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Autore: Antalya    27/06/2010    2 recensioni
“Evelyn..hai bisogno di pace e tranquillità, staccati da questo mondo fatto di cellulari e citofoni e fai in modo che le tue orecchie possano ascoltare il suono del nulla…” l’avevo guardata un po’ scioccata al suo dire. “Viky…da quando ti sei sposata con il filosofo…mi stai diventando filosofa a tua volta?” le domandai stranita ma atterrita dal fatto che infondo…aveva ragione. Evelyn è una studiosa impegnata in alcune ricerche ma dopo una discussione con la sua amica decide che è davvero arrivato il momento di trovare la pace e la tranquillità che merita e lo fa trasferendosi in un casolare in Irlanda ma li... potrà stare tranquilla?anche se un uomo misterioso apparirà nella sua vita stravolgendola?è questo che vuole? Lo scopriremo passo dopo passo....
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Corpi fragili da proteggere.
Da guardare negli occhi
per capire il senso della Vita!...

Anonimo

“Non voglio vederti mai più… va via da casa mia!”


Le parole che Ray mi ha gridato rimbombavano dentro la mia testa mentre l’aereo decollava da Dublino, rimbombavano la sera del nostro ritorno mentre ero a letto, rimbombano mentre lavoro, rimbombano mentre sto in aula con i ragazzi tanto da rimanere completamente assorta a guardare il vuoto mentre gli studenti sono in attesa. Ho ripreso a lavorare al mio studio al’università ma non riesco a scrivere più un solo rigo. Ho lasciato l’Irlanda, lui non voleva spiegazioni, non voleva niente da me se non che me ne andassi ed io l’ho fatto, con la morte nel cuore ho preso le mie cose e me ne sono andata via, ma porto via l’unica cosa che l’Irlanda mi ha regalato e che Ray non sa neanche di avermi dato. Ma d’altronde come dirglielo? Non ha voluto sentire ragioni e non mi ha dato modo di spiegarmi.

Sulla scrivania c’è il calendario, è il 15 e sono passati esattamente quattro mesi dall’ultima volta che ho avuto notizie, non ho neanche provato a cercarlo anche se ogni sera ci penso.

Al mio ritorno dall’Irlanda sono andata da un medico, da un ginecologo per l’esattezza e ho fatto i dovuti controlli, porto davvero dentro di me il figlio di Ray ed ora sono 16 settimane che vive dentro di me e si nutre di me.

Dopo il terzo mese il mio corpo ha cominciato a reagire alla presenza del piccolo essere che cresce dentro di ma tanto che ora è visibile anche a tutti quelli che incontro, sul frigorifero di Vic troneggiano due foto delle mia ultime ecografie e lei ne va fiera quasi come se fosse lei incinta.

Non riesco a dimenticare questa storia e di fatto Vic e Joseph mi stanno vicino come non mai, mi sono pure trasferita a casa loro nella stanza degli ospiti pur di non stare da sola, ma è difficile ogni giorno che passa, è come doversi costringere un’esistenza che in realtà non è la propria.

L’unica cosa che faccio per sentirmi meglio è comprare i suoi libri e leggerli perché ogni parola mi fa sentire più vicina a lui, perché immagino la sua voce e il suo calore.

Sento dei passi ed anche la porta che si apre e dal passo felpato so bene che si tratta di Joseph e mi metto seduta sul divano per accoglierlo.

“Ehi…bentornato!”

“Eve…come va?”

“Sto bene… ogni tanto nausea ma capita!”

“Già...c’è Vic in casa?”

“No…non è ancora tornata!”

“Ah bene… ti secca se mi siedo un po’ a parlare con te?”

“No, certo che no!”

“Dimmi la verità, come stai?”

“Male…molto male…non per il bambino, solo perché mi sento un’impostora, una donna senza scrupoli e perché non c’è lui qui….”

“Sai, io ho saputo che sta uscendo il suo nuovo libro?”

“Veramente?”

“Si verrà pubblicizzato in tutte le librerie !”

