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Autore: Pacci    30/06/2010    1 recensioni
Esso non dimentica e farebbe qualcunque cosa per averti... (Piccolo racconto, nato dall'onda di un sogno. Spero che possa piacere...)
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Fato non dimentica

 

 

 

Ancora quella canzone.

Quella maledetta canzone.

Anche se ormai aveva gli occhi aperti, quel canto infantile continuava a sussurrargli nell’orecchio.

“Nel buio tu verrai, perché molto presto mi vedrai”.

Rabbrividì, scalciando violentemente le lenzuola, e girò la testa per controllare l’ora sulla sua radiosveglia.

 Erano le sette del mattino. A momenti, sua madre avrebbe bussato alla porta per svegliarlo.

Si mise a sedere e chiuse gli occhi per ripercorrere con la mente ciò che aveva sognato.

Si era ritrovato in una stanza buia, con le spalle che strusciavano le pareti. Quando aveva proteso le mani davanti a sé, quelle avevano subito trovato un ostacolo. Non ci aveva impiegato molto a capire: si trovava all’interno di una tomba.

E quando giungeva a quella conclusione, partiva il canto. Non capiva tutte le parole, ma quelle che si ricordava, erano quelle che lo perseguitavano da sveglio.

Era la terza notte che sognava sempre lo stesso incubo e questo non lo metteva certo di buon umore.

Un rumore di passi in avvicinamento gli fece alzare la testa e il suo volto fu illuminato dalla luce che filtrava dalla porta appena aperta.

Sua madre, la donna che gli era stata più vicina in quegli ultimi anni, lo stava guardando con un’espressione strana. Gli sembrava spaventata, che lo costrinse a chiedersi che aspetto avesse in quel momento.

“Dimitri?” disse la donna sulla soglia.

“Sì, mamma”.

“Hai dormito?”.

La domanda gli parve bizzarra. Perché gli chiedeva se avesse dormito? Come se non lo venisse a controllare tre volte a notte.

“Dimmelo tu” ribatté con tono di sfida.

Sua madre assunse un’aria ferita e non lo degnò di una risposta. Si limitò semplicemente ad abbassare lo sguardo e a richiudere la porta.

Dimitri si lasciò cadere all’indietro. Avrebbe dovuto chiederle scusa adesso. Ma poi, scusa di cosa? Non era mica colpa sua se gli rivolgeva domande estremamente stupide.

Ma è colpa tua se lei è costretta ad alzarsi ogni notte per venirti a controllare, gli suggerì una voce non molto diversa da quella che cantava nei suoi incubi.

Dimitri la mise tacere, portandosi le mani al volto. Erano passati mesi dall’ultima volta. Mesi! Non poteva concedersi quei pensieri. Lo avrebbero trascinato di nuovo in quel circolo vizioso. Trascinato verso quelle domande che gli avevano rovinato l’esistenza e la giovinezza. Domande nate, subito dopo aver riaperto gli occhi in quel letto d’ospedale, dove aveva appreso la notizia della morte di suo padre e di sua sorella.

Dio, come gli mancavano.

Avrebbe dato la sua stessa vita pur di vederli per un istante.

Invece doveva accontentarsi di quella fotografia appoggiata al comodino, di fianco alla piccola lampada. Lì erano felici.

 Ma nello stesso giorno in cui era stata scattata, lui aveva avuto la brillante idea di andare a pesca con quel maledetto fucile subacqueo; di pregare suo padre di accompagnarlo con il gommone verso quell’affioramento di roccia, che le persone del luogo chiamavano: il Capo.

Lì, aveva sentito, si trovavano i pesci più rari e più strabilianti e lui voleva vederli e catturarli, così finalmente avrebbe avuto una bella collezione.

Suo padre aveva ceduto con un gran sorriso sulle labbra.

“Certo che ti accompagno Dimitri. Ma portiamo anche Gabrielle!”.

