Capitolo 6
Puffi, litigi e... e
cosa?
Il pomeriggio era
soleggiato e tiepido, un sole splendente illuminava le vie di una Kanagawa
pullulante di vita. Era la giornata perfetta per fare due passi e stare
insieme, dopo aver passato la notte prima a far baldoria con i suoi amici. Cosa
che lui non aveva mandato giù facilmente, dato che avrebbe voluto esserci anche
lui a far casino con quell'idiota del fratello e a difendere la sua Hicchan
dagli assalti del Volpino o di chiunque altro.
Hime si voltò verso il
suo baldanzoso ragazzo e sorrise, serena. A volte non riusciva ancora a
capacitarsi del fatto che prima di quel famoso ritiro si detestassero - quante
se n'erano detti? - e ora andassero d'amore e d'accordo, come una coppia di
giovani innamorati qualunque. E di fatto loro lo erano, innamorati. Anche se
tanto normali, effettivamente, non lo erano mai stati.
Nobunaga, dall'alto dei
suoi
Hime gli si accoccolò
contro, sentendosi subito avvolgere dal suo braccio, e ridacchiò. «Mi dispiace
deluderti, ma stavo pensando che ti dovrò regalare una nuova fascetta. Quella è
tutta rovinata!».
«Cosa?! Questa fascetta
non si cambia! È l'esempio di tutto il mio sudore durante i duri allenamenti
del senpai Maki!».
«...Appunto!».
Nobunaga la guardò
imbronciato e lei non ci mise molto a fargli cambiare quell'espressione
crucciata con un bacino sulla guancia.
«Ruffiana. Sei una
ruffiana, ecco tutto», borbottò, rosso come i capelli della ragazza. «Comunque,
dov'è che vuoi andare?».
La rossa si batté un
dito sulle labbra, pensierosa. Poi ebbe un'idea e, senza avvisarlo, lo prese per
mano e iniziò a correre tra la folla, ridendo come una pazza. Kiyota, d'altro
canto, non osò chiedere spiegazioni di alcun genere, e la seguì sbraitando come
un esaltato di fare largo al Re e alla Regina di Kanagawa, tra gli sguardi
perplessi e a volte irritati di chi se li ritrovava davanti. Raggiunsero
trafelati la spiaggia, ridendo fino alle lacrime senza un apparente motivo.
Nobunaga la prese di peso e se la caricò su una spalla, iniziando a girare su
sé stesso e a correre, come se le forze non gli mancassero mai.
«Nobuuu!
Disgraziato, mettimi giù!», gridò quella, che nonostante tutto si stava
divertendo come una bambina.
«Neanche morto!»,
ribatté esaltato lui. Poi gli si accese una lampadina, e decise che sì,
l'avrebbe messa giù... Ma non come avrebbe creduto lei.
«NobunagaKiyotaIoTiAmmazzo!!»,
La scimmietta
saltellante del Kainan fece in fretta a scappare, dato che la povera Sakuragi
si ritrovò scaraventata a terra sulla sabbia, gli abiti, nonché i capelli,
completamente sporchi di arenaria. E si sa bene, i suoi capelli erano sacri.
«Hicchan, ti ho mai
detto che hai i capelli di una pazza?», le chiese innocentemente il ragazzo,
mentre scappava.
«Stai pure tranquillo
che tu tra poco non ne avrai più perché te li strappo uno per uno!».
E tra correre e rincorrere
il sole fece in tempo a tramontare, e avrebbe anche lasciato il posto alla luna
prima che quei due la smettessero di comportarsi come bambini, se non fosse
stato che la rossa iniziò a sentire un po' di fresco. Da buon gentiluomo - o
presunto tale - Nobunaga le mise sulle spalle la propria felpa, che le stava
tre volte, ma che lei adorava. Essere abbracciata dagli indumenti del suo
ragazzo, impregnati del suo profumo, era una delle cose che più la faceva stare
meglio.
«Ehi, guarda che poi la
rivoglio, eh», l'avvertì la scimmietta, guardando possessivo la sua felpa viola
e gialla.
