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Autore: Tifawow    01/07/2010    4 recensioni
-tu sarai una lucciola...- disse, quasi senza accorgersene, gli occhi ancora fissi su quel sorriso meraviglioso che Camus gli rivolgeva.
L'altro, perplesso da quella reazione, lo guardò fisso con aria interrogativa -e questa da dove ti è uscita?- domandò.
-ecco...- il volto del Santo dello Scorpione, si accese improvvisamente di una nota delicata, così strana in lui, eppure così perfettamente consona -è che tu non brilli mai, quando gli altri si accorgono che ci sei...- spiegò, continuando a guardarlo negli occhi -sei così bello, così luminoso, così...ahh! Non saprei nemmeno dirti quanto lo sei! Eppure...non brilli mai, quando gli altri ti guardano...-

I pensieri di Milo, dopo la morte di Camus alle Dodici Case...un dolore che non si spegnerà mai. Precedente alla serie di Hades.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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..::.Come una lucciola.::..


Pioveva.
Pioveva ormai da molti giorni al Grande Tempio di Atene, incessantemente come una nenia, pesante come il piombo che nel proprio cuore portava, chi in quei giorni piangeva le anime perdute dei propri fratelli, dei propri amici, di valorosi cavalieri.
Il vento soffiava, forte e rabbioso, piegando le fronde degli imponenti alberi che presiedevano la zona al proprio volere, proprio come gli Eventi e il Destino avevano fatto le vite degli abitanti del luogo.
Tutte le verdi colline che circondavano la città, e che in primavera erano un tripudio di fiori e bellezza, erano ora un enorme pozzanghera, un convoglio di acqua e fango.
Di dolore e desolazione.
Un 'unica, immensa coltre di nubi grigie copriva il cielo, pesanti, così scure e lugubri da non permettere a nessun sprazzo d'azzurro di mostrarsi al mondo.
Nessuno tranne uno.
Due occhi azzurri, due occhi del medesimo color del cielo dopo la tempesta, splendevano ora di lacrime nel silenzio di quel grande giardino solitario, fissi su una lapide, fissi su una tomba, la tomba che recava con onore le spoglie mortali di un Grande Cavaliere, di un nobile guerriero, di un uomo amato.
Era lì da ore ormai, Milo di Scorpio, da prima ancora che la pioggia avesse cominciato a battere incessante, forse da ancora prima che il sole sorgesse. Perché non vi era altro posto al mondo, dove il Cavaliere volesse essere: in piedi, di fronte alla tomba di Camus dell'Acquario, vestito della Sacra Armatura che da anni deteneva.
Una lacrima, non la prima e di certo non l'ultima, scese solitaria dal suo occhio sinistro, scivolando lentamente lungo la guancia e perdendosi poi nell'aria.
Tutto dentro di lui, era come nebbia.
Nebbia che lo opprimeva, che lo oscurava, lui ora anima perduta costretta a vagare solitaria, senza un appiglio, senza un appoggio, solo in quel mare di nebbia che lo soffocava lentamente, giorno dopo giorno da quando era successo, in quel luogo, in quel tempio che una volta gli era parso così bello e luminoso, e che ora gli era estraneo, lontano, quasi stretto.
Un tuono rombò nell'aria, forte potente, per pochi attimi prima che il silenzio calasse di nuovo sul giardino. Silenzio sovrano, come una cappa oscura che su di lui era scivolata, avvolgendolo completamente, isolandolo dal mondo intero, dai suoi compagni, dalla sua vita.
Perché non c'era più vita ora.
Non senza Camus.
E Camus non era più con lui.
A che cosa erano servite le Guerre, le Battaglie che avevano vissuto insieme? Che fine avevano fatto tutte quelle promesse tra di loro sussurrate?
Il Cavaliere dello Scorpione non lo sapeva.
Sapeva solo di essere solo.
Senza Camus.
E quella solitudine, era più fredda dei ghiacci di cui un tempo il suo amato era Signore.
Veniva tutti i giorni Milo, veniva sempre a trovare il suo amato, e per ore e ore restava in silenzio, a piangere, a ricordare i momenti che avevano trascorso e condiviso insieme, a chiedersi perché il Fato avesse voluto separarli.
Loro due, indubbiamente anime gemelle.
Loro due, uniti dal cielo di Atene.

