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Autore: Leslie and Lalla    05/07/2010    4 recensioni
[Seguito di Drawing a SongAttenzione: può essere letta senza alcun problema anche da chi non ha letto il primo]
Sono passati sedici anni dall'incontro di Lori e Cleo, e ora tocca alle loro figlie fare i conti con il primo amore e le complicazioni che ne derivano.
Madelyn e Michelle sono due cugine adolescenti inseparabili eppure, alle volte, diverse: la prima è la fotocopia del padre, capelli castani, occhi verdi, terribilmente protettiva nei confronti della sorella più piccola e senza i libri, i quali le permettono di viaggiare di fantasia e quindi staccarsi per un po' da un mondo che sembra avercela con lei, non vivrebbe; la seconda il padre lo ha a malapena conosciuto, ha viaggiato in giro per il mondo armata di macchina fotografica e ora si sente un po' stretta nella piccola città di montagna dove l'hanno relegata.
A confronto di Michelle, Mad reputa indispensabili i ragazzi: le volte in cui ha preso una cotta per uno stronzo che aveva fretta di buttarla via senza curarsi dei suoi sentimenti sono incontabili, tanto che ora ha perso ogni speranza di trovare uno con la testa a posto ed è convinta che siano tutti come i suoi ex, cioè dei luridi vermi senza uno straccio di cuore. La cugina, invece, non ha mai pensato ai ragazzi come più che amici, non si è mai innamorata e dopo aver sentito le storie di sua madre, sua cugina e della sua migliore amica, ha paura che accada anche a lei.
Tuttavia le due ragazze, nonostante tutto, nel loro più profondo continuano a sognare la propria anima gemella, che sembra non essere poi così irraggiungibile...
[Scritta a quattro mani, con due punti di vista diversi: quello di Madelyn e quello di Michelle]
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All of Drawing a Song and Sequels'
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12. What the hell...?!




Domenica 21 aprile

Michelle's Pov.

La mattina dopo mi alzo abbastanza presto. Beh, in realtà non è che voglio alzarmi, ma la luce del sole sta diventando troppo forte per poterla ignorare. Mi metto seduta stropicciandomi gli occhi e trattenendo uno sbadiglio, per poi prendere il cellulare e controllare l'ora. Con un gemito mi lascio ricadere sui cuscini: le otto e ventisette, troppo presto.
Ieri sera siamo tornati piuttosto tardi, in effetti.. tipo verso le due, non ne sono sicura. Ero così stanca che credo di aver rimosso gran parte di quello che è successo. Beh, io e Daniel ci siamo baciati, quello me lo ricordo, e abbiamo continuato a baciarci per un bel po', finché non ha suggerito di tornare alla festa, prima che qualcuno si preoccupasse. Abbiamo passato il resto della serata a ballare e non mi sentivo nemmeno tanto stanca, poi però nella limousine sono crollata. Ora che ci penso non credo nemmeno di essere stata svegliata... o forse solo per farmi arrampicare sul letto.
Mi sporgo per vedere se Daniel sta ancora dormendo, ma il suo letto è vuoto. Ho bisogno di parlare con lui riguardo all'altra sera, di capire bene cose aveva in mente. Insomma cosa siamo adesso? Amici che si baciano? Fidanzati?
Lascio perdere i complessi quando mi ricordo la promessa di ieri sera: basta rimuginare, vivi la tua vita.
Scendo dal letto a castello e corro in soggiorno, dove la nonna sta sistemando il tavolo per la colazione. È sola. Strano.
«Michelle, tesoro! Che ci fai già in piedi?» esclama, posando la teiera che ci ha regalato qualche natale fa in mezzo al tavolo e raddrizzando il bricco del latte.
«Mi sono dimenticata di chiudere la finestra, la luce mi ha svegliata» rispondo, disorientata. «Dove sono Dan e la mamma?» domando subito dopo, mentre lei mi fa sedere a tavola.
«Daniel è uscito a correre cinque minuti fa, tua madre sta ancora dormendo» risponde la nonna. «Cappuccino?»
«Sì grazie... come mai dorme ancora?» chiedo ancora, perplessa.
«Mi sembra di ricordare che dormisse sempre fino a tardi» mi fa notare lei, versando il caffè nella tazza che ho davanti.
Io prendo una fetta di pane coperta di burro e la rimiro, confusa. «Non negli ultimi anni» ribatto.
In effetti è passato un secolo da quando la mamma dormiva fino a tardi la domenica. Una volta le preparavo la colazione e gliela portavo a letto, ora invece è lei che si sveglia e prepara tutto in tavola, per poi dedicarsi a tutto quello che ha da fare.
«Beh, si vede che oggi era stanca» butta lì la nonna, sedendosi accanto a me. «Prendi le uova, tesoro, sono deliziose e ancora calde» aggiunge subito dopo, con un sorriso affettuoso.
Com'è che ho l'impressione che mi stia nascondendo qualcosa?


