Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Beatrix82    06/07/2010    1 recensioni
Tre nuove famiglie sono nate dall'ultima generazione di guerrieri Z, che ora vivono tranquille dopo la pace conquistata anni prima con l'ennesimo sacrificio. Ma ora qualcuno, a conoscenza del loro segreto, sta tessendo alle loro spalle un piano diabolico: conquistare i favori e i poteri di tre cuccioli ancora ignari della crudeltà del mondo. Seguito ufficiale di "Il signore della Terra" e cronologicamente successivo agli spin-off "Moonlight" e "Sunshine" della saga di Dragonball NG.
Genere: Azione, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Goten, Marron, Pan, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 5

Capitolo 5

 

 

Bra spalancò istintivamente gli occhi azzurri, svegliandosi di colpo. Il trillo ripetuto e insistente del telefono l’aveva velocemente riportata alla realtà, fatta balzare giù dal divano dove si era ritrovata scompostamente addormentata e precipitare come una saetta verso l’apparecchio.

“Pronto??!” esclamò, affannata, mentre il cuore le batteva all’impazzata.

“Dottoressa Bra, è lei?” chiese confusa una voce femminile dall’altro capo, dopo alcuni secondi.

Era solo la segretaria di Trunks. Bra si lasciò cadere di nuovo sul divano, portandosi indietro i capelli scarmigliati e buttando fuori l’aria trattenuta fino a quel momento. Non sapeva esattamente cosa avesse sperato di sentire una volta sollevato il ricevitore, ma sicuramente non erano quello.

“Sì, sono io…” bofonchiò, quasi fosse colpa della donna se non era chi si aspettava.

Accanto a lei, Goten si stava stropicciando gli occhi, mentre nella poltrona di fronte Trunks sbatteva le palpebre per abituarsi alla luce del mattino. Evidentemente, tutti e tre si erano abbandonati al sonno per qualche ora, vinti dalla stanchezza, nonostante l’ansia e lo shock per ciò che era accaduto li avesse trattenuti a vegliare fino all’alba.

“Mi scusi, Bra, stavo cercando il presidente…non l’ho ancora visto stamattina, mi chiedevo se fosse tutto a posto…”.

Bra guardò di sfuggita l’orologio a parete della stanza, poi il volto di Trunks. Suo fratello la guardava emotivamente distrutto, i suoi occhi apparivano stanchi e appesantiti, circondati da un alone scuro.

“Trunks non si sente molto bene stamattina. Sono appena venuta a trovarlo. Rimarrà a casa, per oggi” mentì, ben sapendo che l’accaduto doveva rimanere tra quelle mura.

“Oh…mi spiace…gli auguri una pronta guarigione da parte mia…” balbettò la donna, probabilmente sorpresa del calo di salute del presidente, che in quasi vent’anni di servizio non ricordava di aver mai visto ammalato.

Bra interruppe la conversazione, mentre Trunks le rivolgeva un debole sorriso di ringraziamento. Si alzò velocemente dal divano, con l’intenzione di farsi una breve doccia e di assumere un aspetto il più presentabile possibile. Ma prima corse in cucina, dove dal frigorifero estrasse la siringa avvolta dal cellofan, che avrebbe messo all’interno della sua borsa termica.

Suo marito e suo fratello la osservarono confusi attraversare la grande sala, troppo stanchi e sconvolti anche solo per chiederle a parole cosa avesse intenzione di fare.

“Vado alla Capsule Corporation, in laboratorio. Devo analizzare questo” disse, risparmiando loro la domanda, prima di sparire rapidamente al piano di sopra.

Trunks lasciò cadere in basso la testa, quasi i suoi muscoli avessero perso ogni energia. Quello era il sangue di Pan, che ora giaceva inerme sul loro letto, unico suo contributo al possibile ritrovamento dei loro figli.

