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Autore: Ariadne_Bigsby    30/06/2010    5 recensioni
John rimase incantato per un attimo, guardando la foto. Ripercorse ancora una volta con lo sguardo i quattro volti, lasciando il suo per ultimo. Quando alzò lo sguardo si vide riflesso nello specchio appeso al muro davanti, ed avvertì il peso degli anni gravargli sulle spalle come un macigno. Aveva quaranta anni, il giorno dopo avrebbe avuto quaranta anni e due mesi esatti...

"Prequel" della vicenda raccontata in "Here There and Everywhere", ovvero le esperienze vissute da John Lennon prima di prendere la decisione di scendere nuovamente sulla terra. Ff scritta in concomitanza con"Here There and Everywhere" (non ho resistito alla tentazione di pubblicarla adesso..." xD
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison, John Lennon , Stuart Sutcliffe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'John in the sky with diamonds'
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jjj

 

Be-Bop-A-Lula

“Be-bop-a-lula,

I don't mean maybe”



“John! John! Joooooooohn !”

John Winston Lennon, 16 anni stava ancora dormendo nella grossa, quando la voce acuta di sua zia lo strappo prepotentemente dal sogno che stava facendo.

“Mmmh…che….cosa…c’è?” mugolò il ragazzo da sotto le coperte, la voce ancora impastata dal sonno.

“A volte riesci a sorprendermi, ragazzo..” rispose la zia entrando in camera “oggi non hai quella…esibizione alla chiesa di St.Peter?”

John, che era disteso sul suo fianco destro, la faccia voltata verso la parete, si girò lentamente verso la fonte del rumore:,la luce del sole filtrava fra le tendine ed il ragazzo dovette aprire piano gli occhi, troppo abituati all’oscurità poiché aveva tenuto il viso coperto dalle lenzuola, come se fossero un nido dentro il quale rifugiarsi.

“Lo so benissimo donna. Però la festa è alle 3.” Rispose John ritrovando subito il suo tono strafottente.

“Sono le 11, ti pare il caso di restare ancora a letto?” infierì la zia cominciando a strappare via le coperte dal letto.

 John si aggrappò alle lenzuola come se fossero un tesoro prezioso e cominciò a lamentarsi “Mimi, per piacere non cominciare di mattina a rompere! Ho sonno e oggi devo suonare…vorrai pure che il tuo nipote preferito sia in forma smagliante..vero? ” si fermò un attimo e dedicò alla  zia uno di quei sorrisi che (secondo lui) l’avrebbero fatta cedere. Peccato che la zia fosse immune a quei sorrisetti che volevano accattivarsi la sua simpatia.

“Non discutere con me John. Ora ti alzi, metti a posto la camera e poi potrai andare a fare colazione.”

“Ok, però prima faccio colazione e dopo metto in ordine…” acconsentì John, scendendo di malavoglia dal letto. Si stiracchiò, mentre la zia si dirigeva verso un’altra stanza della casa borbottando qualcosa sulla svogliatezza del nipote. Mentre si stropicciava gli occhi, John  pensò che c’era un’atmosfera particolare quel giorno.

Era il 6 Luglio del 1957, John ed il suo piccolo gruppo, i “Quarrymen” erano stati ingaggiati per suonare ad una festa nel piccolo parco della chiesa di St.Peter Era un’ottima occasione per farsi conoscere dalla gente e  per mostrare le proprie abilità. Ovviamente tutto questo si applicava solo a lui, a John stesso. Il ragazzo era consapevole della propria superiorità tecnica su gli altri membri del gruppo.

Dopo essersi lavato e vestito con quella camicetta a quadri rossa che gli aveva regalato Julia, sua madre ed un paio di pantaloni neri, John scese le scale con sorprendente leggerezza e si diresse verso la cucina, dalla quale proveniva un delizioso profumo di caffè. Quando guardò l’orologio  capì che, come al solito, la zia aveva “arrotondato” di molto sull’ora (erano infatti le 10 e mezza) John sospirò rassegnato. Sua zia non vedeva di buon occhio la sua passione per la chitarra ed aveva cercato di ostacolarlo in tutti i modi.

