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Autore: samy88    06/07/2010    107 recensioni
"E' possibile aver bisogno dell'unica persona a cui mai ci si rivolgerebbe, se non sotto tortura? A me è capitato. La tortura in questione? Il matrimonio della mia odiosa cuginetta. La persona sbagliata? Il fratello, tremendamente sexy, della mia migliore amica..."
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PORGERVI LE MIE SCUSE SAREBBE BANALE, INUTILE, FIN TROPPO SCONTATO E SPECIALMENTE NOIOSO MA, PURTROPPO, NON POSSO FARE ALTRIMENTI.
MI AFFOGHEREI NELLA CENERE SE POTESSI… NE RACIMOLERò UN PO’ PER SICUREZZA.
SONO IN RITARDISSIMO, NE SONO CONSAPEVOLE PERO’ PURTROPPO PER ME GLI IMPEGNI SI AGGIUNGONO SEMPRE:
COME PER ESEMPIO…
- GUARISCE IL FRATELLO E SI AMMALA IL MOROSO. NON SO COME HA FATTO, E’ STATO UN MESE INTERO  IN CASA, ED IO CON LUI A FARGLI COMPAGNIA, CON LA BRONCONPOLMITE. D’ESTATE!!!
- L’IDEA FOLLE DI FARE A SETTEMBRE IL TEST PER L’UNIVERSITA’ (nonostate io mi senta incompatibile con lo studio)
- L’ASSENSA DEL MIO PC A CAUSA DI RISTRUTTAZIONI A CASA (GIUSTO LA MIA STANZA NON DOVEVA ESSERE FUNZIONATE, E CHE PIFFERO!)
- L’INSICUREZZA IN TUTTO Ciò CHE SCRIVO. QUESTA PURTROPPO MI LOGORA.
 
E PROPRIO PER QUESTO VOLEVO RINGRAZIARE:
-CHI MI HA SOSTENUTA IN TUTTI I MODI POSSIBILI (TWITTER, MSN, FB);
-CHI HA SOPPORTATO OGNI MIO SCLERO;
-CHI HA MOSTRATO NEI MIEI CONFRONTI UNA COMPRENSIONE DEGNA DI SANTIFICAZIONE;
-CHI MI HA MANDATA GIUSTAMENTE A FANCULO (A VOCE, A MENTE PERFINO CON LE BAMBOLINR VUDOO)
-CHI MI HA STROZZATA MENTALMENTE E VIRTUALMENTE OGNI GIORNO PER IL MIO RITARDO.
-CHI CONTINUERA’  A SEGUIRMI NONOSTANTE TUTTO.


UN GRAZIE SPECIALE A Ladycate95 E Marikina. 

 
 
ENTRO MARTEDì PROSSIMO PUBBLICHERO’ UNA SORPRESINA PER FARMI, IN PARTE PERDONARE, E IL PROSSIMO CAPITOLO ARRIVERà PRESTO. E’ GIA’ IN FASE DI STESURA E NON SARA’ MOLTO LUNGO. NON VI FARO’ PIU’ ASPETTARE COSì TANTO TEMPO… A COSTO DI RIMANERE SVEGLIA TUTTA LA NOTTE PER SCRIVERE.
 
GRAZIE A TUTTI PER I BELLISSIMI COMMENTI. SONO PER ME UNA FONTE IMMENSA DI GIOIA. LI LEGGO TUTTI, UNO AD UNO. GRAZIE!!!! SIETE TUTTE RAGAZZE SIMPATICISSIME E SONO FELICISSIMA QUANDO MI PARLATE DI VOI (FEBBRE, SITUAZIONI SIMILI AL CAPITOLO E IMPEGNI COMPRESI).
 
AVVISO IMPORTANTE:
NON SONO AL MIO PC E IL BLOG MI HA DATO ALCUNI PROBLEMI (PURTROPPO NON RIUSCIVO A LASCIARE POST), COSì COME LA MINICHAT CHE SI E’ CANCELLATA. ENTRO QUESTO FINE SETTIMANA METTERò TUTTO DI NUOVO IN ORDINE.
 
NESSUNA ANTICIPAZIONE SUL CAPITOLO.
SPERO DI NON AVER ESAGERATO CON LO ZUCCHERO.
 

 
PS: verso la fine del capitolo troverete un suggerimento musicale. io ve lo consiglio. per me quella canzone è peggio di un afrodisiaco *me che alza ritmicamente le ciglia verso l'altro in segno allusivo*

VI LASCIO ALLA LETTURA.
 



CAPITOLO 15

 


Kate discese lentamente le scale, passo dopo passo, sorretta da un padre dagli occhi incredibilmente lucidi, preda dall’emozione, eco di una madre ad attenderla nell’atrio dell’ingresso di quella casa addobbata a festa. Il passamano in legno chiaro era avvolto da un nastro in velo bianco intrecciato a sua volta da strisce di tessuto rosa pallido in organza. Alla balaustra in ferro battuto erano appigliate bellissime ghirlande di svariate rose bianche e color cipria, così chiare da sembrare quasi trasparenti, identiche al bouquet - che la sposa stringeva convulsivamente nella mano sinistra - differenzialmente impreziosito da lunghi steli dalla punta perlata. L’intera casa profumava di fiori: un aroma leggera e delicata che accarezzava deliziosamente l’olfatto senza mai infastidirlo. Ad ogni angolo addobbato su cui Kate poggiava lo sguardo arrossiva e incurvava dolcemente le labbra.