“Devo avvertire Gohan…” mormorò, maledicendosi per non esserselo ricordato prima. Probabilmente, voleva solo rimandare il momento in cui avrebbe dovuto comunicargli, con il cuore in gola, che la sua unica figlia risultava clinicamente morta.

“Non preoccuparti…lo faccio io” gli assicurò Goten.

Trunks sentì di nuovo risvegliarsi il bisogno di piangere. Si sporse verso l’amico, abbracciandolo istintivamente.

“Grazie…” riuscì a dire, mentre gli occhi gli si facevano più lucidi.

 

La lunga sequenza nucleotidica scorreva velocemente sullo schermo del computer, riflettendosi negli occhiali di Wissen. Sorrise. Il Dna dei piccoli coincideva perfettamente con quello già in suo possesso. Tutti e tre avevano ereditato quei geni. Tutti e tre erano sajan.

Aveva fatto loro un prelievo la sera precedente, vi aveva lavorato tutta la notte e già ora, a metà mattina, poteva goderne i risultati: la conferma che aveva trovato ciò che aveva cercato per tutti quegli anni.

I bambini erano stati un po’ restii a farsi bucare da un ago…probabilmente, al pieno dei loro poteri, non avrebbero provato alcun dolore…fu una sorpresa vedere come la femmina avesse iniziato a piangere come tutte le sue coetanee e come il maschio più grande avesse tentato inutilmente di sfuggire alla siringa.

“Bel lavoro, dottore” notò Dan, abbassandosi verso lo schermo, al suo fianco, avvolto in un camice troppo largo per la sua evidente magrezza. “Vedo che ha individuato dei geni in più rispetto agli umani”.

“In realtà, molti geni sono comuni ai nostri” spiegò Wissen, più per compiacere se stesso delle proprie deduzioni che per soddisfare la curiosità dell’assistente. “Sono semplicemente espressi a maggiore livello, grazie alle presenza di sequenze intensificatici”.

“Sta parlando della potenza fisica?”.

“Non solo. La stessa cosa vale per la capacità di volare, per la resistenza al dolore e alle malattie, per il controllo dell’energia. Anche i terrestri possiedono potenzialmente tali doti, ma solo alcuni riescono a svilupparle, e mai nella misura e con la rapidità con cui lo fanno i sajan”.

“Basti pensare che quei mocciosi sanno già fare tutto questo!” rise Dan, ma poi la sua espressione tornò improvvisamente seria, e il suo volto si tinse di rosso: si era subito reso conto di aver fatto una grossa stupidaggine a chiamare mocciosi i preziosissimi tesori del suo capo.

Dopo avergli rivolto una fugace occhiata scandalizzata, Wissen continuò la spiegazione.

“C’è un intero gene, però, non presente nei terrestri. Normalmente è inattivo, ma viene attivato in seguito ad un intenso sforzo fisico e ad un’attenta concentrazione”.

“Significa che è inducibile dalla volontà del soggetto?” azzardò Dan.

“Nella maggior parte dei casi sì. Ma spesso è l’inconscio a scatenarlo. Le volontà più istintive, primitive, quelle più incontrollabili. E quando è tutto ciò ad attivarlo, l’effetto è di gran lunga più potente”.

“Di cosa si tratta, dottore?”.

Wissen fece girare la sedia scorrevole verso il giovane, guardandolo con compiacimento. Nella sua mente fiammeggiò per un istante un’immagine del passato, osservata clandestinamente, di un bagliore accecante uscente dal corpo di colui che, per molto tempo, aveva popolato i suoi sogni.

“E’ il super sajan” annunciò solennemente. “Quei cuccioli sono stati allevati con troppe restrizioni, obbligati ad usare le loro capacità con parsimonia e giudizio. Se solo qualcuno insegnasse loro a liberare completamente la loro istintività, a non sprecare le potenzialità che celano dentro, il loro potere sarebbe senza dubbio triplicato…”.