Aveva perfino cercato di far sparire la chitarra rosso fuoco del nipote (ma John la aveva prontamente intercettata e se la era ripresa, imprecando e giurando che da quel giorno in poi ci avrebbe pure dormito insieme se qualcun altro avesse osato sfiorarla) quella chitarra pagata 17 sterline e che, secondo lei non lo avrebbe mai portato a nulla, se non ad una vita da vagabondo come suo padre.

John si sedette al  tavolino della cucina, sorseggiando il caffè ed agitandolo un poco per far spandere lo zucchero e per disperdere il calore: prese due biscotti dal contenitore e cercò di buttarli giù. Non aveva molto appetito, ed il che era strano. Poteva ricollegare tutto questo all’ansia per l’imminente show ed all’emozione.

Non sarebbe stata la prima volta in cui si esibiva davanti ad un pubblico: John ed il suo gruppo avevano già suonato in Rosebery Street ed avevano pure avuto un discreto successo (e John si era attirato le antipatie di un gruppetto di teppisti, li aveva sentiti minacciarlo di botte non appena fosse sceso dal palco ed era stato costretto a rifugiarsi in una casa li vicino, per scampare ad un pestaggio da parte di quegli esaltati).

Screzi con il pubblico a parte, John adorava esibirsi sul palco: appena le sue dita si erano mosse su quelle corde aveva provato un’emozione indescrivibile. Era la cosa più bella del mondo, meglio di qualunque sigaretta fumata di nascosto ai grandi, meglio di qualunque furtarello con gli amici, meglio di Elvis…insomma uno sballo !

E John sapeva che quella era la sua strada: non riusciva a vedere alternative nella sua vita. Cercò di immaginarsi per un attimo seduto dietro ad una scrivania, con la camicia immacolata, il colletto inamidato, davanti a se una macchina da scrivere con tonnellate e tonnellate di pratiche dal contenuto misterioso ma agghiacciante da revisionare e compilare.

John rabbrividì e bevve i rimasugli di caffè in un sorso solo: decisamente quello non sarebbe stato il suo futuro. Lui era destinato a qualcosa in più, era destinato a brillare su tutti….solo che non lo sapeva ancora.

Ovviamente non avrebbe mai osato formulare pensieri del genere: era vero che non riusciva ad immaginarsi come un qualunque “working class man “ ma il suo futuro gli appariva ugualmente nebuloso ed incerto. Non sapeva cosa ne sarebbe stato di lui fra dieci anni. Nel dubbio lui suonava e questa era la dannazione di zia Mimi, che avrebbe invece preferito che lui si impegnasse di più a scuola, invece di farsi sospendere per la cattiva condotta o fare collezione di brutti voti.

Dopo che ebbe finito di fare colazione, il giovane John Lennon sparecchiò con calma, e si diresse verso camera sua in cima alle scale: mentre si dirigeva verso le scale, si vide riflesso nello specchio dell’ingresso. Era uno specchio molto grande dalla cornice color dell’oro, anche se in alcuni punti il legno era annerito. John contemplò la propria immagine. Sbuffò quando si accorse che il suo adorato ciuffo “alla Elvis” si era afflosciato e doveva quindi correre a impomatarsi di brillantina prima di uscire. Salì le scale evitando di fare rumore (o la zia avrebbe potuto affibbiargli qualche incombenza da svolgere, cosa di cui lui non aveva la minima voglia) e si diresse in bagno dove cominciò a risistemare i capelli. Fatto ciò tornò in camera (che, come sempre era nel caos più completo e la zia ormai l’aveva definita “Hiroshima dopo il bombardamento”) si mise a sedere sul letto sfatto ed acchiappò la sua piccola chitarra posta a fianco della testiera.

Cominciò a strimpellare qualche nota delle canzoni che avrebbero suonato quel pomeriggio poiché avevano in programma alcuni pezzi: John ovviamente aveva già in testa di “fare a modo suo”. Aveva dato indicazioni agli altri membri del suo gruppo sulle canzoni da suonare: non che per suonare lo skiffle ci volesse un grande talento musicale (Pete Shotton per esempio era stonato come una campana e, per lui un la poteva benissimo confondersi con un si) ma la chiesa di St.Peter aveva richiesto un programma e John, con il suo solito spirito dittatoriale aveva imposto ai suoi “colleghi” una lista di canzoni.

