CHANCES ARE…
Chances are I’ll see you
Somewhere in my dreams tonight
You’ll be smiling like the night we met…
Chances are I’ll hold you
And I’ll offer all I am
You’re the only one I can’t forget
Baby, you’re the best I’ve ever met…
Ginny spinse delicatamente la porta
a vetri, e uscì sul grande terrazzo che sovrastava il giardino immerso nella
semioscurità. L'anta si richiuse dietro di lei, con un lieve fruscio. Si avviò
lentamente verso la balaustra di pietra, all'estremità opposta del balcone.
Si strinse le braccia intorno al
corpo, mentre procedeva piano: nonostante fosse estate, la notte era piuttosto
fresca, e al momento il suo mantello era appeso insieme a tutti gli altri nel
guardaroba della casa che ospitava la festa del Ministero. Appoggiandosi
stancamente alla balaustra, si sforzò di ricordare il nome dei padroni di casa,
ma invano: eppure avrebbe dovuto conoscerli, lavoravano con suo padre da una
vita. Si voltò indietro, e gettò uno sguardo distratto alla festa ancora in pieno
svolgimento: al dilà dei vetri, decine e decine di persone ballavano, bevevano
e sembravano divertirsi davvero un mondo. Mentre un sorriso amaro le stirava le
labbra, provò ancora a ricordare il nome dei loro ospiti, ma fu tutto inutile.
Sospirò, e si girò di nuovo verso il giardino, impegnandosi a scrutare il buio
come se avesse potuto fornirle le risposte che cercava.
Non erano le risposte a costituire
un problema, lo sapeva benissimo. Il vero problema, come sempre era stato nella
sua vita, erano le domande, e quella sera nella sua testa c'era una tale
confusione che, se gliel'avessero chiesto a bruciapelo, probabilmente avrebbe
fatto fatica a ricordarsi persino come si chiamava. Chiuse gli occhi, cercando
di non pensare a quello che la tormentava, ma non riusciva proprio a togliersi
dalla testa l'immagine che le si era presentata davanti agli occhi solo pochi
minuti dopo che era arrivata alla festa.
Che idiota che sei, pensò, infastidita. Pensavo che dopo tutto questo tempo le
cose fossero cambiate, e invece sei ancora qui a dannarti per lui. Che
fine ha fatto la tua indipendenza emotiva? La tua nuova forza interiore? Non
eri tu quella che anni fa, aveva giurato che non ci sarebbe più ricascata?
Era vero, l'aveva giurato
solennemente a se stessa, il primo giorno di scuola del suo settimo anno a
Hogwarts: non avrebbe più pensato a Harry, mai più. Dimenticarsi di lui era
stato più difficile del previsto, doveva ammetterlo: aveva pensato che la
lontananza e il fatto di non averlo più sotto gli occhi ogni ora del giorno
avrebbero reso le cose più semplici, ma si era sbagliata di grosso. C'era stata
Hogwarts a ricordarle ogni minimo particolare doloroso: quei luoghi erano così
pieni di Harry che spesso le era sembrato di sentire la sua voce per i
corridoi, o di vederlo fra gli altri studenti, di sentirlo chiamare il suo
nome.
Invece, se n'era andato per sempre:
prima a Londra, per il corso triennale di addestramento da Auror, poi chissà
dove, in missione. Erano almeno tre anni che non lo vedeva. Forse anche per questo
incontrarlo così all'improvviso era stato uno shock: se l'era trovato davanti
senza preavviso, nessuno l'aveva avvertita che sarebbe venuto anche lui alla
festa. E quel che è peggio: non era venuto da solo. Era entrato nella sala
gremita di gente al fianco di una ragazza bionda, alta e straordinariamente
affascinante. Qualcuno tra gli ospiti l'aveva salutata chiamandola
"tenente", e Ginny aveva capito che doveva essere anche lei un
Auror. Non l'aveva mai vista prima, ma
le era bastato un attimo per intuire che fra lei e Harry ci fosse un rapporto
che andava al dilà di quello professionale: era facile capirlo dai loro gesti,
dal modo in cui si guardavano, da come lui le teneva un braccio intorno alla
vita con fare protettivo. Doveva essere più vecchia di lui di qualche anno, ma
la cosa non era così evidente: nonostante le costasse molto ammetterlo, non
poteva negare che erano una bella coppia.
Sospirò, scostandosi una ciocca di
capelli dagli occhi. Si stava alzando il vento, e in lontananza le luci della
città sembravano pulsare nel buio. Ginny ricordò che da piccola adorava
l'estate: rimaneva fuori a giocare nel giardino della Tana fino a tardi, e al
mattino non vedeva l'ora di balzare giù dal letto per riprendere le sue
attività nel punto in cui le aveva interrotte la sera prima. Solo quando aveva
cominciato ad andare a Hogwarts l'estate era diventata qualcosa di estremamente
spiacevole: due mesi in cui non poteva vedere Harry per lei erano una delle
torture più crudeli che si potessero immaginare. Ricordando quelle notti
solitarie passate sveglia a pensare a lui e a disperarsi, sorrise
nell'oscurità. Certe cose non cambiano proprio mai, si disse.
"Allora non eri un
miraggio..."
La voce risuonò talmente vicina al
suo orecchio, e così inaspettata, da farla trasalire, nonostante il tono fosse
basso e piuttosto dolce. Si portò una mano all'altezza del petto, e si voltò
per cercare di vedere chi avesse parlato, anche se non ce n'era alcun bisogno.
I suoi occhi lo trovarono, fermo a un paio di passi, e rimasero su di lui,
mentre le sue guance avvampavano senza che lei potesse impedirlo. Era strano,
ma certe volte Harry la metteva a disagio, anche dopo che aveva smesso di
comportarsi come una ragazzina timida e imbranata: qualcosa nella sua presenza
le dava l'idea che riuscisse a leggerle nella mente, e vederlo comparire
all'improvviso mentre pensava a lui così intensamente era stato quasi come
essere colta in fallo.
"Harry..." sussurrò,
ringraziando che fosse troppo buio perché lui potesse notare il suo rossore.
"Mi hai... non ti ho sentito arrivare."
"Scusami..." Harry
sorrise, e si infilò le mani nelle tasche dei calzoni scuri che indossava. La
divisa da Auror gli donava particolarmente, forse perché il verde cupo faceva
risaltare di più il colore dei suoi occhi. Aveva notato che non portava più gli
occhiali, e questo l'aveva quasi sconcertata: era strano vederlo senza.
"Non importa."
Si voltò di nuovo verso il
giardino, e chiuse brevemente gli occhi, cercando di riprendere il controllo
sul battito del proprio cuore. Sentì che Harry si avvicinava, e si appoggiava
alla balaustra, poco distante da lei. Lo sbirciò in tralice, e vide che aveva
lo sguardo fisso sull'oscurità davanti a loro.
"Ho cercato di venirti a
salutare per tutta la sera, Ginny" mormorò, dopo un attimo. "Ma per
qualche strano scherzo del destino, ogni volta che credevo di averti
individuata poi eri sempre dalla parte opposta della sala, oppure circondata da
una folla di persone."
"Davvero?" finse di
stupirsi lei, senza guardarlo. "Non me ne sono accorta, altrimenti avrei
cercato di facilitarti le cose."
Era ovvio che stava mentendo: ogni
volta che l'aveva visto avvicinarsi era scappata fra la gente, nascondendosi
come una stupida. Era proprio per evitarlo che aveva deciso di uscire in
giardino. Beh, non solo per quello: un altro motivo era che non ne poteva più
di vederlo ballare con quella ragazza bionda, che lo stringeva fra le braccia
come se fosse di sua proprietà.
"L'importante è che adesso ti
ho trovata, finalmente" Harry la guardò, sorridendo. C'era abbastanza luce
perché Ginny riuscisse a vedere la sua espressione: sembrava sinceramente
contento di essere lì con lei.
"Sei stato gentile a venirmi a
cercare..." gli disse, ricambiando il sorriso. "Ma non vorrei che la
tua... accompagnatrice se la prendesse."
"Non preoccuparti..."
rispose lui, inarcando brevemente un sopracciglio. "La mia...
accompagnatrice è stata informata dei miei spostamenti, e a quest'ora starà
tranquillamente godendosi la festa anche senza di me."
"Oh. Capisco."
Ginny si strinse le braccia intorno
al corpo, e si appoggiò con un fianco contro la balaustra, cercando di dominare
l'imbarazzo. Avrebbe voluto sostenere una conversazione brillante e
spensierata, dimostrargli che se l'era cavata egregiamente anche senza di lui -
a pensarci bene, era più a se stessa che voleva dimostrarlo - ma non riusciva a
fare altro che stare in silenzio. Non era capace nemmeno di guardarlo in
faccia: il suo viso restava ostinatamente chino a terra, contro la sua volontà.
