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Autore: Beatrix82    06/07/2010    2 recensioni
Mentre qualcuno attende impaziente i fiori d'arancio e l'arrivo di un nuovo, piccolo mezzosangue, qualcun altro riemerge dal profondo precipizio in cui era caduto, ritrovando la serenità sulle verdi e spensierate colline dei Paoz... 3° volume della saga "Dragonball NG", dopo "Il signore della Terra" e "Moonlight".
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bra, Goten, Pan, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

Capitolo 6 - Rewind

 

 

Si stirò lentamente, allungando braccia e gambe per risvegliarle dal torpore. In quel breve dormiveglia aveva già provato una vaga sensazione di non-familiarità, di leggero disagio. Adesso, mentre sbadigliava rumorosamente, socchiuse debolmente un occhio, e lo sbadiglio le si bloccò a metà per la realizzazione.

Quella non era la sua camera. E quello non era il suo letto.

Si paralizzò all’istante, gli occhi sbarrati fissi sul soffitto. Ci mise qualche secondo per farsi coraggio, poi finalmente scostò la coperta che l’avvolgeva, tirando quindi un sospiro di sollievo.

Pantaloni e top erano al loro posto, le mancavano solo gli stivali, che le avevano lasciato i piedi ancora indolenziti. Quella notte doveva esser stata talmente fuori di testa da potersi facilmente spogliare e finire tra le lenzuola di qualcuno…ma di certo non in grado di rivestirsi.

Tuttavia, il sollievo svanì dalla sua faccia, mentre notava la gigantografia alla parete di fronte e realizzava chi fosse il proprietario della camera.

Sguardo fiero, sorriso largo e abbagliante. Capelli biondi scompigliati dal vento. In mano, la coppa di un torneo minore di arti marziali, esposta con orgoglio.

Dalla stanza attigua, lo scrosciare dell’acqua della doccia si mescolava con un’allegra canzonetta stonata.

Pan si fece scappare un gemito di disperazione. In quel caso, tutte le supposizioni appena fatte potevano non valere più.

Balzò giù dal letto, precipitandosi verso il bagno. Aprì la porta senza bussare o chiedere permesso, guidata solo dal panico. Phol era appena uscito dalla doccia, un accappatoio tigrato addosso. Sobbalzò leggermente vedendo entrare a passo deciso la ragazza, che piombò come una furia su di lui e l’afferrò per il colletto dell’accappatoio, bloccandolo contro il muro.

“Cos’è successo stanotte??!” gli gridò in faccia Pan, il volto trasformato in una maschera di terrore.

“In…in che senso..?” riuscì a balbettare Bolide, paralizzato.

“Nel senso…se noi due…insomma, abbiamo…”.

Il volto di Phol si rilassò. Troppo, per i gusti di Pan. Al posto dell’espressione di terrorizzata sorpresa si fece strada un sorriso sornione.

Passò qualche secondo che a Pan sembrò durare un’eternità, il cuore che le martellava nel petto.

“Mi dispiace deluderti, ma…no, Pan” rispose infine, e lei potè respirare di nuovo. “Nonostante le tue insistenti avances, io non mi concederei mai ad una ragazza ubriaca…e ho preferito dormire sul divano!”.

Pan lo lasciò andare, scostandosi da lui. Sospirò di sollievo, chiudendo gli occhi in segno di ringraziamento. Nonostante avesse seri dubbi riguardo alle sue “insistenti avances”, non potè che credere al collega.

“Grazie, Phol” mormorò, più tranquilla.

“Non preoccuparti, tesoro. Rimanderemo ad una serata più tranquilla, in cui sarai lucida e potrai apprezzare al massimo le mie prestazioni…”.

Ma Pan non lo stava ascoltando. Si massaggiava la testa, lo sguardo basso e vuoto, come avesse dentro una gran confusione che tentava di riordinare.

“Perché non…chiami i tuoi? Ti avranno data per dispersa…così potrai informarli che sei in buone mani e con me non hanno che da stare tranquilli. Non tutti, stanotte, avrebbero avuto la mia stessa premura…”.

“E’ finita l’epoca in cui devo rendere conto ai miei di dove passo la notte!” sbottò acida Pan, ma subito se ne pentì. Su una cosa Phol aveva ragione: nelle condizioni in cui si era trovata la sera precedente, avrebbe potuto cacciarsi seriamente nei guai. Non solo avrebbe rischiato di mettere in pericolo la sua incolumità, che non era più in grado di difendere in preda all’alcool e alla follia, ma anche quella degli altri. Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto scatenare.

Era stata una fortuna, che ci fosse stato Phol a farle da balia, trascinandola via dalla strada e facendole passare la notte in un posto sicuro, dove avrebbe potuto tornare in se.

Quanto alle preoccupazioni dei suoi…

Si voltò verso lo specchio, fissando in silenzio la sua immagine riflessa.

Non si riconosceva nemmeno. Vestita di abiti succinti e provocanti che non avrebbe mai indossato. I capelli arruffati e impregnati di fumo, le occhiaie profonde, il trucco sbavato intorno agli occhi e sulle guance. Un pallore cadaverico, al di sotto della sua naturale abbronzatura.

Era questa la Pan che era diventata? Questa la persona che voleva essere?

Dov’era stata, durante tutta quell’interminabile settimana?

“Non voglio telefonare a casa…” rispose Pan, continuando a fissare lo specchio. “Voglio tornarci. Voglio tornare a casa”.

Era rivolto più a se stessa che al suo interlocutore, che la guardò senza troppa convinzione: “Non vuoi farti prima una bella doccia calda? Sistemarti un po’? Intanto potrei prepararti la colazione…”.

“No, Phol…voglio andare subito”.

Lui sospirò, convinto.

“Ok. Ma alla sola condizione che sia io ad accompagnarti”.

Pan annuì debolmente, forzando un sorriso. Quello, almeno, non poteva che concederglielo.

 

Se non altro il viaggio in aircar, più lungo e tranquillo di quello che avrebbe fatto in volo, dava a Pan il tempo di riflettere un po’.

Seduta sul sedile del passeggero, il volto verso il finestrino e gli occhi chiusi, fingendo di dormire, cercò di pensare alla notte precedente. La maggior parte dei ricordi che le riaffioravano alla mente erano immagini labili, quasi surreali. Le luci accecanti della discoteca…la musica penetrante…il sapore forte dell’alcol che le scendeva in gola…tutto sembrava far parte di un lungo e sconclusionato sogno.

Eppure, tra tutto ciò, il ricordo di gran lunga più insensato e irrazionale le appariva incredibilmente vero, terribilmente nitido.

Due paia di occhi rossi come il fuoco, incastonati nelle cavità profonde di volti in decomposizione, che la fissavano famelici.

Aveva capito chi fossero fin dal primo momento. Era la prima volta che li vedeva, ma se li era immaginati proprio così dai racconti di Trunks – Trunks, le faceva male anche solo pensare quel nome – racconti di persecuzione psicologica da parte di due creature terrificanti, falsi simulacri dei suoi genitori defunti, che gli avevano fatto il lavaggio del cervello e lo avevano quasi portato a compiere un gesto estremo. Ma alla fine lui ce l’aveva fatta, si era liberato di loro.

E adesso…potevano due proiezioni mentali essere così vivide, così forti, quasi dotate di vita propria, da spostare il loro fronte d’attacco, decidere di tormentare qualcun altro a lui vicino, per concludere la loro macabra missione?