«Uffa, sei tirchio»
«Tirchio?! Ma se mi hai
fatto fuori mezzo armadio? Sto uscendo sempre con gli stessi indumenti perché
mi hai rubato maglie e magliette!».
Hime iniziò a ridere
come un'invasata, agitando noncurante una mano. «Tu fantastichi troppo,
Nobu-chan».
Troppo intento a
guardare il ragazzo che si avvicinava a loro e che - udite, udite! - non
toglieva gli occhi di dosso alla sua preziosa ragazza, Kiyota non le rispose
subito.
«Nobu-chan, mi stai
ascoltando?».
«Hi-Hime-san!», la
salutò estremamente euforico Masuhiro Araki, facendola sbiancare peggio di un
lenzuolo appena lavato con la candeggina.
«Araki, ciao», rispose
Hime, tutt'altro che euforica. Era terrorizzata! E ora chi lo avrebbe sentito
Nobunaga?
«Chi diavolo è questo?»,
ringhiò infatti due secondi più tardi il ragazzo, stringendo gli occhi e,
soprattutto, la presa sui suoi fianchi.
Araki sembrò accorgersi
solo in quel momento dell'accompagnatore della sua musa e per poco non gli
venne un accidente. «Chi diavolo sei tu?
Come osi stare così attaccato a Hime-san?».
Nobunaga lo guardò
dapprima perplesso, poi scoppiò a ridere di puro divertimento. Cosa che a Hime
non piacque per niente.
«Questo tizio è
divertente! Ma l'hai sentito? Ahahaha!».
Masuhiro strinse i pugni
per la stizza, rivolgendogli un'occhiata di fuoco. «Ehi! Che cavolo ridi?!».
Hime decise di tentare
un salvataggio in corner, mettendosi subito in mezzo. «Ragazzi, ragazzi!
Calmi!» Ridacchiò imbarazzata, grattandosi il naso come faceva solitamente
quando era in difficoltà. «Nobu, ti presento Masuhiro Araki, nuovo acquisto
dello Shohoku...».
«Ah! Akaki... bell'acquisto del
cavolo».
«È A-r-a-k-i,
cerebroleso!».
«E Araki...» - Ora arrivava il bello - «Lui è Nobunaga
Kiyota, giocatore del Kainan...» - Qui il
ragazzo dello Shohoku prese il primo colpo della serata - «...nonché il mio
fidanzato».
E qui il medico legale
dichiarò l'avvenuto decesso.
«Fi... Fidan...».
«F-i-d-a-n-z-a-t-o,
cerebroleso!», lo scimmiottò Kiyota, con la sua solita faccia da schiaffi che,
all'inizio di tutto, Hime odiava dal profondo del cuore. «Mica son scemo che me
la lascio scappare!».
Arrossì quando lei lo
guardò di sottecchi, sussurrandogli: «Diciamo anche che mi stavi facendo
scappare, prima che perdessi del tutto la testa...».
Araki, nel frattempo,
che probabilmente non respirava da parecchio dato che i due constatarono un bel
colorito cianotico peggio dei suoi capelli tinti, boccheggiò qualche parola
incomprensibile. Poi, riprendendosi di colpo, puntò un dito contro Kiyota,
ridendo beffardo manco fosse un pazzo. «Fidanzato, eh? Vedrai che la
conquisterò e te la porterò via, brutta scimmia del Kainan!».
Ci mancò poco che
Nobunaga gli saltasse addosso per dargliele di santa ragione, ma fortuna volle
che Hime fu più lesta di lui e lo bloccò per il rotto della cuffia. «Ma non
farmi ridere! Hicchan è troppo intelligente per scappare con te!».
«Tu credi?! Te lo
prometto, Kiyota, la bella Hime-san cadrà tra le mie braccia... Perché tu agli
allenamenti non ci sarai sempre!».
«Non azzardarti nemmeno
a guardarla! O ti stacco gli occhi a morsi!».
«Ahaha!
Vedrai, sarà mia!».
«A costo di chiedere a
Sakuragi di starle appiccicato dalla mattina alla sera!».
«E cosa vuoi che mi
faccia quel testa rossa?!».