"Ho visto i tuoi
genitori..." stava dicendo Harry. Anche se non poteva vederlo, Ginny era
certa che la stesse guardando. Evidentemente non aveva i suoi stessi problemi.
"Mi hanno detto che Ron e Hermione se la cavano bene, in Francia..."
"Sì, infatti..." Ginny
annuì, e le scappò un sorriso divertito al pensiero di suo fratello e la sua
ragazza: insegnavano a Beauxbatons, adesso.
"Non ce lo vedo molto, Ron,
alle prese con la lingua francese" osservò Harry, divertito quanto lei.
"No, nemmeno io... ma Hermione
e papà hanno talmente insistito che alla fine si è lasciato convincere"
spiegò Ginny, scuotendo la testa. "La mamma, poi, è al settimo cielo al
pensiero che il suo bambino sia un insegnante."
"Già... ma a me ha detto che
avrebbe preferito averlo più vicino a casa" disse Harry, sorridendo.
Sospirò, e la sua voce assunse un tono strano, che Ginny non gli aveva sentito
spesso in passato. "La signora Weasley è sempre la stessa."
"E' vero" rispose,
guardandolo di sottecchi. "E parla spesso di te. Dice che le manchi molto,
che non ti vediamo mai e..."
"Anche voi mi mancate,
sai..." la interruppe Harry, con dolcezza. Aveva sempre quel tono strano,
quella nota inconsueta nella voce. "Mi mancate tutti moltissimo."
Ginny annuì, e prese a
giocherellare con la punta della scarpetta, muovendola piano contro le piccole
colonne di pietra della balaustra.
"Ci manchi anche tu,
Harry" disse, piano. "Per mamma e papà non averti più per casa è
quasi come aver perso un altro figlio."
Lui sospirò. "E' triste
pensare che adesso la Tana sia quasi sempre vuota, per la maggior parte
dell'anno..."
"Lo è sempre..." disse
Ginny, triste. "Mamma e papà sono praticamente soli."
"Scommetto che anni fa
avrebbero dato un braccio per un po' della tranquillità di cui godono
adesso" osservò Harry, abbozzando un sorriso.
"E' probabile" anche
Ginny sorrise, divertita. "Io non me ne sono mai resa conto, ma devono
avere avuto un gran bel daffare, a tirare su sette figli uno dopo
l'altro..."
"Immagino di sì. Ma hanno
fatto un gran bel lavoro con tutti voi..." disse Harry. "E ho sempre
pensato che siano dei genitori perfetti."
"Perfetti?" Ginny
ridacchiò. "Oh, non direi proprio."
"Beh, io li ho sempre visti così...
forse perché sono l'unica coppia di genitori con cui abbia avuto a che fare in
tutta la mia vita. A parte i miei zii, ovviamente, ma... non c'è bisogno che ti
spieghi perché non li ho mai considerati un modello."
"No..." Ginny si sentì
un'idiota per aver parlato con così tanta leggerezza di un argomento che per
Harry era così delicato. "Scusami, Harry, non volevo essere così
superficiale. Sono davvero una stupida."
Harry scosse la testa, come a dirle
che non importava, e la guardò per un lungo istante. Anche nella semioscurità,
le sembrò di vedere il verde dei suoi occhi, e le parve che brillassero in modo
diverso dal solito. Ma forse era solo per l'assenza degli occhiali.
"Ho visto che non porti più
gli occhiali..." gli disse, alzando una mano e lasciandola subito
ricadere, inorridita. Aveva provato l'impulso insensato di allungarla e di
accarezzargli una guancia.
"Già" lui non sembrò
essersene accorto. "Per essere un Auror c'è bisogno di una vista perfetta."
"E come hai...?" Ginny si
passò vagamente una mano all'altezza degli occhi, incuriosita.
"E' un'operazione stupida, la
fanno negli ospedali babbani in anestesia locale..." spiegò Harry.
"Sai che vuol dire?"
"Sì, che ti addormentano solo
la parte del corpo che devono operare" rispose Ginny, prontamente. Allo
sguardo sorpreso di Harry si strinse nelle spalle: "Ho letto qualcuno dei
libri di papà."
"Capisco..." Harry
ridacchiò, al pensiero della passione smodata che il signor Weasley aveva da
sempre nei confronti dei Babbani.
"Però non avevo idea che si
potessero fare certe cose, come correggere la vista..." osservò Ginny, un
po' stupita.
"Già... in questo i Babbani
sono più avanti di noi, a quanto pare" mormorò Harry, appoggiando le mani
aperte sul muretto. "All'inizio mi è sembrato strano, sai, aprire gli
occhi al mattino e non vedere tutti i contorni sfocati."
"Lo immagino" Ginny
sorrise, divertita. "Forse è per questo che ho stentato a riconoscerti,
prima, in sala. Per la mancanza degli occhiali, voglio dire."
"Sono così diverso?" si
stupì lui, scoccandole un'occhiata incuriosita.
"Sì, sei molto diverso... ma
non è solo per questo" spiegò Ginny, lievemente imbarazzata.
"No?" Harry la guardò,
dubbioso. "E per cosa, allora?"
"Ecco, non so come spiegarlo...
hai un'aria particolare" disse lei, e si sforzò di cercare parole più
adatte. "Più adulta. Più matura, forse. Non sembri più il ragazzino che ho
visto l'ultima volta."
Harry rimase in silenzio per
qualche istante, intento a scrutare l'oscurità.
"Neanche tu sembri più la
ragazzina che ho lasciato a Hogwarts..." le disse poi, in un sussurro.
"Quanto tempo è passato, Ginny?"
"Tre anni, credo..."
rispose lei, vaga, anche se ricordava benissimo quando l'aveva visto l'ultima
volta.
"Tre, già..." Harry sospirò,
e si voltò a guardarla. "Dici che sono cambiato, ma ti assicuro che tu sei
cambiata più di me."
"Io?" Ginny ridacchiò
incredula, e scosse la testa. "Sono sempre la stessa, Harry, credimi. Non
c'è niente di diverso in me, a parte il taglio di capelli."
Lui sorrise. "Sì, l'avevo
notato..." osservò, lasciandola stupita più che in ogni altro momento,
quella sera. "Stai molto bene, così. I capelli corti ti danno un'aria più
adulta e più... beh, più femminile."
"Femminile, dici?" Ginny
lo squadrò, dubbiosa. "Al lavoro mi hanno detto che sembro un ragazzino,
con questi capelli..."
"Cosa?" Harry scoppiò a
ridere, divertito. "E chi ha detto una cosa del genere, si può
sapere?"
"Non credo che tu li
conosca..." disse Ginny, agitando una mano come a dire che non era
importante.
"In ogni caso, chiunque abbia
detto un'assurdità del genere si sbaglia di grosso..." dichiarò lui,
convinto. "Non sembri affatto un ragazzino."
"Grazie..." Ginny
sorrise, e d'istinto si toccò le punte dei corti capelli rossi, che le pendevano
disordinate sfiorandole il collo. "Sei il primo che mi fa un complimento
sincero per il mio nuovo look. O almeno, spero che lo fosse."
"Cosa, sincero?" Harry
annuì. "Assolutamente."
"Comincia a fare fresco, non
ti sembra?" osservò Ginny, dopo qualche attimo di silenzio. Si strofinò
energicamente le braccia con le mani, per riscaldarle. "Forse sarà meglio
rientrare, non credi...? Si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto..."
Harry si tolse la giacca della
divisa e si avvicinò, gliela posò sulle spalle, con delicatezza. Adesso era in
piedi di fronte a lei, e Ginny poté constatare una volta di più quanto fosse
fisicamente cambiato: era più alto, aveva le spalle più larghe, le braccia più
muscolose.
"Lascia che se lo
chiedano" le disse, sottovoce. Ginny lo guardò negli occhi, e lui le
sorrise. "Va un po' meglio?"
Annuì, deglutendo a fatica, e per
evitare l'imbarazzo di stargli così vicino finse di scostarsi un po' per
sistemarsi meglio la giacca addosso.
"Non avrai freddo, così?"
mormorò poi, preoccupata.
"Oh, no... figurati"
Harry agitò una mano, con noncuranza, e si appoggiò di nuovo alla balaustra.
"La camicia è più che sufficiente per me."
"Sì, ricordo che anche a
scuola non portavi mai il maglione sopra..." disse Ginny, sorridendo.
"Nemmeno d'inverno."
"E' vero..." ammise lui,
divertito. "E non si può dire che a Hogwarts facesse caldo, vero?"
"Non farmici pensare..."
Ginny rabbrividì istintivamente. "Una delle poche cose che detestavo di
quel castello è che era pieno di spifferi, e che bisognava tenere il fuoco
acceso anche d'estate. E' pazzesco."
