Capitolo 11
Durante l’allenamento con le armi, Uriah
aveva avuto modo di osservare la sua compagna molto più attentamente di quanto
avesse potuto fare la notte prima.
Si era chiesto se avesse sbagliato a
considerarla soltanto un’eccentrica ragazzina. La guardò mentre scagliava colpi
secchi e veloci contro di lui, che li parava senza difficoltà. Si era convinto
che quella mattina l’avrebbe sopresa con gli occhi gonfi e rossi, il volto
pallido come la notte prima e l’aria assente e vacua. E invece si sbagliava,
perché le iridi azzurre di Helinor erano immerse nel bianco più incontaminato,
e i suoi occhi presenti illuminavano un viso fresco e rosato. Si chiese come
avesse fatto a riprendere il controllo così facilmente.
La risposta gli arrivò sotto forma di un
fendente rapido e preciso che lo disarmò, facendogli scivolare di mano la
spada. Ne seguì una forte gomitata allo stomaco che lo fece incescpicare e
cadere a terra insieme alla sua arma, con il pugnale di Helinor puntato alla
gola.
Si scambiarono un’occhiata, poi lei
ritrasse il coltello, lo ringuainò e se ne andò a passo svelto.
Doveva essere ancora arrabbiata con lui.
Uriah si alzò e impugnò la spada con
aria attonita. Che colpa aveva lui di tutto ciò che stava succedendo? Si era
ritrovato a combattere contro il corso degli eventi senza che potesse neanche
metterci un dito...
Karima lo aveveva salvato, questo era
certo, ma come poteva sapere che quella donna misteriosa era la madre della sua
compagna? Non l’aveva mai vista prima del giorno della morte dei suoi genitori
e i ricordi che aveva di lei erano immersi in una nebbia troppo consistente
perché potesse distinguerli chiaramente.
Kay gli si trotterellò vicino.-Ei,
Uriah! Vuoi allenarti con me?-
Uriah abbozzò un sorriso.-Per me va
bene-
(...)
Nara era arrivato a Junon dopo due
giorni di cammino. Era sceso dal Chocobo e si era fatto largo tra un fiume di
gente indaffaratissima. Non si chiese perché le persone andassero tanto di
fretta, giunse alla locanda, dove avrebbe incontrato l'ambasciatore del Wutai,
lasciò il Chocobo legato a un palo ed entrò con il mantello da viaggio che gli
frusciava ai piedi con decisione. Serviva più a nascondere la spada che portava
appesa al fianco che ad altro, ma tanto lui non ci faceva caso.
Erano le una del terzo giorno. L’ora di
punta.
Le strade erano popolate quelli che lui
identificò come Soldier e da altri uomini vestiti di nero, insieme con altre
persone che indossavano un semplice paio di jeans sotto una canottiera bianca e
sudata. Li notò per via di uno strano elmetto giallo che portavano in testa e
dei materiali piuttosto pesanti che stavano trasportando: legno, ferro, viti,
vetro; il tutto andava verso un punto ben preciso, ma che era celato alla vista
di Nara. Tanto a lui non importava sapere altro oltre a ciò per cui era giunto
a Junon: incontrare un ambasciatore del Wutai. Si chiese soltanto perché
avessero deciso quel posto come il luogo dell’incontro, visto che pullulava di
nemici.
-Perché sono tutti così indaffarati con
i lavori per la costruzione di Junon, che non ci noterebbero neanche a un palmo
di distanza- disse l’ambasciatore, un uomo dai vispi occhi neri che si
muovevano in tutte le direzioni.
La locanda era piena di gente, e i due
si erano seduti a un tavolo in disparte, lontano da tutto e da tutti.
-Credevo fossimo già a Junon- replicò
Nara, composto e immobile sulla sedia con le spalle dritte e gli occhi velati
di una sfumatura di arroganza.