E lui aveva protestato a gran voce. Non voleva la sua sorellina tra i piedi, non avrebbe fatto altro che intralciarlo e infastidirlo, ma suo padre, l’uomo che in un futuro prossimo sarebbe diventato il suo esempio e il suo tormento, aveva fatto orecchie da mercante. Gabrielle sarebbe venuta, non avrebbe permesso altre discussioni.

Quando erano partiti, Dimitri era imbronciato e guardava la sua sorellina. Gabrielle aveva portato con sé la bambola, che gli avevano regalato per il suo sesto compleanno. Sembrava la sua copia in miniatura: carnagione color porcellana, grandi occhi azzurri e lunghi capelli mossi biondi.

Ci stava parlando, raccontandole di quanto fosse felice di poter fare qualcosa insieme al suo fratellone.

Anche se Dimitri aveva provato piacere sentendo quelle parole, non era riuscito a scacciare il fastidio che covava nei confronti della sua sorellina di sei anni.

Lui aveva desiderato solamente di stare un po’ con il suo papà, ma come sempre c’era anche lei.

Non avevano impiegato molto per raggiungere la loro meta. Quando erano arrivati, Dimitri aveva capito il motivo per il quale chiamavano quel luogo il Capo.

Un volto emergeva dalla roccia frastagliata, austero e severo, e sembrava fissare proprio lui, un bambinetto di undici anni pallido e molto magro.

Dimitri aveva distolto lo sguardo in gran fretta, suscitando l’ilarità di suo padre.

“Vuoi tornare indietro?” gli aveva chiesto in tono scherzoso.

Ma il ragazzino aveva scosso la testa, anche se dentro di lui sentiva il desiderio di allontanarsi da lì il più velocemente possibile.

“Ok, Dimitri. Tuffati, io ti aspetterò qui con Gabrielle”.

Dimitri lo aveva fissato.

“Non vieni con me?” aveva mormorato, conoscendo già la risposta.

“Devo stare con tua sorella. Ma non ti preoccupare, l’acqua è limpida e tu non hai intenzione di andare troppo in profondità, giusto?”.

“No, ma…”.

“Allora, ti guarderò da qui!” aveva detto suo padre. Non si era accorto dell’espressione ferita del figlio perché, in quel momento, si era voltato verso Gabrielle.

Dimitri sapeva che era inutile insistere, così si era preparato per immergersi. Grazie a suo padre, che era stato un istruttore di nuoto, aveva imparato fin da piccolo a nuotare alla perfezione, tanto che da lì a non molto avrebbe preso il brevetto da sub.

Una volta pronto, dopo aver indossato maschera e pinne, si era seduto sul bordo del gommone con la schiena rivolta verso il mare.

Aveva detto a suo padre di passargli il fucile non appena fosse emerso, e si era tuffato.

L’acqua era gelata e questo lo aveva rinvigorito, spazzando subito via la lieve tristezza che lo aveva colpito al rifiuto di suo padre.

Era affiorato dall’acqua, con i capelli castani inscuriti, e aveva chiamato il suo papà. Quest’ultimo gli aveva passato il fucile e Dimitri era tornato nel luogo che era diventato la sua seconda casa.

Ma non sembrava la stessa. Avrebbe dovuto essere più luminosa. Invece sembrava che i raggi del sole, il quale splendeva alto nel cielo sgombro di nuvole, non riuscissero a dissipare quella cupa oscurità che la avvolgeva.

Non gli piaceva. Si era guardato intorno smarrito e provando anche una viscida sensazione di terrore. Non sarebbero mai dovuti venire lì. Era freddo, malato e popolato, non da pesci, ma da qualcos’altro di sinistro.

Aveva fatto dietrofront, nuotando verso la boa di segnalazione che aveva lanciato suo padre vicino al gommone.

Fu in quel momento che un’ombra nera era spuntata davanti a Dimitri, sembrava essere giunta dal fondo. Era veloce e informe e stava puntando esattamente su di lui.

Per istinto, aveva messo in posizione corretta il fucile subacqueo e aveva sparato la fiocina. Aveva centrato il bersaglio veloce come un missile, ma quando l’aveva colpita, quell’ombra nera si era dileguata, sostituita da una striscia rossa.