Ma cosa potevano volere da lei? Trunks se n’era andato deliberatamente, l’aveva lasciata senza rimpianti. Se lo scopo dei due spettri era separarli, tenerla lontano da lui, beh, avevano già vinto senza combattere. Niente più la legava a lui, né mai più l’avrebbe legata.

Eppure sapeva che non era veramente quello il loro obiettivo. Il loro obiettivo era strapparle dal cuore i ricordi di quelle meravigliose settimane con lui, stillarne ogni consistenza, ogni valore, ogni veridicità.

Ok, Trunks aveva fatto la sua scelta, aveva ripreso la sua vita, in cui lei non avrebbe mai potuto essere compresa e di cui non sarebbe stata nemmeno all’altezza, ma mai, mai, avrebbe permesso a quelle creature di convincerla che quelle parole, quegli sguardi, quei baci non fossero stati sinceri. Di questo ne era fortemente sicura: per quelle settimane, almeno per quelle, Trunks l’aveva amata. Forse non quanto lei aveva amato lui…quanto tuttora lo amava…ma di certo i suoi occhi non mentivano.

Lo sapeva, lo sentiva forte nel cuore, e avrebbe difeso quella verità con le unghie e con i denti, finchè ne avesse avuta la forza.

Forse era stata proprio questa immensa forza d’animo, ritrovata quella notte, che le aveva permesso di sconfiggere gli spettri, e che adesso sembrava farla gradualmente risvegliare da un letargo durato fin troppo.

Si accorse che erano arrivati dal brusco scossone con cui Phol atterrò nella radura, sradicando buona parte dell’erba e dei fiori che vi nascevano rigogliosi, mentre i rumorosi motori della Norton spaventavano gli uccellini e gli scoiattoli inducendoli a fuggire il più lontano possibile.

Infine frenò con un forte rinculo, che li fece sobbalzare così forte da farli quasi sbattere la testa contro il vetro, giusto mezzo metro prima di demolire il vialetto di casa Son.

“Oh, bensvegliata, signorina” la salutò Bolide, con un sorriso compiaciuto, notando gli occhi di lei sbarrati ed il corpo irrigidito. Anche fosse stata addormentata davvero, magari anche sotto l’effetto di sonniferi o tranquillanti, sfidava chiunque a non essersi fatto svegliare da una simile manovra. “Siamo appena arrivati”.

“Già…” rispose Pan, ancora un po’ frastornata. Guardò casa sua come non la vedesse da anni. Non era cambiato niente, era lei che probabilmente vedeva tutto da una diversa prospettiva.

Quella della certezza di una vita senza di lui. Di minuti, ore e giorni in cui avrebbe dovuto trovare un’altra motivazione per respirare. E la sua motivazione era la sua casa, chi vi abitava e chi vi aveva abitato. Era la palestra di suo nonno, erano tutti gli insegnamenti dell’altro, a cui doveva quello che era adesso, quello che aveva raggiunto e di cui doveva essere orgogliosa.

“Beh, allora…buona giornata”.

Pan si voltò verso di lui, lo sguardo catturato dall’alone violaceo che gli circondava l’occhio sinistro, lasciandogli la palpebra metà socchiusa per il gonfiore. Alzò la mano, sfiorandogli delicatamente lo zigomo. Lui la lasciò fare, anche se al solo contatto delle sue dita strinse gli occhi come scottato.

“Ti fa male?” gli chiese apprensiva, allontanando la mano, ma lui la trattenne delicatamente appoggiandovi sopra la sua.

“No, tranquilla…cosa vuoi che sia un minuscolo livido!” rise debolmente, poco convinto.

“Mi dispiace, io…mi sento in colpa…non sarebbe successo se…”.

“Shhh” la rabbonì lui. “Per te…ne è valsa la pena”.

Solo allora Pan si rese conto dell’improvvisa vicinanza che si era creata tra di loro, la sua mano ancora sul volto di lui, che adesso era solo a qualche centimetro dal suo, tanto che sentiva il suo respiro sulle labbra…

Forse era quello il primo passo verso la sua nuova vita, la sua nuova vita senza di lui. Phol non avrebbe mai compensato ciò che provava per colui che ai suoi occhi sarebbe sempre rimasto l’unica ed ineguagliabile perfezione, ma forse, era proprio di uno così che aveva bisogno, un tipo alla sua portata, uno con cui non avrebbe dovuto reggere il confronto che una meteora informe ha con una stella brillante.

Uno che avrebbe potuto colmare il vuoto, farla sentire preziosa, forse anche renderla felice…

Ma che non era Trunks.

Si scostò delicatamente, abbassando lo sguardo con un po’ di imbarazzo. Non se la sentiva. Non ancora. Era una follia cercare di ingannare se stessa.

“Phol…scusa ma…devo andare” disse in un sussurro.

“Ok. Ci vediamo in palestra…allora” si ricompose in fretta lui, ostentando naturalezza. “E rimettiti presto in forma, capo!”.

Pan gli rivolse un sincero sorriso, guardandolo di nuovo negli occhi.

“Grazie. Grazie davvero” disse, appoggiandogli una mano sulla spalla, prima di aprire lo sportello e scendere dall’air-car.

Mentre percorreva il vialetto di casa, si voltò a guardare il velicolo che decollava con altrettanto fracasso, mentre Bolide si sbracciava dal vetro per salutarla. Quando si voltò di nuovo, sulla porta di casa era apparsa sua madre, che la fissava in silenzio.

Pan si bloccò, colta improvvisamente dal dubbio e dalla vergogna. Rimasero così per qualche secondo, l’una davanti all’altra, il vento sollevato dal decollo dell’air-car che sventolava i loro capelli. Poi, lo sguardo della donna si ammorbidì gradualmente, lasciando spazio ad un’espressione di sollievo.

E allora Pan non resistette oltre. Sentiva già le lacrime che iniziavano ad inumidirle gli occhi.

“Mamma…” mormorò, per poi correre tra le sue braccia aperte.

 

Una volta, da bambina, aveva tenuto il broncio a mamma e a papà per ben due giorni. Doveva aver avuto circa sei anni. Un pomeriggio erano andati alla Capsule Corporation per una visita ai Brief. Lei mangiava un gelato squisito che le era stato offerto dagli inservienti robotici di Bulma, tutti chiacchieravano e scherzavano, e lei era perfettamente a suo agio. Ad un certo punto, finito il suo gelato, si era accorta che i maschi non c’erano più. Suo padre, suo zio Goten, Trunks e Vegeta…non capiva dove si fossero cacciati. Si era alzata, chiedendo alle donne in sala, ma sua madre, sua nonna e Bulma cercarono di distrarla con qualche zuccheroso complimento.

Ma lei non voleva i complimenti. Lei voleva sapere dove fossero andati gli altri.

Era stata la piccola Bra, con il suo vestitino azzurro con le gale e i fiocchi blu, ad avvicinarsi con l’aria di chi la sa lunga: “Ma come, non lo sai? Sono andati ad allenarsi nella Gravity Room di mio padre. Solo i più forti possono resistere lì dentro, di certo non potevano portare una marmocchia come te”.

