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Autore: kenjina    06/07/2010    1 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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Ni-hao a tutti

Capitolo 6

Puffi, litigi e... e cosa?

 

 

 

Il pomeriggio era soleggiato e tiepido, un sole splendente illuminava le vie di una Kanagawa pullulante di vita. Era la giornata perfetta per fare due passi e stare insieme, dopo aver passato la notte prima a far baldoria con i suoi amici. Cosa che lui non aveva mandato giù facilmente, dato che avrebbe voluto esserci anche lui a far casino con quell'idiota del fratello e a difendere la sua Hicchan dagli assalti del Volpino o di chiunque altro.

Hime si voltò verso il suo baldanzoso ragazzo e sorrise, serena. A volte non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che prima di quel famoso ritiro si detestassero - quante se n'erano detti? - e ora andassero d'amore e d'accordo, come una coppia di giovani innamorati qualunque. E di fatto loro lo erano, innamorati. Anche se tanto normali, effettivamente, non lo erano mai stati.

Nobunaga, dall'alto dei suoi 175 centimetri, la guardò, sentendosi osservato, e piegò le labbra in un sorriso che le sembrò anche più luminoso del sole stesso. «Lo so, lo so che stai pensando che son bellissimo... ammettilo!».

Hime gli si accoccolò contro, sentendosi subito avvolgere dal suo braccio, e ridacchiò. «Mi dispiace deluderti, ma stavo pensando che ti dovrò regalare una nuova fascetta. Quella è tutta rovinata!».

«Cosa?! Questa fascetta non si cambia! È l'esempio di tutto il mio sudore durante i duri allenamenti del senpai Maki!».

«...Appunto!».

Nobunaga la guardò imbronciato e lei non ci mise molto a fargli cambiare quell'espressione crucciata con un bacino sulla guancia.

«Ruffiana. Sei una ruffiana, ecco tutto», borbottò, rosso come i capelli della ragazza. «Comunque, dov'è che vuoi andare?».

La rossa si batté un dito sulle labbra, pensierosa. Poi ebbe un'idea e, senza avvisarlo, lo prese per mano e iniziò a correre tra la folla, ridendo come una pazza. Kiyota, d'altro canto, non osò chiedere spiegazioni di alcun genere, e la seguì sbraitando come un esaltato di fare largo al Re e alla Regina di Kanagawa, tra gli sguardi perplessi e a volte irritati di chi se li ritrovava davanti. Raggiunsero trafelati la spiaggia, ridendo fino alle lacrime senza un apparente motivo. Nobunaga la prese di peso e se la caricò su una spalla, iniziando a girare su sé stesso e a correre, come se le forze non gli mancassero mai.

«Nobuuu! Disgraziato, mettimi giù!», gridò quella, che nonostante tutto si stava divertendo come una bambina.

«Neanche morto!», ribatté esaltato lui. Poi gli si accese una lampadina, e decise che sì, l'avrebbe messa giù... Ma non come avrebbe creduto lei.

«NobunagaKiyotaIoTiAmmazzo!!»,

La scimmietta saltellante del Kainan fece in fretta a scappare, dato che la povera Sakuragi si ritrovò scaraventata a terra sulla sabbia, gli abiti, nonché i capelli, completamente sporchi di arenaria. E si sa bene, i suoi capelli erano sacri.

«Hicchan, ti ho mai detto che hai i capelli di una pazza?», le chiese innocentemente il ragazzo, mentre scappava.

«Stai pure tranquillo che tu tra poco non ne avrai più perché te li strappo uno per uno!».

E tra correre e rincorrere il sole fece in tempo a tramontare, e avrebbe anche lasciato il posto alla luna prima che quei due la smettessero di comportarsi come bambini, se non fosse stato che la rossa iniziò a sentire un po' di fresco. Da buon gentiluomo - o presunto tale - Nobunaga le mise sulle spalle la propria felpa, che le stava tre volte, ma che lei adorava. Essere abbracciata dagli indumenti del suo ragazzo, impregnati del suo profumo, era una delle cose che più la faceva stare meglio.

«Ehi, guarda che poi la rivoglio, eh», l'avvertì la scimmietta, guardando possessivo la sua felpa viola e gialla.