Dimitri si era chiesto cosa potesse mai essere e perché avesse cambiato colore. Forse l’aveva ferita, visto che quel rosso gli sembrava del sangue, ma poi, quando aveva visto da dove proveniva, tutta l’aria che tratteneva nei polmoni era uscita per via dell’urlo silenzioso che lanciò: aveva colpito suo padre una decina di centimetri sopra il rene sinistro.

 La mancanza di ossigeno lo aveva costretto a riemergere.

Aveva sputacchiato acqua e, con orrore, aveva pensato sul da farsi. Aveva gettato via il fucile, incredulo che fino a quella mattina lo considerasse un prezioso amico, e si era voltato verso il gommone. Sua sorella era ancora sull’imbarcazione e non si era accorta di nulla.

In pochissime bracciate aveva raggiunto suo padre e lo aveva aiutato a stare a galla. Era svenuto e l’acqua intorno a loro si stava colorando di rosso.

“Aiuto!” gemette terrorizzato.

Non ce l’avrebbe mai fatta a issarlo sul gommone, era troppo pensante.

“Aiuto!” aveva ripetuto, ma la distesa d’acqua si stendeva infinita verso l’orizzonte.

“Dimitri?”. La voce di sua sorella era calma e dolce, come sempre. “ Dimitri, papà dorme?”.

“Sì, papà dorme” aveva risposto il fratello, già stremato dallo sforzo di nuotare e tenere a galla suo padre.

Gabrielle aveva riso e fu quello l’ultimo suono che Dimitri sentì. L’ultimo suono che lo avrebbe perseguitato per il resto della sua vita.

Anche se erano passati anni, non riusciva a ricordarsi cosa fosse avvenuto dopo. I medici dicevano che la causa era lo shock e che era stato un miracolo che lui fosse ancora vivo.

I pescatori che li avevano trovati, avevano dichiarato ai poliziotti, che si stavano occupando del caso, che quando li avevano raggiunti, avevano visto il ragazzino, svenuto sul gommone con il braccio serrato intorno al padre ormai morto. Quando gli agenti li chiesero poi che fine avesse fatto la bambina, i pescatori non avevano saputo rispondere.

 Gabrielle era sparita.

Una settimana dopo l’incidente, avevano ritrovato la sua bambola che galleggiava a parecchi chilometri di distanza e, grazie a quel ritrovamento, sui documenti ufficiali, era stato scritto che Gabrielle era morta per annegamento.

Quello fu l’inizio del tormento di Dimitri.

Tormento non ancora finito, che invece di scemare, era aumentato ogni singolo giorno, portandolo a com’era in quel momento, seduto circondato dal buio della sua stanza.

Si passò una mano tra i capelli lunghi e disordinati e decise di alzarsi, non perché volesse, era solo questione d’abitudine.

Strisciando i piedi, uscì dalla sua stanza e si diresse in cucina, dove trovò sua madre intenta a leggere il giornale con il volume del televisore al minimo.

Dimitri andò ai fornelli, sciacquò la caffetteria e preparò dell’altro caffè.

“Ne vuoi un po’ anche tu, ma’?”

Sua madre lo guardò con occhi spenti e annuì.

Mentre aspettava che il caffè uscisse, aprì l’armadietto marrone sopra al lavandino per prendere le fette biscottate e i biscotti. Poi aprì il frigorifero, prese la marmellata d’arance, per la quale andava matto, e si mise a preparare la sua colazione.

Compiva il tutto con gesti meccanici, non consentendo alla sua mente di vagare tra i suoi brutti ricordi. Non poteva soffrire le pene dell’inferno anche quel giorno, non lo avrebbe sopportato.

“Dimitri, che cosa hai intenzione di fare oggi?”.

Eccola, la domanda che gli dava il buongiorno ogni mattina.

“Il solito”.

“Cioè, niente?”.

“Esatto, mamma”.