-Torna qui Aiolia!-.
Un assolato pomeriggio d'estate, una calda e torrida giornata di fine agosto, accoglieva ora le sue risa da bambino, e la lieve brezza proveniente dal mare portava con se il calore della sabbia e il profumo della salsedine.
Milo, futuro Cavaliere dello Scorpione, un bambino vivace, sveglio e curioso, almeno a detta dei cavalieri più grandi che si occupavano della sua istruzione, dai capelli biondi come l'oro e gli occhi azzurri, grandi e curiosi come il mare.
Correva assieme ad Aiolia, il suo migliore amico e futuro Cavaliere del Leone, un ridente bambino dai riccioli biondi, così simile ad Aiolos, suo fratello e loro maestro. Correvano insieme per i giardini del Grande Tempio di Atene, dopo una lunga giornata di allenamenti, ruzzolando giù per le colline e lasciando che la gente scuotesse appena il capo al suono delle loro risate divertite.
Erano quelli, coloro che un giorno avrebbero avuto l'onore di indossare le sacre Armature dorate?
Si chiedevano gli abitanti della città, scuotendo il capo con sospiri rassegnati.
Ma ai due bambini non importava.
Correvano e giocavano, come se fossero ragazzini qualunque.
Urlavano e si sfidavano, sotto gli occhi divertiti del Cavaliere del Sagittario, che a distanza controllava che non si mettessero nei guai.
-Non mi prendi Milo!!!- rideva Aiolia, superando di alcuni metri il compagno di giochi, che serrando cocciutamente le labbra, non poté che rispondere alla provocazione aumentando la velocità, cercando di star dietro al felino compagno.
-Ma sentilo! Sei ancora un bambino, non mi raggiungerai mai!-.
-Anche tu sei un bambino!-.
Sottili e innocenti provocazioni.
Parole di gioco e di scherzo.
Poteva esserci, qualcosa in grado di renderlo più felice?
-Hei Milo!- esclamò d'un tratto Aiolia, fermandosi di colpo su uno sperone di roccia che dava come vista l'intero porto e allungando la manina di fronte a se, indicando qualcosa di lontano -Guarda! E' arrivata una nuova nave!-.
Milo, di corsa, raggiunse il compagno, andando ad affiancarsi a lui sulla roccia sporgente -Una nave che proviene da lontano...- confermò, portandosi una mano sugli occhi per ripararli dal sole e poter meglio vedere -Secondo te da dove viene?- domandò, curioso.
-Non lo so...- rispose l'amico, con fare perplesso, prima di illuminarsi di curiosità-andiamo a vedere?- domandò.
Non ci fu nemmeno tempo per le risposte.
Il sorriso birbante sul volto di Milo fu sufficiente.
E di nuovo corsero, giù per la collina, in fretta prima che la nave giungesse al porto, in fretta per vedere chi stava arrivando ad Atene.
E lì, sotto il sole cocente, intento a scendere dalla nave che lo aveva portato fin lì, lo vide.
Vide ciò che poteva renderlo più felice.
Un bambino piccolo e magro, dai capelli color del fuoco e gli occhi di un intenso colore dorato, serio, intimidito, calmo mentre ascoltava silenzioso la voce del Cavaliere dei Gemelli, che era stato mandato ad accoglierlo.
Un Cavaliere d'Oro, mandato ad accogliere il bambino appena arrivato.
Voleva dire forse, che un nuovo bambino eletto era giunto ad Atene?
Milo non ci pensò su molto.
Era un bambino, e quella spontaneità gli era concessa.
Si avvicinò trotterellando sulle proprie gambe, sorridendo a quel bambino dai capelli color del fuoco e tendendogli la mano -Io sono Milo. Tu chi sei?-.
Il bambino aveva alzato lentamente lo sguardo su di lui, quasi ignorando la mano che gli era stata porta, distogliendo lentamente gli occhi dal Cavaliere dei Gemelli, che non appena li aveva visti aveva scosso il capo -Camus..- rispose. La sua voce era dolce e timida come quella di un uccellino.
-Vieni a giocare con noi?-.
Quella frase, una semplicissima frase detta da un bambino, bastò a legarli da quel momento per tutta la vita.
Le labbra di Camus si schiusero appena, perplesse, come se volesse parlarle ma non sapesse che cosa dire. Portò gli occhi dorati in quelli del Cavaliere dei Gemelli, guardandolo con aria interrogativa.
Il Cavaliere, scoppiò a ridere, divertito da quella scena -Milo, lascialo respirare, non vedi che è appena arrivato?- domandò, scuotendo il capo.
-Ma io voglio giocare con lui!- esclamò Milo, non capendo perché il fatto che fosse appena arrivato dovesse impedirgli di giocare -Sei carino come una lucciola, sai?- mormorò inaspettatamente, scrollando poi le spalle e lasciandosi andare in una dolce risata divertita.
-Una lucciola?- domandò il bambino, improvvisamente intimidito.
-Sì, una lucciola!- esclamò Milo, divertito -Sai... hai i capelli luminosi come il sole!-.
Camus si voltò verso di lui, lasciando che i loro occhi si incontrassero per la prima, ma non ultima volta. Stranamente, un sorriso comparve sul suo volto timido e vagamente freddo, forse troppo per un bambino così piccolo.
Milo gioì di quel sorriso per lui
Quel pomeriggio forse, non giocarono insieme, ma in seguito avvenne per ogni pomeriggio avvenire, per tutto il susseguirsi dell'estate, un giorno dopo l'altro, sempre insieme.
Milo. Camus. Spesso e volentieri anche Aiolia.
Un avventura sempre nuova, un gioco sempre più divertente, un allenamento dietro l'altro per diventare Cavaliere... un'estate tra le più belle.
E dopo l'estate, venne l'anno.
E gli anni.
E sul finire del mese di agosto, Milo, così piccolo, comprese l'unica grande verità che per sempre avrebbe guidato la sua vita.
Lui e Camus, sarebbero stati insieme per sempre.

Per sempre è un tempo molto lungo...” diceva sempre Camus, sorridendo divertito quando Milo gli confessava il suo amore eterno e imperituro. Tuttavia, il Cavaliere dello Scorpione sapeva, che anche il compagno la pensava come lui, e che niente al mondo avrebbe loro impedito di proseguire in quel “per sempre”.
Niente, ad eccezione della morte.
Quella piccola, sporca traditrice che loro non aveva calcolato, che si era intromessa nella loro vita sotto forma del Cavaliere del Cigno, Cavaliere che nonostante tutto, nonostante fosse stato lui a porre fine alla vita dell'amato, non riusciva ad odiare.
Forse perché Camus, lo aveva rispettato così tanto.
Altre lacrime silenziose si aggiunsero alle precedenti, mentre il tuono scrosciava ancora, incontrollato, quasi le forze della natura volessero mettersi a piangere a loro volta per l'ingiusta sorte toccata al Cavaliere, quasi volesse soffocare il suo interno urlo di dolore...che nessuno lo sentisse! Che nessuno ne fosse a testimonio!
Come avrebbe potuto affrontare la vita, ora?
Scosse il capo, leggermente, forse nel tentativo di cancellare le lacrime che gli rigavano il volto copiosamente ora... i capelli color dell'oro, cadevano ora fradici ai lati del volto distrutto, cornice perfetta per quel quadro di angoscia che ormai era il Cavaliere dello Scorpione.
La paura non era sentimento che si addice a un Santo di Atena, eppure non poteva far altro che provarla, senza vergogna alcuna. Era un peso opprimente, una sensazione che non riusciva a scrollarsi di dosso, una ferita che non guariva.
Non piaceva a Milo, avere paura.
Ma ora non poteva proprio farne a meno.