«Uffa, sei tirchio»

«Tirchio?! Ma se mi hai fatto fuori mezzo armadio? Sto uscendo sempre con gli stessi indumenti perché mi hai rubato maglie e magliette!».

Hime iniziò a ridere come un'invasata, agitando noncurante una mano. «Tu fantastichi troppo, Nobu-chan».

Troppo intento a guardare il ragazzo che si avvicinava a loro e che - udite, udite! - non toglieva gli occhi di dosso alla sua preziosa ragazza, Kiyota non le rispose subito.

«Nobu-chan, mi stai ascoltando?».

«Hi-Hime-san!», la salutò estremamente euforico Masuhiro Araki, facendola sbiancare peggio di un lenzuolo appena lavato con la candeggina.

«Araki, ciao», rispose Hime, tutt'altro che euforica. Era terrorizzata! E ora chi lo avrebbe sentito Nobunaga?

«Chi diavolo è questo?», ringhiò infatti due secondi più tardi il ragazzo, stringendo gli occhi e, soprattutto, la presa sui suoi fianchi.

Araki sembrò accorgersi solo in quel momento dell'accompagnatore della sua musa e per poco non gli venne un accidente. «Chi diavolo sei tu? Come osi stare così attaccato a Hime-san?».

Nobunaga lo guardò dapprima perplesso, poi scoppiò a ridere di puro divertimento. Cosa che a Hime non piacque per niente.

«Questo tizio è divertente! Ma l'hai sentito? Ahahaha!».

Masuhiro strinse i pugni per la stizza, rivolgendogli un'occhiata di fuoco. «Ehi! Che cavolo ridi?!».

Hime decise di tentare un salvataggio in corner, mettendosi subito in mezzo. «Ragazzi, ragazzi! Calmi!» Ridacchiò imbarazzata, grattandosi il naso come faceva solitamente quando era in difficoltà. «Nobu, ti presento Masuhiro Araki, nuovo acquisto dello Shohoku...».

«Ah! Akaki... bell'acquisto del cavolo».

«È A-r-a-k-i, cerebroleso!».

«E Araki...» - Ora arrivava il bello - «Lui è Nobunaga Kiyota, giocatore del Kainan...» - Qui il ragazzo dello Shohoku prese il primo colpo della serata - «...nonché il mio fidanzato».

E qui il medico legale dichiarò l'avvenuto decesso.

«Fi... Fidan...».

«F-i-d-a-n-z-a-t-o, cerebroleso!», lo scimmiottò Kiyota, con la sua solita faccia da schiaffi che, all'inizio di tutto, Hime odiava dal profondo del cuore. «Mica son scemo che me la lascio scappare!».

Arrossì quando lei lo guardò di sottecchi, sussurrandogli: «Diciamo anche che mi stavi facendo scappare, prima che perdessi del tutto la testa...».

Araki, nel frattempo, che probabilmente non respirava da parecchio dato che i due constatarono un bel colorito cianotico peggio dei suoi capelli tinti, boccheggiò qualche parola incomprensibile. Poi, riprendendosi di colpo, puntò un dito contro Kiyota, ridendo beffardo manco fosse un pazzo. «Fidanzato, eh? Vedrai che la conquisterò e te la porterò via, brutta scimmia del Kainan!».

Ci mancò poco che Nobunaga gli saltasse addosso per dargliele di santa ragione, ma fortuna volle che Hime fu più lesta di lui e lo bloccò per il rotto della cuffia. «Ma non farmi ridere! Hicchan è troppo intelligente per scappare con te!».

«Tu credi?! Te lo prometto, Kiyota, la bella Hime-san cadrà tra le mie braccia... Perché tu agli allenamenti non ci sarai sempre!».

«Non azzardarti nemmeno a guardarla! O ti stacco gli occhi a morsi!».

«Ahaha! Vedrai, sarà mia!».

«A costo di chiedere a Sakuragi di starle appiccicato dalla mattina alla sera!».

«E cosa vuoi che mi faccia quel testa rossa?!».

