβmutter, in tedesco, vuol dire nonna.
I tre versi a inizio fics sono un haiku.
Dedica: a tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity. In particolare a Milo, perché è grazie alle sue drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*







Il tempo del destino: ATTO III






Languore d'inverno:
nel mondo di un solo colore
il suono del vento.





Il castello di Heinshtein, quella notte, era in preda alla confusione.
Erano già passate diverse ore da quando Maria era stata condotta dal medico e dalla levatrice nella sua stanza, a seguito della rottura delle acque.
Ora Hans - gentilmente sbattuto fuori dalla camera perché, a detta del dottore, con la sua agitazione non giovava certo alla salute della donna – passeggiava nervosamente avanti e indietro lungo il corridoio, cercando di contenere la sua preoccupazione per la moglie e il futuro nascituro. Cameriere facevano continuamente la spola tra la lavanderia e la camera, portando asciugamani puliti e catini pieni d’acqua per meglio assistere la Signora, e rassicurando meglio che potevano il povero Padrone che non mancava occasione per chiedere conto della situazione.
Un parto difficile, gli rispondevano sempre. Ma la Signora pare stia bene, e non c’è pericolo per il bambino.
Lui tirava un sospiro di sollievo, tranquillizzandosi. Per i successivi dieci minuti.
Poi, riprendeva a misurare a lunghi passi il corridoio.
Pandora lo osservava incuriosita, comodamente seduta su di una poltrona del corridoio,  chiedendosi se anche quando era nata lei Papa era così agitato.

Papa?

“Mh?” Hans si bloccò di colpo, voltandosi verso la figlia come se si stesse riprendendo da una trance. “Dimmi.”

“Come mai non riesci a stare fermo?”

“Semplice preoccupazione.”

Pandora corrugò appena la fronte. “La Mama sta bene?”

“Sì.” Rispose subito lui, rifiutandosi di pensare il contrario. “Certo.”

Anche se quel parto era molto più lungo di quello che aveva dato luce a Pandora.
Anche se le cameriere erano molto più agitate.
Anche se le nubi gravide di pioggia, cupe annunciatrici di una vicina tempesta, non sembravano preannunciare nulla di buono.

La bambina annuì, sprofondando di più nei cuscini; e tacque.
Non aveva dimenticato, Pandora, ciò che era successo nel piccolo tempio pochi mesi prima. Ovviamente, non ne aveva nemmeno fatto parola coi genitori. Non c’era niente da guadagnarci e tutto da perdere, e lei aveva sempre saputo valutare attentamente la situazione. Qualcosa era cambiato, però, dentro di lei: l’aveva notato la servitù, e anche i genitori.
Era più indifferente, come se l’allegra spensieratezza dell’infanzia avesse lasciato posto a una pacatezza quasi irreale, in una bambina così piccola. La sua innata curiosità, che l’aveva portata a essere curiosa di ogni più piccola parte del mondo, da ogni colore, sfumatura, o odore che fosse, era come scomparsa.
Seppur preoccupati, avevano ricondotto questo cambiamento a una sopita gelosia nei confronti del futuro nascituro e, nella speranza che sarebbe presto svanita, avevano lasciato correre.

Passarono un altro paio d’ore, nel corridoio, prima che una domestica uscisse dalla camera con in volto un’espressione stanca ma felice.
Fece un cenno affermativo ad Hans, rispondendo alla sua tacita domanda che risplendeva nello sguardo ansioso.

“Sta bene. E’ nato.”

“Grazie a Dio.” Sospirò, il padrone di casa, voltandosi con un sorriso verso la figlia. “Hai sentito tesoro? E’ nato il tuo fratellino!”

Pandora annuì, inclinando appena il capo verso destra, al ricordo di parole sentite dentro mura di pietra.

Papa?” Lo richiamò, mentre lui già si dirigeva verso la porta della camera.

“Sì?”

“Come chiamerete il fratellino?”

“Avevamo pensato a Karl. Ti piace?”

“No.”

Hans Heinshtein sbatté un paio di volte le palpebre, perplesso.

“Non ti piace?”

“No. Cioè… sì.” Pandorà corrugò ancor ala fronte, accigliata. “Mi piace, ma il fratellino non si chiama così.”

Lo affermò, decisa.
Cosa avevano detto le due ombre grandi? Che si chiamava… Sua Maestà qualcosa.
Un nome greco, come il suo!