Queste canzoni erano “Be-Bop-A Lula“ , “Come go with me” (dove, nonostante i pomeriggi passati a leggere i testi, John continuava a dimenticarsi le parole della strofa centrale) ”Puttin’ on the Style” e “Baby let’s play house”. In realtà John aveva avuto anche una mezza idea di inserire l’irriverente “Maggie Mae”, la canzone degna della miglior peggiore bettola di Liverpool. Sarebbe stata una figata suonarla ad una festa parrocchiale, pensava John mentre si accingeva a pulire la chitarra.

Il tempo intanto passava e la zia per fortuna non si faceva vedere: John alla fine decise di mettere un minimo d’ordine nella stanza (“Non vorrei che Mimi mi chiudesse a chiave in casa se continuo a tenere la stanza in questo stato..” aveva pensato John mentre raccoglieva le innumerevoli riviste che spargeva sul pavimento dopo averle lette) e di ripassare velocemente gli accordi delle canzoni ( e le parole di quella dannata “Come Go With Me” che proprio non ne voleva sapere di entrargli in testa).

All’ora di pranzo, mentre il ragazzo mangiava in fretta e furia un pezzo  di pane col prosciutto, trafugato dalla cucina,  sentì un gioioso strombazzare sul vialetto e per poco non gli andò tutto di traverso per la sorpresa. John si affacciò alla finestra e quello  che vide lo fece morire dalle risate: sul  montacarichi un furgoncino scassato e fuligginoso (guidato dal padre di Rod Davis) stavano i suoi “colleghi”. Sembravano tutti molto rilassati e felici e si sbracciavano per chiamare il loro leader sul furgoncino.

“Winnie muoviti che arriviamo in ritardo! Non inauguriamo la giornata con le nostre solite figure!” gli urlò contro Pete Shotton.

“Shotton aspetta che salga su quel furgone e ti stacco quella maledetta  testolina di cazzo che ti ritrovi “ ci pensò un attimo “anzi no, prima ti uso per fare una mega figura di merda al concerto e poi ti ammazzo perché abbiamo fatto schifo!” gli urlò John di rimando dalla finestra.

Pete ovviamente non se la prendeva mai a male per queste risposte (era consapevole di essere un musicista scarso quasi quanto sapeva che John odiava con tutto il cuore essere chiamato Winnie).

Un trafelato John uscì a razzo di casa (rischiando di travolgere una sconvolta zia Mimi) ma dovette rientrare di corsa perché nella foga si era dimenticato la chitarra sul letto. Dopo aver fatto dietro-front John si precipitò di nuovo fuori di casa, mentre la zia gli urlava dietro “John ma quante volte ti avrò detto di metterti gli occhiali?! La prossima volta ammazzerai il gatto, me lo sento!”

John rise fragorosamente e si diresse verso il furgone: Len Garry gli porse la mano per aiutarlo a salire e sistemarsi sulle panche poste dal padre di Rod. Erano circa le due e mezzo, quando il furgoncino partì alla volta della piccola chiesa di St.Peter (Il padre di Rod aveva insistito per scattare ai ragazzi alcune foto sul retro del furgone) dove arrivarono con lieve anticipo.

Il cortile della chiesina era gremito di gente: bambini che si ingozzavano di zucchero filato, ragazzi che giravano per le bancarelle, adulti che parlavano di quei temi che loro trovano così tremendamente interessanti e che risultano incomprensibili al 99% degli adolescenti, poliziotti con i loro cani ammaestrati (sarebbero stati una delle attrazioni della giornata), coppiette di fidanzatini che passeggiavano mano nella mano…

Mentre John scendeva dal furgone, leggermente frastornato dal rumore del  motore e dal caldo sprigionato da esso, si sentì chiamare da una voce conosciuta. “Johnny!Johnny!” disse una donna dalla folta chioma color rame che si sbracciava per farsi vedere. John sorrise e si diresse verso di lei “Salve Julia. Ti sei fatta un bel pezzo per venire qui eh?” disse John sorridendo

 

“E come potevo mancare?” rispose lei spalancando gli occhi azzurri “è il tuo primo concerto importante e non me lo sarei perso per tutto il tè della Cina!” sorrise e fece una carezza sul volto di John.