Harry rimase in silenzio,
appoggiato al muretto, lo sguardo puntato verso il cielo. Ginny ne seguì la
direzione, e solo in quel momento si accorse delle stelle che brillavano sopra
di loro: la notte era limpida e sembravano miliardi. La sua mente tornò a un
altro cielo, in un altro tempo, in un luogo diverso che ormai non esisteva più,
se non nel suo cuore. Nei suoi ricordi. Fu certa che anche Harry stesse pensando
la stessa cosa, e senza distogliere lo sguardo dal cielo sussurrò:
"Deve mancarti molto,
vero?"
Harry annuì, lentamente. "Da
morire" confermò. "Te l'avevo detto che sarebbe stato così.
Ricordi?"
"Sì" disse Ginny, piano.
"Perfettamente. Hai... indovinato molte cose, quel giorno."
"Quali cose...?" domandò
Harry, curioso, spostando gli occhi su di lei.
Ginny si maledisse per non essere
capace di tenere la bocca chiusa.
"Le cose che hai detto...
quella notte, sul ponte" sussurrò, a disagio.
"Ne ho dette parecchie, in
verità. A quali ti riferisci, esattamente?"
"A quando hai detto che
Hogwarts era l'unica casa che avessi mai avuto, e che ti sarebbe mancata
molto..." spiegò Ginny.
"Ho detto anche che mi
sarebbero mancate molte altre cose... " Harry la guardò brevemente, e lei
fu certa che stesse sorridendo.
"E io ti ho detto che anche tu
saresti mancato a tutti, e che in fondo non dovevi lamentarti perché la tua era
la posizione più facile: avresti visto nuovi posti, conosciuto persone nuove...
avresti avuto una vita diversa e più entusiasmante, e non avresti avuto tempo
per la nostalgia" proseguì Ginny. Riportare in superficie quei ricordi le
provocava una strana sensazione: per tanti mesi aveva cercato di farli tacere,
relegandoli in un angolo del proprio cuore, ma non era riuscita a dimenticare
un solo particolare di quella conversazione. Era la sera prima della partenza
da Hogwarts, e l'ultima volta che aveva parlato con Harry. Chiuse gli occhi, e
rivide perfettamente la scena davanti a sé: la sera d'estate, il cielo
stellato, il lago lievemente increspato sotto di loro, il vento che sussurrava
fra le gole e lungo il ponte coperto che collegava il Castello al parco. Harry
appoggiato alla ringhiera del ponte, in una posa molto simile a quella che
aveva adesso, i capelli spettinati che gli ricadevano sulla fronte e la camicia
slacciata, la cravatta allentata. Le lenti degli occhiali che mandavano deboli
bagliori nella semioscurità ogni volta che muoveva la testa. Era stata la sera
più triste della sua vita, ma in un certo senso non si era mai sentita più
felice che in quei momenti: per la prima volta, aveva sentito Harry davvero
vicino. Peccato che il giorno dopo fosse finito tutto, e per sempre.
"Ti sbagliavi..." mormorò
Harry, riscuotendola dai suoi pensieri.
"Su cosa...?" gli chiese,
un po' smarrita.
"Su tutto, in realtà..."
spostò gli occhi sul suo viso, e accennò
un sorriso. "La nostalgia non ha mai smesso di farmi compagnia, per tutto
questo tempo."
"Davvero...?"
"Già." Scosse la testa, e
si passò una mano fra i capelli: un gesto distratto che gli era abituale.
Adesso li teneva più corti di prima, quindi l'effetto era molto meno
devastante. "So che non dovrei dirlo, perché sto facendo quello che
sognavo da una vita, ma a volte vorrei non aver scelto questa carriera,
Ginny."
"E' un lavoro molto
duro?" chiese lei, incerta.
"Sì, abbastanza, ma non è per
questo che lo dico..." Harry sospirò, e sembrò vagamente in difficoltà
mentre cercava di spiegarle il suo punto di vista. "Mi manca la mia vita
di prima. Oh, certo, so che con la fine della scuola le cose sarebbero cambiate
a prescindere dalle mie scelte professionali, ma... beh... spesso mi chiedo se
non avrei fatto meglio a restare più vicino a... alle persone che per me sono
state come una famiglia."
Ginny alzò lo sguardo e incontrò
quello di lui, più vicino di quanto si aspettasse. Non si era accorta che Harry
si fosse spostato, mentre parlava, ma adesso era di nuovo davanti a lei, e il
suo viso era illuminato per metà dalla luce debole che arrivava dall'interno
del salone. La sua espressione era grave, e intensa. Anziché metterla a
disagio, le fece salire un brivido lungo la schiena, e nel riconoscere quella
sensazione si diede dell'idiota. Vederlo con quella bionda evidentemente non
era servito a molto, se il suo corpo ancora reagiva in quel modo.
"Noi ti capiamo,
Harry..." sussurrò, senza distogliere gli occhi dai suoi. "Non
abbiamo mai pensato che... che volessi abbandonarci."
"Lo so." Harry alzò una
mano, e le scostò una ciocca di capelli della frangetta, che le era finita
davanti agli occhi. Nel risistemargliela sorrise, e Ginny notò che quel taglio
doveva piacergli davvero, dopo tutto. "Forse sono io che mi sento
abbandonato, senza di voi."
"Beh, non devi..."
dichiarò Ginny, convinta. "Noi saremo sempre la tua famiglia, Harry, anche
se dovessi restare via per anni e anni."
"Sei dolce, Ginny..."
sussurrò lui, senza smettere di sorridere. La sua mano era ancora ferma a
mezz'aria, e sembrava riluttante a staccarsi da lei. Nel riabbassarla, le
sfiorò piano la tempia, la punta delle ciglia, il profilo della guancia. Ginny
chiuse gli occhi, sopraffatta dall'emozione,
e improvvisamente non si curò più di darsi della stupida: il tocco delle
dita di Harry sembrava averle tolto anche il minimo residuo di lucidità.
Un rumore improvviso li fece
trasalire entrambi. Ginny aprì bruscamente gli occhi, e si sporse a guardare
oltre la schiena di Harry, che pure si era voltato, per cercare di capire che
cosa fosse stato.
Una coppia era uscita sul terrazzo,
e passando accanto alla porta aveva urtato uno dei vasi di fiori posati lì
accanto, rovesciandolo sulle mattonelle chiare. La ragazza ridacchiava,
sussurrando qualcosa di incomprensibile, e l'uomo si era chinato a riparare il
danno, ma con poca convinzione. La signora Beaver sarà furiosa, pensò
Ginny, vagamente, e si accorse di aver ricordato -finalmente - il nome dei
padroni di casa. La coppia, riparato il vaso, si avvinghiò in un abbraccio e si
appoggiò al muro, appena fuori dalla porta a vetri. Evidentemente quei due non
avevano notato la loro presenza, complice l'oscurità che si infittiva sempre di
più, allontanandosi dalla sala.
"Vieni..." sussurrò
Harry. La prese dolcemente per la vita, e la condusse giù per la scalinata di
pietra, nel giardino sottostante.
"Che imbarazzo..." Ginny
si voltò brevemente indietro, mentre si aggiustava la giacca sulle spalle.
Camminavano da qualche minuto su un sentiero sterrato, fiancheggiato da
cespugli di rose selvatiche e illuminato a tratti da piccoli globi luminosi e
fluttuanti che si accendevano e si spegnevano al loro passaggio. Da quel punto,
il balcone su cui si trovavano fino a pochi istanti prima era completamente
nascosto dalle chiome degli alberi.
"Hai ragione" ammise
Harry, che procedeva piano accanto a lei, con le mani in tasca e l'aria
tranquilla.
Ginny si sentiva tutt'altro che
tranquilla. La reazione che aveva avuto poco prima, quando lui l'aveva
accarezzata - ma era proprio certa che si fosse trattato di una carezza? e se
l'avesse solo sfiorata accidentalmente? - la preoccupava molto: se non fossero
arrivati quei due a toglierla dall'impaccio, avrebbe fatto la figura della
stupida.
"Una volta ho beccato Charlie
e la sua ragazza che lo facevano in camera sua" raccontò, tanto per dire
qualcosa. Il silenzio la imbarazzava.
"Sul serio?" Harry fece
una smorfia.
"Già. Ero piuttosto piccola, e
non capivo cosa diavolo stessero facendo..." Ginny ridacchiò, scuotendo la
testa. "Charlie è venuto da me e pazientemente mi ha riportata a letto, in
camera mia, dicendomi che non dovevo dire niente a mamma e papà. Ovviamente non
avevo idea di cosa stessero facendo, l'ho capito solo molti anni più
tardi."
Harry rise, intenerito.
"Povera piccola Ginny" disse, con dolcezza. "Immagino che avendo
sei fratelli maschi episodi del genere non siano tanto rari, vero?"
"No, ci sono una quantità di
cose imbarazzanti che possono succedere, in effetti" Ginny si strinse
nelle spalle. "Poi però ci fai l'abitudine."