“E come lo vorresti chiamare?” chiese, più curioso.

Adi..Hada..Hades! Ecco, sì, era Hades.
Pandora aveva una buona memoria, e ne era orgogliosa quando la maestra glielo faceva notare.

“Hades.” Rispose, con un tranquillo sorriso sul volto.

Lasciando spiazzato il padre, che credette di aver sentito male.

“Come hai detto?”

“Hades,” ripeté lei, senza cambiare inflessione del tono di voce. Semplicemente come un dato di fatto. “Il fratellino si chiama Hades.”

Forse Papa ancora non lo sapeva. Lei invece era stata avvertita, glielo avevano detto Hypnos e Thanatos, le due ombre grandi; ma questo era meglio se a lui non lo diceva.

Hans si umettò nervosamente le labbra, sentendo quel nome.
Perché diavolo avrebbe dovuto chiamare suo figlio come il Sovrano dei Morti?
E soprattutto, perché sua figlia ne era così convinta?

“Dove hai sentito questo nome, Pandora?”

Lei si limitò a sollevare appena le spalle con un sorriso.
Il padre fece per indagare oltre, ma la debole voce della moglie che lo chiamava dalla camera vicina lo fece desistere.
Lanciò un’ultima occhiata – insieme preoccupata e perplessa – alla bambina, prima di scomparire dietro il legno della porta, che si chiuse con un secco ‘click’.





***




Pandora sbuffò, seccata; era passata quasi mezzora da quando Papa era entrato nella stanza. E ancora nessuno era venuta a chiamarla.
Insomma, aveva pur diritto di vedere questo famigerato Bruder Hades!
Scivolò agilmente a terra, decidendo che, se nessuno si prendeva la briga di invitarla ad entrare, allora tanto valeva che andasse a giocare con Adolf.
Lui, almeno, non l’avrebbe fatta aspettare.

Rasserenata da quel pensiero, si mosse velocemente per i corridoi, diretta verso la sua camera.

“Adolf!” Lo chiamò, guardandosi intorno per vedere da dove sarebbe arrivato.

Nulla.
Perplessa, chiamò ancora, più forte.

“Adolf!”

Niente.

“ADOLF!”

Ancora più arrabbiata, spalancò di colpo la porta della stanza, decisa a trovare quel traditore di un alano, che non veniva più se chiamato.
Lo individuò ai piedi del letto, rannicchiato su se stesso e profondamente addormentato.
Sospirò, avvicinandosi, ancora irritata.
Generalmente, per quando pesante fosse il suo sonno, Adolf accorreva sempre al suono della sua voce.

“Adolf..Sacco di pelo, vieni qua! Perché adesso non vieni quando ti chia--?”

Le parole le morirono strozzate in gola.
China sulle ginocchia davanti al cucciolo, la sua mente iniziò ad elaborare dei dettagli che si rifiutava di accettare.

“Adolf..?”

Perché non si muoveva?

“Adolf…”

Perché la sua pancia non si alzava ed abbassava al ritmo del respiro?
Con mano tremante, il respiro che le si mozzava in gola, allungò una mano per scuoterlo.

“Adolf, svegliati!”

Fu una supplica, più che un ordine.
Il suo corpo era strano. Appena tiepido, come se tutto il calore lo stesse abbandonando.
Iniziò a tremare in modo incontrollato, le lacrime che scendevano dagli occhi scuri spalancati.
No. Nonononononono.
Perché il suo Adolf non si muoveva?!

In lacrime, si alzò nuovamente in piedi.
Incontrando con lo sguardo la gabbia dei canarini. Entrambi riversi sul fondo.
Soffocò un singhiozzo.

In lacrime, si lanciò fuori dalla stanza.
In cerca di qualcuno – chiunque – che potesse spiegarle che cosa era successo ai suoi animali.





Corse.

Corse lungo i corridoi, diretta alle stanze più vicine, quelle della servitù.
Aprì di colpo la porta, cercando con lo sguardo il corpo amico, caldo e accogliente della cuoca, a cui aggrapparsi.
Non lo trovò.
Non dove si aspettava, e di certo non come si aspettava.
Katie – la cuoca grande e dolce, che le passava sempre i pasticcini di nascosto – giaceva a terra, a pancia in su, accanto al giardiniere; gli occhi vuoti rivolti al soffitto, la bocca spalancata in un muto e vano grido d’aiuto.