Era la prima volta che assistevo ad un scenario simile: l’emozione traspariva ovunque e da chiunque, niente e nessuno escluso.
Sfortunatamente però, come ero certa di aspettarmi, le altre due cugine-damigelle non apprezzarono affatto il mio vestiario, forse perché era completamente diverso da quello che loro mi avevano rifilato per rendermi ridicola agli occhi di tutti, o semplicemente perché per la prima volta non ritraevo la figura del brutto anatroccolo.
Non era certo con un dispetto inutile ed infantile – come ad esempio valorizzare una pietanza con una quantità estrema di peperoncino o rifilare una scooter come unico mezzo di trasporto – che avrei ottenuto la mia rivincita. Tutt’altro.
La vera nobiltà consiste nell’essere superiore al te stesso precedente.
La parte di me più nobile era felice e compiaciuta per ciò che era accaduto con Kate; probabilmente con quel gesto, avevo appena creato le fondamenta per una nuova e ritrovata amicizia. L’altra invece, quella decisamente meno nobile, ghignava sfrontata e soddisfatta per le reazioni di Irina e Tanya alla vista di quella mia incredibile variazione: il mio cambio d’abito.
Entrambe mi avevano guardato con astio, squadrandomi da capo a piedi come se fossi interamente ricoperta di panna montata di un bruttissimo verde acido. Probabilmente, se avessero potuto, si sarebbero mangiucchiate le loro unghie laccate e fresche di manicure, le mani e gomiti compresi. Non volevo peggiorare la situazione ma trattenere un riso compiaciuto fu estremamente difficile.
Irina aggrottò le fronte così tanto che le sopracciglio per poco non si unirono; decisamente poco elegante per una signorina raffinata come lei. «Il vestito da damigella?»
Mi strinsi nelle spalle. «Un cambio all’ultimo minuto. Una piccola variazione.» Lanciai uno sguardo sorridente a Kate che ricambiò con altrettanta complicità.
Irina inalberò un sopracciglio. «Ma-»
Fu zio Eleazar ad interromperla, questa volta. «Non abbiamo più tempo per quisquilie, Irina.» Tirò un grosso respiro. «La mia prima bambina si deve sposare.» Dal tono sembrava ancora incredulo. Forse non aveva preso ancora la completa cognizione di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.
Kate gli strinse la mano e gli rivolse uno sguardo emozionato. «Papà, non sono più una bambina.»
Lui storse il labbro e una smorfia di imbarazzo gli deformò il viso. «Per me lo sarai sempre.»
Non ero mai stata una vera e propria amante dei matrimoni, non volevo incolpare Renée per questo perché, dopotutto, era pur sempre mia madre ma senza ombra di dubbio, ciò che era accaduto nella mia famiglia mi aveva in qualche modo condizionato inducendomi a valutare il matrimonio con una certa prudenza.
Ogni matrimonio è diverso dall’altro in tutte le sue caratteristiche, pertanto, non è detto che tutti debbano finire prima del tempo; solo un amore vero può attribuire una maggiore percentuale di conservazione all’unione.
E proprio per questo motivo avevo negato un mio futuro con Mike. Mio, non nostro. L’idea della convivenza mi aveva letteralmente spaventata perché sembravamo ad un passo dalle nozze: non ero pronta  per compiere quel passo perché sapevo di non amarlo abbastanza.
Ad ogni modo, a dispetto di questa mia reticenza, stranamente mi sentivo emozionata all’idea di vedere Charlie nelle vesti di papà agitato della sposa. Non era poi così diverso da zio Eleazar, forse più riservato e molto più impacciato nei gesti. Ma lo amavo soprattutto per questo: la sua riservatezza era solo sintomo d’affetto puro nei miei confronti.
Una dolorosa morsa di malinconia mi strinse il petto e mi contorse lo stomaco. Quel dolce quadretto familiare mi faceva sentire ancor più di quanto io stessa già non soffrissi di mio, la mancanza di mio padre.
«Bella?»
Mi ridestai, come da un lungo sonno, al suono della voce smorzata di Kate. Il suo sguardo era lievemente preoccupato. Allungò una mano sfiorandomi un braccio. «Stai bene?»
Mi scrutò attentamente il viso e solo allora mi accorsi di avere le gote umide da calde lacrime. Mi asciugai velocemente le guance con una mano. «Sì, sto bene.»
Ora anche zio Eleazar mi guardava con fare circospetto. Mi schiarii la voce un paio di volte. «Sbrighiamoci prima che venga un collasso allo sposo.»
Dopo una breve esitazione, padre e figlia annuirono tirando un profondo sospiro contemporaneamente. Sorrisi. Non sapevo chi dei due fosse più emozionato.
 
***
Sotto i raggi del sole pomeridiano di luglio, una fanfara accompagnò la nostra marcia lungo la navata in pietra costeggiata da sedie ricoperte in raso e fiori, occupate da numerosi invitati. Colei che l’aprì fu Tanya, io al suo seguito ed Irina al mio. Un anemone tra due viole.
Garrent era sotto un baldacchino, un arco intrecciato da rami spinosi di rose bianche candide come la neve.
Lo stelo: il matrimonio.
Le spine: le difficoltà da affrontare.
Il bocciolo: le soddisfazioni tanto attese.
Lo sposo era agitato; altroché se lo era. Spostava il peso da un piede all’altro e con gli occhi, alzandosi quasi sulle punte, tentava di guardare oltre noi damigelle alla ricerca della sua futura compagna. Fu lampante il momento in cui la vide perché si aprì in uno sfavillante sorriso che coinvolse anche gli occhi pece velati da una struggente emozione.
Raggiunto l’arco, ci posizionammo ai lati di Kate consegnata a Garrent da un padre, se possibile, ancora più commosso.
I due sposi, l’uno accanto all’altro, sembravano perfetti, complementari. Ebbi il timore che se avessi continuato a guardali, avrei invaso la loro intimità, nonostante gli sguardi degli invitati fossero puntati tutti su di loro.
Tutti eccetto uno: quello di Edward. Quando vagai col mio in cerca di una testa rossa lo scoprii a fissarmi intensamente, quasi mettendomi a nudo, con un cipiglio indefinito in viso.
Percepii le guance surriscaldarsi dall’imbarazzo e alzai inconsapevolmente una mano per cogliere una ciocca e fissarla dietro l’orecchio, un gesto abituale, sfortunatamente dimentica di avere già i capelli raccolti in un’elegante acconciatura. Mi imbarazzai maggiormente quando mi resi conto di afferrare solo il vuoto.
Anche lui se ne accorse e incurvò solo da un lato quelle labbra piene e morbide, nel modo in cui tanto mi piaceva. Tuttavia, continuò a guardarmi senza mai distogliere i suoi occhi da miei, legati da un filo invisibile.
 