"Avrei voluto avere una
sorella, sai" disse Harry, dopo un attimo di silenzio. "Ci pensavo
spesso, anche prima di arrivare a Hogwarts. E ho sempre invidiato molto Ron,
perché aveva te."
"E' strano." Ginny lo
guardò stupita.
"Perché?"
"Perché di solito i ragazzi
detestano le loro sorelle minori" gli spiegò. "Ci trattano quasi come
oggetti di loro proprietà."
"Sì, l'ho notato" ammise
Harry, con una smorfia. "Non è una cosa carina, in effetti. Non penso che
sarei stato un fratello così antipatico... tu che ne dici?" le chiese,
regalandole un sguardo divertito.
"Non saprei..." Ginny
sollevò le sopracciglia, sorridendo. "Magari la pensi così solo perché non
hai una sorella, Harry. Però devo dire che con me non sei mai stato davvero
antipatico, a parte in quel brutto periodo in cui a scuola c'era la Umbridge..."
"Ma tu non sei mia
sorella" le fece notare Harry, divertito.
"Oh, certo, non lo sono... ma
è come se lo fossi, in un certo senso, no?" disse Ginny, con un sospiro.
"Dopo tutti questi anni."
Harry non rispose, e continuò a
camminarle accanto, in silenzio.
"Ho detto qualcosa che non
va?" domandò Ginny, stupita del fatto che non dicesse più niente.
"No, ma..." Harry si
fermò, e i globi fluttuanti a mezz'aria restarono accesi, illuminandogli
chiaramente il viso. Era più bello, decise Ginny, fissandolo ipnotizzata. Era
decisamente più bello di come lo ricordava. Vederlo così bene e così da vicino,
dopo tanto tempo, le procurò una fitta quasi dolorosa al cuore. Quanti ricordi,
in quegli occhi così belli. Quanta gioia, e quanto dolore. Chissà se lui ne
aveva il minimo sospetto.
"Davvero pensi questo,
Ginny?" le chiese, sottovoce.
"Che cosa...?" fece lei,
senza capire.
"Pensi di essere come una
sorella, per me?" lo sguardo di lui sembrava lievemente divertito.
"Io... beh, sì, più o
meno" rispose Ginny, un po' stupita. "Perché? Pensi che sia un po'
troppo presuntuoso da parte mia?"
"Presuntuoso?" Harry
rise. "No, no, figurati, non è questo che..." scosse la testa,
interrompendosi, e aggiunse: "Lasciamo stare, dai. Perché non mi racconti
del tuo lavoro?"
Sconcertata dal repentino cambio di
argomento, Ginny non riuscì a liberarsi completamente dall'impressione di aver
detto qualcosa di sbagliato, ma si impose di non pensarci più. Gli raccontò dei
suoi studi per diventare Guaritrice: le era venuta al quarto anno, quando suo
padre era stato in fin di vita al San Mungo e i Guaritori gli avevano salvato
la vita.
"Così, è questo che vuoi
fare..." osservò Harry. "Salvare la vita alle persone."
"Esatto." confermò Ginny,
sorridendo. "Lo trovi uno scopo ingenuo?"
"No, anzi... è uno scopo che
condivido pienamente." Harry le lanciò una breve occhiata, prima di
portare lo sguardo sulla siepe di oleandri che aveva sostituito i cespugli di
rose a lato del sentiero. "Anch'io ho scelto di fare l'Auror per lo stesso
motivo."
"Oh, ma per te è
diverso..." Ginny non poté fare a meno di sorridere. "Tu salvi la
vita delle persone da anni, Harry."
"Sì, beh..." anche lui
sorrise, divertito "diciamo che in certe occasioni un po' più di
esperienza mi avrebbe fatto comodo. Ti va di sederci un po', Ginny?"
aggiunse, guardandole i piedi, inguainati in un paio di scarpette a punta con
il tacco alto svariati centimetri. "Quelle scarpe non hanno l'aria di
essere molto comode, soprattutto per camminare sulla ghiaia."
"Volentieri..." disse
Ginny, sollevata. Quelle maledette trappole le stavano massacrando i piedi già
da diversi minuti, ma non aveva osato parlare per timore che lui le proponesse
di tornare indietro. Non voleva che quella passeggiata finisse così presto. Avrebbe
voluto che durasse per sempre, anche se era un desiderio stupido.
"Vieni, laggiù ci sono delle
panchine... e c'è anche una fontana, se non mi sbaglio..."
Raggiunsero uno spiazzo circolare,
delimitato dalle siepi, al centro del quale l'acqua zampillava in una fontana
di pietra dall'aria piuttosto antica. Anziché sedersi su una delle panchine che
erano disposte lungo il perimetro dello spiazzo, preferirono sistemarsi sul
bordo della fontana, che era largo e comodo. Ginny sospirò di sollievo, e Harry
rise.
"Ti stavano distruggendo, dì
la verità..." sussurrò, accennando alle scarpe.
"Ho sopportato di peggio, ma
direi di sì" ammise Ginny, con un gemito. "Ti dispiace se me le tolgo
per un po', Harry? Credo che mi abbiano ferito il piede."
"No, fai pure." Harry le
sistemò meglio la giacca, che stava per scivolarle dalle spalle, e poi guardò
in alto, di nuovo verso il cielo. Da quel punto, la visuale era molto più
nitida che dal terrazzo: nonostante i globi luminosi, l'oscurità intorno a loro
era più fitta e le stelle sembravano raddoppiate rispetto a prima. Ginny alzò
gli occhi a sua volta, massaggiandosi i piedi, e mormorò:
"Tutto questo mi ricorda un
po' le lezioni di Fiorenzo a Hogwarts..."
"Hai ragione" concordò
Harry, sorridendo. "Anche a me. Vorrei aver imparato qualcosa da quei
corsi, ma in Divinazione sono sempre stato piuttosto negato, come
ricorderai."
"Non lo dire a me" Ginny
fece una smorfia. "Odiavo quella stupida materia. Sono tutte
sciocchezze."
"Già." Harry sospirò.
"Anche se qualche volta sembra che le Profezie siano tali, vero?"
Ginny si morse un labbro, a
disagio. "Immagino di sì."
Lui notò un cambiamento nel suo
tono di voce, e si girò a guardarla.
"Ehi, non volevo rattristarti,
Ginny..." disse, dolcemente. Il suo sguardo indugiò su di lei ancora a
lungo, tanto da metterla quasi a disagio. Quando la vide arrossire, il suo viso
si aprì in un sorriso divertito. "Che c'è?"
"Niente, è solo che... mi
imbarazzo se mi guardano, tutto qui" spiegò Ginny, cerando di mostrare una
tranquillità che non provava.
"Immagino che ti capiti
abbastanza spesso, allora..." osservò Harry, inarcando un sopracciglio.
"Che... cosa?" fece lei,
senza capire.
"Di sentirti in
imbarazzo" Harry sorrise di nuovo. "Sai, non credo che sia così
facile evitare di guardarti."
"Oh..." Ginny distolse lo
sguardo, arrossendo ancora di più. "Non lo è?"
"Ah, non chiederlo a me."
La voce di Harry era divertita. "Da quando ti conosco, non ci ho mai
provato."
Ginny alzò gli occhi su di lui,
sorpresa. Harry però aveva ripreso a scrutare il cielo, e quando parlò aveva
già cambiato argomento: una cosa che - Ginny l'aveva notato - quella sera
tendeva a fare abbastanza spesso.
"Ti ricordi quando abbiamo
parlato delle stelle cadenti, Ginny?" sussurrò. "Quella notte, in
cima alla Torre di Astronomia."
"Sì..." Ginny arrossì, e
si fissò i piedi che stava ancora massaggiando. Ricordava benissimo quella
notte: era quella precedente all'ultima trascorsa insieme a lui a Hogwarts. In
cima a quella Torre erano successe cose che aveva preferito dimenticare, nel
corso di quei mesi. Le aveva relegate in un posto così inaccessibile da essere
arrivata quasi a dubitare che fossero accadute veramente.
"Ricordi qual'era il mio
desiderio?"
"Certo." Ginny sorrise.
Un sorriso triste. "La tua famiglia. Sirius."
Harry annuì. "E io ricordo
ancora il tuo..." disse, piano.
"Oh." Lei abbassò gli
occhi, solo un istante. "Te lo ricordi davvero?"
"Sì." Harry sollevò le
sopracciglia. "Perché, ti dispiace?"
"Beh, diciamo che una parte di
me ha sperato che tu avessi un vuoto di memoria permanente" scherzò Ginny,
cercando di nascondere il disagio che le provocava quella rivelazione.
Lui rise, divertito, e scosse la
testa. "Sono stato un vero idiota, Ginny. Sono io che devo sperare
che tu dimentichi quell'episodio."
"Oh, sì... contaci" le
scappò detto, e la sua voce suonò terribilmente sarcastica.
"Sono stato
imperdonabile." Harry si passò una mano sulla faccia, e sembrò imbarazzato
al ricordo.