C’era rimasta malissimo. Talmente male, che aveva deciso di punire i suoi genitori con un broncio prolungato e irremovibile. Si sarebbe rinchiusa in camera sua, senza mangiare. Avrebbero dovuto dirglielo!

Alla fine, la fame ed il buon senso avevano avuto la meglio sull’orgoglio. I suoi genitori non le avevano detto niente della Gravity Room al solo scopo di proteggerla, per evitare di esporla a rischi, e alla fine aveva dovuto ammettere che, in effetti, avevano ragione.

Proprio come quella volta di tanti anni prima, la mamma sedeva sul divano, mentre lei era distesa con la testa appoggiata sul suo grembo. Si faceva accarezzare dolcemente i capelli, e quel gesto riusciva straordinariamente a rassicurarla, a rilassarla. Ancora una volta, la mamma l’aveva perdonata per il suo assurdo e immotivato comportamento.

“Mi dispiace, mamma” ripetè per l’ennesima volta. “Mi dispiace davvero. Sono stata una stupida…voi…voi non c’entravate niente…avevo solo bisogno di un pretesto per prendermela con qualcuno…”.

“Basta così, tesoro” la rassicurò Videl, massaggiandole la tempia. “Sei solo troppo impulsiva, ecco cosa sei. Se soltanto avessi dato a tuo padre il tempo di spiegarti…”.

Suo padre. Quanto era stata ingiusta con lui. Lo aveva accusato di aver costretto Trunks ad andarsene, ma ora sapeva, sentiva, che non era stata colpa sua.

Quando sentì la porta di casa che si apriva cigolando leggermente, rivelando la sagoma di suo padre che si stagliava sull’accecante luminosità della tarda mattinata, sentì di essere invasa dal panico.

Con lui non sarebbe stato facile e spontaneo come con sua madre. Con lui, si sentiva così piccola e insignificante da non riuscire a trovare le parole giuste, per riparare al fatto di aver mancato di rispetto alla persona più buona e altruista del mondo, che meno di tutti se lo meritava.

Ma il sorriso caldo con cui l’accolse bastò per farla respirare di nuovo. Si alzò lentamente dal divano, andandogli incontro a passi cauti e misurati.

“Ciao, tesoro” la salutò lui con ostentata naturalezza, come non fosse mai successo niente, come se avesse già cancellato quella terribile settimana di lontananza emotiva. Ma Pan sapeva che il suo cuore ribolliva di sollievo e commozione, che dietro a quell’enorme sforzo di dimostrarsi completamente tranquillo e a suo agio, c’era la sua stessa voglia di abbracciarla.

Suo padre era un pessimo attore.

“Giust’appunto…” incalzò, cercando di evitare imbarazzanti silenzi, mentre sollevava la scatola rettangolare incartata d’argento che teneva in mano. “E’ arrivato questo pacco per te. Sono stato a ritirarlo adesso all’ufficio postale di Satan City, perché come ben sai il servizio non arriva fin quassù!”.

Glielo porse, e lei, piuttosto confusa, lo prese esitante. La carta era pregiata, lucida come uno specchio, ed il nastro blu era sicuramente di seta.

“Co…cos’è?” chiese con un sussurro, tenendo in mano il pacco come fosse qualcosa di extra-terrestre.

“Non lo so, Pan” rispose Gohan, alzando le mani. “Ma all’ufficio mi hanno detto chi è il mittente. Credo che te lo mandi Trunks”.

Al suono di quel nome, il suo cuore cominciò a batterle nel petto come un martello. Con le mani che già le tremavano, alzò lentamente gli occhi su quelli del padre, che adesso le rivolse un sorriso sincero, genuino, che senza bisogno di parole le diceva tutto quello che avrebbe dovuto sapere…fin da quel giorno…

 

“Trunks…che ne dici di una passeggiata sulla collina? Avrei bisogno di parlarti” riuscì a formulare, con il tono più tranquillo e rilassato che riusciva a simulare, mentre Pan, uscendo, gli lanciava un’occhiata a metà tra il divertito e il curioso.

Trunks alzò lentamente gli occhi dalla sua colazione, ma rimase qualche secondo in silenzio, a fissarlo, come valutasse attentamente quella proposta.

“Ok” disse infine, abbandonando le posate sul piatto vuoto. “Dammi solo il tempo di controllare la posta elettronica”.

“Perfetto. Ti aspetto fuori”.

 

Gohan attese fuori dalla porta di casa, passeggiando nervosamente avanti e indietro. Non sapeva ancora cosa dire, doveva ancora trovare le parole giuste per farlo. Eppure, sapeva che doveva approfittare di quell’occasione, quando Pan non era in casa, o non sarebbe stato più capace di parlarci in privato.

“Eccomi, ci sono” si annunciò Trunks, uscendo con un mezzo sorriso. “Possiamo andare”.

“Certo” rispose prontamente lui, mentre insieme si avviavano verso i suggestivi sentieri dei Paoz.

 

Parlarono del più e del meno, dell’incombente matrimonio tra i loro fratelli, degli eccessi di Bra in fatto di preparativi e dell’ostinazione di Goten a imparare a ballare il valzer, della loro comune gioia dell’attesa di un nipotino, un nuovo piccolo sajan. Parlarono di come gli alberi erano germogliati straordinariamente in fretta quell’anno, di come a breve avrebbero assistito ad un’estate precoce, dopo i soliti capricci di Aprile.

Il Son gli mostrò con soddisfazione un piccolo nido creato nella cavità di un tronco, da cui cinguettavano acutamente quattro deliziosi piccoli di pettirosso.

“Carini, vero?” osservò Trunks, accucciandosi per sbirciare meglio nella nicchia. “Io e Pan li avevamo già visti qualche giorno fa, quando si erano appena schiuse le uova. Io sono sempre vissuto in città, non li avevo neanche notati, è stata lei a trovarli, naturalmente!”.

“Già, naturalmente…” si limitò a ripetere Gohan, ma qualcosa gli disse che doveva assolutamente sfruttare quell’ imput, che riprendere il discorso dopo sarebbe stato sicuramente più difficile.

“Tu e Pan…venite spesso a passeggiare quassù?” chiese, ostentando indifferenza, fingendo di pulirsi gli occhiali con il bordo della maglia.

“Sì, piuttosto spesso, direi. Sono state passeggiate molto…piacevoli”.

Oh, non faccio fatica a crederlo, pensò malamente Gohan. Si sentiva un emerito idiota, a procedere così per accenni o mezze frasi. Si stavano prendendo in giro a vicenda, e lui non aveva nessuna intenzione di continuare all’infinito quella commedia. Eppure, adesso si era bloccato di nuovo. Il suo ennesimo tentativo era fallito.

Sospirò affranto, facendo inconsapevolmente uscire dalle labbra un gemito stanco, arrendevole.

Trunks si voltò verso di lui, l’aria interrogativa ma cauta: “Che c’è, Gohan?Devi dirmi qualcosa?”.

Gohan sentì il suo volto andare in fiamme, e con la coda dell’occhio vide che anche Trunks era leggermente a disagio.

“Io…credo che…dovremo sederci” consigliò, invitando l’altro a fermarsi e a sedersi su due tronchi di alberi caduti, l’uno di fronte all’altro.

Trascorse qualche istante di imbarazzante silenzio.

“Avanti, Gohan” lo incitò infine Trunks, facendo coraggio ad entrambi. “Tanto sappiamo tutti e due dove vogliamo arrivare, non credi?”.