-Lo siamo- rispose l’ambasciatore, con
enfasi. Poi abbassò la voce e si sporse sul tavolo.-Dicono che stanno
costruendo una piattaforma sopraelevata... un progetto da miliardi di miliardi
di Guil- gli fece l’occhiolino.-Beati loro che hanno soldi da spendere.-
Nara non ricambiò l’aria complice e con
una smorfia di disgusto infilò una mano sotto il mantello, estraendone una
lettera arrotolata su se stessa, legata da un nastro viola.
Lo sguardo dell’ambasciatore vagò sul
viso di Nara fino a soffermarsi sul messaggio che gli stava consegnando. Il suo
sorriso si fece ancora più ampio e lo afferrò con sicurezza.
-Da parte del gran maestro Silver
Gammon- disse Nara.
L’altro non lesse il contenuto della
pergamena, si limitò a inserirlo nella borsa che portava a tracolla con
soddisfazione.-Grazie per il disturbo.-
Nara abbozzò un ghigno e si alzò dal
tavolo.-Credo che ci rincontreremo prima o poi.-
L’ambasciatore lo imitò e gli porse la
mano. Nara la strinse con forza.
-Però... che stretta...- commentò
l’ambasciatore, tra i denti.-Beh, è stato un piacere fare affari con voi.-
Il giovane Nara chinò il capo, gli diede
le spalle e se ne andò lentamente, passando attraverso la folla con passo
sicuro, dando qualche spallata a chi non voleva scansarsi di propria
iniziativa.
Uascì dalla locanda e riprese il suo
Chocobo. Certo che ne erano passati di anni dall’ultima volta che aveva messo
piede a Junon...
Nove anni.
Erano nove anni.
(...)
Le una e mezzo.
Uriah aveva guardato la posizione del
sole per desumere l’ora, poi era arrivato Tseng che gliel’aveva gentilmente detta,
facendolo montare su tutte le furie. Non gli serviva l’aiuto di un nemico per
sapere che ora era!
L’allenamento con Kay era stato
monotono. Non aveva particolari capacità fisiche, né per quanto riguardava la
velocità, né per quanto riguardava la forza. Uriah si era limitato a parare i
colpi, senza rispondere a nessuno di quelli. Aveva intravisto Helinor accanirsi
contro James Atmey, che impudentemente l’aveva chiamata a combattere.
Così, dopo essere tornato
dall’accmpamento, Uriah aveva pranzato velocemente e si era diretto verso la
tenda di Nhat per cercare delle risposte. Non si era mai soffermato a pensare
su chi fosse la donna che lo aveva strappato dalla morte, o se il fatto che
Nhat si trovasse sotto quel gazebo fosse solo un caso, o ancora perché i suoi
genitori fossero stati uccisi. I suoi ricordi erano veramente troppo confusi, e
il modo con cui aveva agito Helinor era stato come uno schiaffo in pieno viso
per lui. Tanti particolari che non aveva mai notato gli stavano venendo in
mente, legandosi con i fatti che aveva vissuto in quegli ultimi tredici anni.
Perché
Nhat conosceva i miei genitori? Aveva rapporti con loro? Che ruolo ha avuto nel
loro omicidio?
Chi
era Karima? Perché era venuta nel negozio della mia famiglia? Era malata? È
morta per mano dei Soldier?
Chi
era l’uomo in nero? Aveva un nome?Conosceva Karima? Perché?
Domande che si addicevano più alla
mentalità di Helinor, più che alla sua. Domande che gli mettevano addosso ansia
e curiosità insieme. In un certo senso, scoprire la verità su quel personaggio
misterioso che era stata la madre di Helinor, sapere di più sulla morte dei
suoi genitori e capire se tutto ciò che gli era successo era stato veramente
dettato dal caso, lo incuriosiva.
Entrò nella tenda di Nhat.
Lo trovò inginocchiato con gli occhi
chiusi. Davanti, posate su un vassoio di legno, c’erano delle piccole boccette
di vetro contenenti liquidi di diverso colore e consistente.
-Ciao- gli disse Nhat, con affetto.