“Non usare quel tono con me!” lo sgridò sua madre. “Io voglio che tu oggi esca!”.

Dimitri si bloccò. La caffetteria borbottava, ma nessuno dei due si preoccupò di spegnerla, erano troppo impegnati ad assorbire quelle parole.

“Vuoi che io esca?” ripeté incredulo. “Perché quale motivo dovrei uscire?”.

“I tuoi dottori mi hanno detto…”.

“Lascia fuori i dottori! Quello che mi dice lo psicanalista è una cosa privata tra me e lui! Tu non c’entri niente!” l’interrupe bruscamente, con furia.

“Hai ricominciato a fare degli incubi, vero?” lo prese in contropiede sua madre.

Dimitri non rispose, si limitò a fissare senza vederla la colazione che aveva preparato. Gli era del tutto passata la fame. Spense la caffetteria, che ormai protestava vivacemente, e uscì dalla cucina.

Voleva tornare nel suo buio personale.

Sentì dei passi dietro di lui e, controvoglia, si preparò ad affrontare la litigata giornaliera.

“Lo sai che cosa ti succede quando ricominci ad avere degli incubi. E io non sono più giovane come una volta per riuscire fermarti!”.

“Come sei tragica!” si lamentò Dimitri, con cattiveria. “ Sono solo attacchi di sonnambulismo, non faccio del male a nessuno!”.

“A parte che tenti di suicidarti ogni volta!”.

Dimitri arretrò come se lo avesse schiaffeggiato.

“Mi stai dicendo che, la prossima volta, me lo lascerai fare?”.

Sua madre sospirò.

“Dimitri, non costringermi. Se continuerai così, dovrò riportarti all’istituto”.

“Non hai risposto alla mia domanda” le fece notare Dimitri, ignorando le ultime parole dette da sua madre. “Ti ho chiesto: me lo lascerai fare?”.

“è come se ci sperassi…”.

Dimitri non si scompose. Non era la risposta che si aspettava, anzi, a essere sincero, non l’aveva proprio capita.

“Tu vuoi che esca?” domandò infine, desideroso di cambiare discorso.

“Sì, non voglio un morto che gira per casa” confessò sua madre, per poi mettersi una mano sulla bocca, sconvolta. “ Dimitri, io…”.

Ma lui fece finta di niente. Le voltò le spalle, entrò in camera e raccolse dei vestiti puliti, per poi dirigersi in bagno. Prima di chiudere la porta, guardò nuovamente sua madre, che era rimasta ancora ferma in mezzo al corridoio.

“Adesso questo morto si laverà, si vestirà e uscirà da casa. Poi, quando tornerà, farà le valigie e andrà all’istituto. Non è certo colpa sua se non è il morto che desideri veramente” le disse freddamente.

Chiuso in bagno, Dimitri permise alle lacrime di scorrere dai suoi occhi scuri. Non le trattenne, ma cercò di soffocare i gemiti che altrimenti sarebbero usciti dalle sue labbra.

Gettò una rapida occhiata allo specchio e il riflesso di un ragazzo magro, pallido e con profonde occhiaie rispose al suo sguardo.

“Che cosa hai da guardare?” mormorò alla sua terribile immagine. “ Non credevi che saresti diventato così, vero?”.

Rise. Una risata morta e secca.

All’improvviso, fu colto dalla voglia di uscire immediatamente da quella casa. Si fece una doccia veloce, si vestì, si lavò i denti e si legò i lunghi capelli con un elastico nero trovato nel cassetto sotto il lavandino.

Fece un respiro profondo e uscì dal bagno, aspettandosi di vedere sua madre lì in corridoio. Ma così non fu.

Leggermente sorpreso, notò che la porta della cucina era chiusa e che il televisore era a volume così alto, che temette di perdere l’uso dell’udito. Non se né diede pensiero e se ne andò.

Solo quando fu salito sull’ascensore, scendendo verso il pianoterra, si rese conto di quello che era successo. Lui, con le ultime parole che aveva rivolto a sua madre, le aveva detto addio.