 

Gli occhi di Gohan erano fermi e calmi quando aprì la porta, più di quelli con cui Trunks lo guardava, incapace di dire niente. Fu il più anziano ad abbracciarlo paternamente insieme a Goten, e quel contatto bastò da solo per capire quanto la sua presenza, in quel momento, fosse importante per entrambi. Forse non si sentivano poi così adulti ed indipendenti, nonostante tutto, forse avevano ancora bisogno di un supporto, di una guida, che era venuta loro a mancare dopo la scomparsa degli unici due sajan di sangue puro, nonché loro genitori.

A fianco di Gohan, Videl, i capelli corvini raccolti in una coda e lo sguardo azzurro che traspariva una punta di apprensione, avanzò verso di loro, baciandoli su una guancia. Poi, con parole quasi sussurrate, in modo da rendere meno evidente il tremito della voce, si rivolse maternamente a Trunks.

“Lei…dov’è?”.

Trunks indicò il piano di sopra, facendole strada su per le scale. Da dietro, la mano di Gohan afferrò delicatamente il polso della moglie.

“Sei sicura?” le chiese, apprensivo.

“Voglio vederla, Gohan. Ne ho bisogno”.

Entrarono silenziosamente nella camera da letto, quasi temessero di svegliare quella minuta sagoma immobile distesa sulla trapunta.

Trunks e Goten si fecero da parte, per concedere alla donna uno spazio maggiore. Trunks era preparato a veder scoppiare la suocera in lacrime davanti alla figlia inerme, e invece questa si avvicinò alla sponda del letto, la guardò con dolcezza e le sfiorò delicatamente la guancia con la mano.

“Tesoro…” sussurrò, accennando un debole sorriso, colmo però dell’ansia che provava.

Gohan, appena dietro di lei, come se la sola distanza potesse attenuare il dolore, guardava Pan con apparente compostezza e rigidità, nonostante Trunks avesse notato come i suoi muscoli facciali fossero tirati e come un piccolo, impercettibile capillare avesse iniziato a pulsargli appena sotto l’occhio.

Probabilmente, non avrebbero più rivisto aprirsi gli occhi della loro Pan.

“Mi dispiace, Gohan…non sono riuscito a proteggere tua figlia” riuscì a dire, a testa bassa, incapace di incontrare il suo sguardo.

Il suocero lo guardò con aria meditativa, per poi appoggiargli i palmi delle mani sulle spalle, come un amico, come un padre, come un fratello maggiore.

“Non pensare a questo, adesso” gli consigliò, con affetto. “E’ inutile piangere sul passato. Pensa ai piccoli, adesso, loro hanno estremo bisogno di voi”.

Qualcosa, nel suo tono, nelle sue parole, gli fece pensare che lui avesse un’idea più chiara riguardo a cosa ne era stato dei bambini.

“Gohan, sinceramente…tu cosa pensi, di tutta questa storia?” lo anticipò Goten, avvicinandosi al fratello.

L’uomo sospirò, rivolgendo un rapido sguardo in direzione della moglie, ancora seduta accanto alla figlia, come faceva da piccola, quando Pan faceva i capricci per addormentarsi da sola.

“Credo ci sia qualcosa di piuttosto grosso. Non ho idea di quante persone siano coinvolte, o quali siano le loro intenzioni, ma nel momento stesso in cui, al telefono, mi avete raccontato i fatti, ho avuto l’assoluta certezza della causa del rapimento”.

“Cioè…?” chiese Trunks, in un sussurro.

“I loro poteri”.

Dunque anche lui la pensava così. Pure Goten, che aveva immaginato qualcosa del genere, restò impietrito dalle parole del fratello, quasi quella che fino ad allora era stata solo un’ipotesi diventasse improvvisamente una certezza. Non poteva essere altrimenti. Era mezzogiorno, e il telefono non aveva ancora squillato.

“Cosa…cosa vogliono da loro?” la voce di Goten era lievemente incrinata.