Uriah non sapeva da dove
cominciare.-Dobbiamo parlare.-
-Le ferite ti fanno ancora male?-
domandò Nhat, con un sorriso disponibile.-Ho giusto una nuova crema che fa al
caso tuo...-
-No- lo interruppe Uriah, in tono
secco.-Non sono le mie ferite.-
Nhat mutò espressione, e i suoi occhi si
specchiarono in quelli di Uriah, poi gli fece cenno di sedersi davanti a lui,
battendo una mano su uno dei cuscini che regnavano a terra.
-Voglio parlare... del giorno in cui mi
trovasti.-
L’uomo lo squadrò con dolore.
Il ragazzo si grattò il braccio sinistro
con una mano, dandosi dei leggeri pizzichi alla pelle, ogni tanto. Nhat si rese
conto che il giovane stava cercando di frenare le lacrime.-Sei sicuro?-
-Sono passati tredici anni- osservò
Uriah, con voce flebile, a stento controllata.-Posso parlarne.-
La mano di Nhat si posò sulla spalla di
Uriah, e quando quest’ultimo sollevò lo sguardo sul medico, vide che lui stava
sorridendo in modo paterno.
-Cosa vuoi sapere? Non posso dirti
molto, purtroppo... so solo poche cose.- disse Nhat.
-Voglio sapere di una certa Karima-
dichiarò Uriah, con decisione.
Nhat ritrasse la mano di
scatto.-K-Karima?-
-La donna che mi ha salvato- precisò
Uriah, insospettito dall’improvviso cambio di atteggiamento di Nhat. Era
passato da amorevole e paterno a serio e guardingo, come se si aspettasse di
essere colpito a tradimento.
I ricordi della notte precendente si
sommarono al dolore che Uriah stava provando, ma lui soffocò le lacrime.-Era la
madre di Helinor.-
Nhat socchiuse gli occhi.-Potrebbe
essere. Non so che dirti.-
Uriah gli espose la sua teoria:-Perché
tu venivi spesso nel negozio dei miei genitori. Forse l’avevi vista qualche
volta?-
-L’avevo vista, sì...- mormorò Nhat,
abbassando la testa.- Era malata... lei...- s’interruppe. Non avrebbe dovuto
parlarne, l’aveva promesso.
-Dannata!-
Un
grido esplose nella tenda grande e spaziosa di Gammon, accompagnata da un
rumore di vetri infranti e un frastuono di metallo che cadeva a terra.
Nhat
voltò istintivamente lo sguardo.
La
sacca di Gammon era stata gettata a terra con violenza. Alcune cose si erano
rotte all’interno,altre erano uscite dalla piccola apertura nella cerniera,
rotolando sulla terra arida. Il gran maestro sembrava fuori di sé, in un modo
che Nhat non gli aveva mai visto addosso.
-Silver...-
esordì Nhat, nel tentativo di placare l’ira del gran maestro. La sua voce si
spense, sovrastata dal grido furioso di Gammon. -Quella... quella...- gridò un’esclamazione
oscena.
-Silver!-
provò a ripetere Nhat, quasi spaventato.
Gammon
lo guardò con furia omicida.-Che vuoi?!- ruggì.
-Non
arrabbiarti così... non ne vale la pena...- balbettò Nhat, indietreggiando.
-Pensavo
che la sua malattia l’avesse già sepolta dieci metri sotto terra!- tuonò
Gammon, dando un calcio alla sventurata borsa da viaggio.-Quella donna non è
umana!-
-Il
suo corpo è volato già dal secondo piano di un palazzo, è rotolato sul tendone
di un gazebo e si è spento in strada. Una ferita al cuore- gli disse Nhat,
nervoso.
Quell’affermazione
sembrò placare un po’ la furia del gran maestro, che si decise a tornare a
sedere sullo scranno di legno con aria compiaciuta. Appoggiò i palmi delle mani
sui braccioli, accarezzandoli con le dita in modo lieve, mentre sulle sue
labbra passava l’ombra di un sorriso.-Quindi è morta?-
Nhat
annuì.-Sì.-
-In
strada.-
Il
medico ababssò lo sguardo.
-Come
una fuggiasca!- Gammon scoppiò in un grassa risata.-Come l’ultima dei
criminali! Morta!- ripetè, tra sé e sé.