Gohan si sentì mozzare il fiato, mentre con terrore rivedeva nella mente le immagini del suo sogno. Stava per succedere veramente? Avrebbero finito per ammazzarsi l’un l’altro come bestie inferocite, dimenticando chi fossero e cosa li legasse?

Fortunatamente, i suoi terrori furono subito placati quando alzò timidamente gli occhi, vedendo che Trunks gli stava rivolgendo un imbarazzato ma rassicurante sorriso.

“Ok…” iniziò il più maturo, la testa incassata tra le spalle,chino in avanti e con i gomiti appoggiati sulle gambe. “Diciamo che…quello che è successo tra te e Pan non è passato del tutto inosservato” iniziò, lo sguardo ancora basso. “Non che io mi sia fatto gli affari vostri, intendiamoci…ma nemmeno voi avete fatto molto per nasconderlo”.

Si fece coraggio e alzò gli occhi sul Brief, che ricambiò il suo sguardo con un’espressione di attesa.

“Continua” lo incalzò, serio ed imperscrutabile.

“Ecco…volevo solo sapere…insomma…visto che avete passato molto tempo insieme…da soli…”.

Trunks, fino ad allora inespressivo e glaciale, scoppiò a ridere sommessamente, incapace di trattenersi, anche se il suo volto era leggermente arrossito.

“Gohan, tu vuoi sapere…se siamo già stati insieme, non è così?”.

Gohan boccheggiò per qualche secondo, per poi abbandonarsi ad un sorriso che ammetteva, con una buona dose di autoironia, tutta la goffaggine con cui cercava di affrontare argomenti di quel tipo.

Se non altro, venendo subito al dunque, il ghiaccio si era definitivamente sciolto.

“Tranquillo, Gohan. La risposta è no”.

Il Son annuì lentamente, cercando di celare almeno in parte il sollievo che provava.

“Non fraintendermi…non ho intenzione di fare il padre iper-protettivo” precisò. “Non so molto della vita privata di mia figlia, ma so che ha già avuto esperienze con dei ragazzi…non è più una bambina. Credo che con un paio abbia iniziato anche una frequentazione regolare, ma non abbastanza da definirla…seria. Pare scontato pensare che fossero questi ragazzi a non voler niente di più di un’avventura, o che magari si stancavano a breve di lei perché la reputavano troppo, come dire, strana. Ma non è così. Io credo piuttosto, anche se non li ho conosciuti personalmente, che fossero bravi ragazzi, in grado di poterla accettare così com’era, magari persino pronti a impegnarsi, più o meno ufficialmente…era lei, in realtà, a non volersi legare. Voleva tenersi…libera, ecco. E, non so se era una coincidenza o meno, ma questi rapporti terminavano all’incirca in corrispondenza di qualche ritrovo…con voi Brief”.

Trunks alzò allibito gli occhi sul suo interlocutore, scuotendo poi la testa, del tutto impotente.

“Mi dispiace” mormorò. “Io…non credo di aver mai agevolato…”.

“Non è colpa tua, Trunks” ci tenne a specificare il più maturo. “Era lei che ci sperava, ogni volta. Ci ha sempre sperato e…quello che è buffo, è che era pronta ad aspettarti all’infinito, ma mai a rinunciare a te definitivamente”.

Fece una pausa, per dare il tempo ad entrambi di riflettere. Non che credesse veramente che ciò che stava dicendo ora a Trunks gli fosse completamente nuovo. Il Brief sapeva, anche se fino a poco tempo prima aveva sempre tentato di sorvolare, che Pan provava per lui qualcosa di particolare, probabilmente fin dai tempi del viaggio nello spazio, quando il loro rapporto si era fatto innegabilmente più stretto. Quella era la prima volta, però, che ne parlavano apertamente, come un dato di fatto.

“All’inizio io stesso vi davo poca importanza, credevo fosse un’innocente fissa da ragazzina…lo sai, no, che le adolescenti prendono le prime sbandate per chi non fa per loro. Beh, mi sbagliavo. Sapevo che alla base c’era un grande affetto di fondo, una fiducia e una complicità che solo poche persone condividono, ma mi sembrava perfettamente normale, dopo i mesi passati insieme, e il cameratismo che si era creato…ma non c’era solo questo. E non era neanche soltanto una sbandata, perché gli anni passavano, lei faceva le sue esperienze, ma continuava a pensare a te…in quel senso. Non l’ha detto mai esplicitamente, ma anche un padre riesce a capire certe cose…quando vuole”. Sorrise debolmente, tornando poi pensieroso. “Era un sentimento maturo e consapevole quello che si è portata dietro…e lo è adesso più che mai”.

“Lo so, Gohan” convenne Trunks, i gomiti posati sulle ginocchia, le mani incrociate all’altezza della bocca, in un atteggiamento riflessivo. “Non sono così cieco”.

“Bene” annuì lui, sospirando. Adesso veniva il tasto dolente. “Io so per certo che tu tieni molto a Pan. Che le vuoi un gran bene. Ma se non c’è altro…e sai cosa intendo…forse è meglio che ti fermi prima di andare troppo oltre…perché vedi, tu non sei uno qualunque, tu sei quello su cui lei ha investito e…insomma, per lei avrebbe un certo significato”.

“E tu credi che per me non ne avrebbe?” chiese Trunks, spostando gli occhi su di lui. “Credi che…non provi altro che affetto, per lei?”.

“Io non dico questo” si difese Gohan, abbassando per qualche secondo lo sguardo. Era dannatamente difficile, soprattutto parlarne con lui, che considerava come un fratello. “Io dico soltanto che hai attraversato un momento difficile…eri ancora confuso, quando sei venuto qui, emotivamente fragile, come è normale che fosse…e quindi, in un contesto simile è estremamente facile confondere i sentimenti…Pan è una persona che dà tutta se stessa, spontanea e trasparente, che ti fa sentire bene, a tuo agio…e certo, è anche una bella ragazza, giovane, che magari potrebbe attrarti anche fisicamente, per cui…”. Si passò una mano tra i capelli, nervosamente. “Quello che voglio dire, Trunks, è che adesso può sembrare tutto bello, tutto giusto, ma poi, quando tornerai a casa? Tu riprenderai la tua vita, che è fatta di tutt’altre cose, di tutt’altre persone, ed è possibile che ti renda conto che non c’è posto per lei, che è stata solo una bella…vacanza. Ma a lei cosa resterebbe, poi? Sarebbe un colpo durissimo”.

Trunks sbattè le palpebre, tornando poi a guardare il suo interlocutore, senza timore, senza imbarazzo.

“Mi dispiace che tu pensi questo, Gohan” si rammaricò. “Eppure, sono convinto che tu mi conosca abbastanza da sapere che, se non facessi sul serio, non avrei mai neanche permesso ciò che invece è successo, a maggior ragione con Pan, a cui ho sempre voluto bene e che rispetto incondizionatamente. E di certo, non mi permetterei mai di spingermi oltre con il rischio di rovinare tutto, finché non siamo veramente sicuri di voler far definitivamente evolvere quello che c’è tra noi…perché in questo caso non si torna indietro, non ci si dice semplicemente addio e poi ognuno va per la sua strada…ci sarà sempre un legame, tra noi”.

“Quindi aspetti di esserlo” dedusse Gohan. “Aspetti di essere veramente sicuro”.