“Beh, sono contenta che ha ricominciato a scrivere…significa che sta bene!”

“Si…” elude il mio sguardo, qualcosa non va.

“Jos, che c’è?”

“Eve, tu sai che ti voglio bene  ma stai sbagliando…tu devi dirglielo!”

“Non è così facile Jos, mi ha esplicitamente chiesto di uscire dalla sua vita e sapere di avere un figlio significherebbe ritenersi legato all’unica donna che lo ha ferito!”

“Si ma…”

“Nessun ma…non voglio costringerlo!”

“Eve… non sarebbe costretto…”

“Io credo che si sentirebbe così!” rispondo alzandomi e baciandolo sulla guancia come ogni sera prima di andare a letto.

“E’ mio figlio…e me ne occuperò io!” mi volto sicura di sentire il suo sguardo addosso e mi dirigo in camera mia.

 

 

** **

 

“Ray, che splendido romanzo pieno di avventura, di suspense, di calore…devo complimentarmi! ho in serbo per te una serie di conferenze e di incontri con alcune librerie e pub letterari…” Jeff, il mio editore non fa che adularmi, mandarmi inviti e complimenti dai grandi editori di tutto il mondo. Dovrebbe farmi piacere, dovrebbe rendermi orgoglioso ma non è così, mi sento snervato e così inutile.

Dovresti tagliarti la barba ed i capelli sai?capisco che vieni da mesi di natura selvaggia ma…”

“Jeff…piantala!”

“Non so cosa sia più irritante se il fatto che non hai recuperato la memoria o che sei diventato orso e musone!”

“Jeff… ti ho detto di non fare parola del mio incidente con nessuno…”

“Si lo so… però non credi che sia più logico…”

“Te l’ho detto mille volte, non voglio che sfrutti il mio incidente per incrementarle vendite!”

“Ma…”

“Jeff… non costringermi a cambiare casa editrice…”

“Come vuoi Ray, ma perdiamo molti soldi sai?ma che cosa t’è successo? Si può sapere?”

“Lasciami perdere…!” mi alzai di scatto per andare via da quell’ufficio asfissiante ma Jeff mi ferma ancora una volta.

“Sappi che presto cominceremo la promozione del libro, si comincia con Dublino, Londra, Boston e New York…”mi fermo e lo guardo per un momenti senza capire.

“Come?”

“Sei pure sordo ora?” NewYork… Eve è a NewYork… e anche Vic e Joseph sono di NewYork… che sia destino? No, non posso andare a New York e fare di me un bamboccio…perché so che lo farei perché metterei a soqquadro l’intera città per trovarla e per vedere ancora una volta lei.

“Ma non possiamo cambiare località?”

“No, Ray… non si può… siamo già sotto contratto!”

“Tranquillo Jeff, non ci sono problemi!” affermo prendendo le mie cose per lasciare la stanza.

Uscendo dall’edificio mi immetto nella strada principale con mille pensieri per la testa, la vista di Dublino non mi fa nessun effetto se non avere voglia di fuggire e di andare via dall’Irlanda perché ogni cosa mi ricorda lei.

Cammino e cerco disperatamente le chiavi della macchina e mentre cerco di aprire la macchina sento vibrare nella mia tasca il telefonino e senza guardare chi sia rispondo.

“Pronto?”

“Ehi… ciao!”

“…”

“Lo so che non vorresti sentirmi…ma per favore…ascoltami!”

“Ti ascolto…”

“Non è vero ciò che ti è stato riferito… dovresti venire qui!”

“Non credo sia una buona idea…”

“Invece dovresti…”

“Al momento non è possibile…”

“Ray..hai tutte le ragioni per essere…”

“Sono arrabbiato come non mai”

“Lo so…ma…”

“Non lo so Jos…vedremo… tra sei settimane sono a NewYork…”

“Bene… potresti…!”

“Non credo…Ciao!”

“Ciao Ray… a presto!”