-Silver...
era una di noi.- disse Nhat, andando incontro alla furia di Gammon.
-Era
una traditrice! Lei e quella sua amichetta voltagabbana!- abbaiò, sporgendosi
in avanti.
Nhat
arretrò, senza avere il coraggio di rispondere alcunchè.
Gammon
appoggiò la testa allo schienale e continuò a ridere di gusto.-Chi l’avrebbe
mai detto?-
Rimasero
così alcuni minuti: Nhat pietrificato davanti a Gammon e quest’ultimo che non
accennava a smettere di ridere. Poi Gammon si fece serio e compito come sempre.
-Non voglio che se ne parli più- disse con voce gelida.-Non voglio che il nome
di quella donna maledetta venga pronunciato in questo posto. Promettilo, Nhat.-
Il
medico esitò.-Io...-
-Lei,
quella sua stupida sete di libertà. La libertà non esiste, non è di questo mondo.
Il prossimo che invoca il nome di Karima Hinari in mia presenza lo farò
giustiziare. Voglio che la sua memoria sia cancellata per sempre dalla faccia
della terra. Lo esigo.-
-E
va bene... lo prometto.-
Niente
da fare. L’ascendente di Gammon, il timore che infliggeva a chi gli stava
davanti e quella sorda ira che emanava da tutti i pori, non permisero a Nhat di
opporsi in alcun modo. Era certo solo di una cosa. Un bambino lo stava
aspettando nella tenda: doveva andare da lui, perché era solo e spaventato.
Sperò
soltanto che il ricordo di Karima non lo avrebbe tormentato per troppo tempo.
Nhat si riscosse solo quando avvertì
qualcosa di freddo che gli pungeva la gola. Girò gli occhi verso destra e
scorse una lama metallica, poi un manico argentato con un rubino incastonato
nel mezzo e infine il braccio e il viso di Helinor.
Uriah abbassò lo sguardo.
-C... come hai fatto?- balbettò Nhat,
rivolgendo un’occhiata confusa a Uriah.
-Conosco alcuni trucchetti- gli sputò
contro Helinor, con voce gelida.-Adesso devi dirmi di mia madre.- Il suo tono
non ammetteva replice, e per sottolineare il concetto lasciò che il filo della
lama affondasse lievemente nella carne di Nhat, lasciandovi un evidente segno
rosso.-Tu sai.-
-Era malata- disse Nhat, con voce
tremante.
-ERA DELL’OMBRA!- gridò Helinor, e
avrebbe affondato il pugnale nella carne se Uriah non se ne fosse accorto in
tempo e non le avesse fermato il polso.
-Sei scema?!- urlò Uriah, stringendo la
presa.
-Togliti di mezzo!- replicò Helinor,
dandogli una spallata.
Uriah estrasse la spada con un sibilo e
guardò Helinor con gli occhi ridotti a fessure.
-Vi prego... basta!- li pregò Nhat.
-Non voglio farti del male- disse
Helinor, sovrastando la voce del medico.
Il compagno la sbeffeggiò senza
paura:-non potresti neanche se volessi...- si bloccò e parò una stoccata veloca
da parte della ragazza, che impegnò la sua spada di lui con il pugnale e lo
disarmò con un gesto circolare, veloce e preciso. Uriah indietreggiò, allibito.
Era la seconda volta che lo disarmava!
Helinor afferrò la sua spada e gliela
puntò alla gola.-Sei distratto- lo rimproverò, e detto ciò alzò la lama per
abbatterla sul compagno.
Due braccia la afferrarono per la
vita.-Helinor!!!- gridò Nhat.
-Vattene!- gridò Uriah al medico, che di
tutta risposta subì una gomitata in pieno viso. La ragazza se lo scrollò di
dosso con una spinta.
-Basta Helinor!- rantolò Nhat, che
incescipò all’indietro tossendo violentemente. Cadde seduto a terra.