Hime, nel frattempo, che
stava fumando rabbia da tutti i pori sia per l'offesa gratuita sulla sua
presunta non-intelligenza sia per il fatto che sembrava stessero parlando del
primo oggettino di scambio trovato sotto il naso, tirò un bel calcio nel di dietro
al suo adorabile ragazzo, il quale mugolò di dolore.
«Ehi, Hicchan! Che ti
prende?!», esclamò con i lacrimoni agli occhi.
Lei, senza ascoltarlo,
si rivolse incazzosa alla riserva dello Shohoku, leggermente sotto shock - non
pensava certo che fosse manesca come quel teppista del fratello! «Tu, esserino
inutile di un Araki, non osare corteggiarmi quando Nobunaga non c'è perché ti
ritroveresti appeso al canestro nel giro di due secondi».
E tra le risate sguaiate
di Kiyota che veniva trascinato via per un braccio dalla ragazza, il povero
Araki si lasciò cadere sulla sabbia, guardando abbattuto i due che si
allontanavano velocemente. Accidenti, accidenti! Ah, ma che accidenti? Lui non
si buttava giù per la minaccia di una ragazzina... Avrebbe fatto quello che si
era ripromesso! L'avrebbe conquistata, alla stra-faccia
del suo (futuro ex)fidanzato!
*
Guardò l'orologio al
polso, sistemandosi poi la sacca sulla spalla. Era una bella domenica per fare
due tiri a canestro con il suo migliore amico, oltre al fatto che aveva bisogno
di non pensare a niente tranne a quella sfera arancione che tanto adorava.
Appena aveva detto a sua madre che aveva trovato lavoro per portarla via da
quel mostro di uomo per poco non era scoppiata in lacrime, abbracciandolo così
forte da lasciarlo senza respiro. "Che Buddha lo protegga, quel santo di
ragazzo!", aveva esclamato, asciugandosi gli occhi lucidi.
Sorridendo al pensiero
di Akira che veniva strapazzato come sempre dalle mani della madre, Hisashi
svoltò l'angolo, dove poteva intravvedere l'ingresso del suo liceo. Buttò
un'occhiata distratta al cortile, non aspettandosi certo di vedere qualcuno la
domenica pomeriggio. O almeno, era quello che aveva pensato prima di scorgere
la visibile porta delle palestre mezzo aperta.
Chi diavolo c'è?, si chiese, fermandosi davanti all'inferriata.
Solo Ryota e Ayako avevano le chiavi, sia del cancello principale sia della
loro palestra... Ma quella era l'ala che portava alle piscine, oltre il fatto
che la cancellata era chiusa con il lucchetto. Poggiò la sacca dell'allenamento
sul muretto su cui svettava il nome del Liceo e scavalcò il cancello, con un
abile balzo. Mani in tasca, si diresse verso quella porta semi-aperta,
incuriosito. Sicuramente doveva essere uno in cerca di qualche sospensione,
dato che non era permesso entrare a scuola di domenica senza un permesso... E
il tipo, o i tipi, là dentro sicuramente non ne avevano.
Peccato che quello che
vide dopo lo lasciò per un attimo senza parole. Non c'era qualche idiota che
stava facendo casino, né qualcuno che voleva farsi un bagno a scrocco; bensì
c'era una ragazza, ferma sul trampolino, che respirava profondamente ad occhi
chiusi, immobile come una statua per cercare la concentrazione.
Hisashi non si mosse per
non far rumore e non distrarla, ma la curiosità di sapere chi fosse gli fece
aguzzare la vista. Non riuscì a riconoscerla a primo impatto, dato che
indossava la cuffietta che le ritirava i capelli, oltre al fatto che fosse
Appena la ragazza risalì
a galla lo notò subito, strabuzzando gli occhi. Rimasero a guardarsi per
qualche secondo, l'uno non sapendo se andarsene e fare finta di niente, l'altra
parecchio indispettita.
«Qualche problema?», gli
chiese, acida, avvicinandosi al bordo piscina.
Hisashi si spostò dalla
parete su cui era mollemente appoggiato, muovendo qualche passo verso la
ragazza. «Io no. Tu piuttosto, mi sembri nervosetta... Kobayashi?! Sei tu?».