"Ma figurati..."
"Ricordo ancora il tuo visino
dolce mentre mi raccontavi del tuo sogno di avere un giorno una casetta tutta
tua. Tua e dell'uomo che avresti amato e che, speravi, ti avrebbe amata nello
stesso modo." Harry sorrise. "Ricordo che mi hai descritto il tetto
rosso, la porta azzurra, le persiane verdi e i muri bianchi... e tre bambini,
con i capelli rossi come i tuoi."
Ginny si coprì il viso con le mani:
"Dio, che cosa imbarazzante..."
"Ma no, perché?" Harry le
accarezzò una spalla, gentilmente. "Eri adorabile. E io sapevo benissimo
che, quando parlavi dell'uomo che avrebbe diviso con te quel sogno
meraviglioso, era a me che pensavi."
"Harry, ti prego..."
Ginny arrossì, e si voltò dall'altra parte. Era davvero troppo imbarazzante.
"Lo sapevo" proseguì lui,
come se non l'avesse sentita "eppure non ho saputo fare altro che stare
zitto e baciarti. Come se fosse quello
che volevi."
"Beh, non è che non lo
volessi..." ammise Ginny, sempre voltata dall'altra parte. Era certa che
le sue guance avrebbero preso fuoco, di lì a poco.
"Già, immagino che lo
volessimo entrambi, vero?" Harry sorrise, e la sua mano le sfiorò
dolcemente il collo. "Ginny, perché non mi guardi?"
Con un sospiro, Ginny si costrinse
a voltare il viso verso il suo. I suoi occhi verdi sembravano strani, senza lo
schermo trasparente delle lenti, ma erano dolci e pieni di affetto.
"Ti aspettavi qualcosa di
diverso, la notte successiva..." sussurrò Harry, senza distogliere lo
sguardo da lei. "Ti aspettavi l'inizio del sogno, che non c'è mai
stato."
Mentre lo guardava negli occhi,
Ginny rifletté che probabilmente aveva ragione: dopo quella notte che avevano
passato a baciarsi, in cima alla Torre, aveva sperato che fra loro due fosse
nato qualcosa di speciale. Che potesse essere lui l'uomo del suo sogno, quello
che avrebbe abitato con lei in quella casetta bianca aggrappata a una scogliera
a strapiombo sul mare. Invece Harry, la notte successiva, era stato più
distante del solito: le aveva parlato di cose profonde, cose che non aveva
confidato a nessuno, ma non c'era stato altro. Si era sentita usata? Sì, forse
un po'. Ma poi si era detta che, in fondo, da Harry aveva già avuto più di
quanto si sarebbe mai realmente aspettata di ricevere. Stare con lui in cima
alla Torre, sotto le stelle, era stato bellissimo... soprattutto perché si era
comportato come se davvero tenesse a lei, non come se fosse un'avventura
occasionale o un espediente per tirarsi su il morale. In retrospettiva questo
atteggiamento poteva sembrare ipocrita, ma Ginny gli era stata grata di non
averla trattata con freddezza, in quella circostanza: sarebbe stato orribile.
"Ginny..." la voce di
Harry la riscosse. "Mi stai ascoltando?"
"No, scusa..." lo guardò,
un po' smarrita. "Cosa dicevi...?"
"Dicevo che avrei dovuto dirti
qualcosa di diverso, quella notte..."
"No, non è vero" reagì
lei. "Non avrebbe avuto senso, non si possono dire certe cose solo per
compiacere le persone, Harry..."
"No, Ginny, non è
così..." Harry scosse la testa, e la guardò sorridendo. "Il fatto che
io lo volevo, ecco. Insomma, lo volevo davvero.”
Ginny sbatté le palpebre e lo
guardò, perplessa.
"Che... cosa, Harry?"
mise fuori, a bassa voce.
"Lo volevo" ripeté lui,
tranquillamente. "La casa, il giardino, l'orto, la scogliera. I figli...
beh sì, anche quelli. Lo volevo moltissimo."
"No, aspetta un
momento..." Ginny si passò una mano sulla fronte, incredula, e lo guardò
con gli occhi spalancati. "Io non... tu non... non è... è impossibile!"
esclamò, scuotendo lentamente la testa. Si alzò in piedi, incurante del fatto
di essere scalza, e camminò sulla ghiaia, allontanandosi di alcuni passi dalla
fontana.
Harry si alzò e la seguì.
All'inizio sembrò un po' incerto sul da farsi, insicuro se toccarla fosse una
buona idea o meno; poi decise che valeva la pena di tentare, evidentemente,
perché Ginny sentì le sue braccia circondarle le spalle, in un gesto
protettivo.
"Ginny, mi dispiace..."
mormorò. "Non avevo intenzione di farti stare male, credimi, ma... è tanto
tempo che vivo con questo peso dentro, non ho potuto fare altrimenti..."
"No!" esclamò Ginny, e si
voltò a guardarlo, furiosa. Lo vide trasalire alla vista della sua espressione.
"No, Harry, questa è una vigliaccata bella e buona, lasciatelo dire!"
"Che cosa stai dicendo?"
chiese lui, senza capire.
"Il tuo peso dipendeva
dal fatto che pensavi di avermi fatto del male, ma è meglio la verità di una
stupida bugia!" gridò Ginny. "Perché sei dovuto venire qui a
distruggere tutto? Perché?"
"A distruggere che cosa?"
disse Harry, stupito. "Io non... non credevo..."
"Ero riuscita a stare bene
senza di te... ad allontanarti dalla mia mente quel tanto che bastava per
vivere tranquilla!" disse Ginny, arrabbiata. "E tu che fai? Ti
presenti qui in compagnia di una bionda mozzafiato e vieni a dirmi, come se
niente fosse, che lo volevi. Per scaricarti la coscienza. Come se quella
frase potesse aggiustare quello che è andato in mille pezzi anni fa!" si
passò le mani tremanti fra i capelli, e sospirò. "Beh, la vuoi sapere una
cosa, Harry? Non c'è niente che possa cambiare le cose. Nessuno
può rimettere insieme i pezzi, ormai, neppure tu."
Harry tacque, ma non smise di
tenerla stretta a sé. Da parte sua, Ginny non aveva la forza di allontanarlo:
tutte le sue energie erano concentrate nel tentativo di non mettersi a piangere
davanti a lui. Ne aveva abbastanza del dolore, dell’imbarazzo,
dell’umiliazione. Il vento si alzò all’improvviso, e fece stormire le fronde
degli alberi intorno a loro. Fra le foglie, Ginny riuscì a scorgere per qualche
attimo il balcone lievemente illuminato su cui erano stati fino a poco prima. I
rumori della festa giungevano attutiti, e una musica vaga viaggiava nell’aria,
leggera.
Qualcuno doveva aver lasciato
aperte le porte a vetri. Si chiese se li stessero cercando.
“Infilati la giacca, dai…” sussurrò
Harry, quando la sentì tremare involontariamente, scossa da un brivido.
“Comincia a fare freddo su serio.”
“Allora sarà meglio che tu la
riprenda” disse Ginny, secca. “Non voglio che ti ammali per colpa mia.”
“Smettila” replicò lui, con
dolcezza. “Non fare così.”
Ginny scosse la testa, esasperata.
Era una lotta troppo dura. Aveva creduto che fosse tutto finito, o comunque di
essere in grado di gestire la situazione. Invece non c’era in lei nemmeno un
briciolo della forza che pensava di possedere: non poteva avere a che fare con
Harry e fingere che tutto andasse bene. Non poteva guardarlo e pensare a quello
che era successo, e a quello che invece non sarebbe mai accaduto.
Perché? pensò, angosciata. Perché fa ancora così male, dopo tutto
questo tempo?
“Harry, per favore…” sussurrò, gli
occhi fissi sul terreno.
“Cosa?” la voce di lui era dolce.
“Lasciami sola, ti prego.” Ginny
sospirò, e si morse le labbra. “Ho bisogno di… di stare un po’ per conto mio,
prima di rientrare alla festa.”
“Perché vuoi andartene?” chiese
Harry, un po’ stupito. Le strinse le dita intorno alle spalle, e la fece girare
verso di sé. Cercò di incrociare il suo sguardo, ma Ginny lo tenne
ostinatamente basso. “Ginny, non volevo sconvolgerti così, credimi.”
“Non volevi?” lei alzò gli occhi, e
si accorse di riuscire a trattenere la collera a stento. “E che cosa pensavi
che sarebbe successo, sentiamo, dopo la tua grande rivelazione?”
Harry sembrava sconcertato. “Io
non…”
“Non avevo bisogno di questo,
non lo capisci?” esclamò Ginny, liberandosi dalle sue mani con uno strattone e
indietreggiando di qualche passo. Il movimento fu così violento che la giacca
le cadde dalle spalle, scivolando a terra con un lieve fruscio. Non se ne curò.