La cerimonia proseguì, tra le parole del pastore, le promesse scambiate degli sposi e qualche altro sguardo incrociato con Edward.
Nel momento in cui gli sposi pronunciarono il fatidico sì fu inevitabile piangere. Piccole lacrime calde scivolarono sulle mie guance, forse a causa dell’aria satura da un’incredibile emozione o dai singhiozzi di zia Carmen che si era ripromessa tantissime volte a cui resistere o dal quel primo bacio intriso d’amore che i novelli sposi si scambiarono.
La folla esplose in un boato di applausi e presto Garrent e Kate furono travolti da quasi tutti gli invitati propensi a congratularsi con loro. Mi rintanai in un angolo aspettando il momento più propenso per porgere le mie di congratulazioni, finché non fu proprio Kate a raggiungermi e stingermi in un primo caloroso abbraccio colmo di una complice gratitudine silenziosa. Le parole non furono necessarie.
«Mi scusi, mi sa dire dove posso trovare Miss Swan, quella inflessibile ai matrimoni?»
Lasciai Kate che intanto raggiunge lo sposo sorridendo alle mie spalle. Mi voltai repentinamente asciugandomi una guancia con il palmo di una mano. «Ti prego, non infierire.»
Edward era a braccia conserte sul petto, sorridente e bello come una divinità Greca. Nella sua espressione non c’era alcun segno derisorio: il sorriso era genuino, sincero.
Mi scrutò attentamente da capo a piedi; la stessa espressione del primo sguardo scambiatoci al mio arrivo. «Ti sei cambiata.»
Assentii e con le mani indicai l’abito indossato. « Beh, con questo non dovrei sembrare più una cipolla.» Lui non accennò alcuna risposta; continuava solamente a guardarmi. Mi sentii un po’ a disagio e ricominciai a parlare, stile mitragliatrice incallita. «Forse è troppo estroso, troppo appariscente, ecco; forse avrei dovuto tenere l’altro; forse…»
«E’ perfetto.» commentò Edward bloccando finalmente quel mio flusso spropositato di parole. Tuttavia, fui stordita e disorientata. Il suo non era stato un vero e proprio complimento, aveva semplicemente apprezzato l’abito scelto e confezionatomi da Alice.
Ma mi sbagliavo.
«Sei splendida.» Sussurrò con tono quasi rapito sfiorandomi una guancia con due nocche.
Questo era decisamente un complimento che stordiva e rendeva le gambe molli.
Le mie guance si tinserò di rosso acceso. «Grazie.» Abbassai il capo con un imbarazzo quasi adolescenziale. Sdramatizzai nel tentativo di smorzare un poco la mia tensione. «Credo che il vestito viola popolerà i miei peggiori incubi.»
Un sorriso divertito gli incurvò le labbra. «Come sei riuscita a cambiarlo?»
«Una lunga storia.»
«Abbiamo tempo.»
Mi sfiorai con le dita il lobo dell’orecchio destro come se sentissi la mancanza di qualcosa e mi accorsi che effettivamente avevo perso un orecchino. Abbassai lo sguardo in cerca del gioiello finchè non vidi una testa bionda piegarsi sulle ginocchia per raccoglierlo da terra e porgermelo con un sorriso radioso.
«Sei sempre la solita smemorata.» Mi accusò James, dolcemente.
«E tu sei sempre pronto a ricordarmelo.»
Mi si avvicinò e con mani gentili lo fissò nuovamente al mio lobo.
«Grazie.» Mormorai sfiorandogli un braccio con una mano.
James posò subito uno sguardo piuttosto curioso su Edward che ricambiò pienamente allo stesso modo. Mi ridestai dimentica che erano due perfetti sconosciuti e che l’unico loro punto in comune fossi io. Restai tra i due senza avvicinarmi realmente né all’uno né all’altro, ma mi concentrai principalmente sul mio bellissimo accompagnatore.
«Edward, lui è…»
«Allora lui è il famoso Edward.» Fulminai James con lo sguardo per l’interruzione.
«Piacere, sono James. Un amico di questa bellissima fanciulla.» E allungò educatamente una mano.
Gli scoccai un’occhiataccia. Si era definito amico. Che diavolo aveva in mente?
Di soppiatto mi fece un occhiolino rendendomi ancora più confusa.
Edward senza esitazione alcuna gli strinse la mano. Le labbra erano stranamente inespressive e la solita ruga persierosa sulla fronte era già comparsa al suo arrivo.
Gli occhi di James improvvisamente si spalancarono per poi velocemente stringersi, come se avesse appena avuto un’illuminazione divina. Mi parve quasi di vedere una lampadina accendersi sulla sua testa. Un sorriso per nulla promettente gli disegnò le labbra. «Mi ricordo di te.»
Spostavo lo sguardo alternativamente sui due umoni che si guardavano in modo inspiegabilmente contrastante. L’uno sorridente ed irrisorio, l’altro serio e inflessibile.
«Vi siete già incontrati?» Domandai, ma non ricevetti alcuna risposta. Continuarono ad ignorarmi.
«Sei di Seattle, vero?» Chiese ancora James con tono quasi impertinente. Poi scoccò due dita e accentuò il sorriso. «Tu sei quello in pantaloncini a cui ho aperto la porta a casa di Bella.»
Edward indurì la mascella. «Esattamente. Tu invece quello in asciugamano.»
Ero sempre più dubbiosa. Spintonai leggermente il braccio di James palesandogli la mia presenza. Sembravano intenti in una conversazione mentale, alla quale naturalmente io non avevo alcun accesso, se non quello visivo in quel momento privo di utilità.
«Quando?» Domandai e riuscii finalmente a catturare l’attenzione di James.
«Tempo fa.» Mormorò sventolando una mano sottolineando la superficialità della mia domanda. «Tu eri sotto la doccia e gentilmente ho fatto io le veci di casa tua.»
E solo adesso si ricordava di riferirmelo? Gli scocciai un’occhiataccia di disappunto. «Figurati! E la smemorata sarei io.»
Avevo ospitato felicemente James per una settimana a Seattle ma, a quanto pareva, aveva combinato più danni di quanto mai io avessi immaginato. Edward non aveva mai bussato alla mia porta, nemmeno in casi estremi o necessari, e proprio per questo motivo quella constazione suonava strana alle mie orecchie.
Edward in quel momento era strano: rigido nella postura e insondabile nell’espressione. Oltre la sua figura incrociai gli occhi seri di Mike. Quelle sue iridi azzurre mi avevano sempre affascinata e ammaliata nei primi tempi: sembrava che in certo modo volessero silenziosamente comunicarmi qualcosa. Come in quel momento.
Provai una strana sensazione perché quel suo sguardo, or ora, sembrava fin troppo intimo date le circostanze.
James si accorse di quello strano scambio di sguardi. Sbarrò leggermente gli occhi e mi fissò quasi stralunato.
«Ma quello è Mike?»
Mi morsi le labbra con i denti. «Ehm… sì.»
«Quel Mike?»
«Quel Mike.» Confermai con riluttanza.
«Ed è l’accompagnatore di Tanya?»
«Esatto.» Cofermai.
«E perché non me lo hai detto?»
«Tu non me lo hai chiesto.»
«Come avrei potuto immaginare una cosa del genere?» Il mio sgurdo fu più che eloquente: sopracciglio alzato e labbra serrate. Conosceva perfettamente Tanya, meglio della sottoscritta.
Lui infatti ridacchiò. «E’ vero, c’era da aspettarselo.» Tuttavia, tornò per un attimo serio rivolgendogli uno sguardo poco socievole. «Quel ragazzo mi è sempre stato sulla punta del…»
«James!» Lo rimproverai. Mi sembrava di esser tornata indietro nel tempo, quando lo sgridavo per le sue marachelle sebbene lui fosse più grande di me. Sorrisi internamente.
Fece un espressione fintamente indignata. «Bella! Mi meraviglio di te. Io intedevo dire sulla punta del… naso.» E pizzicò la punta del mio naso.
Sì, proprio quello intendeva.
Garrent lo chiamò da lontano sbracciandosi ulteriormente per farsi notare oltre la folla di invitati. James sbuffò sistemandosi il colletto della camicia. «Devo andare, il dovere mi chiama. Sono una persona piuttosto ricercata.»
Mi prese velocemente uno mano imitando un perfetto baciamano. «Dopo balli con me? Non accetto rifiuti.»
«E allora perché me lo hai domandato?»
«Per sembrare quantomeno educato anche se so che certe cose bisogna importele.»
Rivolse un fugace sguardo al mio accompagnatore in smoking. «E’ stato un piacere Edward.» Si allontanò salutando con allegria ogni invitato che incrociava nel suo cammino, conoscenti e non. Questo era James: un ragazzo spigliato e maliziato costretto in un corpo da trentenne.
«Siete affiatati.»
Quella di Edward non era una domanda, ma una mera constatazione. In effetti, non c’ero nulla di più veriterio.
Sospirai perdendomi nelle sue pozze verdi, più profonde di un mare limpido alle prime luci estive del mattino. «Gli sono molto affezionata.»
«Lo vedo.» Rispose lui con tono incolore, privo di alcune inflessione. Poco dopo storse le labbra disgustato da qualcosa, o qualche suo pensiero. Poi scosse il capo, in un chiaro segno di incredudilità. «Però! Stranamente abbiamo una cosa in comune.»
Mi aggrappai al suo braccio destro percendo la consistenza dura del suo avambraccio, sebbene ci fossero ben due strati di stoffa a coprirlo.
«Come dici?» Gli domandai sorridendo.
Sospirò. «Anche a me Mike sta sulla punta del…»
«Edward!»
Mi rivolse uno dei sorrisi più maliziosi del suo repertorio. «Quanto sei maliziosa, Bella. Anch’io intendevo la punta del… naso! »
A differenza di James, anziché pizzicare la punta del mio naso, la baciò.
 