Kiyo gli riservò
un'occhiataccia avvelenata, infastidita che quell'insolente borioso avesse
interrotto così il suo allenamento. Odiava che qualcuno la disturbasse,
soprattutto se era un ragazzo, un ragazzo come lui. «Mitsui. Non hai altro da fare oggi?». Uscita dalla piscina
afferrò l'accappatoio, avvolgendoselo frettolosamente sulle spalle. Non le
stava piacendo il modo in cui quegli occhi blu la stavano guardando.
«Tranquilla, non adoro
perdere tempo a spiare le ragazzine in costume da bagno... vengono da me
direttamente», la provocò, facendole roteare gli occhi.
«Maiale... come tutti i
ragazzi», sbottò lei, andando verso i bagni per farsi una doccia.
L'espressione maliziosa
del giocatore di basket sparì immediatamente. «Ehi, aspetta!». La bloccò per un
polso, lasciandola nello stesso istante in cui lei lo fulminò ancora una volta
con lo sguardo. «Due volte che parliamo e due volte che finiamo per litigare...
che problemi hai?»
«Che problemi ho? Non mi
piace parlare con quelli come te».
«E che diavolo vuol
dire? Che accidenti ne sai di come sono io?», le fece, ora seriamente offeso.
Come si permetteva quella ragazzina di parlargli così?
«Lo so e basta... siete
tutti così voialtri», rispose lei, puntandogli l'indice contro. «E ora lasciami
in pace. Mi hai già disturbata abbastanza».
Hisashi non ci vide più
dalla rabbia e la mandò gentilmente a quel paese, sbattendosi la porta alle
spalle. Chi diavolo credeva di essere quella stupida? Che andasse a farsi– ah,
accidenti a lei! Non si sarebbe rovinato una giornata già scura di per sé per
colpa sua.
Lei, d'altro canto,
sobbalzò nel sentire la porta sbattere con forza per la rabbia - giustificata -
del ragazzo, e si lasciò cadere a terra, senza forze. Si tolse la cuffietta con
collera, buttandola in acqua, e si coprì il viso con le mani. Non seppe il
perché, ma si ritrovò a piangere come una bambina, troppo sola e impaurita per
farcela da sola.
Il ragazzo, nel
frattempo raggiunse il campetto da basket, più irritato che mai.
«Ehi, amico, siamo in
ritardo o sbaglio?», gli fece affabile come sempre Akira, ticchettando un dito
sul quadrante del suo orologio. «Non è corretto farmi aspettare qui solo
soletto, senza neanche avvisare!».
«Ah, stai zitto. Tu sei
perennemente in ritardo», sbottò Hisashi, buttando in un angolo la sacca
dell'allenamento e tirando fuori il pallone. «Due tiri per riscaldarmi e iniziamo».
Akira, però, non
demorse, chinando la testa su un lato, incuriosito. «È successo qualcosa e non
vuoi dirmelo. Perché?».
«Non è successo
assolutamente nulla, Sendoh».
Il Porcospino scoppiò a
ridere, facendo girare il suo pallone su un dito. «Oh sì che è successo
qualcosa... e sei anche parecchio infastidito, non mi avresti chiamato per
cognome altrimenti».
Mitsui gli riservò
un'occhiataccia truce, di quelle per cui molti gli stavano a debita distanza, e
riprese a tirare a canestro, dietro la linea dei tre.
«Vediamo un po'... non
si tratta di quello lì, saresti molto
più incazzato» iniziò a elencare il giocatore del Ryonan, mentre l'altro alzava
gli occhi al cielo. «Potresti aver fatto danni alla tua adorata moto, ma lo
escludo perché altrimenti saresti verde dall'ira. Altra ipotesi più plausibile:
sei stato scaricato da una donna!».
La guardia sbagliò
totalmente il tiro, colpendo solo il ferro. «Accidenti, Akira, non riesci a
stare zitto?».
L'altro scoppiò
nuovamente a ridere, conscio di aver azzeccato in pieno. «Amico mio, ti conosco
come le mie tasche! Avanti, di chi si tratta?».
«Non rompere», ringhiò
Hisashi, recuperando il pallone con una zampata. «Allora, iniziamo sì o no?».