Mezzora dopo ho indossato un paio di jeans e una maglietta bianca e sono uscita, con la scusa di voler fare due passi. Ho voglia di vedere Daniel, magari lo incontro, infondo non può essere andato tanto lontano. Mi rendo subito che non è stata esattamente la migliore delle idee: mi fanno ancora male i piedi dopo ieri sera e non ho la più pallida idea di dove andare. Dopo essere stata ferma per un po' a guardarmi intorno, prendo il cellulare dalla tasca e compongo il numero di Alice.
«Pronto?» risponde, con voce impastata, tipo al decimo squillo.
Credo di averla svegliata. «Ali! Ciao, come stai?» la saluto, allegra.
«Michelle? Sei tu?» borbotta, sorpresa.
«Indovinato!» rispondo, sorridendo.
«È morto qualcuno?» chiede lei, preoccupata.
«No.»
«Fabio ha mollato Sara e ti ha dichiarato amore eterno?»
«No» sospiro, paziente.
«Addio» esclama lei, irritata.
«No, Ali! Ali aspetta!» troppo tardi, ha già messo giù.
Sospiro e compongo di nuovo il numero.
«Michelle» geme, rispondendo.
«Daniel mi ha baciata!» esclamo, prima che possa ribattere.
«Ci troviamo alla fontana tra dieci minuti» dice, improvvisamente sveglia, per poi mettere giù.
Rido e infilo di nuovo il cellulare in tasca, per poi avviarmi lentamente verso l'incrocio con la fontana dove io e Alice ci vediamo sempre. Mi accomodo sulla panchina e mi infilo le cuffiette dell'iPod nelle orecchie. Seleziono brani casuali e la prima canzone a partire è Faithfully. Senza sapere come arrossisco, per poi piegare le labbra in un sorriso idiota. Credo che quella ieri sia stata la serata più bella della mia vita. Sospiro e chiudo gli occhi.
Alice arriva puntualissima, anche se si vede che si è appena alzata dal letto. Indossa un paio di pantaloncini di jeans e una camicia larga e stropicciata – probabilmente di suo fratello –, mentre i capelli sono leggermente scompigliati e non ha un filo di trucco. Parcheggia la bici accanto alla panchina e si siede vicino a me, incrociando le gambe e unendo le mani in grembo.
«Raccontami tutto» ordina, scandendo per bene l'ultima parola.
Sorrido e comincio dall'altro ieri all'aeroporto, per poi raccontarle di ieri sera in ogni minimo dettaglio. Quando finisco, lei mi sta guardando con gli occhi che brillano.
«Oh mio Dio!» esclama, con voce acuta, per poi abbracciarmi.
Sorrido e ricambio l'abbraccio, ma lei si divincola subito dopo e balza in piedi. «Devi farmelo conoscere. Assolutamente. Il prima possibile!» esclama, battendo le mani eccitata. «Dov'è adesso?»
«Da qualche parte qui intorno a fare jogging» rispondo, divertita.
«Fa anche jogging?» chiede lei, emozionata. «Devi sposarlo. Assolutamente. E poi mandare a fanculo Fabio e quella smorfiosa di Sara. Assolutamente.»
Non mi ero mai resa conto di quanto Alice dica spesso 'assolutamente' quando è emozionata per qualcosa. Sentendo parlare di Fabio, tuttavia, il mio sorriso affievolisce appena.
«Già, Fabio...» sospiro, raccogliendo le gambe contro il petto.
Alice si posa una mano sulla bocca. «Scusa. Mi rimangio subito tutto... Fabio non esiste, mai esistito» dice, velocemente, sedendosi di nuovo accanto a me.
«Piantala, è il tuo migliore amico» ribatto, lanciandole un'occhiata ammonitrice.
«Non più. Te lo giuro» esclama, posando la mano destra sul cuore.
Mi viene quasi da ridere. «Piantala, io voglio bene a Fabio» ammetto, abbassando lo sguardo.
«Credevo che lo odiassi» ribatte lei, aggrottando la fronte.
«Mai detto niente di simile» le faccio notare, seria. «Ci sono solo rimasta male, e voglio parlare con lui e chiarire tutto al più presto» metto in chiaro.
Lei sorride. «Okay.»
«Ehi, Michelle!» mi chiama qualcuno da dietro.
Mi volto, seguendo lo sguardo di Alice, e vedo Daniel che ci sta venendo incontro. Istintivamente sorrido e alzo una mano per salutarlo.
«Oh-mio-Dio» sussurra Alice, sbarrando gli occhi. «Non mi avevi detto che era un dio greco.»
Le tiro una gomitata, zittendola, e poi mi alzo per dare un bacio a Dan. A stampo, sulle labbra... lo faccio in modo così naturale da non rendermene quasi conto, come se stessimo insieme da una vita. Ora che ci penso è così, in un certo senso.
«Come mai già in piedi? Ti ho svegliata io?» mi chiede lui, posandomi una mano sul fianco.
Sorrido. «No, è stato il sole» gli assicuro.
Alle mie spalle, Alice finge qualche colpo di tosse.
«Oh già... Daniel, lei è Alice, la mia migliore amica... Alice, lui è Daniel» presento, facendo un passo indietro.
Lei si alza e gli stringe la mano, mentre dichiarano contemporaneamente un 'felice di conoscerti'.
«Ehi, sapete cosa dovremmo fare?» esclama subito dopo, eccitata. «Andare a fare colazione tutti e tre insieme!» annuncia, senza darci il tempo di dire nulla.
«In realtà io ho già mangiato» rispondo, con una smorfia del tipo “se-proprio-vuoi-ma-non-ne-sarei-entusiasta”.
«Sì, anche io... però potremmo rimandare a oggi a pranzo» propone Daniel, facendo spallucce.
«No, a pranzo non posso, i miei sono fuori» sospira Alice.
«Cena?» tento, con un sorriso speranzoso.
Lei fa un sorriso vagamente colpevole. «Ho un appuntamento...»
Sgrano gli occhi, sorpresa. Un appuntamento? Ma se ancora mette il muso ogni volta che qualcuno nomina Simone? «Sul serio? Con chi?» le chiedo, cercando di mascherare il leggero scetticismo.
«Kevin me l'ha chiesto ieri sera e io ho detto di sì» ammette lei, leggermente imbarazzata.
«Oh, e...»
«Se stai per dire Simone, giuro che me ne vado a casa immediatamente» mi minaccia, facendosi seria all'improvviso.