“Grazie mamma…sono contento che tu sia venuta..” replicò John arrossendo leggermente ma riprendendosi subito alla vista di un’altra chioma conosciuta, stavolta bionda.

“Scusami Julia, torno sub…” stava per dire John, ma lei aveva seguito il suo sguardo ed aveva intuito. Prima che John potesse finire lo bloccò con un gesto della mano “Ah, non dirmi nulla! Vai pure John ci vediamo dopo…in bocca al lupo per lo spettacolo!Sarò  in prima fila ad applaudire e a dire a tutti che quel ragazzo stupendo che potrebbe benissimo scalzare Elvis è mio figlio!”

John arrossì di nuovo, mentre lei si allontanava e la ragazza bionda si avvicinava “John!” trillò lei tutta felice “Ciao Barbara..” rispose John dando alla ragazza un rapido bacio sulla guancia.

“Ehi, che allegria! Tutto bene Johnny?” gli disse lei prendendogli la mano

“Scusami Babs..è che sono un po’ nervoso.”

Barbara aggrottò le sopracciglia “Tu? Nervoso? Ma fammi il piacere, mi sorprenderei molto di meno se tu mi dicessi che hai intenzione di andare a lavorare in un circo..che poi non è neanche del tutto da escludere visto come ti comporti..”

In tutta risposta, John le dedicò una di quelle espressioni da idiota che facevano sempre scoppiare a ridere gli astanti , cosa che lei fece senza esitare. Lui le strinse la mano un po’ più forte, ma il suo sguardo continuava ad essere rivolto verso il piccolo palco innalzato sul furgoncino sopra l’’erba riarsa dal sole.

C’era una piccola processione e la performance di un altro gruppo prima dei Quarrymen e John passò un po’ di tempo con Barbara, la sua ragazza prima di andarsene dai suoi amici.

“Beh? Quando ti rendi conto che la tipa non sa suonare nemmeno una nota di “Be-Bop-A-Lula” ti ricordi che esistiamo anche noi?” lo provocò Colin Hanton. “Tutta invidia, tutta invidia..” replicò John sorridendo ed imbracciando la chitarra. Si specchiò su un vetro del furgoncino, si sistemò il ciuffo (i ragazzi dietro di lui sbuffarono) e poi salì sul loro piccolo palco. John fu il primo a salire ed aiutò gli altri con gli strumenti. Il pubblico li osservava, chiacchierando senza posa.

Era arrivato il temuto momento delle presentazioni: John abbozzò un sorriso che voleva essere accattivante e, con la chitarra rossa in spalla si avvicinò allo stelo del microfono.

“Come butta gente?” la sua voce squillante risuonò per tutto il cortile “fa un po’ caldo eh? Il sole si è ricordato che in effetti esiste anche l’Inghilterra..” si rese conto che la gente lo stava guardando un po’ stranita.

“Psst John maledizione!” gli bisbigliò Pete “vogliono uno spettacolo di skiffle, non un dannatissimo cabaret!”

John gli assestò un calcio negli stinchi, stando attento a nascondere il piede dietro l’amplificatore, sempre con un sorriso smagliante.

“Bene gente direi che è ora di cominciare! Noi siamo i “Quarrymen”! Si, veniamo proprio da quella scuola, la Quarrybank! Eh, ehm..noi siamo…” (nuova occhiata truce da parte di Pete) “ ..dunque l’albino al mio fianco è Pete Shotton che suona il washboard perché non riesce a suonare nient’altro. Poi abbiamo Len Garry al Tea Chest Bass, Colin Hanton alla batteria ed il signor Davis al banjo..” disse John indicando uno ad uno i componenti del gruppo “ed io sono John Lennon con Winston per secondo nome. Però non dovete confonderlo con il Winston delle sigarette, non siamo neanche cugini di secondo grado!” dal pubblico si levò qualche risolino divertito, davanti al carisma di John “…io invece suono la chitarra e canto. Abbiamo un po’ di canzoni in programma per voi quest’oggi e vorrei cominciare da un grande classico che risuona da anni nei porti della nostra amata Liverpool, un canto nato sulle  rive del Mersey…Signore e signori i Quarrymen ora si esibiranno in “Maggie Mae!”E John iniziò a suonare freneticamente sulla sua chitarra, prima che qualcuno potesse dissentire: gli altri furono costretti ad andargli dietro per evitare una figuraccia.