Nonostante tutti suoi sforzi, era certa di avere gli occhi lucidi.
“Ginny.” Harry aveva lasciato
ricadere le braccia lungo i fianchi, e la fissava con un’aria piuttosto
sconvolta. Capì che era sincero: non si aspettava quella reazione così violenta
alle sue parole. Probabilmente pensava che, dopo tutto il tempo che era
passato, ormai le cose avessero assunto un’importanza relativa anche per lei.
Avevano scoperto entrambi che non c’era cosa più lontana dalla verità, almeno
per quanto la riguardava.
“Senti, lasciamo perdere, va bene?”
gli disse, coprendosi gli occhi con una mano e cercando di calmarsi. “E’ un
discorso che non ha senso, adesso. Torna dentro, ti prego.”
Harry camminò sulla ghiaia e si
chinò a raccogliere la sua giacca. Ginny non lo guardava, ma sperò di sentirlo
allontanarsi lungo il viale che avevano appena percorso. Appena fosse sparito,
sarebbe crollata a terra e sarebbe scoppiata a piangere.
Ma non sentì il rumore dei suoi
passi. Avvertì la sua presenza ancora alle sue spalle, più vicina di quanto
desiderasse.
“Ti prego…” ripeté, e la sua sembrò
quasi una supplica. “Lasciami in pace, Harry. Io non… non ce la faccio. Non
posso.”
“Cos’è che non puoi fare…?”
sussurrò lui, rimettendole la giacca sulle spalle. Le sue dita le sfiorarono la
nuca, e rimasero lì, ad accarezzarla lievemente.
“Non posso parlare con te…” spiegò
Ginny, sottovoce. “Non posso guardarti, non posso sentire la tua voce. Mi fa
troppo male. Mi sembra di… di morire.”
“Non lo immaginavo” disse Harry, e
sembrò che si stesse scusando. “Altrimenti non sarei venuto. Se avessi
immaginato che non volevi vedermi avrei trovato una scusa per non partecipare
alla festa, Ginny. Mi… dispiace davvero tanto.”
“No…” lei scosse la testa,
lentamente. “Non sapevo nemmeno io quello che avrei fatto in questa situazione,
Harry, capisci? Non è che io non voglia vederti. In tutti questi anni…” si
interruppe, incerta se proseguire o meno, poi pensò che non avrebbe avuto senso
tacere, ormai. “In tutto questo tempo ho desiderato rincontrarti. Parlarti di
nuovo. Non è che non mi faccia piacere vederti” ripeté, con un filo di voce.
“E’ che non posso. Non ci riesco. Tutto qui.”
“Perché non me l’hai detto subito?”
sussurrò lui, avvicinandosi di più. La fece voltare verso di sé, e Ginny alzò
il viso per guardarlo. La luce debole dei globi che fluttuavano intorno a loro
faceva apparire i suoi occhi più scuri di quanto fossero in realtà, e notò la
sua espressione tesa, concentrata. “Perché non me l’hai fatto capire quando ti
ho raggiunta sul balcone? Sarei rientrato in sala e tutto questo non…”
“Allora non capisci…” suo malgrado,
Ginny sorrise della sua ingenuità. “Io volevo parlare con te. Probabilmente
ricorderò questa serata come una delle più belle della mia vita.” Si scostò una
ciocca di capelli dalla fronte, e spostò lo sguardo sull’acqua che zampillava
nella fontana, scintillante di riflessi. “Prima, mentre passeggiavamo per il
giardino… beh, pensavo che sarebbe stato bello se non avessimo mai smesso di
camminare. Se quel sentiero avesse proseguito all’infinito senza mai portare da
nessuna parte, perché tanto ero già nell’unico posto in cui ho sempre
desiderato stare.” Fece una pausa, poi aggiunse: “Accanto a te.”
Harry non riuscì a trattenere un
sorriso, ma Ginny capì che non stava ridendo di lei: sembrava che le cose che
sentiva, nonostante la situazione, gli facessero piacere. Quando sollevò una
mano per accarezzarle la guancia, lei non si scostò.
“Sei così dolce, Ginny” sussurrò,
sfiorandola appena.
“Non mi importa di essere dolce”
gli disse, con voce tremante. Distolse brevemente lo sguardo, ma non riuscì a
tenerlo lontano dal viso di lui troppo a lungo. “Vorrei non esserlo. Vorrei non
essere così fragile.”
“Tutti siamo fragili…” disse Harry,
con dolcezza. “Credo sia inevitabile.”
“Beh, io vorrei essere dura come
l’acciaio. Fredda come il ghiaccio. E vorrei…” scosse la testa, e si prese il
viso fra le mani. “Oh, vorrei non essere innamorata di te, Harry, ma non riesco
a liberarmi da tutto questo.”
Harry sospirò, e la guardò con aria
assorta. Il sorriso era scomparso dal suo viso.
“Sì, credo di capire perfettamente
quello che provi” disse, piano. “E’ terribile sapere che non puoi avere la
persona che ami, e pensare che l’amerai comunque per sempre.”
“Già…” Ginny sorrise, amaramente.
“L’amore non dovrebbe essere una condanna. Non dovrebbe.”
“Lo so.” Harry le posò il palmo
della mano sulle guancia, e la guardò negli occhi. “Hai ragione.”
Ginny chiuse gli occhi, e coprì la
sua mano con la propria. Le dita di lui si mossero, si intrecciarono piano con
le sue.
“Non pensavo che fosse successo
anche a te” disse Ginny, piano.
“Mi succede continuamente” Harry la
circondò con le braccia e la strinse a sé. Le appoggiò la guancia contro i
capelli, e Ginny continuò a tenere gli occhi chiusi, sforzandosi di non
piangere.
“Credo che faresti meglio a
infilarla, quella giacca” osservò Harry, sorridendo.
Si erano seduti ancora sul bordo
della fontana, e Ginny stava cercando di rimettersi le scarpe senza che la
giacca, in equilibrio precario sulle sue spalle, finisse nella vasca piena
d’acqua.
“Sì, forse hai ragione” ammise,
divertita. Infilò una manica, poi lo guardò: “Ma sei sicuro di non rivolerla
indietro?”
“Sì, sono sicuro…” Harry rise.
“Lasciami fare il cavaliere, una volta tanto.”
Anche Ginny rise, infilando l’altro
braccio.
“Beh, è un’immagine che ti si
addice molto” osservò, chinandosi di nuovo a mettersi le scarpe.
“Tu credi?”
“Sì, senza dubbio…” lo guardò di
sfuggita. “Mi hai salvata più di una volta, non te lo ricordi?”
“E questo che c’entra?” si stupì
lui, incrociando le braccia sul petto.
“C’entra…” Ginny sospirò. “La prima
è stata la migliore. La prima volta che mi hai salvata, intendo… nella Camera.”
“Ah. Sì.” Harry annuì, e scivolò
giù dal basamento per inginocchiarsi davanti a lei. Le tolse delicatamente la
scarpetta dalla mano, e aggiunse: “Lascia che ti salvi una volta di più,
d’accordo?”
Ginny si passò le mani fra i capelli.
“Grazie. Sono troppo nervosa, non riesco nemmeno a capire quello che sto
facendo.”
“Me ne sono accorto…” osservò lui,
facendole scivolare il piede nella scarpa. “Tremi con una foglia. Hai ancora
freddo?”
“No. Non particolarmente” ammise
Ginny, con un sospiro. “E’ tutto il resto.”
Harry rimase inginocchiato davanti
a lei, e la guardò in silenzio.
“Che c’è…?” sussurrò lei, stupita.
“Niente, è che…” Harry allungò le
mani, le prese il viso fra le dita. Adesso era così vicino che poteva sentire
il calore del suo respiro sulla pelle.
“Cosa…?” Ginny gli accarezzò il
viso a sua volta, un po’ spaventata dall’aria grave che aveva assunto
all’improvviso.
“Prima ti ho detto che lo volevo.”
Harry la scrutò, e abbozzò un sorriso. Ma era un sorriso triste.
“Harry, non…” cominciò Ginny, ma
lui la interruppe:
“No, aspetta, fammi finire…”
“D’accordo…” si rassegnò lei.
“Lo volevo, Ginny, è la verità. Lo
volevo con tutto me stesso, e lo voglio ancora.” Sorrise di nuovo, e di nuovo
non ci fu allegria in quel gesto. Solo un’enorme, profonda disperazione.
“Cosa… cosa stai dicendo?” Ginny
era frastornata. Lo guardava come se ad un tratto non capisse più chi aveva
davanti.
“Ho cercato di vivere scordandomi
di tutto questo…” proseguì lui. Si avvicinò di più, e i suoi occhi catturarono
i riflessi della luce sull’acqua della fontana. “Volevo scordarmi di te, di
come mi fai sentire… del modo in cui mi hai toccato quella notte, in cima alla
Torre di Astronomia. Del suono del tuo respiro, del profumo della tua pelle,
delle tue mani…” le sorrise. “Di questi occhi così belli e così sinceri.”