Uriah oltrepassò Helinor, corse da lui,
gli posò le mani sulle spalle e le strinse con la forza della
preoccupazione.-Nhat...-
L’uomo gli sorrise pazientemente quando
gli si inginocchiò accanto.
Helinor si voltò verso di loro, lanciò
lontano la spada di Uriah e ringuainò il pugnale.-Adesso risponderete alle mie
domande- intimò in tono glaciale.
Uriah la guardò, atterrito dal suo
comportamento. L’aveva vista usare quel tono e quei modi soltanto contro le
persone che uccideva, quando annullava ogni emozione e si macchiava le mani del
sangue altrui: allora era una furia indomabile.
-Per me uccidere è facile- disse
Helinor, passando due dita sull’elsa del pugnale.-E non ho problemi a farlo, me
l’avete insegnato voi. Siatene fieri: ho imparato bene.-
-Smettila- ordinò Uriah, in tono
stentorio, senza tradire la paura che iniziava a stringerli lo stomaco
prepotentemente.-Non è da te comportarti in questo modo...-
-Ne ho tutto il diritto!- esclamò
Helinor, spostandosi la frangia castana dagli occhi.-Mi avete mentito! Mia
madre abitava in questo posto!-
-E tu come lo sai?- si fece coraggio di
chiedere Nhat.
-Le domande le faccio io. È vero?-
domandò Helinor, guardandolo di sbieco.-Rispondi!-
Nhat chinò il capo e avvertì le mani del
giovane Uriah stringersi convulsamente sulle sue spalle, come se anche lui
avesse intuito che di lì a poco si sarebbe scatenato il finimondo. Nhat deglutì
rumorosamente:-Sì...-
Uriah vide qualcosa rompersi dietro le
iridi azzurre di Helinor. Per la prima volta, vide gli occhi della ragazza
farsi lucidi delle lacrime che stava ricacciando indietro non senza difficoltà.
Lei si portò una mano sul viso e cercò di asciugarsi con il palmo il sudore che
vi colava.
-Quindici anni fa- proseguì Nhat, con un
fil di voce.-Lei abitava ancora questo posto.-
-Quindici anni fa...- mormorò Helinor-
io avevo due anni- si guardò le mani, confusa.
Nhat annuì. Era difficile da spiegare,
soprattutto perché doveva tacere parte della verità.-Quindici anni fa...
-Dove
andiamo?-
La
voce infantile di Helinor si pese nel buio della notte, mentre la madre le
infilava una mantellina perché la figlia non prendesse freddo.
La
guardia all’uscita dell’accampamento sorrise dolcemente, e i suoi capelli
biondi furono rischiarati dai riflessi della luna quando la donna si mosse per
raggiungere Karima.
-Sei
sicura?-
Karima
annuì con sicurezza:- Questo non è il futuro che voglio per mia figlia- mormorò
più a sé che alla sua compagna.
Un’altra
ombra si mosse accanto a loro:-Non tornerai sui tuoi passi?-
-Nhat,
tu sei sempre troppo apprensivo- li rimproverò giocosamente Karima,
abbracciandolo con forza.-Ti sei sempre preso cura di me, grazie.-
L’uomo
sorrise flebilmente. Non avrebbe potuto fare nulla per fermarla, perché se
Karima decideva di fare una cosa, la portava a termine a qualsiasi costo. Passò
una mano sui capelli di Helinor e le sorrise con affetto. Lei arrossì, ma
contraccambiò il sorriso.
Karima
lasciò i due e si dedicò interamente ad Harila, che la fissava con occhi
imploranti.-Non andare... ti uccideranno appena ti troveranno... e la Shinra,
anche loro ti cercano!-
-Non
è un problema- obiettò Karima, prendendo le mani dell’amica tra le sue.-So
nascondermi bene!-
-Perché
sei cambiata così tanto?- mormorò Harila, abbassando gli occhi verdi sulle mani
strette tra quelle di Karima.-Da quando abbiamo rubato quei documenti sei
strana. Non sei più tu...-
-Mi
capirai quando avrai una figlia- sorrise Karima, dolcemente.-Io voglio che lei
studi, che diventi una persona normale, come le altre.-
-E
lo sarà da fuggiasca?- domandò Harila, con una vena di rancore nella voce.
