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Autore: Regina Oscura    29/06/2010    1 recensioni
Storia all'inizio molto misteriosa, il primo capitolo è piuttosto strano beh...questo per me che scrivo sempre storie comiche. Il protaonista del primo capitolo è un ragazzo piuttosto bizzarro: Aveva lunghi capelli mori legati in una coda che quasi toccava la coscia, una pelle lattea, eterea e così pallida che sembrava non aver mai visto la luce del sole.E gli occhi... Sorpresa!!!leggete e scoprite! *Milli lin* p.s non so, mi sa che ho sbagliato a postarlo in azione, ditemi voi dove spostarlo please ^^
Genere: Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte come va? grazie mille per le vostre splendide recensioni che mi sono, come sempre graditissime ^^ grazie berry e grazie Kami che avete deciso di non abbandonarmi mai vi voglioi tanto bene ecco a voi un altro capitolo, ovviamente ringrazio anche tutti gli altri lettori che da bravi amiconi non recensiscono mai.. ___________________________________________________________

Il sole splendeva alto nel cielo, un cielo azzurro d’estate, privo di nuvole e che brillava accecante.

Le strade d’asfalto bollivano balenando come sabbia sotto i raggi dell’astro e la gente rideva scherzosa, le vacanze erano alle porte.

Una ragazza camminava silenziosa in mezzo alla folla, la testa china, il sole che sembrava non scottare la sua pelle e il passo svelto.

Amy alzò lo sguardo verso quel cielo splendente e riprese a camminare, i capelli neri che le si gonfiavano dietro la schiena e i pensieri che si mischiavano e si confondevano nella sua mente.

Qualcosa l’assillava, sempre, da giorni, da quando si era risvegliata nel suo letto dalla malattia.

Malata, lo era stata davvero? I ricordi di quei giorni svanivano sempre di più, come una carta ingiallita dal tempo resa sempre più illeggibile e che bruciava affondando nei meandri dei suoi ricordi e morendo.

Già,I ricordi, qualcosa le mancava, era da giorni che provava quella strana sensazione.

Si toccò con la mano lo scollo della maglietta, sentiva come un vuoto nel petto, ma era un vuoto piacevole, che l’alleggeriva e la rendeva felice.

Ma non era normale, ogni volta che ci pensava si sentiva girare la testa.

Infatti c’erano loro, flash, lampi fugaci, immagini che le riempivano gli occhi per appena un attimo, visioni vivide, accese, violente, ma dimenticate subito, come se non fossero mai accadute.

Eppure lei era sicura di aver visto qualcosa, come un ricordo sbiadito, ma così recente.

Che fosse solo frutto della sua immaginazione?

Sentiva di aver lasciato dietro di se qualcosa di terribile, ma cosa?

Qualcosa le era stato strappato, trafugato, portato via per sempre e lei si sentiva così tremendamente leggera, svuotata.

Si fermò davanti alla porta di casa sua, il giardino verdeggiante che la salutava brillante sotto il sole, il tappetino che le dava il suo benvenuto festoso.

Infilò le chiavi nella serratura della porta facendole girare lentamente, stava forse impazzendo?

Abbandonò lo zaino sul divano davanti al televisore e si lasciò cadere anche lei su un morbido cuscino.

Sospirò stanca e si stese, si sentiva così diversa, il rumore dei battiti del suo cuore le pareva così rimbombante, così solo, i suoi pensieri le risuonavano silenziosi e i ricordi così pochi…

Le sembrava di averne visti così tanti, ma era impossibile.

Fissò il tavolo, dove il pranzo rimaneva silenzioso nella pentola e un biglietto troneggiava con le istruzioni del babbo, come sempre.

Sorrise tra se e se, aveva fame dopotutto, si alzò dal divano e si sedette a tavola, il foglio spiccava vicino alla pentola dandole il benvenuto a casa.

Sollevò il coperchio, si versò un’abbondante porzione di maccheroni e iniziò a mangiare in silenzio.

La sua mente che vagava inutilmente alla ricerca di quelle immagini dimenticate, ma era impossibile, forse aveva solo sognato.

Solo un terribile sogno, si disse bevendo un sorso di acqua gelata, niente più che un sogno.