***
Fu il momento del buffet.
I festeggiamenti si spostarono sulla piattaforma in legno sul lato destro dell’immenso giardino. Lo scheletro del gazebo in ferro battuto era stato rivestito da dappri in raso bianco che ricadevano dolcemente ai lati, raccolti debolmente e fissati con ganci fioriti alle varie pertiche. I tavoli erano ricoperti da tovaglie candide addobbate da nastri e centrotavola colmi di fiori freschi.
Edward mi porse una flûte di spumante. Afferrai lo stelo del bicchiere in cristallo con titubanza.
«Con quello che è successo ieri, oggi vorrei decisamente evitare di bere alcolici.»
Lui sorseggiò elegantemente il suo. Le sue spalle tremavano convulsamente allo stesso modo di chi sta trattenendo un riso solo ed esclusimente per educazione. Infatti, non riuscì a trattenersi e poco dopo scoppiò in una risata aperta, quasi liberatoria.
Con i pugni puntati sui fianchi lo fissai truce in volto. «Ero così divertente?»
«Non puoi nemmeno immaginare quanto.» Tossichiò per riprender fiato. «Comunque puoi stare tranquilla, oggi ti controllo io.»
In quel momento, forse più per provocazione che per altro, sorseggiai un po’ del mio spumante. «A cosa devo questo tuo interesse?»
Con passo felpato e deciso mi si avvicinò poggiando leggero una mano sul mio fianco. «Ieri ho resistito.» Il suo sguardo era intenso, caldo; il tono roco e privo di alcuna incertezza. «Sono un gentiluomo ma non so se riuscirei a farlo una seconda volta.» Aggiunse, lasciandomi letteralmente con la gola così secca che fu per me enormemente difficile deglutire e assimilire appieno quelle parole. Una fitta mi colpì lo stomaco ma fu stranamente piacevole.
"Sei una tentazione.
Anche tu. "
Come una leggera folata di vento, quelle frasi mi avevo attraversato la mente. L’insieme di un un ricordo piuttosto sfocato, dalla scarsa attendibilità. Forse erano parole che avevo pronunciato durante il mio stato di ebrezza, ma come avrei potuto accertarmene?
Come appurato in precendenza, non ricordavo nulla di ciò che avevo detto in quella notte e quella strana sensazione di imbarazzo mi impediva di porgergli qualsivoglia domanda in merito. L’idea di aver detto qualcosa di inappropriato mi terrorizzava. 
Fui felicemente sviata da quei pensieri dal leggero strato di barba ramata sul suo viso. Così attraente e così tremendamente sensuale. Erano trascorsi solo un paio di giorni ed era già cresciuta di poco. Ero maledettamente consapevole di essere incoerente con i miei stessi pensieri perchè non sapevo se lo preferivo con o senza.
Non mi accorsi nemmeno di aver alzato la mano quando l’appoggiai a palmo aperto sulla sua guancia. Solleticava piacevolmente la mia pelle. Edward inclinò il capo lateralmente intensificando così il contatto e continuò a scrutarmi in viso, cercando i miei occhi, nonostante il mio sguardo fosse concentrato altrove, esattamente sulla sua guancia così ruvida e morbida allo stesso tempo.  
«Oggi non hai fatto la barba.» Osservai sfiorandogli la mandibola con il pollice. «Aspettavi forse me?»
Edward sorrise portando una sua mano a coprire la mia.  Sospirò. «Quando scopri qualcosa che ti in particolar modo ti piace, che ti fa star bene…»
«…la desideri ancora finchè non comprendi che non puoi più farne a meno.» Terminai al posto suo, senza rendermene realmente conto, e  dall’espressione che fece compresi che le mie parole rispecchiavano esattamente ciò che lui avrebbe detto se non lo avessi interrotto.
Spostò leggermente la mia mano verso l’interno del suo viso finchè le sue labbra non si posarono dolcemente sul mio dito. Una scarica elettrica si sprigionò da quel punto.
«Tu, Bella, di cosa non puoi fare a meno?» Il mio nome rotolò dalle sue labbra come lava incadescente, più morbido e più caldo di un soffice muffin appena sfornato.
Di cosa non potevo fare a meno?
Dei suoi baci. Delle sue carezze. Delle sue mani sul mio corpo. Di quelle piccole cose che avevo scoperto di lui, e di quelle che ancora dovevo e volevo scoprire.
Ma non erano queste le parole che potevo pronuciare, seppure veritiere quanto il sole che sorge ad Est, in quanto il che avrebbe significato varcare quella linea sottile di confine, al di là della quale c’è l’imbarazzo e ci si imbatte in faticosi chiarimenti che spesso portano all’allontanamento se i sentimenti non sono neppure lontamente ricambiati.
Il suo comportamento spesso mi mandava in confusione: se da un lato sembrava da me attratto, dall’altro non faceva nulla per mostrarmi che di fondo ci fosse qualcosa di più profondo.
L’adolescenza l’avevo oltrepassata ormai da tempo, ma ero una donna priva di tempra e di invidiabile coraggio incapace di ostentare apertamente neppure un quarto dei propri sentimenti. Tremavo all’idea di perderlo.