Daniel mi guarda interrogativo e io mimo “ex-ragazzo” con le labbra. Lui annuisce impercettibilmente.
«Allora magari lunedì, dopo scuola... magari puoi invitare anche Kevin, offro io» propone subito dopo, con un sorriso.
Alice torna a sorridere. «Oh, ti adoro già» sospira, con occhi sognanti.
Sorrido, imbarazzata, e gli lancio un'occhiata che lui ricambia, divertito.
«Ora vi lascio soli, anche perché ho bisogno di mangiare qualcosa prima che svenga» aggiunge, con una punta di malizia. «Ci vediamo domani!»
La guardo prendere la bici e le faccio un cenno con la mano, per poi istintivamente appoggiarmi a Daniel, che mi circonda la vita con il braccio. Arrossisco, anche se non ce n'è motivo: è la prima volta che sono sola con lui da ieri sera e, stranamente, mi rendo conto che è quello che aspettavo da quando mi sono svegliata questa mattina.
«Allora, cosa facciamo adesso?» chiede lui, dopo che Alice è sparita dietro una curva.
Mi volto, ritrovandomi tra le sue braccia, e sorrido. «Non lo so, cosa potremmo fare?»
Lui ricambia con una punta di malizia e avvicina il suo viso al mio. «Io un'idea ce l'avrei» sussurra, a qualche centimetro dalle mie labbra.
Dio, baciarlo è tutto quello che voglio fare in questo momento, ma non so perché qualcosa mi trattiene. Metto una mano davanti alla sua bocca e lo spingo appena indietro, per poi liberarmi del suo abbraccio, senza però lasciargli la mano. Mi mordicchio il labbro, divertita.
«Allora siamo una coppia adesso?» gli chiedo.
Lui mi stringe di nuovo a sé e posa le labbra sulle mie, e questa volta non mi ritraggo. Sento il suo sapore sulla lingua e immergo una mano tra i suoi capelli, mentre lui fa vagare la sua sulla mia schiena. Quando ci separiamo mi sembra quasi di sentire la testa girare.
«Tu che dici?» mormora, praticamente sulle mie labbra.
Sorrido, leggermente frastornata, e annullo di nuovo la distanza che ci separa. È come se non potessi fare a meno di baciarlo, sul serio, mi sento una persona completamente diversa dalla solita noiosa Michelle e ho voglia di urlare a tutto il mondo quello che provo.
Infila una mano tra i miei capelli e la sua pelle calda a contatto con la mia mi dà i brividi. Faccio aderire il mio corpo al suo e lascio che il bacio mi travolga completamente. Ci separiamo, poi ci baciamo ancora e ancora. Vorrei durasse all'infinito, ma il trillare del cellulare nella mia tasca mi fa sobbalzare. Faccio per ignorarlo, ma lui lo prende e lo mette davanti alle sue labbra prima che possa baciarlo di nuovo. Alzo gli occhi al cielo e accetto la chiamata senza nemmeno leggere il nome sul display.
«Michelle, sono Fabio.»
Per poco non lascio cadere il telefono dallo choc. Il sorriso svanisce dalla mia faccia e istintivamente mi volto, nella speranza che Daniel non lo noti.
«Che cosa vuoi?» domando, molto più brusca di quello che avrei voluto.
«Parlare con te» risponde lui, prontamente. «Non hai risposto a nessuno dei miei messaggi» mi fa notare, subito dopo.
«Scusa... ho avuto altro per la testa» borbotto, leggermente contrariata.
Dall'altro capo nessuno risponde. Sospiro. «Allora?» sbotto, impaziente.
«Allora preferirei guardarti in faccia mentre parlo... sei impegnata oggi?»
Mi mordicchio il labbro, pensierosa, poi lancio un'occhiata veloce a Daniel, che sta controllando il cellulare. «Sì.»
«E domani ci sei a scuola?» insiste.
Annuisco, per poi ricordarmi che non può vedermi e mormorare un 'sì' frettoloso.
«Okay, allora ci vediamo domani durante l'intervallo» annuncia, con un tono che non ammette repliche.
«Come ti pare» sbuffo, di nuovo brusca.
«Ciao» saluta infine, leggermente freddo, per poi mettere giù prima che possa rispondere.
Mi costringo a sorridere e mi volto verso Daniel rimandando ogni possibile riflessione sulla telefonata a quando sarò sola.
«Era Fabio?» domanda lui, tranquillo.
Il mio sorriso si affievolisce appena. «Sì, ma non mi va di parlarne» metto in chiaro.
«Okay» accetta lui, infilando di nuovo il cellulare in tasca. «Io ho altri venti minuti di corsa da fare, ti unisci a me?» chiede, con l'aria divertita di uno che sa già benissimo la risposta.
Gli tiro una gomitata, consapevole del fatto che probabilmente la sente a malapena. «Divertiti» gli auguro, alzandomi sulle punte per dargli un bacio a stampo.
Lui mi posa una mano sulla schiena, trattenendomi qualche secondo in più. Schiude le labbra e lascia le nostre lingue sfiorarsi.
Quando esco dalla trance, lui ha già ripreso a correre. Faccio un sorriso idiota e, quando si gira per lanciarmi un'ultima occhiata, alzo una mano per salutarlo. Resto immobile a fissarlo finché non sparisce dietro una curva e, dopo essermi schiarita la voce leggermente in imbarazzo – come se qualcuno mi avesse fissata per tutto il tempo –, mi scosto una ciocca di capelli e mi incammino di nuovo verso casa. La strada non è tanta, ma la percorro lentamente, lasciandomi tutti il tempo per rivivere quello che è appena successo.
Sto percorrendo la via del mio palazzo quando la portiera di una decappottabile grigio metallizzato si apre davanti a me e un uomo sui quaranta esce e si toglie gli occhiali da sole. Sembra strano, ma mi ci vuole un attimo a riconoscerlo, un attimo che però sembra durare una vita.
«Ciao Michelle» dice, piano, con una strana espressione, mentre io sento qualcosa bloccarsi nel mio cervello. Era lui, lui era l'uomo che mi osservava nell'ombra, che mi ha chiamata ieri sera.
«Papà...»