“Non lo so. Forse vogliono solo studiarli…forse vogliono vedere di che sono capaci…o forse…” si bloccò un secondo. “Forse vogliono sfruttare le loro capacità. Ma è solo la peggiore delle ipotesi”.

Lux…Fackel…                                                                                     

Trunks sentì l’aria della stanza farsi improvvisamente più pesante.  Il soffitto, i muri inondati nella penombra, sembravano avvolgerlo, ingoiarlo inesorabilmente. Tutto girava, sempre più veloce, come una trottola impazzita. Sentì un tonfo pesante, quello del suo corpo che cadeva pesantemente a terra.

 

Si risvegliò nel salone, disteso sul divano. Una figura femminile, con il volto circondato di capelli neri, era riversa su di lui, tamponandogli la fronte. Videl.

“Tutto bene, Trunks, è stato solo un calo di pressione” lo tranquillizzò.

In piedi, vicino alla donna, i due fratelli Son lo guardavano sollevati.

Richiuse momentaneamente gli occhi, godendo della fresca sensazione di acqua pulita sulla fronte. Aveva sonno. Sentiva le ossa fragilissime.

Gohan e Goten ora se ne stavano in disparte, il più maturo che diceva qualcosa al fratello, tenendogli una mano sulla spalla, quest’ultimo che ascoltava annuendo. Aveva dimenticato quanto ancora Goten lo considerasse più padre di quello che era stato Goku, quanto necessitasse del suo appoggio anche superati i quarant’anni.

“Fatti forza, Trunks…” gli disse Videl, protettiva. Sorridendo, le comparivano piccole rughe ai lati della bocca, ma conservava ancora la freschezza della gioventù. “Pan è viva, lo sento anch’io. La riporteremo tra noi, vedrai, e anche i piccoli torneranno a casa sani e salvi. Io e Gohan ci siamo sempre, ricordatelo, per qualsiasi cosa…fatti coraggio, e vedrai che tutto andrà bene”.

 

Fackel leggeva svogliatamente il romanzo. Era seduta su una scomoda sedia di metallo, e avevano attaccato alla sua testa un’infinità di piccole ventose colorate. Non le piaceva quel libro, o semplicemente, non aveva voglia di leggerlo, e quelle piccole membrane appiccicose cominciavano a farle dolere la fronte.

Con una smorfia imbronciata, strinse tra le manine i due lembi del libro, per poi gettarlo disgustosamente a terra.

“Ehi, bimba, che succede??” la rimproverò bonariamente Lilian, accorrendo verso di lei e raccogliendo il libro stropicciato. Cercando di non farsi notare, strinse di più il bracciale della bambina.

“Questi giochi non sono divertenti. Voglio andare a casa!” protestò, incrociando le piccole braccia.

Lilian ricordava come avesse dovuto metterle in testa che quello che stavano facendo era solo un gioco particolare, in cui lei doveva leggere mentre tanti piccoli animaletti colorati le stuzzicavano la fronte, per sfidarla in una gara in cui avrebbe vinto chi comprendeva di più. Si era resa ben presto conto che quella scusa era fin troppo astrusa per una bambina normale, figurarsi per una dall’intelligenza sopraffina.

“Vuoi fare una pausa? Oppure vuoi che ti porti uno snack?”.

“Non voglio niente, voglio solo andare a casa!” ribadì, con tono più deciso.

“Su, avanti, solo qualche altro secondo e abbiamo finito!”.

“No, no, no!! Io voglio la mia mamma e il mio papà, non voglio più stare in questo brutto posto!!” gridò, mettendosi a piangere violentemente, mentre si strappava i sensori dalla fronte e i suoi singhiozzi risuonavano tra le mura dei laboratori del seminterrato.

Mentre Lilian cercava inutilmente di calmare la bambina, evitando il suo scalciare continuo, Frederik entrò nel laboratorio, l’espressione ansiosa e interrogativa.

“Cosa sta succedendo qui?” brontolò, serio.

“La piccola non ha più voglia di collaborare…si è già staccata tutto!”.