Mi morsi il labbro e tacqui per qualche istante incapace di trovare al momento una risposta quantomeno accetabile e più lontana possibile da quella reale.
Edward per un attimo fu distratto da alcuni invitati, o volle semplicemente allentare la tensione che rispecchiava sul mio viso. Fu proprio lui a cambiare discorso e gliene fui profondamente grata. «Devo preservarti da altri invitati, o sono tutti tuoi parenti?»
Che assurdità! Non potevano certo essere tutti miei parenti.
Ridacchiai, meno tesa di prima. «No, non tutti.» La sua fronte aggrottata mi indusse a continuare per vedere fin dove il suo disappunto sarebbe arrivato. «A dire il vero, credo che prima, Laurent, il testimone di Garrent, mi abbia fatto gli occhi dolci.»
Finalmente, la consueta ruga si disegnò sulla sua fronte, oltre ad un sopracciglio alzato. Con lo sguardo setacciò l’ambiente in cerca di qualcuno, forse il testimone, finché una voce, morbida e calcolatrice lo indusse a girare il viso e posare l’attenzione altrove, su a chi questa appartenesse.
«Credo che sia impossibile non fare gli occhi dolci ad una creatura simile. Decisamente difficile da ignorare.»
La persona che si era avvicinata a noi con un silenzio ed una discrezione quasi da mettere i brividi addosso, era un uomo in smoking grigio fumo, probabilmente sulla sessantina, dall’aspetto elegante e in uno strano modo affascinante. Il viso, disegnato e smunto da piccolissime rughe, era diafano, quasi traslucido ed era inconiciato da lunghi capelli neri legati elegantemente alla nuca.
I suoi occhi scuri come la pece si concetrarono su Edward esibendo un sorriso difficilmente decifrabile. «Tu devi essere il famore dottor Cullen, iunior naturalmente.» Allungò una mano in segno di cortesia. «Aro Volturi, il…»
«…il direttore del Providence Alaska Medical Center di Anchorage.» Concluse Edward stringendo la sua mano, pur non mostrando alcun sorriso.
«Vedo che mio fratello ti ha messo al corrente.» Il tono era da confidente, come se si conoscessero da diversi anni. « Marcus dice che oltre ad essere un ottimo neurochirurgo sei anche una persona molto intelligente e perspicace.»
«Vostro fratello mi elogia troppo.» Rispose Edward mostrando un comportamento educatamente circospetto e distaccato.
Aro sorrise di traverso come a constatare qualcosa di particolarmente interessante. «Perfino modesto, meraviglioso.» Poi il suo sguardo incrociò il mio e il suo sorriso si allargò. «E quest’incantevole creatura?»
«Isabella Swan.» Rispose Edward in tono sicuro lanciandomi un occhiata, come se cercasse il mio consenso per ciò che avrebbe aggiunto dopo. «La mia fidanzata.»
Con quella sua precisazione, il mio cuore perse un battito. Era la prima volta che uscivano quelle parole dalle sue labbra e sebbene fossero frutto di una finzione l’effetto fu ugualmente sconvolgente.
Aro mi prese una mano sfiorandone il palmo con le labbra.«Meravigliosa.»
Mi accostai al fianco di Edward, cercando un vano senso di protezione; lui presto mi circondò calorosamente la vita arpionando una mano sul mio fianco. Mi aggrappai alla sua spalla e poggiai il mio palmo destro sul suo petto. Non fu nulla di fittizio o pragrammato; solo istintivo.
Aro riprese a parlare. «È da molto tempo che non vedo Carlisle. Gli somigli molto.» Osservò scrutandolo con particolare attenzione. «Dove lavora adesso?»
«Nell’ospedale di Forks. Sì è trasferito da poco in quella cittadina.» Rispose Edward in tono cordiale.
L’uomo di fronte scosse il capo con leggera riluttanza. «Che spreco.» Sospirò e aggiunse: «Mi è stato riferito che la tua ultima operazione era piuttosto complicata ma è riuscita nel migliore dei modi. Hai asportato un tumore, vero?»
Edward annuii, un assenso modesto e privo di alterigia. «Sì, al cervello di un bambino di otto anni naturalmente in collaborazione con altri ottimi medici di rianimazione pediatrica.»
Le mie gambe si fecere incredibilmente tremule e prive di stabilità a quelle parole. Difficilmente sopportavo la vista del sangue e, a quanto pareva, non riuscivo neppure a sentirne parlare.
Ebbi lì per lì il terrore che volessero approfondire quell’argomento pertanto quando vidi James farmi segno da lontano affinchè lo raggiungessi, fu per me una manna dal cielo.
«Vogliate scusarmi.» Proruppi prima che potessero aggiungere altro.
Edward mi guardò per un attimo disorientato, con un sopracciglio levato. Gli lasciai un leggero bacio sulla guancia in prossimità della sua bocca. «Torno subito.»
Accentuò per un istante la presa attorno alla mia vita. «D’accordo.»
 