Osservo il frappè al cioccolato bevuto per metà davanti a me senza osare alzare lo sguardo. Continuo ad essere convinta che tra una manciata di secondi mi sveglierò sudata nel mio letto, rendendomi conto che è stato tutto un sogno, malgrado tutto quanto sembri maledettamente reale. Mi rendo conto che ci sono troppi dettagli perché possa essere un sogno, troppe facce, troppi frammenti di conversazione, e nessuno mi sembra familiare. La cameriera che corre da un tavolo all'altro imprecando perché il suo collega non è ancora arrivato, la signora che si ritocca il rossetto per la sesta volta in attesa di chissà quale uomo, i due che si fanno gli occhi dolci nonostante i rispettivi fidanzati affianco... non c'è nulla di surreale, eccezion fatta per l'uomo seduto di fronte a me, che gira nervosamente il suo espresso senza trovare il coraggio di berlo. È esattamente com'era nei miei ricordi, tranne che per qualche ruga attorno agli occhi. Il biondo è praticamente scomparso dai suoi capelli e indossa una camicia firmata. È strano, quando viveva assieme a noi non ha mai indossato nemmeno una camicia normale, e comunque non abbiamo mai avuto i soldi per permetterci abiti firmati... ma lui non abita più con noi. Già, chissà come mai improvvisamente ricordarlo mi fa stare così male.
«Perché sei venuto?» domando all'improvviso. Eccetto l'ordinazione sono le prime parole che dico da quando siamo entrati qui dentro.
Lui sembra sorpreso. Toglie il cucchiaino dal caffè e lo posa sul piattino, per poi alzare di nuovo lo sguardo su di me.
«Mi mancavi, Michelle» risponde, leggermente esitante. «E mi mancava tua madre» aggiunge, poco dopo, abbassando gli occhi.
Mi mordo forte il labbro inferiore. Se gli mancavamo davvero come mai ha aspettato così tanto prima di venire? Come mai non è tornato subito? Quanto tempo ci vuole a rendersi conto che le persone che ami sono ancora importanti per te e che vorresti rivederle? Una lacrima scivola lungo la mia guancia prima che possa riuscire a fermarla. Si sentiva in colpa, ecco qual'è la verità.
«Michelle...» sussurra, quasi spaventato, non appena si rende conto che sto piangendo.
Mi affretto ad asciugarmi gli occhi. «F-fa finta di nulla» balbetto, distogliendo lo sguardo.
«Stai piangendo» ribatte, serio.
«Scusa ma non è esattamente il momento più facile della mia vita» mi lascio scappare, fredda.
Lui si blocca per un momento e ritrae la mano che aveva allungato per afferrare la mia. Sembra ancora più a disagio di prima e improvvisamente mi sento in colpa. Deglutisco, cercando di sciogliere in nodo che ho in gola. «Mi dispiace» balbetto, senza però riuscire a metterci troppa convinzione.
Torna a guardarmi, in silenzio, per una ventina di secondi, mentre io gioco nervosamente con l'orlo della maglietta, senza trovare il coraggio di guardarlo di nuovo gli occhi.
«No, ne avevi tutto il diritto» mi assicura, dopo un po'.
Non so cosa rispondere e il trillo del mio cellulare mi evita di doverci pensare. È Daniel.