“No…aspetto che lo sia lei” lo corresse Trunks, sotto lo sguardo confuso dell’altro. “Lo so, adesso tu dirai che non esiste persona al mondo più sicura di tua figlia, ma a volte, anche se fa male, non si può ascoltare solo il cuore. Quello che voglio dire, Gohan, è che non è facile starmi accanto, seguire i miei ritmi…io non sono perfetto come a volte lei crede di vedermi, io ho un sacco di difetti, come uomo, come presidente, come…come tutto. Forse è il caso che lei ci pensi, più razionalmente, a mente lucida e, magari, lontano da me”.

Fece una pausa, nonostante l’espressione dell’altro lo incitasse a continuare, poi riprese, lentamente: “Stamattina, prima di venire qui con te, quando ho controllato la posta sul mio portatile, ho ricevuto un messaggio da Irina, la mia segretaria. Non so ancora come ci sia riuscita, visto che è già abbastanza indaffarata con i preparativi del suo matrimonio e per di più, adesso che non ci sono, deve lavorare anche il doppio, ma ha organizzato per stasera un party diplomatico con i principali clienti, che pare abbiano gradito l’invito e che si terranno certamente liberi. Parlo di personaggi come Billy Ford, Jack Hilton e Erika Lowell, che hanno in mano una grande fetta del mercato mondiale. E sai che vuol dire, questo, Gohan? Che quasi sicuramente vogliono dare un’altra possibilità alla Capsule Corporation, che credono ancora in noi, dopo che…insomma, dopo che per colpa mia l’azienda ha avuto un grave crollo in popolarità, fino a toccare picchi per i quali mio nonno si rivolterebbe nella tomba. E’ una grande occasione, quella di stasera, credo tu possa capirne l’importanza. Ho intenzione di partire subito, giusto il tempo di radunare le mie cose, per cui non credo di farcela a salutare Pan prima che torni da lavoro”.

“Quindi te ne vai definitivamente” concluse Gohan. Era consapevole che quel momento si stava avvicinando, e poteva dire di averlo ultimamente atteso con sollievo, nonostante fosse stato felicissimo di ospitare Trunks a casa. Adesso che era arrivato, però, quasi se ne dispiaceva, trovandosi a desiderare che fosse rimasto ancora un po’, come non fosse pronto ad un distacco così repentino.

“Sì, è arrivato il momento” confermò il più giovane. “Ma se sono finalmente pronto a tornare, se ho di nuovo la forza di riprendere in mano l’azienda di famiglia e di riparare ai miei errori, lo devo soltanto a voi. Comunque vadano le cose, Gohan, non dimenticherò mai quello che avete fatto per me nell’ultimo mese”.

Gohan abbassò lo sguardo, forse temeva di commuoversi, ma l’altro continuò: “Prima di tutto lo devo a te e a Videl, che mi avete fatto sentire in famiglia, quando credevo di non avere più nessuno…a Chichi, che mi ha trattato come un figlio…e anche a Goten, che mi ha prestato la sua vecchia camera, anche se forse lui non è stato neanche interpellato a riguardo!”. Sorrisero entrambi. “E a Pan, naturalmente. La mia luce in fondo al tunnel”. Fece una pausa, mentre l’altro annuiva silenziosamente, lo sguardo basso. “La chiamerò, appena posso. Io torno a West City, ma…non mi dimentico di lei. Spero sia lo stesso per Pan”.

“Oh, potrei scommetterci…” disse Gohan a voce bassa, quasi a se stesso. Poi si alzò dal tronco, abbracciando Trunks fraternamente.

Nella sua mente ripassarono mille immagini passate, mille ricordi e sensazioni…lui stesso ancora bambino, quando aveva preso per la prima volta in braccio quel fagotto capriccioso dagli occhioni azzurri…tutte le visite alla Capsule Corporation, da adolescente, a strappare a Bulma qualche idea o consiglio, con un piccolo Brief che lo guardava con un misto di divertimento e ammirazione…i giochi insieme a lui e a Goten, le avventure in volo, le risate, le arrabbiature quando i due sajan più piccoli si divertivano a spiare lui e Videl ai primi, imbarazzanti appuntamenti…

Tutto questo gli passò nella mente, e sentì ora come non mai di voler bene a quel ragazzo, quel ragazzo che ora era un uomo, leader di una società prestigiosa, e che sembrava voler far sul serio con sua figlia ventenne.

“Buona fortuna, Trunks” gli disse, con qualche affettuosa pacca sulla schiena. “Sei un bravo ragazzo”.

 

“Avanti, aprilo” la incoraggiò Gohan, notando l’esitazione della figlia, gli occhi ancora fissi e confusi sulla scatola argentata che teneva in mano.

“Ah…sì” si riprese lei, nonostante sentisse paralizzati tutti i muscoli del suo corpo, a partire dalla lingua. “C’è…c’è un biglietto”.

“Bene…”.

“Ah, Gohan, perché non mi aiuti a recuperare quel vasetto di marmellata là in cucina, sullo scaffale più alto?” suggerì Videl, facendo segno al marito di seguirla.

Pan sfilò la busta da sotto il nastro. Sul retro c’era il suo nome, scritto con la calligrafia elegante e precisa di Trunks.

Non riusciva più a respirare. Le sue gambe erano diventate improvvisamente molli. Dovette sedersi in poltrona, con il pacco in grembo.

Si fece coraggio, ed estrasse il biglietto.

Rilesse ogni frase più volte, come a volersi convincere di non averla immaginata.

 

Ciao Pan

Perdonami se non mi sono fatto più sentire, ma come Gohan certamente avrà avuto modo di dirti, non ho avuto un solo momento libero fin dal giorno del mio ritorno.

Sabato sera la mia segretaria Irina si sposa. Dovevo andarci con Bra, ma naturalmente mi ha dato buca: la settimana dopo si sposa lei, e sarà immersa nei preparativi fino al collo.

Mi piacerebbe che fossi tu ad accompagnarmi. Sarà una serata piacevole e tranquilla, niente di formale e impegnativo, e non vorrei andarci con nessun altra.

Se non te la senti, non hai che da farmelo sapere. Ma almeno non avrai la scusa che non hai niente da mettere.

Con affetto,

Trunks

 

Con il cuore che le stava per esplodere, saturo di tutte quelle inaspettate emozioni, tirò delicatamente il nastro per sciogliere il nodo, poi scartò il pacco ben attenta a non rovinare la carta. Di solito, quando scartava i regali, strappava tutto in un colpo solo, ma no, non questa volta.

Quando finalmente aprì il coperchio, un’ondata di rosso le abbagliò gli occhi, a contrasto con il tessuto candido e immacolato del tessuto che rivestiva la scatola. Lo tirò fuori delicatamente, ammirandolo poi in tutta la sua incredibile bellezza.

“Non ci credo…” mormorò tra se.

Il solo pensiero di indossarlo, il solo pensiero che fosse stato lui a mandarglielo, che lui avrebbe potuto vederla con quello, le fece girare ancor più la testa.

Dalla cucina, il chiacchiericcio dei suoi genitori risuonò allegro come le era sempre sembrato.

“Ma…Videl...io non vedo nessun vasetto di marmellata!”.

“Non è possibile…guarda meglio, Gohan!”.

“Secondo me l’hai portato di là da mia madre…”.