Hime, nel frattempo, che stava fumando rabbia da tutti i pori sia per l'offesa gratuita sulla sua presunta non-intelligenza sia per il fatto che sembrava stessero parlando del primo oggettino di scambio trovato sotto il naso, tirò un bel calcio nel di dietro al suo adorabile ragazzo, il quale mugolò di dolore.

«Ehi, Hicchan! Che ti prende?!», esclamò con i lacrimoni agli occhi.

Lei, senza ascoltarlo, si rivolse incazzosa alla riserva dello Shohoku, leggermente sotto shock - non pensava certo che fosse manesca come quel teppista del fratello! «Tu, esserino inutile di un Araki, non osare corteggiarmi quando Nobunaga non c'è perché ti ritroveresti appeso al canestro nel giro di due secondi».

E tra le risate sguaiate di Kiyota che veniva trascinato via per un braccio dalla ragazza, il povero Araki si lasciò cadere sulla sabbia, guardando abbattuto i due che si allontanavano velocemente. Accidenti, accidenti! Ah, ma che accidenti? Lui non si buttava giù per la minaccia di una ragazzina... Avrebbe fatto quello che si era ripromesso! L'avrebbe conquistata, alla stra-faccia del suo (futuro ex)fidanzato!

 

*

 

Guardò l'orologio al polso, sistemandosi poi la sacca sulla spalla. Era una bella domenica per fare due tiri a canestro con il suo migliore amico, oltre al fatto che aveva bisogno di non pensare a niente tranne a quella sfera arancione che tanto adorava. Appena aveva detto a sua madre che aveva trovato lavoro per portarla via da quel mostro di uomo per poco non era scoppiata in lacrime, abbracciandolo così forte da lasciarlo senza respiro. "Che Buddha lo protegga, quel santo di ragazzo!", aveva esclamato, asciugandosi gli occhi lucidi.

Sorridendo al pensiero di Akira che veniva strapazzato come sempre dalle mani della madre, Hisashi svoltò l'angolo, dove poteva intravvedere l'ingresso del suo liceo. Buttò un'occhiata distratta al cortile, non aspettandosi certo di vedere qualcuno la domenica pomeriggio. O almeno, era quello che aveva pensato prima di scorgere la visibile porta delle palestre mezzo aperta.

Chi diavolo c'è?, si chiese, fermandosi davanti all'inferriata. Solo Ryota e Ayako avevano le chiavi, sia del cancello principale sia della loro palestra... Ma quella era l'ala che portava alle piscine, oltre il fatto che la cancellata era chiusa con il lucchetto. Poggiò la sacca dell'allenamento sul muretto su cui svettava il nome del Liceo e scavalcò il cancello, con un abile balzo. Mani in tasca, si diresse verso quella porta semi-aperta, incuriosito. Sicuramente doveva essere uno in cerca di qualche sospensione, dato che non era permesso entrare a scuola di domenica senza un permesso... E il tipo, o i tipi, là dentro sicuramente non ne avevano.

Peccato che quello che vide dopo lo lasciò per un attimo senza parole. Non c'era qualche idiota che stava facendo casino, né qualcuno che voleva farsi un bagno a scrocco; bensì c'era una ragazza, ferma sul trampolino, che respirava profondamente ad occhi chiusi, immobile come una statua per cercare la concentrazione.

Hisashi non si mosse per non far rumore e non distrarla, ma la curiosità di sapere chi fosse gli fece aguzzare la vista. Non riuscì a riconoscerla a primo impatto, dato che indossava la cuffietta che le ritirava i capelli, oltre al fatto che fosse 50 metri più in là. Poi sussultò, appena la nuotatrice iniziò a saltellare sul trampolino, per compiere un tuffo che era tutto un programma: avvitamento, carpiato, dritta dentro l'acqua, pochissimi gli schizzi. Entrata pressoché perfetta, lo poteva capire anche un "ignorante" in materia come lui.

Appena la ragazza risalì a galla lo notò subito, strabuzzando gli occhi. Rimasero a guardarsi per qualche secondo, l'uno non sapendo se andarsene e fare finta di niente, l'altra parecchio indispettita.

«Qualche problema?», gli chiese, acida, avvicinandosi al bordo piscina.