-Se ti dico che ho paura, mi prenderai in giro?- domandò Milo, il giorno della loro investitura a Cavalieri.
Erano ormai passati anni dal loro arrivo al Tempio, dal loro primo incontro, e finalmente, il Gran Sacerdote aveva ritenuto che il loro addestramento fosse concluso, e che fossero ormai degni di indossare le sacre Vestigia.
Ultimo della fila, forse per la paura di sbagliare in qualcosa, aveva prima visto i suoi amici, quelli con cui era cresciuto, venir benedetti e poi rivestiti delle Sacre Armature che avrebbero portato da quel momento in poi, assaporando quasi con gusto la tensione e la gioia che vedeva riflessi nei loro volti.
Death-mask, che non gli era mai piaciuto tanto e che sembrava così buffo nella sua serietà.
Aphrodite, bello come una bambola e che sapeva brillare più di tutti anche in quel momento.
Shaka, che sereno e composto avanzava, primo della fila.
Mu, silenzioso e concentrato, che non tradiva il minimo segno d'ansia.
Aiolia, che non aveva esitato.
Camus, che si era inchinato senza paura di fronte all'altare del Gran sacerdote, chinando il capo di fronte a quell'onore meritato, al frutto delle loro fatiche.
Milo aveva osservato quest'ultimo in ogni istante, in ogni dettaglio mentre pronunciava il suo giuramento, mentre il Gran Sacerdote lo investiva a Cavaliere...non vi era ombra di preoccupazione, non vi era tensione, semplicemente quella calma e dolcezza che lo avevano colpito fin dal primo istante in cui si erano visti, quell'alone di freddezza che aveva acquistato nel suo soggiorno presso la Siberia.
-Non vedo perché tutta questa paura Milo...- gli aveva detto il ragazzino con noncuranza, mentre erano seduti ad attendere la chiamata del Gran Sacerdote -E' il nostro destino, siamo nati per questo... e poi...- aveva abbassato la voce, distogliendo lo sguardo -Non vogliamo deluderci a vicenda... vero?-.
No.
Non lo voleva.
Di tutte le persone che conosceva, Camus era l'unico che non voleva deludere.
-Lo so che è stupido...-.
-Sì, sei stupido...- convenne Camus, freddamente.
-Lo so che è stupido...- continuò Milo, fulminando l'amico con lo sguardo per le parole appena dette -Ma non posso fare a meno di chiedermi se ne saremo degni...-.
-Ti fai troppe paranoie Milo...- il tono di Camus, si era fatto improvvisamente strano, improvvisamente meno freddo. E il suo sorriso, era tra i più dolci che avesse mai visto in vita sua -Sei la persona più degna che io conosca. Mi fido di te...-.
E con il suo sorriso nel cuore era andato ad inchinarsi, attendendo lui stesso di pronunciare il sacro giuramento, attendendo che l'armatura d'oro finalmente lo ricoprisse.
Milo Di Scorpio.
E com'era stato bello, vedere l'espressione serena e orgogliosa di Camus!
Aiolia lo aveva abbracciato, ridendo di gioia, e lo stesso aveva fatto Camus, stringendolo a se in un abbraccio un po' freddo, ma che era colmo di affetto e gaudio. Forse nonostante le sue parole, anche lui aveva avuto paura di deluderlo alla fine.
-Hai visto, che non siamo capaci di deluderci?- aveva detto, guardandolo di sottecchi mentre avevano iniziato a sfilare per le vie di Atene, dove ora la gente gioiva in gran festa, acclamando i nuovo Eletti che finalmente avevano concluso il loro addestramento, pregando i nuovi Santi che vegliavano su di loro.
Milo aveva scosso le spalle, troppo felice ma anche troppo orgoglioso per ammetterlo.
E quando infine vennero portati dai Cavalieri più grandi nelle loro nuove Case, Case dove da quel momento avrebbero dovuto vivere e vegliare, Milo non si stupì nel sentire la mano dell'amico infilarsi nella propria con una naturalezza che avevano mantenuto dall'infanzia, in un gesto di saluto che era momentaneo.
Perché si, Milo lo sapeva, che dopo il rituale di insediamento nell'undicesima Casa, Camus sarebbe sceso da lui, per parlare ancora di quella magica giornata. E mentre guardava l'amico, salire le scale che portavano alle Case più alte, improvvisamente capì la natura della paura che lo aveva animato durante la giornata.
Non temeva di non essere degno del tempio.
Temeva di non essere degno di Camus.
E stranamente, quella constatazione non arrivò così inaspettata come credeva.
Con un sospiro, si diresse verso la balconata della propria Casa, spalancando gli occhi di stupore, quando si accorse che sul far della sera, una miriade di piccole lucciole avevano fatto la loro apparizione, regalandogli quello spettacolo così dolce, che gli portava alla mente il suo amico.
Il suo amato.
-Camus... mi sa tanto che ti amo...-.

Ti amo...”
Quanto avrebbe voluto ripetergli quella parola ancora una volta, e ancora una volta sentirla pronunciare dalle labbra di Camus...quel sussurro dolce come il miele, e che ora gli scavava dentro come un ramo puntuto, come se volesse dilaniarlo anziché confortarlo.
Perché doveva essere tutto così dannatamente difficile?
Perché i ricordi che avrebbero dovuto consolarlo, lo stavano lentamente mettendo in ginocchio?
Lentamente, la mancina si portò al volto, le dita appena tese per sfiorare il cristallo liquido che gli rigava le guance, saggiandole quasi con delicatezza, e lasciando queste gli scivolassero tra le dita, gocciolando a terra.
Tra la terra che ospitava Camus.
Ti amo.
Erano difficili quelle parole, difficili e cariche di sentimento, difficili e pregne di dolore, quasi quanto la parola addio, sebbene il suono fosse molto diverso.
Odiava gli addii.
Specie se erano per sempre.