“Avanti, continua a cercare un altro po’!”.

Pan si alzò, appoggiando il regalo sulla poltrona e correndo in cucina con ritrovata leggerezza.

“Davvero, Videl…sullo scaffale più alto c’è solo zenzero, peperoncino e…”.

Ma non finì la frase, perché sua figlia gli si era già precipitata tra le braccia, stringendolo con forza e trasporto.

Rispose all’abbraccio, con la tenerezza e l’affetto di quella sera della premiazione, da cui sembrava passato un secolo.

“Mi sei mancata, piccola” le disse dolcemente.

 

* * *

 

Eddy Fox, venticinque anni e già vicedirettore della Satan Bank, di cui era considerato il Prodigio, per l’ineguagliabile fiuto negli affari che gli aveva regalato una precocissima carriera, abbassò leggermente le veneziane a coprire la spaziosa vetrata del suo ufficio. Tirò una boccata dal suo sigaro, ammirando con soddisfazione la bassa luminosità della stanza, rischiarata a intervalli regolari da sottili rettangoli di luce.

L’interfono emise un debole fruscio, per poi lasciare il posto alla voce della sua segretaria: “Mr Fox, la sua ospite è appena arrivata”.

“La faccia entrare” rispose lui con un sorriso compiaciuto, mentre spegneva il suo sigaro nel posacenere di marmo e si allentava il noto della cravatta, per dare a quell’incontro un tono meno formale. “E mi raccomando…non voglio essere disturbato per nessun motivo”.

“Come desidera, signore”.

Tutto era perfetto: i chiaroscuri dell’ambiente, l’ufficio lindo e ordinato, la bottiglia di champagne immersa nel ghiaccio. Si appoggiò alla scrivania, la mano destra ad accarezzarsi il pizzetto castano, mentre fissava la porta in aspettativa.

Sorrise, quando questa si aprì.

Non era cambiata per niente. Lo stesso fascino innato, la stessa grazie divina, la stessa, disarmante bellezza. Aveva solo i capelli un po’ più corti di quelli che le aveva visto l’ultima volta, qualche anno prima, e un leggero, quasi impercettibile rigonfiamento all’altezza del ventre, che però sapeva mascherare intelligentemente con una morbida camicetta.

Ma i suoi occhi…i suoi occhi emanavano la stessa luce, e il suo sguardo era più ammaliatore di quello di un’incantatrice, la sua voce più suadente di quella di una sirena.

“Ciao, Eddy. Quanto tempo, eh?”.

Lui le andò incontro lentamente, fino a fermarsi appena davanti a lei, gli occhi colmi di una veneranda ammirazione.

“Sì…decisamente troppo” riconobbe distrattamente, posandole le mani sulle braccia e accarezzandogliene il profilo. “Mio padre mi aveva detto che eri diventata ancora più bella, io non lo ritenevo possibile, e invece, ogni volta, devo contraddirmi…”.

Bra non rispose, si limitò a sorridere con compiacimento, abbassando lo sguardo e riavviandosi una corta ciocca azzurra dietro l’orecchio. Rialzò gli occhi maliziosamente, incontrando quelli del giovane Fox.

Era letteralmente incantato.

“Sono contento, Bra, che alla fine abbia scelto me”.

Bra sorrise con approvazione.

“E a quale altra banca pensavi mi rivolgessi, visto che ho un carissimo amico che lavora nella migliore di tutte?”.

“Non rimarrai delusa, te lo prometto”.

“Non ne dubito. Mi fido ciecamente di te, Eddy”.

“E io ho fiducia nelle tue capacità, Bra. Ti tratterò da cliente privilegiata”.

“Credo che allora potrebbe diventare una piacevolissima collaborazione” commentò la ragazza, con uno sguardo talmente accattivante da costringere Fox ad allentarsi ulteriormente la cravatta.

“Direi di brindare a noi due, allora” propose, accompagnandola con un gesto galante verso lo champagne.

“Già, a noi due…” sorrise lei, fingendo di non badare alla mano di lui che indugiava sulla sua schiena un po’ più del dovuto. 

 

“Mille e cinque” annunciò l’energumeno biondo platino, facendo ricadere il suo peso sulla spalliera della poltroncina, che cigolò sonoramente.

La canottiera bianca metteva in mostra le braccia abbronzate e tatuate, rivestite di una pellicola di sudore, mentre un ciuffo di peli dorati faceva capolino dal petto in carne.

Peaboy storse il naso, disgustato da tanta rozzezza. Anche il solo fatto di non essersi tolto gli occhiali da sole, quasi fossero ormai una parte non scindibile di lui, era segno di altrettanta maleducazione.

Tuttavia, Jordi era il paparazzo più scaltro e ricercato del mercato, e per questo si faceva pagare anche piuttosto caro.

Troppo, decisamente troppo.

“Mille” tentò di ribassare, sospirando. “Non ti sto chiedendo di fotografare il Supremo, Jordi, solo quell’idiota di Trunks Brief  e quella sciacquetta della Lowell!”.

Non gliene poteva importare di meno della presunta relazione tra quei due perditempo, solo di anticipare quella strega di Candy Flash nello scoop più ambito della primavera. Per una volta, sarebbe stata la sua rivista di gossip ad avere l’anteprima, e niente poteva fermarlo.

“E ti sembra facile, amico? Brief non si è fatto trovare per settimane, l’abbiamo cercato ovunque, ma niente! E anche adesso che è tornato, non si fa vedere molto in giro, il tipo è bravo a non farsi pedinare…figuriamoci se si fa beccare con una pollastrella!”.

“Ok, allora, pedinate la Lowell !” propose Peaboy, esasperato. “Lei è meno sotto pressione, non baderà a seminare i paparazzi, e vi condurrà dritto da lui”.

“Ne sei così sicuro?”.

“Certo! Prima o poi dovranno incontrarsi, magari si daranno appuntamento da qualche parte, una cenetta romantica in qualche posticino fuori mano o altre stupidaggini del genere…e allora, click!”.

“Mille e cinque” ripetè Jordi, incrociando le mani dietro la nuca, mentre la poltroncina emetteva un altro cigolio sofferente.

“Mille e due e facciamola finita” sostenè Peaboy, che cominciava ad averne abbastanza.

Jordi risacchiò sommessamente, con l’aria di chi la sa lunga.

“Ok” cedette, mentre con la lingua si portava dall’altro lato della bocca lo stuzzicadenti con cui si trastullava, accentuando lo sdegno del suo interlocutore. “Seguirò la Lowell giorno e notte, e se la becco in dolce compagnia mi dai i miei mille e duecento verdoni. Nel caso riesca a immortalare qualche atteggiamento compromettente, il prezzo si rialza, bello mio, sono mille e trecento. E se, dico e se, dovessi coglierli in flagrante, mi sa proprio che dovrai cacciarmi i mille e cinque”.

Peaboy sospirò, esausto.

“E va bene, d’accordo!” sbottò, tamponandosi il sudore sulla fronte con il fazzoletto ricamato. Cosa doveva fare per competere con Miss “Arpia” Flash! Se non altro, tutti quei soldi sarebbero stati spesi bene. “Adesso però alza quel tuo grosso didietro dalla mia poltrona, e mettiti al lavoro!”.