“Harry…” Ginny faticava persino a
respirare.
“Ci ho provato in tutti i modi,
perché ero convinto – e lo sono ancora – che starti lontano fosse la cosa
giusta da fare.” Harry le asciugò le lacrime, che a suo dispetto avevano
cominciato a rigarle il viso, con la punta delle dita. “Ma non è servito a
niente. Quello che volevo prima, lo voglio ancora. Stare con te è l’unica cosa
che desidero, Ginny. Anche se so che è impossibile.”
“Mi stai facendo del male…”
singhiozzò Ginny, scuotendo la testa. “Harry, mi stai spezzando il cuore. Mi
stai uccidendo.”
“Non piangere…” sussurrò Harry, con
dolcezza. Ma quando Ginny lo guardò, fra le lacrime, si accorse che anche lui
stava piangendo. Quando cercò di asciugargli il viso, Harry la strinse a sé,
trascinandola giù dal muro della fontana, e la baciò sulle labbra.
Ginny si lasciò andare contro di
lui, e chiuse gli occhi. Era come se una forza incontrastabile la risucchiasse
indietro, come se tutti quegli anni di lontananza non fossero mai passati. Le
sue labbra erano ancora le stesse: dolci, morbide, delicate. La sua bocca aveva
lo stesso sapore buono di un tempo.
“Ginny…” lo sentì sussurrare,
disperatamente. “Io ti amo, ti amo con tutto me stesso… ma non posso…”
“Harry…”
“… non posso darti quello che
sogni…” proseguì lui, fra i baci. “Non posso pensare di mettere in pericolo la
tua vita, la vita della tua famiglia. Non posso.”
“E’ per questo che te ne sei
andato…” disse Ginny, stupita. Si fece un po’ indietro, per guardarlo meglio in
faccia. “E’ per questo che hai praticamente tagliato i contatti con tutti noi!”
“Sì.” Harry annuì, gravemente. “E’
per questo.”
“Ma non è giusto!” esclamò Ginny,
angosciata. “Tu non… non meriti una vita di solitudine!”
“Oh, non sono solo.” Harry distolse
lo sguardo da lei, con aria un po’ colpevole.
“Oh. Già. Che sciocca.” Lei
trattenne impercettibilmente il respiro, mentre ricordava la presenza della
bionda alla festa: nonostante i suoi propositi iniziali di restare con i piedi
per terra, l’aveva completamente rimossa dai suoi pensieri. “Avevo
dimenticato.”
“Oh, Ginny.” Harry le scostò i
capelli dalla fronte. “Non sarà mai la stessa cosa. Non lo capisci?”
“No. No.” Ginny scosse la testa,
disperata. “Non lo capisco. Non voglio capire. C’è qualcosa che non va, vedi,
Harry? C’è sempre qualcosa che non va. Questa dovrebbe essere la sera più
felice della mia vita, mi hai detto che mi ami… l’hai detto sul serio.”
“Sì…” Harry sorrise. “L’ho detto
sul serio.”
“E invece è tutto sbagliato, non
c’è niente di cui gioire…” si prese la testa fra le mani. “Avrei preferito non
sapere niente. Forse avrei avuto una possibilità di riuscire a vivere in
maniera decente gli anni che mi restano.”
“Adesso smettila, Ginny.” Harry la
prese per le spalle, e la costrinse a guardarlo. “Non sarà così per sempre,
d’accordo? Questa guerra finirà, prima o poi. Sappiamo tutti che finirà.”
“Già. Ma non sappiamo come.”
Nel pronunciare queste parole, la voce di Ginny si incrinò.
“E’ vero, ma…”
“… e in ogni caso, quanti anni
passeranno prima della fine? Uno? Cinque? Altri dieci? Cinquanta?” Ginny
sospirò. “Non so se posso andare avanti così per tutto questo tempo. Non so se
riesco ad aspettare senza impazzire.”
“E’ proprio questo che cerco di
dirti” mormorò Harry. “Non devi aspettarmi. Devi vivere la tua vita. Devi
dimenticarti di me, se ci riesci.”
“Non ci riesco” dichiarò Ginny,
brusca. “Finiscila di dire sciocchezze, adesso. Non riesco a pensare di
sfiorare un altro uomo, Harry. Figuriamoci andarci a letto, farci dei figli
insieme. Non potrei mai. Mai.”
“Ginny.” Harry si passò una mano
sulla faccia, esasperato. “Avevo scordato quanto sei testarda.”
“Non è questo il punto.” Ginny
sorrise, suo malgrado. “Il punto è che ti amo. Ti amerò sempre.”
“Lo so. Anch’io ti amerò sempre, ma
proprio per questo…”
“Piantala di ripetere il motivo per
cui hai scelto di andartene, Harry. Ho capito. Ma continuo a pensare che sia
una sciocchezza.”
“La tua vita non è una sciocchezza”
ribatté Harry, spazientito. “Se dovesse succederti qualcosa, non so che farei.
Credo che diventerei pazzo. E non posso permettermelo.” Le prese il viso fra le
mani, e la guardò negli occhi. “Ginny, quello che non riesci a capire è che il
mio destino, la mia vita, non sono solo mie. Appartengono a tutti. Non
posso ignorare il fatto che dovrò essere io a sconfiggere Voldemort. Né
dimenticare che, se non dovessi riuscirci, il mondo precipiterà in una spirale
buia senza fine.” Scosse la testa. “Finché non avrò fatto quello che devo, non
posso permettermi debolezze. Né errori. Non posso fornire a Voldemort e ai suoi
seguaci bersagli fin troppo facili per colpirmi. E’ triste da dire, ma è la
verità.”
Ginny tirò su col naso, e si mosse,
a disagio. Harry la strinse, e la trascinò sulle proprie gambe. Sedettero entrambi
sulla ghiaia.
“Così, io sarei una… debolezza?”
mormorò lei, dopo qualche attimo di silenzio. L’idea, in qualche modo, la
divertiva.
“Oh, sì.” Harry sorrise, e le
accarezzò la schiena nuda, sotto la giacca. “Sei la mia debolezza più grande.”
“Harry.” Ginny avvicinò il viso al
suo, gli sfiorò la punta del naso con un bacio. Appoggiò la fronte contro la
sua, e lo guardò a lungo negli occhi. “Non riesco a spiegarti quanto mi sei
mancato.”
“Non c’è bisogno che me lo spieghi”
le assicurò lui. “E’ stato come morire un po’ ogni giorno. Terribile.”
“Sarà ancora terribile” lo corresse
Ginny, lugubre.
“Beh, ma almeno… avremo questa
notte, non credi?” sussurrò Harry, abbozzando un sorriso, e stringendola.
“Prima non avevamo niente.”
“Non è vero.”
“D’accordo. Avevamo due notti di
incomunicabilità e di incomprensione, che è quasi peggio che non avere niente.”
La guardò, e Ginny fu colpita dall’intensità del suo sguardo. “Sono felice di
averti detto quello che provo, e che ho sempre provato, per te.”
Ginny annuì. “Anch’io lo sono,
nonostante tutto.”
“Bene.”
“E sono contenta di averti detto
che l’uomo della scogliera eri tu… anche se l’avevi già capito.”
“L’uomo della scogliera…” Harry
ridacchiò, e le baciò piano una tempia. “Suona molto romantico, vero?”
“Molto…” affermò lei, divertita.
“Ma prima dovrò procurarmi una scogliera, in effetti.”
“Pensavo che l’avessi già fatto.”
“No, io…” Ginny scosse la testa.
“Avevo chiuso a chiave il cassetto che contiene quel sogno, Harry. Niente uomo,
niente scogliera.” Sorrise. “Ma adesso, beh… l’uomo c’è. O meglio, si sta
avviando in quella direzione. Ci sarà, ecco.”
Harry la baciò sulle labbra,
lentamente. Le accarezzò la nuca con la punta delle dita, facendola
rabbrividire. “Hai ragione…” sussurrò. “Prima o poi lo vedrai apparire su
quella scogliera. Te lo prometto.”
Ginny annuì, e lo tirò più vicino,
intrecciandogli le dita dietro la nuca.
“Che c’è…?” mormorò Harry,
sottovoce.
“Pensi che potremmo restare ancora
un po’ qui, prima che ci diano per dispersi?” domandò lei, incerta.
“Sì… io dico che possiamo.” Harry
sorrise, con aria da cospiratore.
“Bene…” Ginny sospirò. “Allora
baciami ancora… ti prego. Voglio averne abbastanza per tutto il tempo che ci
separa da…”
Non riuscì a finire la frase: Harry
la interruppe con un bacio, e le parole le morirono in gola.
“Harry…” sussurrò Ginny qualche
tempo dopo, con il fiato corto.