Karima
lasciò le mani di Harila e l’abbracciò.-Sì, perché farò di tutto affinchè non
le manchi niente.-Avvertì un singhiozzo soffocato nell’incavo del suo collo.
Harila piangeva. Karima sorrise con nostalgia: le sarebbero mancati i suoi
piagnistei inutili.
-Non
andare- provò ancora Harila per convincerla.
Nhat
strinse la mano della piccola Helinor, e quando la madre si avvicinò, le
consengò la figlia.-Spero che tu sappia quello che fai- sussurrò.
Karima
gli battè una mano sulla spalla.-Addio.-
-Ricorda
di prendere le medicine- disse Nhat in un soffio.
-Ricorda
di prendere il Chocobo- rincarò Harila, in tono apprensivo.
Karima
annuì, poi li guardò con affetto un’ultima volta, gli diede le spalle e la
notte la inghiottì per sempre.
-Quella
bambina è nata maledetta- fu il bisbiglio di Harila.
-Cos’hai
detto?-
-Niente.
Torno a fare la guardia.-
Helinor era seduta.
Uriah la guardava con aria mortificata e
al tempo stesso arrabbiata.
Nhat terminò il racconto nel silenzio
più totale e aspettò che Helinor risolvesse la cosa in una sfuriata simile a
quella a cui aveva assistito poco fa, invece lei si conficcò le unghie nel
braccio per soffocare un pianto che sarebbe scoppiato di lì a poco e chiese:-E
poi?-
La sua voce tremava e si era fatta
stridula.
-Non seppi più niente di lei. Due o tre
mesi dopo la sua partenza ti vidi arrivare al campo insieme a Gammon. Pensai
che Karima fosse morta. La ShinRa la cercava perché tempo prima gli aveva
rubato dei documenti importanti, e l’Ombra la voleva morta per il suo
tradimento. Harila scappò quel giorno. Non so cosa gli passò per la testa,
fatto sta che se ne andò senza lasciare tracce.-
Helinor annuì stancamente.-Mia madre era
morta?-
-No- rispose Nhat, con gli occhi rivolti
a un passato ormai lontano.-Lei era... come scomparsa. La malattia la divorava
giorno per giorno, ma lei non voleva arrendersi. È sempre stata così.-
-Era una brava persona?- chiese Helinor,
con un fil di voce.
-Molto. Ma la gente o la odiava o
l’amava. Non c’erano vie di mezzo con lei- sorrise Nhat, con nostalgia.-Il suo
tradimento fu un duro colpo per Gammon, e decise di non nominarla mai più.-
-Sapeva che era mia madre?-
-Credo di sì. Se ne era accorto. Tu le
somigli molto.- Osservò Nhat, squadrando Helinor con orgoglio.-Tredici anni fa
ero sotto la finestra da cui Karima lanciò Uriah. Seppi soltanto che era
successo qualcosa di grave, e quando vidi volare in strada il corpo di Karima,
compresi che qualcuno le aveva sparato. In punto di morte mi disse che era
stato un certo... aspetta, non ricordo... Verdot.-
-Verdot- sibilò Helinor. L’assassino di
sua madre. Era un nome importante.
Nhat scosse il capo con enfasi.-Lei non
ti ha abbandonata perché non ti voleva bene.-
-E allora perché?- chiese Helinor.
-Forse aveva paura. Forse temeva che
quella gente potesse farti del male e che lei non sarebbe stata in grado di
proteggerti- concluse Nhat.
Helinor lo guardò con un sentimento
molto simile alla disperazione, più che al conforto, e lui se ne dispiaque,
perché stava facendo del suo melgio per nasconderle in modo indolore la parte
di verità che più le avrebbe fatto male.
-Non so... ma almeno so che non è colpa
mia- sussurrò Helinor, poi si alzò e uscì senza aggiungere una parola.