Hisashi si spostò dalla parete su cui era mollemente appoggiato, muovendo qualche passo verso la ragazza. «Io no. Tu piuttosto, mi sembri nervosetta... Kobayashi?! Sei tu?».

Kiyo gli riservò un'occhiataccia avvelenata, infastidita che quell'insolente borioso avesse interrotto così il suo allenamento. Odiava che qualcuno la disturbasse, soprattutto se era un ragazzo, un ragazzo come lui. «Mitsui. Non hai altro da fare oggi?». Uscita dalla piscina afferrò l'accappatoio, avvolgendoselo frettolosamente sulle spalle. Non le stava piacendo il modo in cui quegli occhi blu la stavano guardando.

«Tranquilla, non adoro perdere tempo a spiare le ragazzine in costume da bagno... vengono da me direttamente», la provocò, facendole roteare gli occhi.

«Maiale... come tutti i ragazzi», sbottò lei, andando verso i bagni per farsi una doccia.

L'espressione maliziosa del giocatore di basket sparì immediatamente. «Ehi, aspetta!». La bloccò per un polso, lasciandola nello stesso istante in cui lei lo fulminò ancora una volta con lo sguardo. «Due volte che parliamo e due volte che finiamo per litigare... che problemi hai?»

«Che problemi ho? Non mi piace parlare con quelli come te».

«E che diavolo vuol dire? Che accidenti ne sai di come sono io?», le fece, ora seriamente offeso. Come si permetteva quella ragazzina di parlargli così?

«Lo so e basta... siete tutti così voialtri», rispose lei, puntandogli l'indice contro. «E ora lasciami in pace. Mi hai già disturbata abbastanza».

Hisashi non ci vide più dalla rabbia e la mandò gentilmente a quel paese, sbattendosi la porta alle spalle. Chi diavolo credeva di essere quella stupida? Che andasse a farsi– ah, accidenti a lei! Non si sarebbe rovinato una giornata già scura di per sé per colpa sua.

Lei, d'altro canto, sobbalzò nel sentire la porta sbattere con forza per la rabbia - giustificata - del ragazzo, e si lasciò cadere a terra, senza forze. Si tolse la cuffietta con collera, buttandola in acqua, e si coprì il viso con le mani. Non seppe il perché, ma si ritrovò a piangere come una bambina, troppo sola e impaurita per farcela da sola.

Il ragazzo, nel frattempo raggiunse il campetto da basket, più irritato che mai.

«Ehi, amico, siamo in ritardo o sbaglio?», gli fece affabile come sempre Akira, ticchettando un dito sul quadrante del suo orologio. «Non è corretto farmi aspettare qui solo soletto, senza neanche avvisare!».

«Ah, stai zitto. Tu sei perennemente in ritardo», sbottò Hisashi, buttando in un angolo la sacca dell'allenamento e tirando fuori il pallone. «Due tiri per riscaldarmi e iniziamo».

Akira, però, non demorse, chinando la testa su un lato, incuriosito. «È successo qualcosa e non vuoi dirmelo. Perché?».

«Non è successo assolutamente nulla, Sendoh».

Il Porcospino scoppiò a ridere, facendo girare il suo pallone su un dito. «Oh sì che è successo qualcosa... e sei anche parecchio infastidito, non mi avresti chiamato per cognome altrimenti».

Mitsui gli riservò un'occhiataccia truce, di quelle per cui molti gli stavano a debita distanza, e riprese a tirare a canestro, dietro la linea dei tre.

«Vediamo un po'... non si tratta di quello lì, saresti molto più incazzato» iniziò a elencare il giocatore del Ryonan, mentre l'altro alzava gli occhi al cielo. «Potresti aver fatto danni alla tua adorata moto, ma lo escludo perché altrimenti saresti verde dall'ira. Altra ipotesi più plausibile: sei stato scaricato da una donna!».

La guardia sbagliò totalmente il tiro, colpendo solo il ferro. «Accidenti, Akira, non riesci a stare zitto?».

L'altro scoppiò nuovamente a ridere, conscio di aver azzeccato in pieno. «Amico mio, ti conosco come le mie tasche! Avanti, di chi si tratta?».