Ce l’aveva fatta, era riuscito a proporre quella canzoncina irriverente davanti ad un pubblico di gente per bene. Ovviamente John la cantava con uno stile tutto suo, dove l’accento Scouser si avvertiva appena. Dopo “Maggie Mae” (il pubblico si era profuso in applausi scroscianti e la madre di John aveva addirittura iniziato a saltellare dall’emozione) John si cimentò nell’esecuzione “Baby let’s play house” che fu accolta più tiepidamente e di “Be-Bop-A-Lula” che cantò dirigendo più volte il suo sguardo verso Barbara Baker e facendole l’occhiolino. Arrivò infine il temuto momento in cui avrebbe dovuto suonare “Come go with me” e John dovette fare appello a tutto il suo coraggio per iniziare: cominciava a sentire il caldo opprimente e la spossatezza dovuta all’adrenalina ed all’emozione.

Come previsto John si era dimenticato la strofa centrale e, mentre la canzone procedeva cominciò a pensare disperatamente ad altre parole da inserirci. Alla fine optò per una frase che non aveva assolutamente nulla a che fare con il testo originale e che fece sorridere gli ascoltatori più attenti. Fra questi ascoltatori spiccava un ragazzino sulla quindicina: aveva i capelli scuri pettinati alla perfezione che gli conferivano un’aria da bambinetto smarrito ed aveva due grandi occhi verdi che scrutavano John colmi di ammirazione e meraviglia. Trovava incredibile questa rapidità  nell’improvvisare le parole.

Ben presto il piccolo concerto terminò: John e compagni furono lodati dal pubblico e premiati con una scorta notevole di birre, che i ragazzi presero a tracannare senza sosta mentre si spostavano in uno stanzone attiguo alla chiesa. Era arrivato il momento dell’esibizione dei cani poliziotto ed ai ragazzi era stata concessa una pausa. Ovviamente avevano esagerato con l’alcool e se ne stavano in panciolle (John era praticamente riverso su una panchina posta nella sala in preda ad un attacco di risate incontrollabili e interessatissimo a contare il numero di travi sul soffitto).

Mentre il gruppo osservava John che contava con entusiasmo le travi, fecero il loro ingresso nella sala due ragazzi: il primo era alto e biondiccio, le mani infilate in tasca e l’aria rilassata. Il secondo era quel ragazzo dagli occhi verdi e l’aria da bambino che aveva osservato John suonare con tanto interesse.Lui , a differenza del suo compagno sembrava preoccupato ed ansioso.

“John?” lo chiamò il primo ragazzo, che si chiamava Ivan Vaughan “John c’è qui una persona che vorrebbe parlarti..”

John, sempre ridacchiando si mise a sedere e scrutò Ivan “Ma io non vedo nessuno. Ci sei solo tu e quel bambino. Cos’ è una fan timida?” disse sporgendo il collo per guardare oltre le spalle di Vaughan.

Ivan sospirò :”No John il ragazzo dietro di me deve parlarti..” John si ricompose per un attimo “Hai anche il coraggio di chiamarlo ragazzo? Questo qui avrà dodici anni al massimo..ehi, ehi tu! Quanti anni hai? Dodici?”  berciò John all’indirizzo del ragazzino.

“No..” rispose lui piano ma con tono risoluto “ne ho quindici..”

“Wow, addirittura quindici! Ma allora sei grande!” commentò John in tono sarcastico. Poi parve ritrovare la calma e gli chiese in tono più gentile (ma sempre con quel sorrisetto ironico stampato in faccia) “Beh? Che c’è? “

“Io..beh volevo dirvi che è stato uno spettacolo..Interessante…” disse il ragazzino sistemandosi la sua candida giacchetta bianca. “Uh uh..ma non hai caldo con quella?” disse John indicando la giacca.

Ivan sospirò e poi disse “John, ascolta e non sviare..”

Il ragazzino prese un po’ di coraggio e disse “Beh io..ehm..ecco…” guardò fissamente per terra strusciando un po’ il piede “ecco, ilfattoèchemipiacerebbesuonareconvoi “ disse il ragazzino a a velocità supersonica.