***
«Dove hai lasciato il tuo fidanzato?»
Feci una piccola smorfia, lanciando un rapido sguardo alle mie spalle. «Sta chiacchierando con Aro Volturi.»
James storse il naso. «Quell’uomo non mi è mai piciuto.»
Una ragazza dalla selvaggia capigliatura rossa lo affiancò baciandogli una guancia. «Per fortuna. Altrimenti, tesoro, mi sarei dovuta meravigliare e preoccupare del contrario, non credi? »
James le sorrise dolcemente. «Come siamo spiritose.»
Non conoscevo quella donna, indubbiamente bella e affascinante, che mostrava un legame assai profondo con la persona a cui ero più affezionata.
James l’avviluppò in un abbraccio protettivo e mi lanciò uno sguardo sorridente. «Bella, lei è Victoria, purtroppo la mia futura moglie.»
Lei, fintamente indignata gli colpì un braccio. «A quanto pare non sono l’unica ad essere spiritosa.» Poi mi guardò. «Finalmente conosco la famigerata Bella. James non fa altro che parlare di te. Credo che sia in un certo modo ossessionato.» Si portò una mano sulla pancia, che solo allora notai in leggero rigonfiamento. «Probabilmente anche quando nascerà nostro figlio saprà già di sei.»
Strabuzzai gli occhi, felice come non mai di quella lieta e improvvisa notizia. Non riuscivo ad emmetere neppure una piccola sillaba. Non solo avevo scoperto che James era prossimo alle nozze, ma altresì che aspettava un figlio. Era una sorpresa a dir poco incredibile.
James le baciò il collo. «Bambina, amore. Sarà femminuccia:. la mia piccola Bree.»
Victoria gli scoccò un’occhiataccia. «Ti ripeto per l’ennesima volta che sarà un maschio e si chiamerà Riley.»
Dietro ogni parola pronunciata dall’una o dall’altro si nascondeva una certa tenerezza. Una morsa di pura felicitazione mi strinse lo stomaco.
James mi fissò aggrottando le sopraccuglia. «Bella, ti prego non piangere.»
«Non sto piangendo.» Mormorai con un filo di voce già incrinata dall’emozione.
Lui sbuffò e guardò Victoria. «Amore, mi permetti un ballo con questa finta dura?»
Lei gli lasciò un bacio a fior di labbra. «Vai pure, Riley mi terrà compagnia.»
James mi prese la mano e in un istante si fermò con un cipiglio pensieroso dopo aver recepito le parole di Victoria. Mi guardò sicuro che la sua futura moglie stesse in ascolto. «Spero tanto che la mia Bree non sia così testarda come la mamma.» Girò il volto, le fece una linguaccia e mi trascinò ad un lato della pista, così vicino ad Edward che per poco non recepivo il suo discorso con Aro.
James mi fece fare una giravolta e presto mi attirò a sé poggiando una mano alla base della mia schiena, mostrandomi un sorrisetto furbo, quasi da ragazzaccio
Come un lampo, mi venne in mente ciò che aveva detto prima a Edward, o meglio, come si era definito. «James, amico mio, ma il nostro grado di parentela è sparito o l’hai gettato alle ortiche?»
Lui ridacchiò divertito.« Non ho detto nulla di sbagliato.»
Levai un sopraciglio verso l’alto. «James Denali,» lo ripresi quasi con tono materno. «hai omesso volutamente il tuo cognome»
«Ah, quello? Beh, sono tuo cugino, ma sono pur sempre tuo amico» Replicò stringendosi nelle spalle con nonchalance.
Aggrottai entrambe le sopracciglia. Non me la contava giusta.
Sbuffò notando il mio sguardo indagatore. «E va bene, volevo solo provocare il tuo fidanzato.»
Gli pizzicai il fianco. «Ah! Lo sapevo. Non sei cambiato per niente.»
Sorrise e mosse ritmicamente le sopracciglia in un gesto piuttosto allusivo. «Ci sono riuscito?»
Feci una smorfia, una pallida imitazione di un vera espressione gioiosa. «Direi proprio di no. Hai fatto un bel buco nell’acqua.»
«Ma…»
James fece per replicare ma lo precedetti continuando a parlare. «Non siamo fidanzati. E’ tutta una finzione.»
«Cosa significa?»
«Significa che ho chiesto a Edward di fingersi mio fidanzato. Non stiamo insieme.» Ad ogni mia parola, i suoi occhi si allagavano sempre un po’ di più mostrando il suo stupore, ed il mio cuore si stringeva gradualmente con dolore.
Sapevo di poter contare sulla fedeltà di James, non avrebbe raccontato nulla ad anima viva, probabilmente neppure alla sua futura moglie. In tutta la mia vita non mi aveva mai tradita, in nessun modo e in nessuna occasione. Era alla stregua di un fratello, mi aveva sempre difesa contro le malefatte delle sue sorelle sgridandole a fin di bene, anche se ciò le portava a continuare. Eravamo stati compagni di giochi, sebbene lui prediligesse per quelli maschili ed io mi accontentavo sempre pur di stare in sua compagnia. E nel tempo, maturando nel carattere e negli anni, nel periodo adolescenziale e oltre, eravamo diventati e lo ervamo tuttora amici e confidenti.
Per questo non mi fu difficile decifrare quel suo sguardo accigliato. Era visibilmente scettivo e pensieroso.
«Non ti sto prendendo in giro. Non lo farei mai, lo sai.»lo rassicurai sfiorandogli una guancia con le dita. «Non a te, almeno. Le tue sorelle stranamente hanno abboccato con estrema facilità.»
«Forse perché lui è un bravo attore.» Replicò James lanciando uno sguardo alle mie spalle. «Uno dei migliori.»
«Conosco questo tuo tono.» Gli feci notare arcuando un sopracciglio. «Credi davvero che sia geloso?»
«Bella, le soluzioni sono due e piuttosto semplici: o il caro Edward è geloso, o fulmina la gente per hobby . E adesso il suo obbiettivo sono io, se non l’hai ancora capito.»
Scrollai il capo con una strana sensazione addosso. «Forse sta fingendo o forse è solo una tua impressione.»
«Bella sei sempre la solita ingenua. Non vedi l’ovvio.»
«Forse perché non c’è niente da vedere.» Sussurrai fissandogli i bottini della camicia scura. Se mai il suo sguardo avesse incontrato il mio avrebbe certamente notato la sofferenza che dentro vi aleggiava.
Tutto quel mio rifuto era dovuto alla paura di un’illusione devastante già alimentata da qualla messinscena del fidanzamento.
Presto mi ritrovai col capo sul petto del mio eterno protettore, coccolata e vezzeggiata dalle sue mani che in dolci movimenti circolari carezzavano la mia schiena.
Mi morsi con forza le labbra trattenendo con i denti l’impulso di piangere. Con James era sempre stato facile cedere alle lacrime; lui conosceva la Bella triste che da bambina si nascondeva in un angolo e accarezzava delicatamente con le dita la foto che ritraeva la sua famiglia al completo – Charlie alle spalle di Renée che stringeva al petto un fagotto di appena un mese di vita; la Bella timida che in età adolescenziale, con le guance imporporate, gli aveva confidato che il suo primo bacio non era stato proprio come se lo era aspettato; la Bella giovane e gioviale che con un sorriso raggiante aveva alzato il pollice in segno di vittoria dopo aver conseguito una laurea in giornalismo a pieni voti; e infine la Bella adulta confusa e indecisa sul suo futuro da condividere con un uomo che in fondo lei non amava.
James era sempre stato parte di me. Ricordavo perfettamente il giorno in cui lui aveva pianificato la sua vita: da single e da esploratore del mondo dedito al lavoro per quel quanto che poteva bastargli a sopravvivere.
Ridacchiai con sorpresa mista a felicità. Era drasticamente cambiato.
«Perché ridi?» mi chiese allentando di poco dalla sua stretta.
«Perché penso a te e alla vita che avevi pinificato.»
James rise con leggero imbarazzo. «Beh… ho decisamente modificato i miei piani.»
«Esatto. Ora sei fidanzato, quasi marito e quasi padre.» Poggiai una mano a palmo aperto sulla sua guancia. «Sei felice?»
Piantò i suoi occhi azzurri nei miei. «Sì.»
Fece per parlare ma lanciò un rapido sguardo alle mie spalle un sospiro profondo fuoriuscì dalle sue labbra. «Finalmente quel vecchio avvoltoio se n’è andato.»
«Chi?»
«Aro, ovviamente! E visto che adesso ho la totale attenzione del tuo finto fidanzato… ci divertiamo un po’»
E prima ancora che potessi formulare o proferire la più piccola protesta, mi afferrò per la vita e girammo in tondo come un’unica trottola monita dei bei vecchi tempi.
 