Mentre camminava sul marciapiede sporco, stando attento a non urtare i ragazzini che come lui si stavano dirigendo verso il piccolo parco di zona, provò un immenso dolore. Non solo aveva perso suo padre e sua sorella, anche sua madre era diventata una sua vittima.

Reagì con forza a quel pensiero, scuotendo la testa da una parte all’altra. Era meglio così, si disse, adesso non c’era più nessuno che potesse in qualche modo infastidirlo; non c’era più nessuno che potesse farlo sentire in colpa per quello che aveva fatto; non c’era più nessuno, fine.

Giunse al parco e vide sulla sua sinistra una panchina vuota. Il suo verde originale era stato ricoperto da graffiti che andavano dai messaggi d’amore alle minacce, ma non perse tempo neanche a leggerne uno. La curiosità lo aveva abbandonato da tempo.

Si sedette e alzò la testa per cogliere il calore del sole primaverile, mentre le risate dei bambini risuonavano intorno a lui, provenienti dal parco giochi costruito di fronte.

Quanto avrebbe voluto tornare a quell’età. I problemi che i bambini dovevano affrontare erano così innocenti, rispetto a quelli degli adulti.

Aveva gli occhi chiusi e in un primo momento non si accorse di non essere più il solo seduto sulla panchina. Un cigolio glieli fece riaprire e lui si ritrovò accanto, un bambino con un enorme cono gelato in mano. Gli sorrideva, ma il sorriso non si allargava ai suoi occhi smeraldini. Il sole rendeva più chiari i suoi capelli dorati, talmente chiari che gli sembrarono per un istante bianchi.

Il bambino continuava a fissarlo sorridendogli e Dimitri cominciò a sentirsi a disagio.

Non era capace d’interagire con le persone, soprattutto con i bambini.

“Ciao” biascicò, tentando di apparire naturale.

“Ciao anche a te!”.

La voce del bambino era stridula e sgradevole e gli procurò dei brividi lungo la schiena.

“Come ti chiami?”.

Il bambino ridacchiò. “Dimitri!”.

“Anch’io mi chiamo così” disse Dimitri, ridendo anche lui. Era da tanto che non lo faceva.

“Lo so”.

La risata gli morì in gola e squadrò il bambino con sospetto, mentre un campanello d’allarme suonava in una parte non precisa e nascosta del suo cervello.

“Mi conosci?” gli domandò con tono apparentemente calmo.

“Sì” rispose il suo omonimo, “ da molto tempo”.

“Davvero? E allora perché parliamo solo ora?”.

“Dimitri” lo chiamò il bambino esasperato. “Tutti quei farmaci ti hanno reso davvero molto lento!”.

Dimitri strabuzzò gli occhi e il bambino rise quando notò la sua espressione stupefatta.

“Non ci sei ancora arrivato?” proseguì il suo insolito compagno di conversazione. “ è molto semplice il motivo!”.

“Sono impazzito del tutto, vero?” domandò il ragazzo, nascondendosi il viso tra le mani. “Sì che lo sono. Se no, non starei parlando con un’allucinazione!”.

Il bambino rise di cuore, ma la sua risata era fredda e penetrante. A Dimitri venne la pelle d’oca sentendola.

“Scusa, è molto maleducato da parte mia ridere di te. Gabrielle aveva ragione, ti credi tanto intelligente, quando invece non lo sei”.

“Gabrielle?” ripeté Dimitri. Aveva la bocca asciutta e il respiro cominciò a diventare più veloce. “Che cosa c’entra mia sorella? Mia sorella è morta anni fa!”.

“E chi meglio di te può saperlo?” lo provocò il bambino. “A proposito, hai mai scoperto cosa è successo dopo che hai sparato a tuo padre?”.

Sembrava essere sinceramente interessato, ma Dimitri notò il guizzo malevolo nei suoi occhi.

“Conosci già la risposta, visto che tu sei me, non è vero?”.

“Bingo! Ci sei arrivato, ma non hai ancora capito il motivo della mia venuta. Dai, piccolo Dimi, è semplice!”.