«Non rompere», ringhiò Hisashi, recuperando il pallone con una zampata. «Allora, iniziamo sì o no?».

«Sì, sarà uno scontro interessante», annuì Sendoh, sorridendo. «Comunque deve essere un bel peperino».

«Non ne hai idea», ringhiò l'altro, parandosi davanti a lui per iniziare il one-on-one.

«A-ah. Hisashi Mitsui che si becca un bel due di picche... non avrei mai pensato che sarei stato onorato di vederlo!». Scartò velocemente la furia dell'amico, che stanco della sua parlantina e scocciato per l'accaduto, aveva avuto l'idea di coglierlo di sorpresa e soffiargli la palla.

Sì, sarebbe stato un bel one-on-one, pensò ancora una volta Sendoh, infilando il primo canestro della serata.

 

*

 

Dovevano essere passate tre ore da quando era arrivato a quel campetto, tre ore da quando aveva iniziato il suo consueto allenamento pomeridiano in solitario. Kaede si asciugò il sudore dal viso con il bordo della maglia e riprese fiato, poggiato contro la rete metallica alle sue spalle. Alzò lo sguardo verso il cielo, ormai striato dalle sfumature rossastre del tramonto, e si fermò qualche istante a guardare la scia di un aereo che passava sopra la sua testa. Chissà dove stava andando... Forse in America, il suo sogno? Un giorno anche lui sarebbe salito su quell'aereo, un giorno che magari non era neanche così lontano. O almeno, così sperava in cuor suo.

Si mise la sacca in spalla e s'incamminò verso casa. Quella sera aveva deciso di non prendere la bici, o quella che doveva essere una bici - più scassata che mai; aveva voglia di fare due passi e godersi Kanagawa con calma. Gli piaceva camminare quando in strada c'era poca gente: gli evitava gli sguardi assatanati delle ragazze e quelle incuriosite dei passanti, anche un po' intimoriti dalla sua altezza e da quello sguardo imbronciato che aveva sempre. Non che la cosa gli importasse più di tanto, dato che era perennemente perso nel suo mondo per occuparsi di chi gli stava intorno. Il suo fan club, del resto, lo aveva "addestrato" per bene all'indifferenza.

Quella sera, però, non sembrò poi tanto addormentato, soprattutto quando si accorse che a poche centinaia di metri poteva intravvedere il Bar America. E chi lo avrebbe mai detto che quel famigerato locale fosse così vicino al suo campetto prediletto?

Quando si ritrovò lì vicino buttò un'occhiata distratta all'ingresso, credendo di vedere quella stramba ragazza che ci lavorava. Ma così non fu. O almeno, non la incontrò mentre usciva dal locale, bensì cinque minuti dopo, sorridente e contenta...

In compagnia di Sendoh.

Kaede strinse i denti alla vista dell'inaspettata coppietta - quella ragazzina stava insieme a quello lì? - soprattutto alla vista del sorriso da ebete che aveva quell'idiota del Ryonan. Decise di girare al primo angolo che avrebbe incontrato, non sopportando l'idea che uno dei due potesse scorgerlo e menargli le palle per qualche assurdo motivo. Ma quella doveva essere la giornata mondiale della sfiga, dato che Akira lo vide prima ancora che potesse mettere in atto il suo piano di fuga, e lo chiamò allegramente, agitando un braccio per farsi notare.

«Ehilà, Kaede!».

L'ala piccola dello Shohoku alzò gli occhi al cielo, fermando la sua ritirata e guardandolo bieco. «'ao».

Fu quando gli occhi ridenti della ragazza lo salutarono ancora più allegramente che si degnò anche di un cenno del capo. Del resto, quella poveretta non gli menava gli zebedei ogni volta che scorgeva la sua ombra, indi per cui poteva anche avere l'onore di un suo saluto.

«Anche tu da queste parti?», gli chiese, sorridente.

«Scommetto che ti stavi allenando al campetto qui vicino», buttò lì Akira, guardando la sacca che teneva mollemente sulle spalle.

«Sempre perspicace, tu», rispose lui, voltando lo sguardo, e suscitando l'ilarità di Sana. Che diavolo avrà da ridere, ora?