***

Una volta terminate la canzone e la nostra scatenata perfomance al limite del ridicolo, tra piroette e strette piuttosto affettuose, James insistette per riaccompagnarmi lui stesso dal mio accompagnatore. Il suo sorriso non si era spento un attimo. Era piuttosto divertito. Stava tramando qualcosa. Era pur sempre un Denali. L’arte dei dispetti era intrisa nel loro DNA.

Edward era in piedi poggiato rigidamente al nostro tavolo con le braccia strette al petto. Una posa rigida. Forse un po’ di gelosia da parte sua c’era, o almeno speravo che fosse quella la causa del cipiglio scuro che aveva in volto. Lo sguardo che rivolse a James fu tutt’altro che amichevole o meglio, simpatizzante.
Mio cugino invece continuava a sorridere in un modo così strafottente che mi fece sorridere. Sembrava un ragazzino irriverente.
Una volta giunti, James mi circondò la vita con un braccio e mi posò un bacio sulla guancia.. Alle sue spalle giunse una cipollina bionda tutta in ghingheri. Irina si aggrappò al suo braccio. «Fratellino, balli con me?»
James le sorrise non prima di aver lanciato un’occhiata curiosa a Edward che in quel momento aveva alzato un sopracciglio dubbioso. «Vengo subito.» Disse pazientemente alla sorella.
Poi guardò nuovamente Edward. «Ti lascio la mia cuginetta ma ti conviene attenzione: mi ha schiacciato i piedi per ben tre volte.»
Dopo un rapito saluto e un sorriso colmo di malizia, si allontanò raggiungendo Irina in pista.
Edward invece sembrava disorientato e piuttosto pensieroso. Pareva non essersi affatto accorto della mia presenza neppure quando lo affiancai sfiorandogli il braccio con una mano.
«Edward, ti senti bene?»
Il suo capo fece un giro veloce. Puntò i suoi occhi verdi nei miei. «Cuginetta?»
Mi morsi le labbra. «Sì, è mio cugino.»
«Tuo cugino.» Ripetè assorto. Il cipiglio si accentuò.
Annuii. «Esatto. Il primogenito di zio Eleazar e zia Carmen.»
Si portò una mano al viso stringendo con due dita la base del suo naso. Una smorfia gli sfigurò le labbra. Imprecò sottovoce.
Dalle mie labbra sfuggì una leggera risata nonostante avessi fatto di tutto per trattenerla e, di conseguenza, non irretirlo ma Edward, a discapito di ogni mio pronostico, sorrise.
«Ho fatto la figura dell’idiota, vero?»                                                   
Gli accarezzai una guancia ispida. «No, non da idiota.» Da fidanzato. «James è fatto così. Voleva solo provocarti.» Aggiunsi e inevitabilmente risi ancora. Edward mi prese per la vita spostandomi di peso davanti a lui. Ora non c’era più distanza tra i nostri corpi. Le mie mani, in un gesto automatico, finirono sul suo petto.
«E tu ti sei divertita.» mi accusò con tono fintamente duro.                                                                       
«Un po’.» Sorrisi lisciandogli la piega della sua giacca nonostante fosse già perfettamente a posto. «Però potresti sempre rimediare.»
Edward curvò lateralmente le labbra. «Hai ragione.» Prese a lisciarmi debolmente con i pollici le anche su cui le sue mani erano poggiate. «Balla con me.»
Trattenni bruscamente il fiato. «E’ un invito?» Gli chiesi con tono leggero e volutamente strascicato.
«Non proprio.» Mi lasciò un fianco e per un attimo temetti di aver esagerato, ma presto mi prese per mano trascinandomi lentamente in pista. «Perché se così fosse avresti avuto la possibilità di rifiutare.»  
Mi fece fare un giravolta prima di attirarmi a sé con possessione chiudendomi nella dolce e forte morsa delle braccia. Premette una mano alla base della mia schiena. Probabilmente con le dita poteva sfiorare e sentire attraverso il vestito la mia biancheria.
«Hai uno strano modo di invitare le persone a ballare, dottor Cullen.» Mi aggrappai con una mano alla sua spalla. «Accetto solo perché non vorrei sembrare maleducata.»
Eravamo quasi totalmente attaccati. Tra noi intercorreva solo un misero spiazio per un granello di polvere. L’elettricità era forte, lui era la mia forza di calamità. Forse c’erano altre persone in pista, forse eravamo soli, forse tutti erano magicamente andati via; in ogni caso, non mi importava. Io vedevo solo lui.
Mi accese i sensi con quello sguardo magnetico. Si abbassò accostando le labbra al mio orecchio. Il suo respiro mi solleticava e surriscaldava la pelle. «Ed io che pensavo che avessi ceduto al mio fascino.»
Il nostro era un lento strusciarsi sensuale di bacini e lenti passetti laterali. Il mio seno sfiorava il suo petto così come la mia ampia gonna frusciava da un lato all’altro sfiorando le sue gambe che, ad ogni mezzo giro, si allargava per un attimo ritornando poi ad avvolgerlo in un abbraccio di chiffon blu. La sua mano tornava, come inesorabilmente attratta, sui miei reni al limite del fondoschiena. Stavo andando a fuoco, e le mie guance stranamente questa volta non erano rosse. Non c’era imbarazzo ma solo un maledetto desiderio che mi stava divorando il ventre.