“Non mi chiamare in quel modo!” urlò Dimitri balzando in piedi e attirando gli sguardi preoccupati delle mamme vicino al parco giochi.

Il bambino assunse all’improvviso un’aria infantile e il suo volto si fece più fanciullesco. Anche la voce mutò, diventando dolce e delicata.

“Scusa, fratellone. Non lo farò mai più!”disse con un perfetto broncio.

Dimitri lo fissò a bocca aperta. Era sempre lo stesso, ma era anche diverso.

“Senti, siediti. Odio comportarmi in questa maniera, ma la nostra discussione non è ancora finita e non voglio che quelle pettegole vengano qua a interromperci” spiegò il piccolo Dimitri con la voce di prima, indicando le donne che ancora seguitavano a guardarli.

Il ragazzo era tentato di scappare, ma se quel bambino davanti a lui era una parte di sé, rendeva la fuga inutile.

Tornò a sedersi, tenendosi il più lontano possibile da lui.

“Non mi chiamare più in quel modo!” ripeté Dimitri.

Il bambino ghignò. “Pensavo ti piacesse. Era così che tua madre ti chiamava prima dell’‘incidente’. Ah, è vero. Ha smesso dopo che le hai ucciso le persone più importanti della sua vita!”.

“Smettila, ti prego”.

“Supplichi? Hai toccato veramente il fondo, allora” commentò il bambino sereno.

Dimitri lo osservò mangiare il gelato, che durante la conversazione non aveva iniziato a sciogliersi. E come poteva farlo. Non era reale, ma allora perché quella messinscena pochi minuti fa?

“Che cosa vuoi?” gli domandò.

Il bambino sospirò e scrollò le spalle.

“Io desidero una cosa, ma sei tu quello che deve scegliere”.

“Devo scegliere, cosa?”.

“Be’, in effetti, né che tu abbia molto tra cui decidere. Perdonami l’espressione, ma tu hai fatto una vita di merda. Rinchiuso in istituto d’igiene mentale a soli dodici anni perché avevi tentato di ammazzarti. Né che poi abbiano fatto un gran bel lavoro, visto che ci provavi lo stesso anche lì, mentre dormivi” disse il bambino, con cipiglio pensieroso. “Comunque, dopo anni e anni, ti hanno fatto uscire e spedito a casa di tua madre, dove lì ti sei rinchiuso in camera tua. Capisci, sei passato da una prigione all’altra. Questo non è vivere!”.

Dimitri lo fissò per un istante e poi scoppiò a ridere. La sua risata aveva un che di folle, ma era sincera e veniva dal cuore.

“Che cosa ci trovi di tanto divertente?” domandò il bambino, sorpreso.

“Ecco, vedi…”. Dimitri fece un profondo respiro per calmarsi. “ è che non riesco a credere che il mio subconscio si sia inventato te per dirmi che devo cominciare a darmi una mossa. È questo che vuoi che faccia, ho indovinato? Tu vuoi che io viva”.

Era così assurdo, che riprese a ridere non appena concluse.

Il bambino rise anche lui.

“ Oh, no! Io voglio che tu muoia!”.

Dimitri s’immobilizzò e un freddo terrore lo avvolse.

“Come scusa?”

“Ho detto che io voglio che tu muoia!” ripeté il bambino lentamente come se stesse parlando con uno stupido. “Pensaci. Che cosa hai che ti trattiene a questa vita? Non hai più una famiglia, non hai mai avuto amici, non hai delle passioni, non hai dei motivi per alzarti alla mattina. In poche parole, tu non hai assolutamente niente! A parte la tua stessa vita che stai buttando nel cesso da anni. Fidati, di me. Scegli la morte, faresti un favore a molte persone”.

“No!” esalò Dimitri con un sospiro. “No!”.

Si alzò e cominciò a retrocedere guardando con orrore quel bambino ancora seduto sulla panchina, con quel gelato che non sembrava mai finire.

“No!” urlò con forza nuovamente, per poi voltarsi e iniziare a correre.