«Sì, sarà uno scontro
interessante», annuì Sendoh, sorridendo. «Comunque deve essere un bel peperino».
«Non ne hai idea»,
ringhiò l'altro, parandosi davanti a lui per iniziare il one-on-one.
«A-ah. Hisashi Mitsui
che si becca un bel due di picche... non avrei mai pensato che sarei stato
onorato di vederlo!». Scartò velocemente la furia dell'amico, che stanco della
sua parlantina e scocciato per l'accaduto, aveva avuto l'idea di coglierlo di
sorpresa e soffiargli la palla.
Sì, sarebbe stato un bel
one-on-one, pensò ancora
una volta Sendoh, infilando il primo canestro della serata.
*
Dovevano essere passate
tre ore da quando era arrivato a quel campetto, tre ore da quando aveva
iniziato il suo consueto allenamento pomeridiano in solitario. Kaede si asciugò
il sudore dal viso con il bordo della maglia e riprese fiato, poggiato contro
la rete metallica alle sue spalle. Alzò lo sguardo verso il cielo, ormai
striato dalle sfumature rossastre del tramonto, e si fermò qualche istante a
guardare la scia di un aereo che passava sopra la sua testa. Chissà dove stava
andando... Forse in America, il suo sogno? Un giorno anche lui sarebbe salito
su quell'aereo, un giorno che magari non era neanche così lontano. O almeno,
così sperava in cuor suo.
Si mise la sacca in
spalla e s'incamminò verso casa. Quella sera aveva deciso di non prendere la bici,
o quella che doveva essere una bici - più scassata che mai; aveva voglia di
fare due passi e godersi Kanagawa con calma. Gli piaceva camminare quando in
strada c'era poca gente: gli evitava gli sguardi assatanati delle ragazze e
quelle incuriosite dei passanti, anche un po' intimoriti dalla sua altezza e da
quello sguardo imbronciato che aveva sempre. Non che la cosa gli importasse più
di tanto, dato che era perennemente perso nel suo mondo per occuparsi di chi
gli stava intorno. Il suo fan club, del resto, lo aveva "addestrato"
per bene all'indifferenza.
Quella sera, però, non
sembrò poi tanto addormentato, soprattutto quando si accorse che a poche
centinaia di metri poteva intravvedere il Bar America. E chi lo avrebbe mai
detto che quel famigerato locale fosse così vicino al suo campetto prediletto?
Quando si ritrovò lì
vicino buttò un'occhiata distratta all'ingresso, credendo di vedere quella
stramba ragazza che ci lavorava. Ma così non fu. O almeno, non la incontrò
mentre usciva dal locale, bensì cinque minuti dopo, sorridente e contenta...
In compagnia di Sendoh.
Kaede strinse i denti
alla vista dell'inaspettata coppietta - quella ragazzina stava insieme a quello
lì? - soprattutto alla vista del sorriso da ebete che aveva quell'idiota del
Ryonan. Decise di girare al primo angolo che avrebbe incontrato, non
sopportando l'idea che uno dei due potesse scorgerlo e menargli le palle per
qualche assurdo motivo. Ma quella doveva essere la giornata mondiale della
sfiga, dato che Akira lo vide prima ancora che potesse mettere in atto il suo
piano di fuga, e lo chiamò allegramente, agitando un braccio per farsi notare.
«Ehilà, Kaede!».
L'ala piccola dello
Shohoku alzò gli occhi al cielo, fermando la sua ritirata e guardandolo bieco.
«'ao».
Fu quando gli occhi ridenti
della ragazza lo salutarono ancora più allegramente che si degnò anche di un
cenno del capo. Del resto, quella poveretta non gli menava gli zebedei ogni
volta che scorgeva la sua ombra, indi per cui poteva anche avere l'onore di un
suo saluto.
«Anche tu da queste
parti?», gli chiese, sorridente.
«Scommetto che ti stavi
allenando al campetto qui vicino», buttò lì Akira, guardando la sacca che
teneva mollemente sulle spalle.
«Sempre perspicace, tu»,
rispose lui, voltando lo sguardo, e suscitando l'ilarità di Sana. Che diavolo avrà da ridere, ora?