Scivolai con la mano dalla sua spalla su fino al colletto della sua camicia. Mancava davvero poco che sfiorassi il suo collo candido; era maledettamente difficile e doloroso sopprimere il desiderio di immergere le mie dita tra i suoi capelli e sfiorargli collo con lente e dolci carezze.
Edward lasciò la mia mano posando anche l’altra dietro la mia schiena. La mia invece la portai sulla sua spalla. Alzai gli occhi notando solo allora che il suo sguardo era concentrato sulle mie labbra. «Non cedo così facilmente.» Sussurrai con un filo di voce.
Edward premette una mano sulla mia schena, mentre l’altra saliva e si fermava al centro esatto della schiena. Con entrambe, a palmo aperto, mi spinse verso di lui annullando anche quell’effimero spazio che ci divideva.
«Allora credo che dovrò proprio impegnarmi.» mormorò Edward con fare provocatorio.
Questa volta non trattenni alcun desiderio e portai entrambe le mie mani dietro la sua nuca, tra i suoi capelli ramati morbidi e setosi come cascate di sorgente fresca.
«Sei incredibile… mi fai diventare pazzo. Riesci a rendermi difficile ciò che sembra facile.» disse Edward socchiudendo leggermente gli occhi.
I nostri visi era l’uno ad una spanna dell’altro, il suo respiro moriva sulle mie labbra generando piccoli gorgoglii di languore nel mio stomaco.
Bloccai le mie dita sulla sua nuca quando finalmente riuscii a capire le sue parole. «Dovrei scusarmi per questo?»
«Nemmeno per idea.» Sussurrò prima di posare la sua bocca sulla mia già schiusa pronta per accogliere quel suo sapore tanto agognato. Mi mordicchiò il labbro inferiore con i denti, come se necesitassi di tempo per abituarmi a quel contatto vecchio e nuovo. Che sciocco.
Scivolai con le mani dal colletto della sua camicia, sfiorando con la punta delle dita il suo collo caldo e setoso, al suo viso racchiundendolo con entrambi i palmi affiché intensificasse il bacio. Fu inizialmente preso in contro piedi, ma presto Edward si riprese accentuando la stretta attorno alla mia vita. Fece scivolare una mano lungo la mia schiena fino alla mia nuca e l’arpionò mentre la sua lingua si faceva spazio nella mia bocca richiamando a sua volta la mia per lisciarla, accazzarla e saggiarla nel più sensuale dei modi. Le note dell’orcherstra ci cullavano sebbene avessimo interrotto il nostro ondeggiare già da tempo ben concentrati su altro. Solo ed esclusivamente su noi stessi.
Non vedevo altro che lui. Racchiusi in una linea dal cui confine si ergeva un recinto alto e imponente attraverso il quale nulla era visibile agli altri. Forse gli occhi erano puntati più su noi due che sulla novizia coppia di sposi. Ma non mi interessava. Ignorare altro che non riguardasse noi due non mi era sembrato mai così facile.
Indifferenza.
Edward si staccò lentamente e piantò i suoi occhi stralunati nei miei lucidi e languidi di desiderio. Nessuno tra i nostri baci dati era paragonabile a questo. Era stato intenso, dolce, al limite dell’erotismo.
Lui aveva baciato me. Io avevo baciato lui. Nulla di più semplice.
Cosapevolezza.
Notai alle sue spalle, con mio grande disappunto, che i miei dubbi era più che fondati. Molti occhi erano puntati su di noi. Parenti, amici e sconosciuti. Chi sorridente, chi turbato, chi soprerso e chi consapevole di qualcosa ormai palesato; James era parte di quest’ultima categoria.
Avevamo dato spettacolo. Ora sembravamo davvero una coppia di fidanzati. Per un attimo pensai che anche quel bacio fosse stato una delle motivazioni del suo gesto.
Dubbio?
Edward col fiato un po’ corto, mi lisciò una guancia col dorso della sua mano. Mi sfiorò l’angolo della mia bocca con le sue labbra morbide e umide. Quel bacio mi sembrò quasi più intimo del precendente.
«Ti avrei baciata anche se fossimo stati da soli.»
No, certezza.
 
 


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CITAZIONE: La vera nobiltà consiste nell’essere superiore al te stesso precedente.
Questa frase è deliberatamente presa dal libro “Un giorno in più” di Fabio Volo.


 
HO SCRITTO DI JAMES PENSANDO AI MIEI FRATELLI CHE AMO SOPRA OGNI COSA. SPERO CHE IL SUO RUOLO, COSì STRANO RISPETTO A QUELLO DATOGLI DALLA MEYER, NON SIA STATO PER VOI UNA DELUSIONE.
HO SCRITTO DI VICTORIA PENSANDO A DUE MIE AMICHE CHE SONO IN DOLCE ATTESA E PROSSIME AL MATRIMONIO.
SE NEL CAPITOLO VI SONO PARTI ZUCCHERATE, QUESTE SONO INTERAMENTE DEDICATE A MIRYA.
E UN GRAZIE A QUELLA STRONZA ALTA QUANTO UN METRO E UN TAPPO DI BOTTIGLIA CHE HA AVUTO LA PAZIENZA DI SPRONARMI OGNI SANTO GIORNO. NON POTREI CHIEDERE UNA MANAGER MIGLIORE.
 
   
 
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