 

Josh era ancora a scuola, in attesa di qualcosa, di qualcuno, le mani tenute incrociate al petto, lo sguardo rivolto verso il basso e la mente lontana.

Attendeva silenzioso: Harry non era venuto a scuola, una cosa che un tempo gli era sembrata normale, ma che ora non lo era.

Ora anche Harry era in pericolo, probabilmente sempre sotto il controllo di un qualche Cacciatore.

E se l’avessero catturato?

L’immaginazione di Josh vagò veloce e già lo vedeva tornare lì, malfermo, ferito, sporco di sangue suo e di decine di Dominatori.

E un sorriso folle dipinto in volto, il sorriso di chi si è vendicato, una risata malvagia che risuonava terribile e le mani insanguinate.

Le mani di un assassino.

Scosse la testa cancellando quell’immagine tremenda, eppure continuava ad attenderlo lì, sicuro che potesse arrivare da un momento all’altro.

Che invece fosse stato ucciso?

L’immagine di un corpo straziato dalle torture e reso irriconoscibile riempì la sua immaginazione, un drappo nero che copriva una figura indistinta affogata in un lago di sangue e una mano che sbucava dal mantello protesa verso di lui.

Cancellò anche quell’immagine continuando ad aspettare, forse era sciocco rimanere lì, anzi lo era sicuramente.

Stava per andarsene quando lì udì: passi frettolosi e leggeri dietro di lui.

Si voltò speranzoso e rimase pietrificato a osservare la figura che si avvicinava a lui, era una ragazza minuta, dai lunghi capelli scuri e con un leggero vestitino bianco che ne sottolineava i dolci fianchi.

-Sapevo che era tardi- mormorò lei con il fiato pesante fermandosi vicino a Josh.

-Tutto bene?- chiese il giovane Cacciatore guardando preoccupato la ragazza.

-Qualcuno è rimasto allora!- esclamò lei ancora con il respiro corto –posso avere un’informazione?

Il moro annuì sorridendo alla ragazza –Conosci un ragazzo di nome Harry?

Josh rimase immobile, il sorriso che si spegneva, una Cacciatrice?

La guardò negli occhi, entrambi castani, no, l’avrebbe riconosciuta, però poteva anche darsi che lo fosse, forse era una Depuratrice o addirittura un grado più alto a lui sconosciuto.

-So solo che questa è la sua scuola, non so il suo cognome- disse lei imbarazzata –Scusa se ti ho fatto una domanda strana, ci saranno decine di Harry in questa scuola…

-Se non sono indiscreto, come mai sai la sua scuola?

-Vedi è complicato…ma c’era la pagellina di questa scuola a casa sua.

Josh tremò, era stata già a casa sua? Allora perché non lo aveva ucciso? Forse non era una Dominatrice, ma allora perché avrebbe dovuto cercarlo?

-Potresti descrivermelo?- chiese, c’erano altri ragazzi con quel nome in quella scuola, non c’era solo lui dopotutto.

-è alto e porta i capelli castani lunghi- Josh sussultò e ascoltò preoccupato il resto della descrizione –Ha gli occhi di un colore strano, grigi direi.

Era lui, non c’erano dubbi.

-Non conosco nessuno così- disse freddo Josh –Ti sarai sbagliata, mi dispiace.

Se ne andò volgendole le spalle cercando di non mostrare la sua insicurezza.

Strano, pensò lei, in qualche modo le ricordava Harry, come due fratelli che non si somigliano, qualcosa di molto più profondo della semplice somiglianza fisica.

E quando vide le sue spalle non poté fare a meno di pensare al ragazzo che aveva conosciuto la sera prima, a quel salvatore sconosciuto.

 

Il cielo era di un azzurro inespressivo, vuoto.

Il ragazzo osservava quell’unica nuvola bianca navigare solitaria come una pecorella smarrita.

Harry si appoggiò sul bordo della finestra, i suoi occhi che si riempivano dell’immagine di lei, Nadia, gli era apparsa come una stella così luminosa in quella voragine oscura in cui si ritrovava.

Eppure l’aveva dovuta scacciare, lontano da lui, dalla perdizione, da un mondo fatto di odio, vendette, sangue, vite perdute, mostri e marionette.

Anche lui era ormai diventato un personaggio di quel terribile teatrino di burattini, anche se la mano della marionettista ancora non lo calzava, lui era un osservatore.