Ehi, dove sei sparita?

Esito un momento. Per una qualche ragione mi sento a disagio solamente all'idea di parlargli di tutto questo.

Ho deciso di fare una passeggiata, torno per pranzo.

Digito e invio il messaggio con dita tremanti e appoggio il cellulare sul tavolo.
«Era Daniel» dico, nonostante sappia che non è necessario. «È venuto qui a trovarmi e ci siamo messi insieme.»
Papà sorride con affetto. «Ho sempre immaginato che prima o poi sarebbe nato qualcosa tra voi due» commenta, con una punta di divertimento.
Senza rendermene conto, sto ricambiando il suo sorriso. «Avevamo solo quattro anni...» protesto, e stranamente non c'è rancore in quest'affermazione.
«Per certe cose sono bravo...» scherza lui.
Rido e bevo un altro sorso di frappè.


Lasciamo il caffè un'ora più tardi. Lui alla fine non ha bevuto il suo espresso, è rimasto lì a freddarsi mentre cominciavamo una conversazione vera e propria. Sembra incredibile come all'improvviso il disagio sia svanito e mi sia ritrovata a parlare con lui del più e del meno. Non gli ho detto nulla della mia vita, dopo il commento su Daniel, e neanche lui, e non abbiamo nemmeno  accennato più al passato. Abbiamo parlato di cose banali come Parigi, fotografie, la scuola, la musica eccetera. È un uomo divertente e piuttosto colto e ha praticamente girato il mondo ed è bello parlare con lui, ma, mentre riportandomi a casa mi racconta di una qualche esperienza in Africa, mi rendo conto di quanto questo sia surreale. Parlo con lui come se niente fosse quando lui ha mollato me e mia madre quando ero piccola. Quest'uomo è praticamente un estraneo per me, e io mi sono lasciata andare in un modo che non mi riesce neppure quando sono con i miei migliori amici. Divento improvvisamente silenziosa e passo il resto del tragitto in auto a fissarlo con occhi vuoti. Lui non sembra turbato, anche se non sono molto sicura di essere capace di leggere le emozioni sul suo volto.
Accosta davanti a casa e rimane in silenzio, io sposto lo sguardo sulla siepe che delimita lo spazio dei tavolini del bar accanto al mio portone.
«Perché sei andato via?» non volevo chiederglielo, davvero, ma non riesco a trattenermi.
Mi volto a guardarlo, senza sapere nemmeno io quello che sto provando in questo momento.
Lui si irrigidisce e distoglie lo sguardo. «È davvero così importante?»
Sento un moto di rabbia e delusione invadermi e mi stringo tra le braccia.
Lui sospira, rendendosi conto che non è la risposta che avrei voluto. «Non è facile da spiegare» tenta, ma questo non fa altro che farmi arrabbiare ancora di più.
Mi volto a guardarlo, rossa in viso, le lacrime che luccicano sulle mie guance.
«Michelle...»
«No, NO!» strillo, premendomi le mani contro le orecchie. «Lo sai cosa non è facile? Non è facile essere mollati dal proprio padre quando si ha quattro anni! Non è facile vedere tua madre stare così male da non riuscire ad alzarsi dal letto e non poter fare assolutamente nulla per aiutarla! Non è facile crescere senza papà e non sapere nemmeno perché!» urlo, la voce orribilmente rotta dal pianto.
Lui distoglie lo sguardo, ferito, ma questa volta non me ne frega nulla.
«Ho sedici anni, cazzo! Ho sedici fottutissimi anni dei quali dodici li ho passati senza un padre! Non sono più una bambina, e credo che mi devi almeno una spiegazione, o sbaglio?!»
Lui rimane in silenzio a fissare il volante e io mi rendo conto di non poter restare in questa macchina un minuto di più. Esco sbattendo la portiera e corro a rifugiarmi dietro il portone di casa, per poi scoppiare in singhiozzi dopo aver salito a malapena due gradini e raggomitolarmi contro il muro, odiando tutto e tutti. Voglio solo svegliarmi da questo incubo.
Mi ci vogliono tipo tre minuti per rendermi conto che non posso salire e farmi vedere in questo stato. Mi alzo, le gambe che tremano così violentemente che sono costretta ad aggrapparmi alla ringhiera, poi lentamente scendo i gradini che mi separano dall'uscita sul retro. Non so se lui è ancora dall'altra parte e, francamente, non mi interessa. Percorro lentamente il piccolo parcheggio di sterrato e prendo la prima via che mi trovo davanti, senza nemmeno controllare di quale si tratta. Non riesco a pensare a nulla, sul serio, nonostante ci stia provando. In testa ho frasi sconnesse e immagini confuse alle quali non riesco a dare un ordine.
Dopo aver camminato pochi minuti mi siedo, rendendomi conto di essere arrivata davanti alla stazione. Guardo un autobus fermarsi a pochi metri da me e una decina di persone scendere mentre la normalità di quella scena mi travolge. Una ragazza che avrà più o meno la mia età salta giù dal mezzo trascinandosi dietro un borsone, un uomo sui quaranta scende dopo di lei e la aiuta, per poi circondarle le spalle con il braccio. Padre e figlia, probabilmente... perché io non posso avere lo stesso?
Accarezzo distrattamente il braccialetto di Daniel, rendendomi conto quanto vorrei che fosse qui in questo momento e quanto allo stesso tempo sia riluttante all'idea di parlargliene. È strano, mi conosce da sempre e gli ho sempre raccontato tutto della mia famiglia, eppure ora che è il mio ragazzo è diverso, è come se mettendomi insieme a lui avessi dovuto rinunciare al mio migliore amico... improvvisamente mi rendo conto di quanto questo mi faccia star male. Con chi potrei parlare di una cosa del genere? Alice? No, non credo... per quanto la adori non è esattamente il tipo al quale raccontare una cosa simile... Mia madre? Per carità, già mi vedo l'espressione terrorizzata nei suoi occhi. Forse...
«Michelle?»
Alzo lo sguardo, sussultando. Fabio... lui potrebbe capire: i suoi genitori hanno divorziato quando era piccolo perché suo padre aveva problemi di alcool e picchiava lui e sua madre, non è esattamente la stessa cosa, ma è l'unico che in tutta la vita abbia davvero compreso quello che ho passato, ora che ci penso è stato questo il motivo per cui siamo diventati amici.
Continuo a fissarlo senza riuscire a dire nulla. È come se le mie labbra fossero incollate.
«Che è successo?» chiede, allarmato, chinandosi perché lo possa guardare senza dover inclinare la testa verso l'alto.
Non riesco a rispondere, credo di aver dimenticato come si fa a parlare. Stringo le labbra e fisso l'asfalto sotto i suoi piedi. Dopo qualche secondo, sento le sue dita posarsi sul mio mento e sollevarmi delicatamente il viso.
«È per colpa mia?» sussurra, con voce rotta dall'emozione. Quale non riesco a capirlo... senso di colpa? Ansia? O forse paura?
Scuoto la testa con decisione e colgo una punta di sollievo sul suo viso, sostituita subito dalla preoccupazione. Si siede vicino a me e istintivamente mi prende la mano. Sento un brivido quando la sua pelle calda sfiora la mia e guardo le mie dita sottili intrecciate alle sue. Sento un'ennesima lacrima scivolarmi sulla guancia e automaticamente mi chiedo se piango ancora per mio padre o se è questo momento a commuovermi. Fabio mi guarda come a volermi leggere dentro e abbasso il viso, quasi infastidita. Lui mi accarezza il dorso della mano con il pollice, come a farmi coraggio.
«Mio padre è tornato» la voce mi esce distaccata, stranamente calma nonostante sia rotta dal pianto.
Lo sento irrigidirsi per un momento e con la coda dell'occhio noto la sua espressione farsi improvvisamente dura. Mi sfrego la guancia con la mano libera, sperando di cancellare le lacrime, e mi mordo forte il labbro. Fabio resta in silenzio, ma so che non si aspetta che dica altro. Mi sorprendo di quanto mi conosca, forse non come Daniel, ma comunque fin troppo, considerando quello che stiamo passando. Anche io lo conosco bene, me ne rendo conto quando alzo di nuovo lo sguardo per incontrare il suo. So che non rimane in silenzio perché non sa cosa dire, come farebbero in molti, ma perché sa che non ho bisogno di nessuna parola, di nessuna stupida consolazione. Non mi lascia la mano, però, continua a stringerla e in qualche modo io mi sento rassicurata. Per un momento mi sembra tutto di nuovo come era fino a poco tempo fa. Non lo è più, lo sappiamo entrambi.
Quasi senza accorgermene scoppio di nuovo in singhiozzi e mi ritrovo aggrappata alle sue spalle, mentre lui stringe a sé, il viso affondato tra i miei capelli, e mi sussurra che andrà tutto bene.
Per un momento quasi ci credo.