 

* * *

 

Il caffè, tiepido al punto giusto e dolce quanto bastava, come piaceva a lui, gli scorse piano lungo la gola, diffondendo il suo aroma attraverso i suoi sensi.

Chiuse gli occhi, assaporando quella piacevole sensazione.

La bontà di quella miscela non stava tanto nel sapore, che tuttavia era ottimo, ma dal contesto di familiarità e di sicurezza che gli trasmetteva mentre lo assaporava, a quel momento di piacevole deja-vou da cui si faceva cullare.

Giornate di un passato non così remoto, nonostante tutto, giornate passate chino su quella scrivania, dietro a pile di documenti che quasi mai leggeva, vicino ad una finestra che troppe volte era stata usata come scappatoia da un mondo che credeva non appartenergli, e che mai gli sarebbe appartenuto.

Ora, sorseggiando quel caffè che, come aveva sempre fatto, la fedele Irina gli portava in ufficio insieme al quotidiano di notizie finanziarie, realizzava come quel mondo non solo gli fosse sempre appartenuto, ma come non avrebbe mai potuto fare a meno di esso.

Non riusciva a credere di essere stato solo ad un passo dal perdere tutto, dal gettare tutto al vento, solo perché aveva perso ogni fiducia in se stesso, solo perché non si sentiva all’altezza, solo perché non sapeva più chi fosse.

Forse era stata la lontananza forzata da tutto quello, più lunga di qualsiasi vacanza che si era mai concesso, o l’inevitabilità del suo ritorno e del più serio impegno con cui aveva ricominciato, ma adesso, pienamente consapevole, Trunks poteva dire che quella era la sua casa, quello era il suo posto.

Sorrise tra se, pensando che il suo lavoro gli era veramente mancato. Solo qualche anno prima, non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare di provare qualcosa di simile.

Ma da allora erano cambiate tante cose…lui era cambiato, e  molto di quello che lo circondava.

Era iniziata una nuova era, un’era in cui il Presidente della Capsule Corporation non era più solo un fantoccio svogliato dietro una pila di documenti e vicino ad una finestra tentatrice, ma un leader serio, maturo ed impegnato che avrebbe sempre combattuto per il benessere della società e dei suoi dipendenti.

Ma ricordati che una società sta bene se prima di tutti sta bene il suo leader, amava ricordargli Irina. Non dimenticare la tua vita, Trunks, un buon presidente è prima di tutto un uomo!

E nel mio caso anche un sajan, Irina, non dimenticarlo. Ogni tanto sono impegnato anche a salvare il mondo, e mi sembra un diversivo più che sufficiente, aveva scherzato lui in risposta.

Spiritoso, parlo della tua vita privata! lo aveva ripreso la segretaria, scandendo l’ultima parola. Dato il tour de force a cui ti stai sottoponendo, ultimamente questa è così inesistente che i giornali sono costretti a fare dei bizzarri voli pindarici pur di scrivere qualcosa!

Conoscendola, avrebbe voluto sbattergli davanti le foto degli ultimi giornali scandalistici, per commentarle con criticità e, per vie traverse, scoprire se quanto scritto corrispondeva al vero.

Ma lui non avrebbe né smentito né confermato, anche perché al momento non leggeva nessun altro tipo di notizie se non quelle prettamente economiche, non ammetteva quel genere di riviste nel suo ufficio, nemmeno se lo citavano in prima persona, e non aveva nessuna voglia o interesse di sapere quale fosse il loro ultimo, presunto scoop.

Una cosa che invece amava leggere, invece, era la posta elettronica. Protetta da un’anti-spam professionale e grazie al prezioso filtro di Irina, che gli girava nella sua casella personale solo quello per cui ne valeva la pena e che non poteva gestire lei, quel mezzo gli offriva un rapido e perfetto sistema di comunicazione con soci, finanziatori, clienti e collaboratori. Via mail era tutto più semplice, gli accordi erano più facili, forse perché i suoi interlocutori avevano tempo di riflettere sulle sue proposte, valutarle, apprezzarne il modo preciso e dettagliato con cui poteva presentargliele, e finalmente dare risposte positive. Queste erano progressivamente aumentate, fino a dover prendersi una buona parte della mattinata solo per la loro lettura e gestione, ma ciò era per Trunks un onere più che piacevole, visto che, negli ultimi tempi, il solo fatto di avere una risposta di qualunque tipo fosse considerato un miracolo.

Quelle che non filtrava Irina, invece, ma che arrivavano direttamente nella sua casella, erano le email personali. E queste, negli ultimi giorni, avevano avuto solo un mittente, che spiccava in neretto tra la posta in arrivo.

Bra Brief.

Una miriade di bip e circuiti era stato il loro unico mezzo di comunicazione da quel famoso giorno.

Niente visite, niente telefonate, solo notizie reciproche per mezzo di Goten, che era diventato suo malgrado loro intermediario. Non per mancanza di volontà, o del bisogno reciproco di sentirsi di persona, solo…forse era ancora troppo presto, forse troppe lacrime, rabbia e dolore li avevano ultimamente separati.

E poi erano cominciate le email.

Era stata lei la prima, e Trunks conservava ancora quel messaggio, così standardizzato e impersonale e tuttavia così trasudante di celato imbarazzo:

 

Ciao Trunks,

Come stai? So che sei tornato a casa e che hai subito ripreso il lavoro. Spero che vada tutto ok lì da te, per qualsiasi cosa chiamami.

A presto,

Bra

 

Era stato così strano sentirla dopo tutto quel tempo, anche se solo tramite parole su uno schermo, che però erano le sue, che si rivolgeva direttamente a lui, per quanto con difficoltà.

Le aveva subito risposto, con un senso di sollievo che gli si scioglieva nei muscoli mentre digitava la risposta, prima con disagio, poi con crescente naturalezza:

 

Ciao Bra,

Mi fa molto piacere sentirti. Avrei voluto chiamarti, ma sono tornato solo ieri dai Paoz e già sono immerso nel lavoro fino al collo. C’è così tanto da fare! Ti ringrazio per la disponibilità, ma certe cose le posso rimettere a posto solo io, visto che io ho combinato il casino:)

Comunque, adesso sto decisamente meglio di quando sono partito, che come avrai visto non ero decisamente un fiore…ora direi che mi sono ricaricato quanto basta per affrontare al meglio questo duro ma piacevole impiccio di rimettere in piedi la Capsule !

Tu come stai? Il bambino..?

Un abbraccio e a presto,

Trunks

 

Da allora, tutto era stato più semplice:

Caro Trunks,

qui tutto a posto, Golden sta bene, comincio a sentire la sua aura…è una sensazione incredibile.

Non faccio fatica a credere che sui Paoz ti sia ricaricato, soprattutto a detta di Goten ;) Anche se al pensiero di una certa bizzarra ed improbabile coppietta, mi vengono i brividi!

Passando a cose serie…ti ricordi il mio progetto di chimica sul Technotess? Bene…funziona! Non immagini quante potenzialità abbia quel materiale e come rivoluzionerà il mondo della moda…per questo voglio brevettarlo per la Capsule …che ne pensi? Io credo che sarà un successo, al pari di quello che a suo tempo ebbero le capsule salvaspazio.

Spero di vederti presto.

Un bacio,

Bra

 

Cara Bra,

Quanto a “bizzarre ed improbabili coppiette”, tu ed il tuo futuro maritino, che dovrebbe farsi di più gli affari suoi, siete gli ultimi a poter parlare!