“Con questo si dovrebbe calmare” annunciò lui, riempiendo una piccola siringa sterile di tranquillante e iniettandola nel braccio minuto.

Dopo qualche protesta relativa al bruciore dell’ago, infatti, il pianto della bimba si fece meno forte, fino ad affievolirsi del tutto mentre il suo respiro si faceva più regolare e cadeva in un sonno tranquillo.

“Allora, cosa hai scoperto?” chiese Wissen, guardando il monitor del computer di Lilian, che mostrava uno spaccato di un encefalo.

“Come vedete, dottore, l’attività cerebrale durante la lettura è superiore a quella di qualsiasi suo coetaneo” spiegò la donna, indicando particolari aree evidenziate sullo schermo. “Questa bambina ha una capacità di intuizione e di comprensione nettamente superiori rispetto agli standard”.

“Pensi che le sue doti intellettive siano dovute al suo sangue sajan?”.

“In gran parte sì. Quando gli ormoni bloccano le sue capacità il soggetto sa comunque leggere, ormai è una dote appurata, ma l’acutezza di comprensione è limitata e perde facilmente la concentrazione…tipico di un bambino…quando invece il suo braccialetto è allentato, dimostra delle capacità veramente fuori dalla norma per la sua età…”.

Wissen, che fino ad allora si era dimostrato interessato, aggrottò velocemente la fronte, fissandola incredulo con quegli occhi grigi e penetranti.

“Hai…allentato il braccialetto?” mormorò, quasi in un sussurro.

Lilian esitò. Si rese conto di aver fatto uno sbaglio.

“Sì…solo un po’, però, tanto per vedere come lavorava il suo cervello grazie ai suoi poteri…”.

Gli occhi di lui sembravano emettere scintille.

“Ti rendi conto di quello che hai rischiato?!” le gridò in faccia. “La bambina non ci avrebbe messo niente a liberarsi!”.

“Frederik…ehm…dottore…le posso assicurare che non se ne è neanche accorta!”.

“Ma se se ne fosse accorta? Eh?? Forse non sai di che cosa sono capaci!”.

“Ma è solo una bambina…cosa vuole che…”.

“Non è solo una bambina! Quei tre non sono semplicemente dei bambini, sono molto di più, ma cosa ne vuoi sapere tu!”.

Lilian abbassò la testa, umiliata. Gli occhiali nascondevano l’imbarazzo dei suoi occhi.

“Mi scusi, dottor Wissen. Non commetterò più questo errore”.

Lui girò la testa dall’altra parte, quasi lo ripugnasse vedere una donna affranta che chiedeva perdono per un errore non poi così grave.

In realtà Frederik era deluso, profondamente deluso. Non tanto per la stupidaggine commessa da quella donna…anzi, forse aveva avuto una buona idea a verificare le sue piene capacità…ma quella piccola femmina sajan, inizialmente la candidata ideale per il suo carattere aperto, non era adatta a sviluppare le sue doti…tanto intelligente e intuitiva fuori, ma fragile e piagnona proprio come tutti gli altri bambini.

 

Golden girava nervosamente lungo la stanza. Certe volte si guardava intorno, cercando una possibile via di fuga, ma ogni volta si rendeva più conto che erano completamente in trappola, senza poteri e nelle mani di estranei con chissà quali intenzioni.

“Secondo te…cosa le stanno facendo?” chiese debolmente a Lux, seduto su uno dei materassi, l’espressione sorprendentemente calma, quasi si fosse ormai rassegnato al loro incomprensibile destino.

“Non lo so” si limitò a rispondere, scrollando le spalle.

Ricordava come, poco prima che la portassero via, sua sorella si fosse avvicinata a lui, lo avesse guardato con espressione speranzosa e avesse mormorato: “Papà e mamma verranno a riprenderci tra poco, vero??”. Lui le aveva rivolto uno sguardo distruttivo, rispondendole freddo: “La mamma è morta…e papà non vorrà perdere tempo a cercarci, cosa credi!”.