-Non voglio che tu vada via...- mormorò Milo, sconsolato, la sera che seppe che Camus stava per partire per la Siberia.
Non era da moltissimo che erano diventati ufficialmente Gold Saint, eppure a Milo, pareva che stessero lavorando da tutta la vita! Fin dal primo giorno del loro insediamento, c'erano state missioni, riunioni una dopo l'altra, e anche gli addestramenti non erano certo terminati.
E quando finalmente, trovavano un periodo di calma, ecco che Camus arrivava tutto tranquillo, freddo nelle sue energie glaciali, a sganciare la terribile bomba: gli erano stati affidati due allievi, e doveva partire per il loro addestramento.
Mai una notizia aveva avuto il potere di distruggerlo più di quella.
Perché se prima stare lontano da Camus gli era difficile, ora che si era reso conto di amarlo, era addirittura impossibile!
Non desiderava altro che stargli accanto, parlargli, riposare al suo fianco dopo le estenuanti ore di allenamento serale...avrebbe voluto di più, ma fin ora non aveva mai trovato il coraggio di parlargliene, nonostante si dicesse che era impossibile, che l'amico non ricambiasse i suoi sentimenti.
Com'era possibile che fosse diversamente?
Loro erano fatti per stare insieme.
Semplicemente anime gemelle.
E Milo lo pensava ogni momento, ogni secondo che passavano insieme. Anche ora, che sedevano sul letto della camera dello Scorpione, dopo aver cenato insieme, intenti in una delle loro conversazioni serali prima di andare a dormire.
-Milo...- lo apostrofò blandamente il Cavaliere dell'Acquario, voltando verso di lui i magnetici occhi dorati -Non farei i capricci come un bambino piccolo...-.
-Uff- brontolò l'altro, incrociando le braccia sul petto e mettendo il broncio -Certo, dici a me non di fare il bambino. Intanto sono io che resterò solo e senza di te!- brontolò.
Il volto del rosso, si fece appena perplesso -Milo... vorrei farti notare, che sono io che me ne vado in Siberia, isolato da tutti...-.
-Posso venire anche io??-.
-No!-.
-Hai ragione, scusa. Domanda scema...- ovvio che non poteva. Però quanto gli sarebbe piaciuto...-Ma io che cosa farò, senza di te??- pigolò, guardandolo come un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada.
-E io che ne so...- rispose Camus, freddamente, scrollando le spalle con un gesto noncurante -Vediti con Aiolia...-.
-Certo che tu sei sempre così freddo. Non hai nemmeno un briciolo di pietà per me, che mi lasci solo? Sai che non farò altro che parlare di te? Aiolia mi odierà, e se litigheremo e lo perderò come amico, sarà tutta colpa tua!- sbuffò, di nuovo contrariato, quasi credesse sul serio nelle parole appena pronunciate.
E Camus, non poteva giurare che non fosse così per davvero -Guarda che non vado in esilio. Tornerò ogni tanto...-l'espressione del Signore dei Ghiacci, parve per un secondo vacillare. Un 'esitazione che non sfuggì a Milo.
-Ti mancherò, Camus...?- domandò, improvvisamente serio, distogliendo gli occhi azzurri da quelli dorati dell'amico.
Camus scosse il capo, sbuffando vistosamente -Lo sapevo che non dovevo dirti niente! Ora mi farai sentire in colpa per tutta la sera, e non potremmo goderci in santa pace queste ore...-.
Come se qualcosa lo avesse infastidito, improvvisamente Milo balzò in piedi, avvicinandosi di scatto all'altro Cavaliere e scrutandolo dritto negli occhi -Mi dici, che saresti andato via senza salutarmi???- domandò, la voce vibrante d'ira e delusione.
Camus esitò, incerto su che cosa dire.
Poi di nuovo sbuffò, scuotendo il capo -Anche se avessi voluto non avrei potuto. Sei peggio di una sanguisuga, non mi lasci in pace un momento...-.
-Ma lo avresti fatto?- domandò, di nuovo.
Camus esitò.
Ci aveva pensato certo, anche se Milo ovviamente non ne avrebbe capito il motivo. La verità, era che non solo odiava le sceneggiate d'addio, sceneggiate che il Cavaliere dello Scorpione era un mago a fare, ma che anche a lui, il pensiero di doversi allontanare per così tanto tempo, metteva addosso una forte malinconia. Ma...- No...- disse infine, lasciandosi andare ad un sorriso -Non potrei mai partire senza salutarti...-.
Milo sorrise trionfante.
Era fatto così... un minuto prima sembrava pronto a balzarti addosso, e un minuto dopo era di nuovo tranquillo, felice e sorridente, dimentico dei motivi che lo avevano portato ad alterarsi.
Poi, di colpo, parve rendersi conto, quanto in realtà i loro volti e i loro corpi fossero vicini. Così vicini da sfiorarsi. Così vicini che se solo avesse voluto, Milo avrebbe potuto baciarlo.
E lo fece.
D'istinto, come qualsiasi cosa importante della sua vita, alzò entrambe le mani, portandole ai lati del volto di un silenzioso Camus, che lo guardava in modo stranamente intenso e complice. E senza attendere, chiuse gli occhi, andando a chiudergli la bocca con la propria in quello che era il primo, il più meraviglioso bacio della loro vita.
E sorprendentemente, Camus non si ribellò.
Lentamente, con la sua solita calma misurata, alzò le braccia, portandole a cingere la vita di quello che ormai pareva essere il suo compagno, stringendolo a se con delicatezza e tirandoselo addosso, sopra il letto dove fino a pochi secondi prima sedevano in amicizia, ricambiando il bacio con trasporto.
Un bacio dolce.
Colmo di affetto.
Un bacio inesperto e goffo, per loro che mai avevano avuti altri intimi contatti con nessuno.
Le loro mani si incontrarono, sopra le coltri bianche, stringendosi delicatamente mentre le loro labbra, parlavano il linguaggio più antico del mondo.
-Milo...- gli sussurrò Camus sulle labbra, quando dovettero separarsi per prendere aria -In Siberia... sarai il mio unico pensiero...-.
-Davvero?-domandò lui, la voce incrinata dall'emozione.
-Ti amo...- e questa, come risposta, sarebbe bastata.
E fuori, nel giardino della Casa dello Scorpione, un mare di lucciole, non viste, accompagnavano quel magico momento, danzando tra di loro nella fresca brezza serale.