 

 

** **

 

Le strade di NewYork sono una dimostrazione pura e vera del caos, mille persone al giorno e mille teste che vivono insieme a mille anime che percorrono tutte lo stesso marciapiede. Io invece sono estranea a tutto questo, non mi piace la confusione soprattutto ora che il mio ventre sta già cominciando a gonfiare a dismisura. Cammino lentamente verso il Central Park e non posso fare a meno di sedermi su una delle panchine visto che la schiena mi fa male da morire e i piedi pulsano come due zampogne.

Mi guardo attorno e sembra quasi fatto apposta ma ultimamente vedo solo famiglie con passeggini e donne incinte sorridenti con accanto il padre dei loro figli, bambini che corrono chiamando a voce il loro papà, donne intente a ricever coccole dai compagni inteneriti dal loro stato.

Stizzita, perché sono stizzita da tutto questo, mi alzo dalla panchina e nel farlo il mio sguardo si posa su un uomo di spalle con indosso una camicia a quadri.

Credo che la sensazione successiva fu di panico, sembrava tanto Ray, con le spalle larghe ed i capelli corti sul collo abbronzato. Sento le gambe cedere ma cerco di resistere rimanendo in piedi e ordinando al mio cervello di camminare e in un certo senso credo di esser convincente perché mi muovo anche se tremo vistosamente, ma gli occhi non smettono di fissare l’uomo di spalle che sta davanti a me.

Ad un tratto questo si volta e il cuore mi si ferma, non è lui… non è Ray…sono sollevata? Non lo so… sono spaventata? Si, ho terrore che lui scopra cosa nascondo e in quel caso non avrebbe torto.

Mi volto e corro praticamente verso l’autobus che passa di li, non mi volto indietro mentre schiacciata fra più persone mi trovo a dovermi tenere con una mano.

“Signorina si sente bene?” mi chiede una signora anziana ed io annuisco ma in realtà mi sento vuota.

Scendo subito alla terza fermata e corro verso l’edificio universitario come se fossi inseguita dalla mia stessa ombra.

“Buongiorno Signorina Low!”

“Prof. Low…”

“Salve Evelyn!” per una volta i saluti degli studenti e dei miei colleghi non risultano essere graditi e corro subito verso la sessione di lingue della facoltà, esisto solo io a questo mondo adesso.

“Vic!” apro la porta e non mi rendo conto del fatto che sia in aula a fare lezione fino a quando non vedo i ragazzi fissarmi straniti e a bocca aperta.

“Scusatemi…” dice lei mentre mi spinge verso fuori con aria corrucciata.

“Vic…”

“Eve che cosa succede?”

“Vic, credevo di averlo visto al Central Park, non era lui ma…”

“Calma, calma che cosa stai cercando di dirmi?”

“Ero al Central Park… e stavo riposando…e ho visto un uomo che sembrava…”

“Ray…”

“Si…”

“Ma non era lui…”

“Si…”

“E tu che hai pensato?”

“Ero terrorizzata… o meglio in parte… vorrei vederlo ma lui mi odia e mi odia di più se vede questa…” dico indicando la pancia che sporge.

“No, Eve…non ti odierebbe…”

“Si, lo farebbe…. Ho avuto tanta paura e mi sono sentita così sola..!”

“Ma no che cosa dici non sei sola…c’è tuo figlio!”

“Ma io…” mi blocco un momento e mi asciugo gli occhi dalle lacrime e abbasso la testa a guardare il mio ventre.

“Evelyn stai bene?”

“Si… è che… s’è mosso…o almeno credo ho sentito….muoversi qualcosa…” dentro di me mio figlio mi ha appena dato la prova della sua esistenza e capisco, capisco che non sono sola che dentro di me c’è una vita, un bambino il mio bambino.

Alzo lo sguardo e vedo Vic in preda alle lacrime e io non riesco a non imitarla così ci ritroviamo tutte e due nel corridoio spoglio di un università a ridere e piangere come due matte, forse si matte ma che si vogliono bene…

   
 
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