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Autore: Lenfadir    13/09/2005    0 recensioni
Leggende su Burznumčn raccontate da un simpatico Oste
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo ancora quando si sedeva lě, a quel tavolo, con il solito sguardo perso, che non si intravedeva nemmeno sotto il cappuccio, nell’ombra della candela, sotto i pensieri, che tanto sembravano essere pesanti. A volte aspettava ore poggiato sul sudicio asse della porta, ad attendere un tavolo. Intanto mirava al di fuori delle finestre, con ansia nel corpo, quasi aspettasse qualcuno, o meglio un evento, misterioso anch’esso, ma che con coraggio si sarebbe affrontato. E vinto.
A volte, forse stanco di attendere la vittoria di quel evento che non veniva, mentre lui la aspettava poggiato lě su quel legno vecchio, si scostava da esso quasi con sdegno, facendo ondeggiare il suo mantello, nero lucente, di un velluto cosě magicamente pulito e nero, che quasi non sembrava esser provenuto da quella strada sudicia, esser sempre lo stesso sotto la tempesta, a volte sotto le lame e le asce che lo avrebbero voluto stracciare. Lo vedevi risoluto, il mantello, dirigersi verso il tavolo, mentre sotto di esso il suo padrone si trascinava quasi invisibile, quasi come uno spettro; con un gesto fulmineo ed elegante una mano faceva luccicare la spada da sotto il mantello, la estraeva, la posava sul tavolo. A volte tra le luci riflesse sulla lama si intravedevano anche quella specie di occhi rossi che scorgevi solo se lo fissavi nel nero del suo cappuccio (io lo feci una volta, e mi basta il terrore che ne ho provato), e quella specie di corona d’oro che doveva portare sulla fronte. Con un braccio accantonava tutto ad un lato; altrettanto faceva dei corpi degli addormentati sulla panca e si sedeva. Puntava la spada a terra, e con un colpo secco la ficcava tra le travi del pavimento, cosě che rimaneva eretta, muta, silenziosa, fedele, quasi fosse un cane da guardia. Un gomito poggiava lieve e possente sul tavolo, la mano destra giocherellava con una spilla d’oro e rubini, elficamente intarsiata, il volto tornava rivolto ancora verso il buio fuori la finestra.
Sono poche le parole che ho sentito pronunciare da quell’uomo misterioso. Quando mi avvicinai la prima volta, servilmente, proponendogli un banchetto da hobbit (e pronto a darglielo per intero anche per senza niente: č certo che se questi tipi si alzano e se ne vanno senza pagare, io non gli corro dietro!) lui rispose solamente: ”da bere”, con voce ferma, secca, sicura, umana, senza smuovere lo sguardo, alzando la mano sinistra e facendomi intravedere 3 monete d’argento. Io tirai un sospiro di sollievo, e corsi a prendere una bella birra, di quelle raffinate: tutti cosě dovrebbero essere i forestieri! (almeno per il pagamento).
Per un anno buono venne almeno una volta a settimana, sempre le stesse scene, gli stessi gesti sicuri e misteriosi. Non ho mai saputo come si chiamasse, ma io l’ho sempre chiamato Burznumčn.
  
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