«Kaede, vuoi unirti a noi? Stiamo andando nella stessa direzione», propose cordiale come sempre quel santo di Sendoh, non ben capendo - o forse, facendo finta di non capire - la pericolosità di quell'atteggiamento nei confronti del volpino. Che, infatti, ponderò per bene l'idea di massacrargli quel muso che si ritrovava se avesse nuovamente osato chiamarlo per nome con tutta quella confidenza. In che lingua doveva farglielo capire che gli stava stramaledettamente sulle scatole? «Anche no, Sendoh. Ciao».

Sanako rimase parecchio interdetta da quel comportamento freddo e piuttosto maleducato, ma il ragazzo accanto a lei non sembrò curarsene, risolvendo tutto con una sana risata.

«Avete per caso qualche problema?», chiese lei.

«No, niente di che. Per lo meno, non da parte mia. Credo di non essergli mai stato molto simpatico, ecco tutto».

«Per il basket?».

Akira annuì, sorridendo nel pensare alla loro rivalità in campo. «Odia perdere, soprattutto contro me. Sarà che sono troppo bravo e lui non vuole essermi da meno».

«Viva la modestia!», esclamò Sana, ridacchiando. Lanciò un'ultima occhiata alla schiena del giocatore dello Shohoku, che si allontanava dietro un angolo. Com'era strano, quel ragazzo. Era incredibile quanto fosse diverso da Akira, era esattamente il suo opposto. Chissà come faceva a riscuotere così tanto successo tra le ragazze? Non poteva essere solo per il fatto che fosse sconvolgentemente bello... o forse sì?

Kaede, nel frattempo, irritato come solo Sendoh riusciva a farlo diventare, accese il suo walkman, mentre la musica rock che tanto adorava gli trapanava i timpani. Quel deficiente di Sendoh... da quando conosceva la ragazzina del tetto? E dire che lui la vedeva praticamente tutti i giorni e l'aveva scoperta solo in quel momento. Ancora vedeva davanti agli occhi il suo sorriso, appena l'aveva visto.

Hmpf. Sta insieme a quell'idiota.

Che diavolo ci trovano in quell'istrice le donne? Sorrideva per un non niente, aveva la simpatia di un dito in un occhio ed era addirittura più borioso di lui in campo.

«Edeee!».

E lei? Lei che ci trovava in quello lì? Erano una coppia addirittura più bizzarra del pensiero del Do'aho con la Babbuina... Brr!

«Edeeeee!».

«Hicchan, non gridare, starà dormendo in piedi come fa sempre!».

Il volpino corrugò la fronte, perplesso: gli era sembrato di sentire la voce di un'altra coppia bizzarra... lo stavano per caso perseguitando? Si tolse un auricolare, voltandosi leggermente per vedere se non si fosse sognato tutto e per poco non gli scese un coccolone quando si vide quella furia dai capelli rossi saltargli alle spalle.

«Ede! Allora non stavi dormendo!», esclamò allegramente, dandogli un bacino sulla guancia.

«Hn, mollami demente», le rispose, infastidito. Si pentì subito della sua risposta sgarbata, ma non le chiese scusa; si limitò solo ad abbassare lo sguardo e come sempre accadeva lei lo capì al volo.

«Ehi, è successo qualcosa?», gli domandò, preoccupata.

Nobunaga li raggiunse velocemente, ficcandosi le mani in tasca e lanciandogli un'occhiataccia sbieca. «Tsè, sembra che abbia visto Sendoh!».

Lo sguardo di ghiaccio che Rukawa gli riservò subito dopo lo fece arretrare di qualche passo.

Sì, aveva decisamente visto Sendoh.

 

 

 

 

Continua...

 

 

* * *

 

Tralasciando che ho dato millemila esami, che me ne manca ancora uno, che sono stanca, che voglio andare al mare, che, che, che... Mi scuso per il ritardo, ma è stato veramente un periodo pesante!

Un grazie veloce a tutti, i pochi che commentano e coloro che hanno aggiunto BA alle seguite, preferiti e ricordate... Grazie!

Un abbraccio,

Marta.

 

 

 

 

 

   
 
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