Il volto della bambina si era immediatamente incupito, per poi lasciare spazio ad un espressione di rabbia: “Non è vero! Non è  vero! Sei un bugiardo, Lux!!”.

Quando poco prima l’aveva sentita piangere da una stanza vicina, oltre alla paura e all’incertezza che attanagliava suo cugino aveva provato una punta di amara soddisfazione…finalmente, forse, si era resa conto che era inutile farsi tante belle illusioni…erano soli, ormai…

“Dobbiamo uscire di qui!” aveva esclamato Golden, più agitato che mai.

“Sai che non possiamo”.

“Oppure riuscire a toglierci questi braccialetti!”.

“Ci abbiamo già provato…”.

“Insomma, ci deve essere qualche modo!” protestò lui, insistente.

Ma cosa potevano fare, in realtà? E anche se fossero riusciti a liberarsi, a tornare a casa…cosa avrebbero trovato? Forse suo padre lo avrebbe rimproverato per l’ennesima distrazione, per aver messo in pericolo anche sua sorella…

Qualcuno fece aprire la porta metallica, quella parete invalicabile che li separava dal mondo…era quel tipo alto, muscoloso e senza capelli…

Si fermò davanti a loro per un attimo, scrutandoli entrambi.

“Chi di voi due è Golden?” chiese.

Suo cugino alzò la testa verso di lui, leggermente intimorito dall’imponenza dell’uomo rispetto alla sua piccola statura, che in altre occasioni non sarebbe stata un problema.

“Perché...?”.

Senza rispondere, l’uomo lo prese per un polso, e senza tanti convenevoli lo costrinse a seguirlo fuori dalla stanza.

Adesso Lux era solo…più solo che mai in quella grande stanza fredda…

 

Bra avviò l’ingombrante macchinario. Il sole del primo pomeriggio filtrava tra le tapparelle semichiuse del laboratorio, facendo danzare una serie di ombre sull’arredamento della stanza e sul volto della donna.

Adesso lei non poteva fare più niente. Doveva solo aspettare che il separatore automatico rivelasse qualcosa di anormale presente nel siero da lei isolato, sperando che una segnalazione positiva comparisse sul computer collegato al macchinario.

Aspettare. E sperare. Non ci riusciva poi così bene.

Nella sua mente comparve per un attimo il volto allegro di suo figlio, i suoi occhi d’ebano, uguali a quelli di Goten, e il suo sorriso, le sue piccole labbra che tanto ricordavano quelle del principe dei sajan…

Oh, Golden…Oh, bambino mio…dove sei, tesoro?

Tornò a fissare il monitor. Nel giro di qualche secondo, qualcosa sarebbe comparso, o altrimenti avrebbe reso tutto vano.

 

Wissen osservò con piacere la scena mostrata dal monitor numero 2, nella portineria del seminterrato. La telecamera inquadrava uno dei laboratori, dove Hatch, sotto suo diretto ordine, faceva sedere il giovane sajan su una sedia e attaccava ai piccoli muscoli delle grappette collegate ad un generatore di elettricità. Il ragazzino protestava, ma il suo tecnico sapeva come tenerlo buono, o con le buone o con le cattive.

Quel bambino era il più istintivo dei tre…sicuramente, in qualche modo, avrebbe avuto da lui ciò che voleva…

Mentre lasciava la stanza per raggiungere il laboratorio, lanciò un’occhiata al monitor numero 1, inquadrante la stanza dei piccoli. Il cucciolo con gli occhi tristi era raggomitolato in un angolo, immobile. Forse tramava. O forse piangeva.

Perché mai, un bambino con così tante potenzialità, doveva rinchiudersi dentro di se in quel modo? Come era possibile che faticasse tanto ad esternare i suoi sentimenti, quando era capace di ricoprirsi di luce?