Dolorose rimembranze che tornavano a farsi sentire a gran voce, urlando la propria presenza come mercanti sulla piazza.
Come un pugno nello stomaco, la dolcezza dei suoi baci, la morbidezza della sue labbra ora lo stordivano, lo rendevano cieco e sorso a qualsiasi cosa, lo tormentavano.
A stento trattenne un urlo di dolore, un urlo di disperazione, mentre la mano destra, lentamente, si alzava, quasi fosse troppo pesante, per avvicinarsi alla lapide sopra la quale era incisa il nome di Camus, per carezzarla appena, quasi il suo spirito, tramite quel gesto, potesse percepire tutto il suo amore.
Atena! Quanto lo amava ancora...
Nemmeno strappandosi il cuore e servendolo a Lei su di un piatto d'argento, avrebbe potuto sentir tanto dolore.

-Camus... tu in che cosa vorresti reincarnarti, quando moriremo?- la voce di Milo, bassa, appena sussurrata, si insinuò nei pensieri del Cavaliere dell'Acquario e nel silenzio della notte che li avvolgeva.
Erano seduti entrambi, sulla terrazza dell'Undicesima Casa, in una calda notte estiva, l'uno tra le braccia dell'altro dopo aver consumato una notte d'amore, stanchi ma restii ad addormentarsi, per paura di cancellare quella notte magica che li aveva accolti, per paura di trovare al risveglio qualcosa di diverso, per paura di rompere quella dolce alchimia che quella notte, dopo il ritorno di Camus dalla Siberia, avevano ritrovato con tanta facilità.
Era mancato a Milo, il suo Camus.
Quante notti aveva passato solo, su quella stessa terrazza allora vuota, espandendo il proprio Cosmo per poter arrivare a lui, anche solo per pochi secondi, per poter gustare per pochi attimi ancora la sua presenza?
Erano troppe, non riusciva a contarle.
Per anni era stato lontano, quasi cinque anni erano passati, anni di visite sporadiche e di lettere...ma ora era lì, l'addestramento dei suoi allievi in Siberia era terminato, e adesso potevano di nuovo stare insieme.
E in quei anni, tra di loro non era cambiato niente di veramente importante.
Guardavano le stelle i due giovani Santi.
Guardava lo stelle e sussurravano nella notte, timorosi di svegliare qualcuno delle altre Case, qualcuno che avrebbe potuto interrompere il loro dolce idillio.
-Come?- domandò Camus, scostandosi appena in avanti, per poter guardare Milo in volto. Sedeva appoggiato ad una colonna il Cavaliere, tenendo stretto a se, come se fosse un oggetto fragile e prezioso, il suo Milo, che placido riposava contro il suo torace, godendo del calore che quel corpo così freddo sapeva, a volte emanare.
-In che cosa vorresti reincarnarti, quando moriremo?- ripeté di nuovo Milo, nel medesimo tono con il quale aveva posto la prima domanda.
Camus lo squadrò per qualche secondo perplesso-Ma che domande sono?- domandò poi a sua volta, piegando appena gli occhi in quella sua espressione vagamente sconvolta, che Milo aveva ormai imparato a interpretare come un “ti sembrano cose da persona seria?”.
Era troppo serio il suo Camus, a volte.
Ma infondo, lo amava proprio per questo.
Perché era semplicemente l'antitesi di quello che lui era.
-Io mi vedrei in uno Scorpione...- dichiarò Milo dopo qualche secondo di riflessione, quasi non avesse sentito la domanda del compagno, e probabilmente era davvero così.
-Sai che fantasia, Milo...-commentò sarcastico Camus, chinandosi appena in avanti, poggiando il mento sulla di lui spalla -Io ti vedrei meglio in una scimmia...-.
-Hei!- piccato sul vivo, Milo si voltò dietro di scatto, lasciando che i propri occhi azzurri si posassero in quelli dorati del compagno. Una morsa dolcemente serrata gli prese lo stomaco, quando si accorse del lampo di divertimento, e del dolce sorriso che faceva capolino sulle labbra del compagno.
Camus sorrideva.
Per lui.
Solo per lui.
-Tu sarai una lucciola...- disse, quasi senza accorgersene, gli occhi ancora fissati su quel sorriso meraviglioso che Camus gli rivolgeva.
L'altro, perplesso da quella reazione, lo guardò fisso con aria interrogativa -E questa da dove ti è uscita?- domandò.
-Ecco...- il volto del Santo dello Scorpione, si accese improvvisamente di una nota delicata, così strana in lui, eppure così perfettamente consona -E' che tu non brilli mai, quando gli altri si accorgono che ci sei...- spiegò, continuando a guardarlo negli occhi -Sei così bello, così luminoso, così... ahh! Non saprei nemmeno dirti quanto lo sei! Eppure... non brilli mai, quando gli altri ti guardano...-.
-Mi sto quasi offendendo sai?- disse Camus, incerto sul significato di tale parole.
-No no!- come a non voler essere frainteso, Milo portò le mani davanti, scuotendo in capo con veemenza -Non hai capito! Intendevo dire che tu sei sempre così freddo... così distante... ma con me no, capisci?- prese fiato, poi continuò -Tu sei la mia lucciola Camus... non brilli per nessuno, brilli solo per me. E a me basta questo...-.
Camus lo guardò, incerto per qualche secondo.
E nulla disse quella notte.
Semplicemente, allungò le braccia verso di lui, cingendolo con entrambe e traendolo a se con forza e dolcezza, lasciando che le proprie labbra incontrassero quelle del compagno in un dolce bacio, un bacio tenero, ma allo stesso tempo, urgente e carico di passione.
Quella notte, sotto il cielo coperto di stelle, soli con il resto del mondo, fecero l'amore.
E non si accorsero, di quelle tante, piccole lucciole, che inosservate aveva ricominciato a brillare.