Non so che ore sono quando apro piano la porta di casa, ma l'ora di pranzo è passata da un pezzo. Daniel mi ha chiamata un paio di volte, ma io ho preferito non rispondere, non ci riuscivo, forse anche perché ero assieme a Fabio. Già, come se il ritorno di mio padre non fosse bastato, ora Fabio doveva mettersi a fare l'amico quando io stavo cercando di odiarlo con tutta me stessa, forse perché in un certo senso sarebbe stato più facile. Avevo voglia di maledire tutti, ma soprattutto me stessa... possibile che non riesca mai ad essere sincera con me stessa? Che continui a cambiare idea ogni minuto?
Dan mi è addosso nel momento stesso in cui mi chiudo la porta alle spalle e ringrazio il cielo per essere riuscita a calmarmi. Ho chiuso la rabbia e la tristezza in un angolo della mia mente e non ho intenzione di lasciarle uscire finché sarò in compagnia, perciò mi sforzo di sorridere, con aria vagamente colpevole.
«Mi hai fatto morire di paura, dove diavolo sei stata?» attacca subito Daniel, serio.
Non so come, sostengo il suo sguardo. «Ho incontrato una mia vecchia compagna di classe e mi sono fermata a mangiare un panino con lei» invento sul momento, con voce inaspettatamente rilassata.
Cavoli, non credevo di poter mentire tanto bene.
«E perché non hai chiamato?» chiede lui, sospettoso. «Ci siamo preoccupati» aggiunge, con aria di rimprovero.
Mi stringo nelle spalle, con aria colpevole. «Non so, non ci ho pensato...» rispondo, vaga ma piuttosto convincente.
Daniel mi guarda poco convinto e fa per aggiungere qualcos'altro, ma fortunatamente mia madre ci raggiunge praticamente saltellando.
«Michelle, dove eri sparita?» domanda, allegra, per poi afferrarmi il braccio e – senza nemmeno darmi il tempo di rispondere – trascinarmi in salotto.
«Non indovinerai mai chi è venuto a trovarci!»
Per un momento ho quasi paura di vedere di nuovo mio padre, ma non è lui quello che si alza dal divano con un enorme sorriso che, sollevata, ricambio.
«Zio!» esclamo con voce acuta, correndogli incontro.
Lui mi accoglie tra le sue braccia ridendo. Mi è mancato, come mi sono mancate zia Lori, Carlotta e soprattutto Madelyn. È una tortura vivere così lontana da tutta la famiglia e – in generale – da persone alle quali voglio un mondo di bene. A volte invidio Alice o Fabio quando, per strada, incontrano un qualche cugino o zio e si fermano a fare due chiacchiere. A me non capita più nulla di simile da quando vivo qui a Merano, considerando che le uniche persone con le quali potrei fermarmi se le incontrassi per strada spesso sono proprio quelle con cui esco.
«Cosa ci fai qui?» domando, dopo aver sciolto l'abbraccio.
Lui lancia uno sguardo verso la camera degli ospiti, dove probabilmente c'è la nonna.
«Non potevo lasciarvi sole con Marie» pronuncia quel nome con una punta di amarezza e io lo abbraccio di nuovo, questa volta con meno foga. «Ma a quanto ho potuto vedere non siete esattamente sole» aggiunge poco dopo.
Mi stacco da lui e mi volto automaticamente verso Daniel, che fa un sorriso vagamente imbarazzato. Improvvisamente ho voglia di stringerlo a me e coccolarlo, tanto è tenero.
«Come stanno zia Lori e Carlotta? E Mad?» domando interessata poco dopo, sedendomi sul divano difronte a lui.
«Uhm, vediamo... la zia ce l'ha con me perché sto ospitando una mia vecchia amica...»
Dietro di me qualcuno si schiarisce sonoramente la voce.
«Okay, la mia ex moglie vedova e i suoi figli.»
Mi volto verso mia madre, che sta guardando zio Michele con aria di rimprovero.
«Sì, Mad me ne aveva parlato» mi limito a dire, seria.
Dan, nel frattempo, si siede sul bracciolo del divano e mi prende la mano. Io gli lancio un'occhiata affettuosa che lui ricambia.
«Già, nemmeno lei ne è tanto entusiasta, anche se credo che stia cominciando a fare amicizia con Nicola» ammette lui.
Il modo in cui pronuncia “amicizia” mi fa drizzare le orecchie. «E chi è Nicola?» domando, senza nascondere la curiosità.
«Il figlio maggiore di Emma» spiega.
«Oh...» mi limito a dire, per poi guardarlo come per incitarlo ad andare avanti.
«Sì, comunque direi che stanno tutti piuttosto bene, non molto entusiasti all'idea che venissi» sospira.
Nei successivi secondi di silenzio mi sembra di sentire una specie di gorgoglio proveniente dalla cucina e mi volto verso Daniel, perplessa. Lui in tutta risposta si gira verso la mamma.
«Cleo, credo che il caffè sia pronto» le fa notare, indicando con un cenno della mano la porta aperta alle sue spalle.
Lei si batte una mano sulla fronte ed esibendo un sorriso vagamente colpevole si affretta ad andare in cucina.
«Come sta tua madre piuttosto?» chiede lo zio non appena è sparita, a voce più bassa.
Aggrotto la fronte, spaesata. «Cosa intendi?»
«Mi sembra strana» mi fa notare lui, serio. «In più è dimagrita un sacco dall'ultima volta» aggiunge.
Dio, sono una frana in queste cose, probabilmente è perché la vedo tutti i giorni, ma non l'avevo notato per niente.
«Non lo so, quand'è stata l'ultima volta?» chiedo, lanciando un'occhiata veloce alla porta della cucina.
«Al funerale del nonno» lo dice nello stesso identico momento in cui mi torna in mente e per un attimo nessuno dei due dice nulla, colti a sorpresa dal ricordo del nonno. È morto l'estate scorsa dopo mesi di agonia. Tumore allo stomaco, è stato orribile. Mi ricordo ancora che in poco meno di un mese è dimagrito a vista d'occhio, finché non è più riuscito ad alzarsi dal letto. Dormiva quasi tutto il giorno e quando era sveglio spesso il dolore era così forte da farlo urlare e non mangiava nulla. Lo so perché la mamma è andata a stare da lui per un periodo, teoricamente io sarei dovuta rimanere a casa, ma alla fine ero rimasta praticamente sempre lì anche io. Mi vengono i brividi ogni volta che ci penso. Zio Michele era arrivato una settimana prima della sua morte assieme a zia Loredana, Mad e Carlotta, e sono rimasti dopo per aiutare me e la mamma a sgomberare l'appartamento. La mamma non aveva pianto molto il giorno del funerale, nemmeno un attimo, ma aveva il viso devastato, lo ricordo ancora benissimo e mi fa venire la pelle d'oca.
È un attimo, il ricordo affiora nella mia mente senza che nemmeno me ne renda conto, e stringo convulsamente la mano di Daniel.