“Lasciami andare!” sentì gridare al cucciolo dagli occhi scuri, appena entrò nel laboratorio. Hatch aveva già fermato i suoi polsi e le sue caviglie alla sedia, in misura precauzionale. Ricevuto il suo cenno, avviò la prima scarica. Il bambino urlò con tutto il fiato che aveva, mentre una corrente a basso voltaggio attraversava il suo corpicino.

“Si chiama elettroshock, Golden” gli spiegò Wissen girando intorno alla sua sedia, mentre lui lo fissava con occhi terrorizzati e respirava affannosamente per riprendersi. “Non ti farà alcun male, ti aiuterà solo a trovare lo stimolo per volere di più”.

“Cosa..?” riuscì a balbettare il ragazzino, confuso e ancora indolenzito.

Wissen gli si avvicinò, posandogli le mani sulle spalle. Questa volta non si sarebbe scostato, era completamente bloccato alla sedia.

“Tu puoi fare grandi cose, Golden, molte di più di quelle che i tuoi genitori ti permettevano!”.

Golden lo fissò un momento, a metà tra l’incuriosito e lo spaventato.

“Cioè?”.

“Non ti piacerebbe poter usare il tuo potere quando e nella misura che ti pare? Non ti piacerebbe vedere fin dove arriva, senza che nessuno ti limiti?”.

“Ma non si può…”.

Un’altra scarica, della stessa intensità ma più prolungata, che lo fece urlare di nuovo, un grido più strozzato e compresso.

“Certo che si può, qui è permesso tutto…basta che lo vuoi, giovanotto…non senti il bisogno, non senti il tuo corpo che ti chiede di buttar tutto fuori??”.

“Io…non…”.

Un’altra scarica, leggermente più intensa…Golden ansimava, e la sua fronte era imperlata di sudore.

“Io lo so che ne hai bisogno, tu ami usare le tue capacità…” continuava con veemenza, tenendo fermo il suo sguardo sempre più smarrito e facendo leva sulla sua mente sempre più influenzabile. “Quindi adesso, se ti concedo di nuovo i poteri, prometti di usarli secondo la mia guida e i miei consigli, in modo che ti aiuti a raggiungere il massimo?”.

Scarica. Grido.

“Vuoi darmi la possibilità di aiutarti, Golden?”.

Adesso il viso del dottore era a pochi centimetri dal suo, contratto dall’aspettativa. Il bambino accennò una smorfia di disgusto, conservando le ultime energie stroncate dalla corrente per sputargli in faccia senza ritegno.

Wissen quasi non si mosse, limitandosi ad estrarre un fazzoletto dal camice immacolato e pulirsi il volto, senza un minimo cambio di espressione.

Poi, guardando il tecnico, ordinò, atonale: “Dagli uno schiaffo, Hatch”.

Dopo un secondo in cui sembrò non aver capito bene il da farsi, l’uomo fece schioccare con forza il palmo della grande mano sulla guancia del piccolo impertinente.

Golden fece per protestare dal dolore, ma le parole ora uscivano dalle sue labbra solo come singhiozzi soffocati. In pochi attimi aveva iniziato a piangere silenziosamente.

“Te ne pentirai…hai perso una grande occasione, ragazzino!” sibilò Wissen, uscendo dalla stanza.

Ma a Golden non importava proprio niente di quello che diceva quell’uomo…lui voleva solo tornare a casa, dai suoi genitori…

Quando l’uomo calvo lo riportò nella loro stanza e uscì chiudendosi la porta alle spalle, non ebbe neanche la forza di asciugarsi le lacrime per evitare quell’umiliazione con il cugino, che lo fissava sorpreso per quella sua insolita dimostrazione di debolezza. Si limitò a precipitarsi verso di lui, scuotendolo vigorosamente per le braccia.

“Dobbiamo andarcene da questo posto, Lux! Non mi importa in che modo, ma dobbiamo scappare…o ci faranno delle cose orribili!”.

 

Continua…

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Beatrix82