L'odore della pioggia, giunse inaspettato alle sue narici, come se solo in quel momento si fosse reso conto, di quanto essa profumasse.
Aveva il profumo di Camus.
Un profumo freddo, eppure allo stesso così pungente, così avvolgente...ricordava il mare, la salsedine, la neutralità del ghiaccio. Poteva quasi sembrare incenso da quanto era impalpabile, eppure era presente.
Presente nell'aria attorno a lui.
Presente nei suoi ricordi.
Ma non presente tra le sue braccia... braccia che si mossero, appena, nel tentativo di abbracciare quell'odore, nello stringere qualcosa che ormai non c'era più. E mai sensazione più angosciosa ci fu, del sentire stringere solo il proprio corpo.

-Questa storia non mi piace...- la voce di Milo, suonava stranamente rotta in quel momento, carica di tensione e di preoccupazione. Gli occhi erano fissi su Camus, come lui rivestito della Sacra Armatura d'oro, in piedi sulla soglia della Casa dell'Acquario -Non mi piace proprio Camus. Perché devi andare? Non è ancora il tuo turno, e piacendo agli Dei, non riusciranno nemmeno ad arrivare qui...-.
-Milo...- un sospiro scosse appena il freddo corpo del Cavaliere -Lo sai che devo andare. Hyoga è laggiù... e tu sai...- distolse lo sguardo, lasciando in sospeso la frase.
Hyoga.
Lui sapeva.
Certo che sapeva!
L'allievo del suo Camus, il suo preziosissimo allievo, di cui tanto era andato orgoglioso nel corso degli anni. Sapeva Milo che cosa il suo amato andava a fare, sapeva che in qualche modo, in uno dei suoi così complicati e cervellotici modi di pensare, lui voleva solo salvarlo, preservarlo dal destino infame che gli sarebbe toccato.
E perché poi??
Era il servo di una falsa Dea, aveva tradito il tempio e il Gran Sacerdote, non era meritevole di salvezza!
Tante volte aveva osservato il suo amato Camus parlare dei suoi allievi, in particolar modo di Hyoga, e si era sempre chiesto se in qualche modo, non lo preferisse a lui.
A quel pensiero, come sempre, sentì una strana pesantezza all'altezza del cuore, un peso tremendo, che si aggiunse a quello che già percepiva da quando quella malefica storia era cominciata.
Era così preso dai propri pensieri, dalle proprie paranoie, che non si accorse che il Cavaliere dell'Acquario, silenzioso e inosservato, gli si era avvicinato, e che ora si trovava proprio di fronte a lui, così vicino che se avesse voluto, avrebbe potuto baciarlo.
Milo alzò gli occhi, andando a incontrare quelli di lui, in un rapido bagliore d'oro e azzurro.
-Tu sai, vero, che lo devo fare?- domandò Camus, la voce ridotta a un intenso sussurro.
Milo distolse gli occhi.
No.
Non lo sapeva.
-Sì...- sentì la propria voce rispondere, stancamente.
-Guardami negli occhi...- era un ordine, non una richiesta. Richiesta che esaudì da solo, mettendogli due dita sotto il mento e costringendolo ad alzare lo sguardo -Io devo farlo- ripeté, scandendo bene le parole, quasi avesse paura che l'amante le percepisse in modo diverso -Ma non c'è niente al mondo, che sia più importante di te nel mio cuore. Voglio che tu lo capisca...-.
-E allora non andare...- sentì Milo sfuggirgli dalle labbra.
Subito si morse la lingua.
Perché doveva parlare sempre a sproposito?
Quelle parole, erano davvero sentite. Gli spingevano nella gola, e chiedevano di essere pronunciate, ma sapeva di non poter, di non dover lasciare che trovassero sfogo.
Perché c'era un accordo.
Un tacito accordo.
Erano l'uno per l'altro la cosa più importante, ma mai prima di Atena, almeno sulla carta. Perché Atena era la loro Dea, e dovevano servir lei prima di loro stessi, anche se in quel momento, il solo pensiero gli dilaniava l'anima.
Come poteva chiedere questo a Camus?
Andare contro gli ordini del Gran Sacerdote, andare contro la loro fede!
Perché si, sapeva che se Camus stava per fare quello che voleva fare, era perché era convinto che la loro Dea lo volesse.
Il suo Camus non era il tipo da rinunciare alla sua fede per qualcuno.
Nemmeno per lui.
E allora perché glielo aveva chiesto, se già sapeva la risposta?
-Milo...- la voce di Camus era fievole -Non posso...-.
-Lo so...-.
-E allora perché me lo hai chiesto?-.
Una pausa, un sospiro -Perché per un secondo, ho nutrito la folle idea di essere sul serio il più importante...-.
-Lo sei...-.
Quelle due parole echeggiarono per il tempio dell'Acquario sinistre, quasi come un'eresia.
Perché erano quel che erano.
Un 'eresia.
-Lo sei...- ripeté Camus, dando di nuovo voce a quei pensieri contro fede -ed è per questo che devo andare. Perché quando tutto questo sarà finito, ci sarà un domani nuovo per noi. E in quel domani, forse non dovremo più preoccuparci di parlare per eresie...- si staccò, lasciando cadere la mano che gli sorreggeva il volto.
Era vero dunque... Camus, nonostante tutto, sapeva leggergli nel cuore.
Come mai nessun altro prima aveva saputo fare, riusciva ad andare oltre la dura corazza dello Scorpione, riuscendo a leggergli dentro con quella freddezza tipica del suo io, quel gelo che lo caratterizzava e lo rendeva tanto speciale.
E senza attendere oltre, Milo gli fu addosso, catturando le di lui labbra in dolce e appassionato bacio.
Camus rimase rigido per qualche attimo, come se non se lo aspettasse. Poi qualcosa nella piega delle sue labbra cambiò. Iniziò a corrispondere il bacio, portando entrambe le braccia a cingere il corpo dell'amato, stringendolo con una delicatezza così ferma, da risultare in quel momento, terribilmente confortante.
Pochi attimi ancora.
Pochi attimi rubati.
Poi, rapido com'era incominciato, il loro bacio terminò, lasciando che i due corpi, seppur a malincuore, si separassero dalla stretta consolatrice. La mano di Camus indugiò qualche attimo ancora sulla guancia di Milo, prima di ricadere, inerme, al fianco del Cavaliere.
E i loro occhi rimasero incatenati per qualche secondo ancora, sfidandosi in una muta e dolce lotta.
-Vai..- disse infine Milo, annuendo con vigore. Camus si stava mostrando forte, e lui non doveva essere da meno. Erano entrambi Gold Saint, entrambi reincarnazioni di una stella, entrambi eletti di Atena. E nessuno dei due doveva tentennare.
Camus schiuse le labbra, come se volesse parlare.
Poi annuì, con decisione, richiudendo le labbra e iniziando a incedere fuori dal tempio, come se le parole non avessero significato alcuno.
Ed era così.
Non c'era mai stato bisogno di parole tra di loro.
Milo lo seguì, fuori dal tempio, osservandolo allontanarsi con lo stomaco stretto in una morsa che non riusciva a spiegarsi...perché ora doveva avere tanta paura? Erano solo Bronze Saint, nemmeno lontanamente vicini ad acquisire il settimo senso.
Non doveva temere per il suo Camus.
Egli era forte.
Più forte di loro.
Eppure...
-Milo...- improvvisamente, dopo qualche gradino, il Cavaliere dell''Acquario si fermò.
-Camus...-.
-Guarda...- non si voltò, nemmeno per un secondo, continuando a dargli le spalle mentre indicava un punto non molto lontano, appena sopra le loro testa -Ci sono le lucciole...- mormorò.
Un sussurro basso, ma ancora ben udibile.
Poi, senza aspettare risposta, cominciò a discendere i gradini, diretto verso la Casa di Libra, vero Hyoga che stava proseguendo la sua folle corsa in salvezza della sua Dea eretica.
E Milo, gli occhi fissi sullo spettacolo di lucciole che piano piano si stavano alzando dai prati, dando mostra di se così sfacciatamente, capì che quello, era un addio.
Il suo addio.