Mi guardo attorno cercando di mettere a fuoco le persone che ho attorno attraverso lo spesso velo di lacrime. Nonostante ormai fosse evidente che stava per lasciarci non riesco ad abituarmi all'idea che non ci sia più, che non mi farà più vedere i filmini della mamma quando era piccola o che non passeremo più i pomeriggi a giocare a carte o a scacchi. Non ci ho mai parlato molto, era uno di quelli che preferisce stare in silenzio in ogni occasione, se non per qualche commento burbero. Ho sempre notato che la mamma si sentiva un po' a disagio assieme a lui, come anche zio Michele, ma per me non è mai stato così.
Ci saranno poco più di una decina di persone e, stringendomi nelle braccia, mi rendo conto della rabbia che sento sul fondo dello stomaco. Si meritava di più, più persone, più lacrime... non tutta la sofferenza che ha dovuto subire. Mi lascio sfuggire un singhiozzo e sento la mano di Madelyn sulla mia spalla. Ha un che di rassicurante.
Mi guardo alle spalle di nuovo, quasi sperando di vedere qualche persona in più... la nonna, per esempio: ancora non riesco a credere che non sia venuta.
Lascio le lacrime che mi riempiono gli occhi scivolare sulle guance e riesco a mettere a fuoco il cimitero. Non c'è nessuno, eccetto che per un uomo vestito di scuro che sembra guardare da questa parte, non posso dirlo con certezza perché l'unica cosa che riesco a vedere del suo volto è che porta un paio di occhiali scuri. Ha un mazzo di fiori freschi in mano. Qualcosa nella sua figura mi sembra familiare e mi domando se per caso l'abbia già visto da qualche parte, per poi darmi della sciocca. Come potrei riconoscerlo, anche se lo avessi già visto, se non vedo neppure la sua faccia?
Per un attimo ho la sensazione che si sia accorto della mia occhiata e che la ricambi e sento un brivido percorrermi la schiena, ma non riesco a distogliere lo sguardo.
«Michelle, tesoro» sussurra mia madre.
Sussulto e mi volto verso di lei, che mi indica con un'occhiata l'uomo che, con le lacrime agli occhi, mi porge la mano per farmi le condoglianze.
Sono strette di mano e baci sulle guance bagnate per i successivi dieci minuti, poi restiamo ancora un po' a guardare la lapide di granito mentre la bara viene coperta di terra. È così strano, la settimana scorsa l'ho battuto per la prima volta a scacchi e ora guardo mentre lo seppelliscono. Mi stringo alla mamma: sta piangendo anche lei. Per un momento sento il bisogno di proteggerla, lei non ha nessun altro. È strano, quando vedo la mia mamma piangere.
Ci allontaniamo poco dopo, stretti l'uno all'altro come se avessimo paura che qualcos'altro di brutto accada all'improvviso. Mi volto un'ultima volta verso la tomba e vedo l'uomo di prima posare i suoi fiori lì accanto. Noto che indossa un berretto nero con delle iniziali, probabilmente quelle di chissà quale squadra sportiva, stampate in bianco sopra. Strano, mi sembra di averlo già visto... o meglio, mi sembra di conoscere qualcuno che ne aveva uno uguale, e qualcosa mi dice che chiunque sia, l'ultima volta che l'ho visto ero ancora piccola.
Bah, coincidenze.

«Scusate un momento» mormoro, con voce strozzata.
Lascio la stanza prima che qualcuno possa dire qualsiasi cosa e mi chiudo in bagno. Mi viene da vomitare, anche se non capisco esattamente il motivo.
Mio padre... mio padre era già tornato. L'estate scorsa, al funerale del nonno, era lui, ne sono sicura. Ma perché? Che io sappia non lo conosceva nemmeno tanto bene.
Mi passo una mano tra i capelli e scivolo per terra, la schiena contro la porta. Questo cambia le cose? Se sì, in meglio o in peggio? Dio, mi gira la testa: ho davvero solamente voglia di nascondermi sotto le coperte e dormire, senza pensare a nulla di tutto questo. Perché? Perché adesso? Possibile che non mi sia concesso neppure un minuto di spensieratezza? Se non è Fabio e mio padre, se non è mio padre è mia madre. Già, mia madre... ora che ci penso zio Michele aveva ragione quando ha detto che è strana. È strana da tanto tempo in effetti: mangia meno e dorme di più, si stanca molto più facilmente e spesso non è a casa quando dovrebbe, e quando torna elude le mie domande su dove sia stata. In più, la nonna si preoccupa per lei, e qualcosa mi dice che è per lei che è venuta fino qui.
Esco dal bagno una manciata di secondi dopo, sebbene non mi sia ancora calmata del tutto, attirata dalle voci concitate in salotto. Sembra che lo zio abbia espresso ad alta voce le domande che io mi ponevo fino ad un secondo fa nella mia testa.
La mamma è in piedi e si passa una mano tra i capelli, anche lo zio è in piedi e sembra preoccupato. Lancio uno sguardo a Dan che mi raggiunge, serio, e mi stringe forte la mano. Cos'è, sa anche lui qualcosa che io non so?
«Michele piantala per favore, non c'è nulla che non va» sbotta la mamma, con voce tremante.
«Piantala, si vede lontano un miglio che invece c'è!» ribatte lui, sembra arrabbiato.
Nessuno dei due sembra accorgersi che sono arrivata anche io. Probabilmente se lo avessero fatto avrebbero smesso di urlare.
«Anche se ci fosse non sarei tenuta a dirtelo!» protesta lei, vicina alle lacrime.
Sento qualcosa di freddo prendermi lo stomaco. Sì, c'è qualcosa... si vede nei suoi occhi, sembra terrorizzata.
«Cleo sono tuo fratello, per Dio! Se c'è qualcosa che non va devi dirmelo!»
Il suo tono spaventato non fa altro che farmi sentire peggio. Mi rannicchio contro il petto di Daniel, che mi stringe forte. Sto tremando, cazzo.
«Io sono preoccupato per te» aggiunge, facendo un passo avanti e sfiorandole la guancia.
Lei abbassa il volto e comincia a piangere. C'è qualcosa di orribilmente sbagliato in quello a cui sto assistendo: la mamma che piange, zio Michele spaventato... cosa sta succedendo?
«Mamma...» implora quest'ultimo.
Noto solo adesso la nonna, seduta praticamente impassibile sul divano che sorseggia il caffè: ha sempre avuto uno straordinario sangue freddo in cose di questo genere. Con lentezza esasperante, posa la tazzina sul tavolino da caffè tra i due divani e si liscia la gonna, per poi spostare lo sguardo sulla mamma, che continuando a piangere, si siede sul bracciolo del divano, esattamente dove Dan era seduto fino a qualche minuto fa. La nonna si alza e le si avvicina, per poi posarle una mano sulla spalla e guardare Michele seria.
Non è niente. Non è niente... Continuo a ripetermi, cercando di frenare il tremore delle gambe e delle mani e di trattenere le lacrime.
Non è niente, non può essere niente. Sono già successe troppe cose oggi.
Cala il silenzio per qualche secondo, rotto solo dai singhiozzi soffocati della mamma. La nonna si volta verso di me e, per un secondo, esita.
«Cleo ha un tumore maligno al fegato con metastasi a intestino e pancreas e in stato di avanzamento» mormora, un tremolio appena evidente nella voce. «Comincerà la chemioterapia domani mattina.»