Lui la stava baciando sul collo,
con estremo abbandono. Alzò la testa e la guardò con aria interrogativa.
“Non credo che ne avrò mai
abbastanza…” gli disse, sollevando le sopracciglia.
Harry sorrise, e un’espressione
divertita gli apparve sul viso.
“Aspetta che abbia finito, prima di
esserne certa…” disse, ricominciando a baciarla.
“Penso che dovresti riprenderti la
giacca…” mormorò Ginny, mentre ripercorrevano il vialetto a ritroso. La musica
continuava a viaggiare nell’aria, sempre più chiara e più forte man mano che si
avvicinavano al balcone.
“Tienila finché non siamo arrivati”
disse Harry, circondandole le spalle con un braccio. “Fa davvero freddo.”
“Non voglio che la tua ragazza si
accorga di… sì, insomma, che si faccia strane idee su quello che può essere
successo.”
“Oh, Ginny.” Harry rise, divertito,
e la baciò fra i capelli. “Non ci pensare. Tra me e Lacy c’è una relazione
piuttosto particolare, non credo che se la prenderebbe per una cosa del
genere.”
“Cosa?” fece Ginny, stupita. “Ma
come…?”
“Senza contare il fatto che lei sa
di te…” spiegò Harry, sorridendo della sua espressione allibita. “Sa che nel
mio cuore c’è posto solo per una donna, e che quella donna non è lei.”
“E non è… non… come diavolo fa a
vivere così?” Ginny non riusciva davvero a capacitarsene.
“Immagino che faccia come abbiamo
fatto noi fino adesso…” disse lui, stringendosi nelle spalle. “Sai, la sua
storia non è molto più allegra delle nostre. Stava per sposarsi, qualche anno
fa, ma il suo ragazzo è rimasto ucciso in un attentato. Era un poliziotto
babbano.”
“Mio Dio.” Ginny si portò una mano
alla bocca, inorridita. “Che cosa terribile.”
“Già.” Harry scosse la testa,
rattristato. “Lacy ce l’ha messa tutta, ma non credo che si sia ancora ripresa
dalla perdita di Roger. Credo che non si riprenderà mai completamente.”
“No, lo credo anch’io…” disse
Ginny. “Dev’essere un dolore terribile. Non posso nemmeno immaginarlo.”
“Lacy è una brava ragazza” mormorò
Harry. “Una brava ragazza molto sfortunata. Non odiarla perché… beh, perché
temi che possa prendere il tuo posto. Non succederà mai, Ginny. Credimi.”
Ginny lo guardò, e non dubitò
nemmeno per un attimo della sua sincerità.
“Ti credo” gli disse, annuendo.
Harry si chinò su di lei, e la
baciò piano.
Il tragitto dalla fontana al
balcone durò piacevolmente a lungo.
Quando arrivarono in prossimità
della scalinata di pietra che li avrebbe portati sul balcone, Ginny si appoggiò
di schiena al corrimano, e si tolse la giacca per restituirla a Harry. Lui se
la infilò sopra la camicia, e la guardò rabbrividire e stringersi le braccia
intorno al corpo.
“Sei una testarda, Ginny” disse,
ridendo. “Potevi aspettare di rientrare in casa.”
“Non voglio che rientriamo insieme,
Harry…” mormorò lei, senza guardarlo. “Non voglio che la gente sappia di noi.
E’ una cosa troppo bella e troppo… privata. Almeno per ora. Non credo
che riuscirei a sopportare nemmeno il più stupido e insulso dei pettegolezzi su
noi due.”
Harry le accarezzò i capelli, e
annuì.
“D’accordo…” disse, piano.
“Vai prima tu, allora…” sussurrò
Ginny, seria. Poi lo guardò, e la sua espressione crollò letteralmente come una
maschera di cera, rivelando la sua angoscia. “No, non voglio che tu vada, accidenti.
Non voglio che questa notte finisca.” Lo abbracciò, stringendosi forte al suo
petto. “Non voglio lasciarti andare. Non ci riesco.”
“Anche per me è difficile…” Harry
le accarezzò i capelli, e la schiena nuda. “Non so spiegarti quanto, Ginny. Ma
non possiamo fare altrimenti. Dobbiamo… fare quello che è giusto.”
Lei annuì, in silenzio, ma per
molti minuti fu incapace di staccarsi da lui. Pensò che quella notte fatta di
baci, di parole, di sguardi avrebbe dovuto bastarle per chissà quanto tempo, e
le venne di nuovo da piangere. S trattenne con tutte le sue forze: la ragazza
di un eroe non doveva essere così fragile.
“Non ti vedrò più, vero?” chiese,
con la voce soffocata. “Non ti vedrò né ti sentirò finché non sarà tutto
finito.”
“No…” ammise Harry. La sua voce era
triste, ma aveva sempre il potere di tranquillizzarla. “Non mi vedrai, ma
saprai che ti starò pensando in ogni istante.”
Ginny abbozzò un sorriso. “Lo
stesso varrà per me.”
“Mi aspetterai?” Harry la staccò da
sé, e la guardò, intensamente.
“Sempre.”
“In cima alla tua scogliera?” le
sorrise, con dolcezza.
“Alla nostra scogliera.”
Ginny ricambiò il sorriso, e gli accarezzò una guancia. “Sarò lì ad aspettarti.
Devi promettermi che tornerai, Harry. Che appena Voldemort sarà sconfitto,
lascerai tutto e tornerai da me.”
Harry annuì, baciandole piano la
fronte. “Te lo prometto, Ginny.”
Lei lo strinse e lo baciò sulle
labbra, mentre il cuore sembrava spaccarsi in due per il dolore della
separazione imminente. Si rese conto che avrebbe dovuto accelerare i tempi, o
non sarebbe mai riuscita a lasciarlo andar via.
“Harry…” mormorò, staccando le
labbra dalla sue.
“Sì…” lui appoggiò la fronte alla
sua, il respiro corto.
“Vai, adesso. Torna là dentro e
scusati con gli altri, lascia la festa prima che io rientri.” Ginny sospirò,
tremante. “Ti prego. Se ti vedo ancora una volta, correrò da te e non ti
lascerò più andare.”
“Va bene…” disse Harry, dopo un
attimo di silenzio. Ginny capì che per lui, se possibile, era ancora più
doloroso che per lei stessa. “Vado.”
Si staccarono riluttanti, e Harry
le strinse le mani fra le sue. Quelle di Ginny erano fredde come ghiaccioli,
mentre le sue erano calde. Cercò di sorriderle, ma Ginny vedeva benissimo che era
commosso e triste almeno quanto lei. Le baciò le dita, le sorrise un’ultima
volta, prima di voltarsi.
Lo guardò salire la scalinata di
pietra, nella semioscurità che avvolgeva il giardino, e non poté fare a meno di
pensare che era bellissimo, meraviglioso, ed era suo.
Lo vide fermarsi a metà, e voltarsi
verso di lei. Temette che ci avesse ripensato, che sarebbe tornato da lei, e la
cosa la spaventò: nonostante il dispiacere per quella separazione dolorosa,
Ginny sapeva bene quanto lui che era necessaria. Se avesse ridisceso i gradini
e l’avesse presa fra le braccia, era certa che non sarebbe più riuscita a
lasciarlo andare.
Ma Harry non fece niente di tutto
ciò. La guardò soltanto, come se avesse capito perfettamente quello che le era
passato per la testa.
“Probabilmente ti rivedrò da
qualche parte nei miei sogni” disse, in un sussurro. Sorrise. “O nei tuoi.”
Ginny annuì, e lottò per trattenere
le lacrime.
“Ci vediamo fra poco, allora”
rispose, portandosi una mano sul cuore. “Ci conto.”
Harry ripeté lo stesso gesto, e
mormorò:
“Buonanotte, Ginny.”
Lo
sguardo nei suoi occhi verdi era più eloquente di mille discorsi.
“Buonanotte, Harry…” gli rispose,
sottovoce. Fu lieta che non le avesse detto addio, o arrivederci: avrebbero
avuto il sapore di una cosa triste, definitiva, mentre lei voleva ricordare
quella sera come un momento magico, e felice. Quel buonanotte non poneva
limiti di tempo alla separazione, e le dava ancora l’illusione che al mattino
dopo, volendo, avrebbe potuto rivederlo.
Lo guardò un’ultima volta: il suo
sorriso, i suoi occhi, quei capelli corti che lo facevano sembrare più severo
di quanto fosse in realtà. Al pensiero di quanto le sarebbe mancato, si sentì
venire meno, ma non lasciò che il suo sorriso si spegnesse.
“Tornerò da te…” sussurrò ancora
Harry, con un filo di voce. Lo disse così piano, e scomparve così in fretta,
che a Ginny rimase il dubbio di aver soltanto immaginato quell’ultima frase.
And I’ll be dreaming of the future
And hoping you’ll be by my side…
And in the morning I’ll be longing
For the night.