Appena fu fuori la luce la investì, e
alla sua sinistra intravide un basco grigio da qui pendevano alcuni ciuffi di
colore argento. Si fermò a capo chino e disse:-Hai sentito?-
Sephiroth non rispose a quella
domanda.-Tseng è appena andato via-
-Hai sentito?- ripetè Helinor, a voce
più alta.
-Forse vorrai andare a tagliare i
bastoncini...- propose lui, in tono lugubre. Non sapeva proprio cosa dirle. Sì,
aveva sentito. E allora? Non erano affari che lo riguardavano, né che gli
interessavano.
Lei alzò lo sguardo su di lui,
disperata.-Tu ce l’hai una famiglia? Com’è avere una madre? E un padre?-
Sephiroth scrollò le spalle.-Non ne ho
idea. Sono orfano.- disse con indifferenza.
La vide deglutire, e all’improvviso
scorse anche qualcosa che luccicava nel pressi del suo occhio destro. Una
piccola lacrima colò dal viso di Helinor. Una e nient’altro, poi lei si rimise
in marcia e andò a rintanarsi chissà dove, chiusa in un religioso silenzio.
Sephiroth la fissò e sentì una morsa
stringerli il cuore. Adesso che era in pace, adesso che era stato privato delle
spoglie di Soldier inarrestabile, adesso che gli mancavano gli allenamenti
estenuanti e poteva godersi una calma e una tranquillità che non aveva mai
nemmeno sognato: soltanto adesso si accorgeva di quanto avrebbe desiderato una
famiglia.
(...)
Il resto della giornata passò nella più
completa monotonia.
Gofna si era rinchiusa nella tenda di
Gammon insieme a Taiji, e su ordine del gran maestro mostrava tutti i suoi più
bei giochi di prestigio. Era contenta che
qualcuno la capisse finalmente, e si era già affezionata a Gammon; lui sapeva
di cosa aveva bisogno e la faceva felice senza chiedere nulla in cambio,
soltanto per il piacere di farlo. Avevano parlato tanto di quanto Gofna si
sentisse sola dopo la morte di sua madre. Non era scesa nei dettagli di come
fosse accaduto, e neanche Gammon si sognò di chiederlo. Non era nel suo stile
indurre la gente a confessargli le cose con le domande, gli bastava
conquistarne la fiducia e le informazioni venivano da sé, senza sforzo alcuno.
Tseng era rimasto chiuso nella sua tenda
insieme a Genesis, a scrivere su un piccolo diario dalla copertina rigida, nera
come la pece, che aveva comprato da Shon insieme ad una penna molto
particolare.
-Inchiostro simpatico- aveva detto Shon
con un sorriso avido sulle labbra.
Il Turk aveva preso in mano il pennino.
Era corto come un dito, dalla punta a sfera. Quando provò a scriversi il suo
nome sul dorso della mano, l’inchiostro non era fuoriuscito.-Non scrive- aveva
fatto notare a Shon.
-Devi prendere il tappo- spiegò il
mertante.-C’è una lucina... la devi accendere spingendo questo tastino al lato...- una piccola luce bianca illuminò
il dorso nella mano del Turk, e subito apparvero le lettere che componevano il
nome “Tseng”, a caratteri chiari e precisi.
-La compro!- aveva esclamato il giovane,
e subito aveva pagato Shon.
Quel pomeriggio aveva deciso di tenere
un diario di tutte le informazioni che stava raccogliendo, e sebbene Genesis
insistesse per leggerle riusciva solo ad avere distratte spiegazioni.
-Dovrei parlare con un mio superiore-
diceva il Turk di tanto in tanto.-Però è a Midgar.-
-Impossibile- rispondeva Genesis,
annoiato e infastidito da tutta quella risrvatezza.
A parte quelle poche parole, i due non
si parlarono molto quel giorno.
Sephiroth invece passò il pomeriggio a
vagare per inerzia intorno all’accampamento. Aveva voglia di stare solo, e
anche la compagnia di Genesis non lo allettava molto: sapeva che il suo amico
avrebbe passato tutto il tempo a lamentarsi del ruolo scelto per lui da Tseng.