“Cosa vorresti fare tu?” esclamò John strabuzzando gli occhi e facendosi quasi  scappare di mano la bottiglia di birra.

“Suonare. In un gruppo, ecco”

Gli altri membri dei Quarrymen osservavano John in attesa della risata, ma John deluse le loro aspettative e non rise. Pose la bottiglia sulla panca e si avvicinò al ragazzino lentamente, così lentamente da incutergli timore e costringerlo a fare un passo indietro.

“Come ti chiami?” gli chiese in tono neutro.

“Paul. Paul Mc Cartney” rispose il ragazzino tendendo la mano. John la fissò per un attimo, poi la strinse.

“Vorresti suonare con noi eh ?” gli chiese John in un tono che poteva sembrare canzonatorio. Paul (che era più basso di John di tutta la testa) alzò i suoi grandi occhi verso quelli di John “Si. Suono la chitarra .Ho imparato da solo. Posso dimostrartelo se vuoi…” John non proferì parola, ma prese la sua fida chitarra rossa  e la porse al ragazzino. “Vedremo. Cosa sai suonare? Qualche ninna-nanna? Le canzoncine Disney?” lo provocò John.

“No..” rispose risoluto McCartney. Sotto gli occhi stupiti di John e dei Quarrymen imbracciò la chitarra al contrario (Ivan non sembrava particolarmente colpito, forse ne era già a conoscenza) “posso suonarti “20 Fight Rock” di Eddie Cochran.”

E senza aspettare la risposta di John, il piccolo Paul iniziò a suonare la famosa canzone ben conosciuta da ogni amante del rock n’roll cantando con una vocetta acuta, ma dolce che pareva la netta contrapposizione della voce un po’ acerba ed aspra di John.

E fu proprio in quel momento che la vita di John Winston Lennon subì una brusca inversione di marcia: aveva conosciuto colui che sarebbe diventato il suo migliore amico, il suo partner musicale, colui che lo avrebbe accompagnato in quel tortuoso cammino che era la scalata verso il successo. La vita di John prese in quel caldo giorno di inizio Luglio  la rotta che lo avrebbe portato verso lidi sconosciuti, verso coste piene di ricchezza, verso le spiagge del successo e verso la leggendaria isola dell’immortalità.

 

 

Penny Lane

Zaz: Uuuh! Ho Stu in dotazione ancora per un pochetto! Che bello!!! *si mette a ballare con Stu mentre John la guarda male* Per quanto riguarda il commento…non ti preoccupare..io che dovrei dire? Ho ancora 122873289371378 (periodico) capitoli da recensire…e non trovo mai il tempo >.< L’immagine è perfetta, appena l’ho vista ho pensato che fosse perfetta per la storia..Sembra quasi fatta apposta *guarda sospettosa John che fischietta con aria innocente* Uhiuh sai che non ci avevo pensato a Stu che bisticcia con gli artisti? Mi hai dato un’idea…grazie!!

Night: *fa pat-pat a Night* lo so, lo so…..John poteva benissimo restarsene li. Aveva la villa, aveva il giardino…cosa vuoi di più dalla vita? *

Ari: Ti prego John non rispondere un Lucano!

John: Perché? E’ sottinteso!

Ari: -.-“

Quando pensa a quando era bambino…awwww è davvero dolcino! Ce lo vedevo troppo a mangiare la marmellata di nascosto *John nel frattempo sta dando fondo ai cioccolatini*

Thief: Si, John è un eterno indeciso, un’anima tormentata. Sarà interessante vedere come si comporterà nel corso della storia e se tenterà o meno di contravvenire alle regole *John si prepara un armamentario degno di Indiana Jones* Per quanto riguarda i guai..mm non garantisco nulla! *risata malvaglia*

Andry: Ehm, ehm, ehm *si lancia occhiate d’intesa con John che comincia a preparare freneticamente le valigie* ma noo…cosa ti fa pensare che io sia Ariadne..ehm ehm..

Scherzi (sigh ) a parte..sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto! Penso che insisterò molto sui ricordi di John (come ho fatto in questo capitolo) alternando le vicende di John nell’Aldisù con questi lunghi flashback sui momenti più importanti della sua vita…

Grazie a tutti voi che avete recensito ma anche a chi ha solo letto! Al prossimo capitolo!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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