Strano, come solo ora pensasse a come se n'era andato.
In silenzio quasi, avvolto dalla perfetta luce delle lucciole, che parevano quasi sottolineare il suo addio.
Milo chiuse gli occhi, stringendo i pugni abbandonati al fianco, come a cercare di rifuggire dalle immagini che si presentarono alla sua mente.
Perché doveva essere quello il loro ultimo ricordo insieme? Un secondo ancora in cui non riusciva a vedere null’altro che la sua splendida chioma rossa, avvolta da tanti puntini di luce mentre camminava lontano da lui, verso la morte, verso il tanto adorato allievo al quale avrebbe dato la sua ultima lezione.
Abbassò la testa, osservando le gocce di pioggia ora, gocce che ticchettavano ritmicamente nelle piccole pozzanghere ormai formatesi, gocce che richiamavano tanto le lacrime che stava ancora abbondantemente versando...anche il cielo, piangeva.
-Gli Dei piangono la tua scomparsa, Camus...-mormorò, trovando infine la forza per parlare, dopo tutte quelle ore di silenzio. Non più il loquace Milo, il divertente e irriverente Cavaliere dello Scorpione. Solo l'ombra di ciò che era stato.
"Vorrebbe vederti così, Camus?" gli domanda spesso Aiolia, nelle sue sempre più frequenti visite alla sua Casa. Ma sebbene sapesse perfettamente quale fosse la risposta, si rifiutava di darla.
Forse voleva soffrire, si disse.
Voleva soffrire, perché Camus meritava tutte le sue lacrime.