*** Spazio Autrici ***

Salve (: scrivo da Porto San Giorgio dove starò per il prossimo mese perciò – dato che Lalla parte tra qualche settimana – probabilmente tarderemo ad aggiornare durante l'estate... comunque non smetteremo di scrivere, dunque restate “collegati” xD

Per quanto riguarda il capitolo spero nessuno di voi mi voglia morta adesso xDD Vi avverto che il capitolo quattordici sarà parecchio triste, ma conterrà una sorpresa (che probabilmente non sarà più una sorpresa perché verrà svelata già nel prossimo capitolo >.<) Cooomunque sono davvero curiosa di sentire le vostre opinioni riguardo alla faccenda di Davide (molti di voi probabilmente l'avevano già capito >.<) e anche a quella di Cleo.

Uh, quasi dimenticavo la notiziona *O* (rullo di tamburi) ebbene sì, cari, io e Lalla abbiamo deciso di proseguire la saga con un Drawing a Song 3 (ancora del tutto in fase di progettazione)... muahah, siamo inarrestabili, ci avrete qui per il resto della vita xD (ovviamente sì, e poi tu sai già le mie idee per un ipotetico Drawing a song 4! Ahahahahahah! NdLaLLa) comunque, questa nuova fic parlerà ancora di Mad e Michelle nella loro adolescenza, i dettagli della trama (soprattutto per quanto mi riguarda) sono ancora da definire (sì, diciamo che è tipo come se Drawing a song 2 fosse spezzato in due parti, tanto per capirci >.< NdLaLLa)

Visto che certamente vi ricordate la faccia di Davide (per chi non avesse letto Drawing a Song è Leo DiCaprio u.u) passiamo direttamente a ringraziare tutti coloro che seguono, “preferiscono”, “ricordano” e anche solo leggono questa fic, per poi passare a rispondere alle recensioni.

nana_85 contenta che il capitolo scorso ti sia piaciuto, spero che la fic continui a piacerti, soprattutto considerando che sta prendendo una piega decisamente diversa da DS... lo so, Mad e Michele sono dolcissimi ** io personalmente li amo ;D per il resto lascio a Lalla >.<  (oh sì tesoro, Nicola geloso, nonostante tutto, è molto molto moolto affascinante e terribilmente tenero :DD E la scena tra figlia e padre è bellissima, quanto vorrei avere con mio padre il rapporto che Mad ha con il suo çoç NdLaLLa) bene cara, speriamo di continuare a vedere le tue recensioni, grazie mille per il tuo supporto... we love youu **

LaIKa_XD eeeh, Gianluca è Gianluca... xD sì, anche secondo me è adorabile, ma anche Nicola ha i suoi bei momenti. Come ho già detto, adoro Mad e Michele, ma per quanto riguarda la nonna.. mh.. non ho ancora ben deciso da che parte schierarmi, infondo è stata egoista a lasciarli, ma è sempre stata pronta ad aiutare Cleo quando ne ha avuto bisogno, come poi si vedrà. Comunque, Lalla, a te l'onore di proseguire xD (effettivamene la nonna a me sta simpatica a volte, però ho cercato di vederla dal punto di vista di Mad e dev'essere ben dura cercare di portarle rispetto dopo quello che le ha fatto, no? Comunque grazie mille per il parere sul carattere di Mad, l'ho apprezzato moltissimo! <3 NdLaLLa)  grazie mille per le recensioni e per il supporto, spero davvero che i capitoli continuino a piacerti e che continuerai a seguirci ** love youu <3

vero15star aaah, Gianluca eh? *sguardo malizioso XD anche io lo adoro, secondo me lui e Mad insieme sono dolcissimi ** vedremo, comunque, è tutto in mano della mia collega qui xD a lei i commenti :D (ahahah! Beh sì, Giangi è tenero, ed è per questo che l'ho creato :) Anche per confondere le idee a Mad, onestamente... vabbeh sto zitta sennò ti spoilero tutto e non va affatto bene xDD NdLaLLa) grazie infinite per il tuo supporto e per continuare a credere in noi capitolo dopo capitolo, non sai quanto è fondamentale per la storia avere persone come voi che ci seguono nonostante tutto **  (quoto tutto! *w* NdLaLLa) we love you honey <3

ashleys tutte team Daniel eh? Eheh, lo amo anche io, anche se non sono ancora ufficialmente schierata :D (non preoccuparti Ale, la obbligo io in ogni caso :D Sono disposta anche a puntarle un coltello alla gola, oppure a gettarle un secchio d'acqua gelata mentre dorme pur di farle scegliere Dan alla fine... eeh, come le voglio bene :DD NdLaLLa) comunque fai bene ad aspettare a schierarti, non sai cosa sta macchinando la nostra Lalla, qui xD (SSSSSSSSSH! NdLaLLa) non voglio spoilerare, (ecco, brava :D NdLaLLa) perciò lascio a lei i commenti riguardanti il suo capitolo ^^  (mi aspettavo un finale di frase diverso, però vabbeh xDD Prima di tutto grazie per essere riuscita a recensire, e capisco che con l'estate si è tutti più impegnati e tra parentesi: non dirlo a me, ho passato un weekend fresco da favola in montagna e infatti non sono riuscita a sistemare i codici entro domenica >.< Dettagli :DD Per la tua preferenza sui maschioni Nik/Gian rimango in attesa, e sappi che esigo un tuo parere su chi è meglio secondo te u.u E' una minaccia! xD NdLaLLa) bene, non ti preoccupare se non riesci a recensire sempre, il tuo sostegno è importante per noi come il fatto che riesco comunque a trovare il tempo per leggere la nostra fic ^^ grazie mille, we love you **

alla prossima ;D
Leslie and Lalla
   
 
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