E la burattinaia si avvicinava a lui sempre più come un’ombra terribile e devastante che divorava lentamente pezzi della sua vita cancellandolo.

Ormai da tempo sua madre gli pareva così distante, cancellata.

Sapeva di essere stato lui ad aver creato il muro che li divideva, ma non voleva distruggerlo, solo quella sottile parete separava quella donna dalla morte.

E ora Nadia.

Persa. Abbandonata. Per sempre.

L’aveva voluta salvare, ma lei sapeva troppo, era in pericolo, e vederla ancora avrebbe solo peggiorato le cose, ma non riusciva a dimenticarla.

Tutto ciò che vedeva in qualche modo gli ricordava lei e i suoi occhi dolci, occhi di lince, color della nocciola che lo guardavano con quella dolcezza infinita.

Sospirò continuando a osservare il cielo senza vederlo veramente e a vagare nei ricordi degli unici attimi con lei.

Un rumore lo distrasse, la serratura di casa scattò rumorosa, passi, una borsa poggiata sul tavolo, la porta richiusa.

-Ciao- sua madre lo saluto, sorrideva, il suo volto ancora giovanile incorniciato da boccoli biondi e gli occhi color del miele felici.

-Ciao- mormorò lui senza voltarsi, i loro incontri si facevano sempre più freddi e lui voleva che fosse così.

 -Harry non mi chiedi nulla?- lei si avvicinò e strinse il braccio del ragazzo fra le sue mani –Non vuoi sapere perché sono così felice?

Harry si voltò, lo sguardo spento e un’espressione piatta –Perché sei felice?- lo chiese cercando di sembrare scocciato.

-Mi hanno promosso!- esclamò lei –Capo reparto!- saltello attorno al figlio che non poté fare a meno di farsi sfuggire un sorrisetto soddisfatto.

 -Hai sorriso- disse la donna con voce affettuosa –Era da tanto che non ti vedevo sorridere.- la sua voce aveva un tono così malinconico che Harry sentì il muro crollare lentamente, mattone per mattone.

-Hai un così bel sorriso- disse lei carezzandogli i capelli come quando era piccolo –Dovresti mostrarlo più spesso.

-Non sono più un bambino- si lamentò lui cercando di distanziarla.

La donna sorrise materna –Per me sì.

Tre semplici parole.

Le parole più belle che Harry in quel momento potesse mai udire.

 

 

Josh tornò stancamente a casa e salì le scale che conducevano alla sua stanza.

Dimenticò presto la ragazza di poco prima, non doveva essere poi un problema così grave se era già stata a casa di Harry, e poi troppi altri pensieri occupavano la sua mente e Amy ne era padrona.

Lasciò cadere lo zaino sul letto e aprì la finestra illuminando l’opprimente stanza nera.

Entrò in bagno, si tolse la maglietta e si specchiò, la ferita brillava cupa sulla sua spalla sinistra, sempre più ampia.

Ormai si guardava ogni giorno e lo vedeva chiaramente, peggiorava, si deteriorava divorandolo lentamente verso la morte, il dono d’addio della Madre, qualcosa da non dimenticare: una morte certa.

Presto quella crosta sarebbe arrivata al gomito era questione di poco più di una settimana, forse, per fortuna avanzava lenta.

Appoggiò le mani sul bordo del lavandino, sotto lo specchio, e fissò il suo riflesso, occhi diversi l’uno dall’altro incastonati in un viso affilato e maturo, la sua pelle appariva cinerea, era alto e le sue spalle sembravano così larghe.

Socchiuse gli occhi: chi era il vero lui?

L’essere umano o il Cacciatore? La preda o l’assassino?

Appoggiò una mano contro il vetro, quella che si rifletteva aveva dita più sottili e scarne.

Si infilo la maglia e uscì dalla piccola stanza abbandonandosi sul letto.

Bugie. Bugie. Nient’altro che bugie. La sua vita era solo una bugia.

Mentiva a se stesso, mentiva ad Amy, mentiva a tutti.

Viveva da così tanto tempo in un’eterna menzogna che ormai non sapeva neanche più chi era, nemmeno lui sapeva la verità, la negava anche a se stesso.