«Kaede, vuoi unirti a
noi? Stiamo andando nella stessa direzione», propose cordiale come sempre quel
santo di Sendoh, non ben capendo - o forse, facendo finta di non capire - la
pericolosità di quell'atteggiamento nei confronti del volpino. Che, infatti,
ponderò per bene l'idea di massacrargli quel muso che si ritrovava se avesse
nuovamente osato chiamarlo per nome con tutta quella confidenza. In che lingua
doveva farglielo capire che gli stava stramaledettamente
sulle scatole? «Anche no, Sendoh. Ciao».
Sanako rimase parecchio
interdetta da quel comportamento freddo e piuttosto maleducato, ma il ragazzo
accanto a lei non sembrò curarsene, risolvendo tutto con una sana risata.
«Avete per caso qualche
problema?», chiese lei.
«No, niente di che. Per
lo meno, non da parte mia. Credo di non essergli mai stato molto simpatico,
ecco tutto».
«Per il basket?».
Akira annuì, sorridendo
nel pensare alla loro rivalità in campo. «Odia perdere, soprattutto contro me.
Sarà che sono troppo bravo e lui non vuole essermi da meno».
«Viva la modestia!»,
esclamò Sana, ridacchiando. Lanciò un'ultima occhiata alla schiena del
giocatore dello Shohoku, che si allontanava dietro un angolo. Com'era strano,
quel ragazzo. Era incredibile quanto fosse diverso da Akira, era esattamente il
suo opposto. Chissà come faceva a riscuotere così tanto successo tra le
ragazze? Non poteva essere solo per il fatto che fosse sconvolgentemente
bello... o forse sì?
Kaede, nel frattempo,
irritato come solo Sendoh riusciva a farlo diventare, accese il suo walkman,
mentre la musica rock che tanto adorava gli trapanava i timpani. Quel
deficiente di Sendoh... da quando conosceva la ragazzina del tetto? E dire che
lui la vedeva praticamente tutti i giorni e l'aveva scoperta solo in quel
momento. Ancora vedeva davanti agli occhi il suo sorriso, appena l'aveva visto.
Hmpf. Sta
insieme a quell'idiota.
Che diavolo ci trovano
in quell'istrice le donne? Sorrideva per un non niente, aveva la simpatia di un
dito in un occhio ed era addirittura più borioso di lui in campo.
«Edeee!».
E lei? Lei che ci
trovava in quello lì? Erano una coppia addirittura più bizzarra del pensiero
del Do'aho con
«Edeeeee!».
«Hicchan, non gridare,
starà dormendo in piedi come fa sempre!».
Il volpino corrugò la
fronte, perplesso: gli era sembrato di sentire la voce di un'altra coppia
bizzarra... lo stavano per caso perseguitando? Si tolse un auricolare,
voltandosi leggermente per vedere se non si fosse sognato tutto e per poco non gli
scese un coccolone quando si vide quella furia dai capelli rossi saltargli alle
spalle.
«Ede! Allora non stavi
dormendo!», esclamò allegramente, dandogli un bacino sulla guancia.
«Hn,
mollami demente», le rispose, infastidito. Si pentì subito della sua risposta
sgarbata, ma non le chiese scusa; si limitò solo ad abbassare lo sguardo e come
sempre accadeva lei lo capì al volo.
«Ehi, è successo
qualcosa?», gli domandò, preoccupata.
Nobunaga li raggiunse
velocemente, ficcandosi le mani in tasca e lanciandogli un'occhiataccia sbieca.
«Tsè, sembra che abbia visto Sendoh!».
Lo sguardo di ghiaccio
che Rukawa gli riservò subito dopo lo fece arretrare di qualche passo.
Sì, aveva decisamente
visto Sendoh.
Continua...
* * *
Tralasciando che ho dato millemila
esami, che me ne manca ancora uno, che sono stanca, che voglio andare al mare,
che, che, che... Mi scuso per il ritardo, ma è stato veramente un periodo
pesante!
Un grazie veloce a tutti, i pochi che commentano e coloro
che hanno aggiunto BA alle seguite, preferiti e ricordate... Grazie!
Un abbraccio,
Marta.