A un certo punto si scoprì a guardarsi
intorno in cerca di Helinor.
Il giorno stava volgendo all’imbrunire,
ma della ragazza non c’era nessuna traccia. La prima cosa che pensò fu che lei
si fosse rintanata nel posto dove era stata accatastata la legna. Si recò lì,
ma lei nin c’era.
-Non so dov’è- gli disse Uriah quando
arrivò la sera e tutti si riunirono nella piazza centrale per la cena.-Non la
vedo da un bel po’ di tempo. Ma perché la cerchi?-
Sephiroth non rispose e se ne andò nella
propria tenda.
Helinor tornò a notte fonda, ma non
parlò né volle vedere nessuno. Sembrava appena sopravvissuta ad una battaglia.
Era sudata e affaticata, e andò subito a dormire.
Uriah era sveglio. Vide una luce nella
tenda di Helinor accendersi e seppe che era tornata. Cosa le stava succedendo?
Angolino
dell’autrice:
***Sono
al lavoro***
the one winged angel:per prima cosa, ti ringrazio del
commento all’altra storia! ^_^ Anche se non la manderò avanti prima di aver
finito questa, quindi la prenderà alle lunghe... XD Non so perché, ma amo la sezione
di ffVII; non so perché (ci penserò).
Povera
Gofna, inizia a farmi pena, sinceramente. La trattano tutti malissimo... finiranno
col gettarla in pasto a Gammon se continuano così...
Sono
felice che Tseng ti stia piacendo ^_^! Penso che sia un bel personaggio, anche
se sul gioco è di secondo piano. (Più potere a Tseng!!!) XD
Nhat
nasconnde qualcosa, ma non è cattivo, anzi, praticamente è l’antagonista di
Gammon XD
Sì,
Zack e Angeal riappariranno verso la fine, ancora però non ci sono arrivata
nella stesura.
^_^
Beh, se vuoi leggere il continuo allora lo pubblicherò! *_*
Alla
prossima cara nipoteeeeeeeeeee *abbraccia*
Kairih: Spero che tu
abbia trovato il modo per non addormentarti più alle cinque, tesoro! Oddio X_X
Se io mi svegliassi alle cinque è meglio che la gente resti chiusa in casa,
diverrei un pericolo pubblico XD
Helinor
ogni tanto calca la mano ih ih. Però è normale,
povera ragazza. Ha sempre diciassette anni e ha sempre vissuto tenenendosi
tutto dentro. Senza contare che lei è piuttosto emotiva a volte, dunque arriva
a fare cose che non potrebbero affatto piacere. Sai, è un personaggio che ho
creato con un anno e mezzo. L’ho perfezionato e riperfezionato con il passare
del tempo, fino ad assumere praticamente un’entità propria. (No, non sono
andata a dormire alle 5. Sono le idiozie che sparo di solito XD, non farci
caso)
Neanche
a me piace il colpo di fulmine. Boh... non è che mi ha mai convinto molto.
Ottima
recensione carissima maestra!
^^
Alla prossima!!! Un bacione
KiaElle: XD
Infattiii!!! Tra poco mi tocca aggiornare anche il mercoledì! Li posso nominare
“giorni dell’aggiornamento”!! Il punto è che questa storia mi piace talmente
tanto che ho continuato a scrivere XD (senza contare che con l’estate ho tanto
tempo libero)
Eeeeeeeh
*sospiro* Gofna è come un pesciolino e Gammon è lo squalo, però. Se potessi le
direi di stare ben attenta a quel tipo =.=, ma credo che anche se lo facessi
non mi darebbe retta.
Per
carità! Ferma con quella katana!!!! *corre dappertutto* >.< Sephiroth,
fermala tuuuuuu!
Sephiroth: eh?
Genesis: Ah! Scacco matto!
Sephiroth: Doh! Maledetta
autrice, non dovevi distrarmi! *corre dietro all’autrice con la Masamune*
AAAAAAAAAAAH!!!!
;-D Un abbraccio al volo e me ne vado, altrimenti qui Sephiroth mi fa a fette... XD