Premette il volto contro il cuscino fino a soffocarsi, non voleva piangere, troppo semplice come via di fuga, eppure tutto quel dolore gli stingeva il cuore in una morsa tremenda, avrebbe voluto qualcuno con lui, una persona qualsiasi, ma era solo, solo come lo era sempre stato.

Tra lui e le altre persone vi era una specie di muro, una parete invisibile, sottile, ma che sentiva premere contro di se e allontanarlo dalla normalità.

Si stese di schiena, lo sguardo perso nel soffitto e le braccia abbandonate lungo i fianchi.

Normalità.

Allungò un braccio verso il soffitto quasi a voler raggiungere qualcosa di visibile solo a lui.

Normalità, una meta che non avrebbe mai raggiunto, mai, il suo destino era un’altro, un destino che non si può scegliere, un destino scritto da altri e che lui doveva solo seguire come un attore seguiva un copione.

Chiuse la mano sul nulla e la lasciò cadere sul letto pesante, il suo copione era immodificabile, lo sceneggiatore lo aveva già costruito da troppo tempo ormai.

Un tempo immemorabile.

Si alzò, la testa tenuta premuta contro le ginocchia, gli occhi socchiusi e i capelli a zazzera che lo contornavano disordinatamente.

Sospirò riempiendosi i polmoni d’aria, scacciando il dolore.

La recita della sua vita continuava e come un bravo attore non doveva mancare alla prima del suo spettacolo.

Si alzò dal letto, quella era la prima e l’ultima volta che si esibiva, niente repliche nella sua vita…

 

Procedeva stancamente alzando i piedi a fatica, strisciandoli sul pavimento producendo un sibilo sinistro ad ogni passo.

Continuava ad avanzare, il volto rivolto a terra e dei ciuffi ribelli che gli coprivano gli occhi.

-Muoviti!- inveì contro Caen il Sacerdote tirando le catene che stringevano i polsi del ragazzo segnandoli.

Caen stinse i denti, il dolore era insopportabile, ma non avrebbe dato segni di cedimento a quell’uomo, come poteva dargli una simile soddisfazione?

Le catene gli segnavano i polsi fino a farli quasi sanguinare, erano rossi, la carne viva era in mostra, grattata da quelle strette lastre di ferro.

Irea l’avevano lasciata andare, non era lei ad aver letto quel diario…

Lo sentiva ancora, nascosto nel suo mantello, la sua copertina di cartone nero che premeva contro il suo ventre e ad ogni passo traballava pericolosamente.

Per fortuna quel Sacerdote non aveva visto quel libro, sentiva che se l’avesse visto la punizione sarebbe stata ancora peggiore.

Era un segreto profondissimo, che distruggeva ogni sua sicurezza e che gli mostrava per quale mostro lui aveva avuto tanta dedizione in quei lunghi anni.

Tutti in quel luogo erano mostri, assassini, demoni.

Quant’era stato sciocco a non accorgersene prima.

Per anni era stato convinto che il suo modo di vivere fosse il più giusto,l’unico possibile, forse perché non conosceva altri modi.

Ogni parola che sgorgava dalle labbra della Signora lui la leccava come fosse miele e si lasciava cullare dal suono ipnotico che produceva quasi fosse una litania trasportante.

Sì, una droga dolcissima, che confondeva i suoi sensi e offuscava la sua mente rendendolo schiavo di una donna tremenda, rendendolo un semplice oggetto.

Incedette ancora, strisciando i piedi e seguendo il Sacerdode come se fosse uno stendardo bianco di salvezza.

Ma il bianco del mantello non rappresentava il colore dell’anima nera dell’uomo che tirava quelle catene con forza.

Un’anima affogata dall’odio e dal sangue, nera di morte.

Caen sospirò, era la fine, non se l’era mai aspettata così la sua morte, per mano della donna che per anni era stata la sua guida più grande.

Non l’avrebbe mai immaginato, eppure pensava che fosse giusto così, una specie di punizione che doveva meritarsi.

Però doveva salvare il libro, quello era molto più importante della sua vita, doveva salvarlo per Josh, perché meritava di sapere tutto.

Doveva sapere tutto.

Ma dove poteva nascondere il libro? Come poteva salvare il diario?

Non doveva andar perduto…

 

*Milli Lin*

   
 
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