Devo farti i miei più sinceri complimenti per il Technotess, sapevo che ci saresti riuscita, e sono sicuro che sarà un successo…ma purtroppo la Capsule attualmente non può finanziare nuovi progetti, solo riproporre i vecchi per sanare il bilancio nei prossimi anni…grazie comunque per la proposta…

 

…Non preoccuparti, per il finanziamento so già chi ci può aiutare! Ho già calcolato tutto. Se una buona pubblicità sui vecchi prodotti potrà far cancellare il debito alla società in qualche anno, il Technotess lo farà in qualche mese, e in un anno l’avrà riportata alle stelle. Dopo il matrimonio disegnerò la prima collezione della “Capsule Mason”, che uscirà il prossimo autunno. E’ già pronto il modello di lancio, pensavo di presentarlo in un’occasione importante, dove possa vederlo molta gente così da avere le prime impressioni…

 

…di fronte a tanta determinazione e sicurezza, non posso che fidarmi di te! Auguri per il finanziamento, ma la vedo difficile…

Grazie per l’allegato con il bozzetto del modello, è davvero stupendo. Perché non lo indossi al matrimonio di Irina? Potrebbe essere l’occasione che aspettavi…

 

…non male come idea, ma non potrò venire al matrimonio di Irina, per quanto mi dispiaccia: ho ancora tanto da fare! E poi, ora come ora non sono la persona più in linea per indossare quell’abito…però conosco un’ottima agenzia di modelle da cui potresti sceglierti la tua accompagnatrice, bella, disponibile, professionale…

 

…eh no, sorellina…se devo andarci accompagnato, scelgo io con chi ci vado…

 

…ho una vaga idea della persona con cui vuoi andarci, e la risposta è NO. Non ho nessuna intenzione di mandare al suicidio il capo di punta della mia collezione…

 

…mi dispiace, ma non accetto rifiuti. Io ci andrò con chi sai tu, abito di punta o no. A proposito, mi è arrivato il pacco, dal vero l’abito è ancora più bello e di una finezza incredibile per un materiale sintetico. Comunque, posso sempre rimandartelo indietro…

 

…Ok, mi sembra di non avere scelta. Spero solo che ne sia all’altezza. Vorrei veramente fare breccia nell’interesse della gente, in modo tale che quando la collezione sarà messa sul mercato, farà subito un picco nelle vendite. A proposito, oggi ho l’incontro con il nostro probabile finanziatore…che credo non avrò problemi a convincere!

 

Trunks sorrise, scuotendo la testa con divertita rassegnazione, prima di digitare la risposta.

  

Certo che ne sarà all’altezza, non preoccuparti. Non so come tu possa essere così sicura riguardo all’esito del tuo colloquio, ma non posso che darti un in bocca al lupo…

Spero di vederti presto sorellina, mi manchi tanto.

 

Bra lesse l’ultima frase con un malinconico sorriso, il portatile di ultima generazione in grembo, mentre dai finestrini correvano veloci gli edifici e le strade di Satan City.

 

Sto tornando proprio adesso dalla Satan Bank, e posso annunciarti in anteprima che la prima collezione della Capsule Mason otterrà il pieno appoggio finanziario!

Te l’avevo detto di fidarti.

Anch’io spero di vederti presto, così potremo festeggiare questo nuovo inizio.

Manchi tanto anche a me…ti voglio bene.

Un bacio, Bra

 

Inviò l’e-mail, chiudendo poi il portatile e riponendolo nell’elegante borsa da lavoro.

“Può fermarsi qui, grazie” disse all’autista dell’air-car, mentre davanti a loro si stagliava l’anonimo ed economico palazzo in cui abitava da circa tre mesi, in uno dei quartieri meno abbienti della città.

L’autista sembrò abbastanza stupito che una signorina di tale classe –solo il portamento e il modo di parlare bastavano a metterlo in evidenza- , vestita con così tanta cura e lieta di lasciargli una più che onorevole mancia, potesse vivere in un posto così lontano dalla sua accecante grazia.

La ragazza salì i tre piani di scale, ormai senza più lamentarsi dell’assenza di un ascensore nell’edificio. Aprì la porta con il secondo mazzo di chiavi che era diventato suo, e ancor prima di entrare udì il monotono commento di un cronista dalla televisione accesa.

Sullo schermo, un gruppo di giocatori si avvicendava in una corsia disegnata in mezzo al campo e delimitata da tre paletti.

“Da quando in qua ti interessa il cricket?”.

Goten, affondato scompostamente sul divano, con la testa pesantemente sorretta da una mano, si voltò piano verso di lei. Nei suoi occhi scorse un briciolo di sollievo, ma anche una snervante tensione.

“Da quando la mia fidanzata va ad un appuntamento con il suo più accanito pretendente di vecchia data, e dato che in tv non c’è niente di meglio, devo comunque occupare in qualche modo il tempo per non impazzire”.

Sulle labbra di Bra si affacciò l’ombra di un sorriso, nei suoi occhi una punta di malizia, mentre si avvicinava.

“Geloso?”.

“Ma daiii…”.

“Perché dovresti esserlo?”.

“Non so, forse perché il caro Eddy Fox è molto più ricco, più colto, e più raffinato di me?”.

“Ma non è te” disse la ragazza, sedendosi sul bracciolo della poltrona, e accarezzandogli dolcemente la nuca. “E questo è quanto basta”.

Ma l’espressione di Goten rimase imperscrutabile, lo sguardo tornato distrattamente verso la partita di cricket.

“Dimmi un po’…hai ricevuto il finanziamento?”

“Certamente. Sai che ottengo sempre quello che voglio”.

La mano del ragazzo salì al volto in un gesto rassegnato, scuotendo poi la testa debolmente.

“Sai una cosa? Non ho il coraggio di chiederti come”.

“Semplice” rispose Bra con noncuranza. “Agli uomini, basta sempre far credere quello che vogliono loro”.

“Già…parole dell’incantatrice numero uno”.

Ci fu una pausa, durante la quale Bra si scostò debolmente da lui, come scottata.

“Ok. Sarò un’abbindolatrice, o un’incantatrice, come dici tu. Ma pensavo che qualcuno qui presente riuscisse a vedere più in là del proprio naso, e se davvero pensi che per avere quei soldi ci sia andata a letto, perché è questo che pensi, ci rimarrò male, ma non te ne farò una colpa”.

Goten si voltò di nuovo verso di lei, scrutandola attentamente. Come ogni volta che lui la guardava, si sentì spogliata di ogni difesa, nuda, trasparente.

E ne fu felice.

Finalmente lui le sorrise, e quando si alzò dal divano e la prese in braccio, lo fece con una dolcezza e una delicatezza struggenti, come fosse una fragile bambola di porcellana.

In camera, l’uno stretto all’altra sullo scomodo letto ad una piazza e mezzo, la coccolò a lungo, con tenerezza, baci piccoli ma pieni d’amore sulla sua pelle chiara, le dita di lui tra i capelli.

“Sei così bella…” le sussurrò all’orecchio.

Lei chiuse gli occhi, assaporando tutta la dolcezza di quelle carezze, e in cuor suo seppe, con sicurezza, che era l’incantatrice, questa volta, ad essere rimasta incantata.

 

Continua…

   

  
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