Doveva tornare a casa. Aveva ragione quel diabolico bambino, lui non aveva niente, ma non gliel’avrebbe data vinta. Lui sarebbe sopravvissuto, imparando a vivere.

Uscì dal parco e si fiondò verso l’incrocio. Si arrestò solamente quando notò che il semaforo per i pedoni era sul rosso.

Cominciò a ballare sul posto impaziente che il verde scattasse. Forse sarebbe riuscito fare pace con sua madre, le avrebbe chiesto di perdonarlo e di credergli quando le avrebbe detto che sarebbe cambiato. Non avrebbe mai avuto una vita normale, ma poteva sempre tentarci.

A un tratto, con la coda dell’occhio, vide una bambina dai lunghi capelli biondi sfrecciare accanto a lui, subito seguita dal padre.

Tutto avvenne molto velocemente.

Dimitri vide arrivare l’auto che viaggiava a velocità sostenuta per usufruire ancora del verde; vide la bambina rannicchiarsi a terra per raccogliere la bambola che qualcuno aveva fatto cadere, vide suo padre correrle incontro e mettersela in braccio, mentre la macchina sfrecciava su di loro senza rallentare.

Una forza dentro di lui lo fece scattare. Corse verso il centro della strada e spinse via il padre con sua figlia, mentre un pensiero continuava a rimbombargli nella testa: non un’altra volta.

Era talmente concentrato sulle persone che aveva appena salvato, che si accorse dopo del dolore lancinante che provò all’anca.

L’urto con la macchina lo fece volare per parecchi metri e atterrò pesantemente sulla gamba destra, rompendosela in più punti.

Non ebbe, però, neanche il tempo di gridare perché quell’auto non aveva ancora finito con lui.

Gli passò sopra lo sterno sfondandoglielo, per poi arrestarsi, dopo innumerevoli testacoda, a un palmo del suo naso.

Sentì grida ovunque. Qualcuno che chiedeva a voce alta se era morto e altri che urlavano di chiamare l’ambulanza, ma lui si preoccupava solamente di quel padre con la sua bambina.

Con uno sforzo enorme, riuscì a muovere la testa. Gli sembrava pensante come un macigno e il movimento gli procurò delle vertigini e un accesso di tosse. Non si sorprese di sentire il sapore del sangue in bocca.

Non provava dolore e questo gli fece pensare che non sarebbe riuscito mai più a muoversi, ma in quel momento non gli importava. Doveva assicurarsi che suo padre e Gabrielle stessero bene, perché questa volta era riuscito a salvarli.

Li vide. Erano ai piedi del marciapiede che lo fissavano spaventati e sottoshock. Tentò di dire che gli erano mancati tantissimo, ma accanto a loro, c’era il bambino della panchina.

Era avvolto da un’ombra nera che lo copriva completamente, e una volta sparita, era comparsa una donna con un mantello nero e con il volto nascosto dal cappuccio.

Dimitri si ricordò all’improvviso ciò che era successo tanto tempo prima.

Era riuscito a portare suo padre sul gommone e stava per farlo partire quando sua sorella era caduta in acqua. Si era sporta dall’imbarcazione perché gli era sfuggita la bambola. Dimitri aveva lasciato perdere il motore e si era tuffato un’altra volta, ma l’ombra nera che aveva visto, era ritornata e avevo afferrato sua sorella portandola giù, nelle profondità del mare.

Aveva cercato ovunque, rischiando lui stesso di affogare, ma alla fine aveva dovuto arrendersi.

Era risalito sul gommone, aveva abbracciato stretto suo padre ed era svenuto, stremato dallo sforzo e dal terrore.

Ora a distanza di anni, Dimitri seppe la verità. Lì disteso nella pozza del suo stesso sangue, guardava quella donna di nero vestita che gli aveva rovinato la vita.

Sulle sue labbra salì una maledizione carica d’odio, ma non riuscì mai a pronunciarla perché la morte lo accolse.

Dimitri aveva raggiunto il buio.

 

  
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