Pandora si girò.
Riprese a correre.

E' un incubo
, si ripeteva, la visuale accecata dalle lacrime. E’ tutto un incubo.
Mama. Papa.
Doveva andare da loro.

Esitò, sulla porta della stanza; la mano le tremava talmente tanto che dovette appoggiarsi con tutto il suo esiguo peso al pannello di legno per riuscire ad aprirla.
Si catapultò all’interno con un singhiozzo, volgendo selvaggiamente lo sguardo intorno per trovare i genitori.
Maria giaceva estenuata nel letto, vinta dal sonno e sommersa dalle coltri; Hans, a sua volta, era collassato su di una sedia posta lì accanto.

Papa! Mama!” Chiamò, con un singulto di sollievo, precipitandosi verso il padre per cercare svegliarlo, farsi avvolgere dal suo abbraccio, farsi cullare e rassicurare, sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene.

Il papa, però, non si svegliò.

"Papa? Papa ti prego, svegliati, è tutto brutto, non capisco che succede..”
La bambina cercò di scuoterlo, tirandogli una manica; ebbe solo l’effetto di far cadere il capo a peso morto sul petto.
Sgranò gli occhi, incredula.
Incapace di capire.

Girò lo sguardo verso la madre.

M-Mam..?” non riusciva quasi a pronunciare quella parola, da quanto la voce le tremava, da quanto il suo respiro era accelerato. “M—Mam..a?

Pandora, cresciuta nell’agio e nell’amore, non comprendeva la morte.
L’aveva già incontrata, tuttavia: l’anno precedente, la groβmutter era stata chiamata in cielo; lei l’aveva salutata per l’ultima volta, e aveva pensato che dormisse. Poi Papa le aveva spiegato che purtroppo questa volta non si sarebbe svegliata, ma anche che si trovava in un posto migliore, dove tutte le sue sofferenze erano finalmente finite. Che avrebbe continuato a vegliarla e a prendersi cura di lei da lassù.
La bambina, ovviamente, non aveva capito: inizialmente si era arrabbiata, perché la groβmutter non poteva più giocare con lei e perché per colpa sua la Mama stava male; poi aveva iniziato a sentirne la mancanza: e aveva pianto anche lei.
Aveva dimenticato, dopo un po’, perché la sua vita era proseguita come sempre; ma ora, il corpo immobile di Adolf e dei domestici le avevano fatto ricordare tutto.
Che la nonna si era addormentata come loro. E non aveva più aperto gli occhi.
In quel momento, in preda ai singhiozzi, pensava soltanto al fatto che la Mama e il Papa rimanevano freddi e inerti sotto le sue mani, che per quanto forte li scuotesse non si svegliavano, non le sorridevano, non la abbracciavano.
Come la groβmutter.

“MAMA! PAPA!”

Urlò. Urlò il suo dolore, la sua confusione e il suo smarrimento.
Singhiozzando, un fuoco ad arderle nel petto e il gelo nel cuore e nella mente. Gli occhi le bruciavano per le lacrime, mentre si aggrappava alle coltri del letto della madre, scuotendo disperatamente il capo per negare l’evidenza.

No. Nononononono! NO!!
Non riusciva quasi a respirare.

Pandora.

Persa nel suo dolore, non sentì quella voce che la chiamava.

Pandora.

Ripeteva soltanto i nomi dei genitori, come un mantra, come se questo avesse potuto riportarli da lei.

Pandora!

Con un singulto, sollevò lo sguardo da quel letto di morte.
Davanti a sé, trovò le due grandi ombre.

Pandora…

Fece per rispondere, per chiedere spiegazioni, ma i singhiozzi glielo impedirono.

Pandora, il momento è arrivato.

Scosse il capo, senza capire. Il momento? Ma la mama, e il papa…
L’ombra di Hypnos sorrise condiscendente, espandendo il suo cosmo sopra la bambina

Riposa, Pandora. Le disse. Riposa, e quando ti sveglierai, tutto sarà diverso.

Pandora avvertì quell’energia misteriosa farsi strada nella sua mente, cancellando la percezione del mondo attorno a lei.
Perse coscienza a poco a poco, senza avvertire più nulla, neanche il dolore della perdita.
Invitata dal dominatore del sonno, Pandora svenne, in quel castello dove tutto taceva.

  
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