Era lì, disteso a terra, dimenticato.
Milo, nel vedere il corpo di quello che era stato l'uomo da lui amato, sentì improvvisamente qualcosa venirgli meno, un improvviso senso di vuoto prendergli il cuore, stringendoglielo spasmodicamente.
Lo sapeva.
Lo aveva capito nel momento stesso in cui aveva sentito svanire il suo Cosmo, nell'attimo stesso in cui aveva percepito quello di Hyoga espandersi fino al limite e sovrastando quello del suo amato.
Era stato solo un secondo.
Poi era sparito, e in quel momento, il tempo per Milo si era fermato.
E lì, aveva capito.
Ma non poteva crederci... infondo era Camus, un guerriero troppo potente e abile per farsi superare da chiunque, sebbene forte come Hyoga! E così era corso, aveva percorso i gradini del tempio, uno dopo l'altro in una folle corsa, diritto verso Camus, sperando con tutto se stesso di essersi sbagliato, pregando Atena di non trovarlo morto, lontano da lui per sempre.
E invece era lì, disteso a terra, dimenticato.
Avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi, non vedere, eppure non riusciva a far altro che guardare il corpo morto dell'amato, la gola così chiusa da non riuscir quasi a respirare.
Non riusciva nemmeno a sentire quanto effettivamente facesse freddo in quella stanza, dopo il combattimento tra i due signori dei ghiacci, giacché il gelo peggiore, il più intenso, il più forte, lo aveva nel cuore.
-Camus...- mormorò, in piedi di fronte all'ingresso del tempio.
Per pochi attimi, parve quasi una bambola, ferma e immobile, senza reazioni.
Poi, con un urlo da bestia ferita e un gesto rabbioso, dettato dal dolore e dalla disperazione, si slanciò in avanti, ignorando le fitte causate dai colpi che poche ore prima aveva subito in combattimento, chinandosi sul corpo dell'amato, allungando le braccia e stringendolo a se con bramosa disperazione, rendendosi conto solo ora, di quanto in realtà fosse fragile e delicato.
Lo strinse al cuore, sentendo il proprio andare a pezzi.
Camus.
Il suo Camus.
Il suo amato Camus.
Giaceva ora senza vita, più freddo di quanto fosse mai stato, rigiro e immobile tra le sue braccia.
Ucciso da Hyoga, l'allievo che aveva cercato di salvare, e che alla fine lo aveva distrutto. Il Cavaliere che lui stesso, per amore di Camus aveva lasciato passare, dicendosi che si, non poteva essere malvagio se il suo amato lo rispettava così tanto.
Che errore!
Quale terribile errore aveva commesso!
-Ti ho ucciso io...- mormorò affondando il volto sul di lui petto gelido, coprendo entrambi con i propri biondi capelli -E' come se ti avessi ucciso io... Camus... Camus...- singhiozzi rotti dal dolore, dal senso di colpa.
Era come se fosse stato lui, a dargli il colpo di grazia.
Se solo non avesse permesso a Hyoga di passare... se solo... se solo.
No.
Ormai non importava più.
Lo strinse di nuovo a se, possessivamente, quasi avesse paura che potessero portarglielo via in qualche modo, ricordando perfettamente quanto esso fosse in realtà caldo, quando bene si adagiasse tra le sue braccia, quanto dolci fossero quelle occhiate che sapeva rivolgergli quando credeva di non esser visto, quando infondo fosse tenera la sua voce, anche nei suoi frequenti rimproveri.
Ed ora, non c'era più niente.
Solo un guscio vuoto e abbandonato.
E Milo, semplicemente, aveva perso tutto.
-Camus... Camus...- il suo nome era come una litania, un lamento funebre per colui che fu, nel cuore dello Scorpione, il più grande e amato tra i cavalieri.
E fuori dal Tempio, inosservata e leggiadra, un'unica lucciola volava, timidamente solitaria, allontanandosi piano piano, da quel Tempio che ora era luogo di eterno riposo.
Allontanandosi, dal cuore infranto dello Scorpione.

E Milo alzò lo sguardo, lasciando che la pioggia gli rigasse il volto mescolandosi con le lacrime che ne ora ne mai avrebbe finito di versare, incurante del fatto che gli inzuppasse i capelli, incurante del tuoni che esplodevano nel cielo ormai avviato verso la sera.
Un cielo scuro, grigio.
Un cielo spezzato dai fulmini.
Un cielo, fin troppo simile al suo cuore.
-Non ci sono più lucciole, Camus...- mormorò, affondando di nuovo gli occhi nella propria mano, senza nemmeno tentare di asciugarli, nel patetico e inutile tentativo di non guardare la lapide del Cavaliere dell'Acquario, come se non guardarla la rendesse irreale, la rendesse vuota.
Si lasciò cadere a terra, in ginocchio ora, ancor senza smettere di piangere e singhiozzare come un bambino, portando in avanti le braccia e appoggiandole a terra, lasciando che le dita affondassero nella terra molle per la pioggia, tentando di afferrarla come se fosse il corpo dell'amato che lì sotto riposava.
E non poteva vedere, il Cavaliere dello Scorpione, l'unica e solitaria lucciola che aveva alle spalle, che da quando era arrivato lo seguiva silenzioso, quasi a volerlo vegliare, sfiorandogli appena i capelli e illuminandosi debolmente, come se lei stessa stesse soffrendo, come se il dolore dell'umano piangente fosse il proprio, come se soffrisse lei stessa nel non poter asciugare quegli occhi color del cielo.
E senza accorgersi di quella eterea presenza, Milo piangeva.

Fine

Ehm... Ehm...
Salve a tutti cari lettori della gloriosa sezione di Saint Seiya U_U
Chiedo venia per avervi propinato questa “cosa”, ma da un po' avevo l'idea di scrivere qualcosa sulla mia coppia yaoi preferita in assoluto, ovvero Milo e Camus, e dopo aver letto tutto quello che c'era da leggere, mi sono detta “perché no!”...spero solo di non avervi disgustato con il mio primo tentativo XD

Ci ho messo un po' a dire il vero, a formularla, e molto di più a scriverla, perché questo è proprio un periodo nero per la mia ispirazione (ç_ç) ma spero comunque di essere riuscita a trasmettervi un pochino dell'amore che provo per questa magnifica coppia, e un po' dell'angoscia che immagino Milo provi, ogni volta che mi riguardo le puntate della morte di Camus.

Bhe, che dire, ringrazio tutti voi per essere arrivati almeno fino alla fine XD vi mando un bacio grande grande, e spero di rivedervi al mio prossimo lavoro in codesta sezione (eheheh, no, non demordo!! *_*).

Un bacio,
Tifa.
   
 
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