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Autore: Assassin Panda    07/07/2010    2 recensioni
Un Francese ambiguo amante dell'amore, della poesia di Baudelaire e fermamente cattolico.
Un Inglese oppiomane che ha perso la voglia di vivere.
Una ragazza africana lontana dalla partia e dalle persone che ama.
La vita di queste tre persone cambierà radicalmente quando troveranno un bambino abbandonato e faranno di tutto per riportarlo ai genitori
liberamente ispirata al film "Tokyo Godfathers" di Satoshi Kon
Genere: Generale, Commedia, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Prima di leggere (l'ennesima inutile introduzione del Panda)


Non guardatemi con quelle facce. Lo so che ho altre fanfiction ben più importanti di queste da portare avanti, ma ho intenzione di completarle tutte e non ci sarei mai riuscita senza prima postare almeno il primo capitolo di questa fanfiction. Sto lavorando però alla fiction sui Nordici e ho quasi finito il terzo capitolo e ho già in programma il nuovo capitolo di “Famiglia all'Italiana”.

Giuro ho passato notti insonni a pensare a questa fict. Lo so, sono malata ma non ho potuto fare altrimenti, mi ha coinvolta troppo.

Cominciamo ora a parlare della fiction, seriamente.


La storia è liberamente ispirata al film “Tokyo Godfather” di Satoshi Kon, che narra di tre barboni della capitale giapponese -un omosessuale, un ex-giocatore d'azzardo ed una ragazza scappata di casa- che la Notte di Natale trovano tra i rifiuti una bambina abbandonata dalla madre e tra mille peripezie tenteranno in tutti i modi di riportarla dai genitori.

Per maggiori informazioni sulla trama vi rimando alla buona vecchia wiki Tokyo Godfathers e se non lo avete ancora visto vi consiglio caldamente di vederlo, perchè è meraviglioso! <3


Mi ha colpito molto e perciò ho deciso di farne la rivisitazione Hetaliana.


Ambientata nella Londra di fine ottocento-inizio novecento la mia storia prenderà diverse pieghe diverse dal film -e quindi vedendolo non vi spoilereste nulla-, seguirà il punto di vista di Francis, un cattolicissimo poeta pensatore emigrato in Inghilterra per amore. Ho voluto rispecchiare soprattutto in questa fanfiction la parte del Francia credente fermamente in Dio, quindi non penso sia OOC quando attribuisce i “miracoli” a dio.

Si ritrova invischiato con Inghilterra e Seychelles in una vicenda più grande di loro e delle loro precarie situazioni -Arthur è un oppiomane instabile e Sesel una ragazza che è stata deportata illegalmente in nel Regno- per salvare un bambino trovato nella spazzatura dai mali del mondo.


Vi avviso: non ci saranno né scene erotiche, né baci e il tutto non sfiorerà nemmeno l'avvertimento Shonen Ai. Una semplice commedia drammatica fatta di amore e romanticismo, forse banale, forse ben scritta, non so. Non sono sicura che questa sarà una “Bella Storia”, ma voglio far cadere l'eufemismo che nel fandom di hetalia una fanfiction è bella solo se a rating Rosso e p0rn. Mi piacerebbe davvero tanto XD Quindi niente sesso, anche se verranno accennati i vari rapporti avuti in passato da Francis e ci sarà un lievissimo accenno shonen-ai alla FrUk.


Detto questo, dopo avervi rotto abbastanza vi lascio alla lettura, sperando sia piacevole. Commenti positivi e negativi sono ben accetti!







-Titolo: Un Cadeau de Dieu
-
Titolo del Capitolo: La nuit du Noël. [1/?]
-
Personaggi: Francia (Francis Bonnefoy), Inghilterra (Arthur Kirkland), Seychelles (Sesel), America (Alfred F. Jones), Un po' tutti [Presenti e nominati nel capitolo: Belgio (Bella), Ungheria (Elizaveta Hedelvary), Prussia (Gilbert Weillschdmit), Cina (Yao Wang), Austria (Roderich Edelstein), Polonia (Feliks Łukasiewicz)
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Genere: Commedia, Generale, Drammatico
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Rating: Giallo
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Avvertimenti: Long Fict, Shonen Ai, Movieverse, Alternative Universe, accennate presenze di Character!Death
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Conteggio parole: 4004

-Note: 1.Questa fanfiction é liberamente ispirata al film d'animazione “Tokyo Godfathers” di Satoshi Kon

2. Sesel e Bella sono i “Fandom Name” dati a Seychelles e Belgio, e non mi appartengono.

3. Tutte le citazioni di poesie appartengono a Charles Baudelaire

4. Ambientata storicamente nella Londra di fine Ottocento/inizio Novecento. I riferimenti, più avanti nella storia, ai “pregiudizi inglesi” sono dovuti al fatto che all'epoca i diversi dalla società, specialmente orientali, polacchi, russi ed ebrei, erano ritenuti i colpevoli di tutti i crimini -si pensi al caso di Jack lo Squartatore, in cui vennero accusati proprio un ebreo, due polacchi e un russo- e gli omosessuali erano mal visti e addirittura ripudiati e spesso rinchiusi in prigione -vedere il famoso esempio di Oscar Wilde- e quindi dovevano agire di nascosto e si sposavano spesso per nascondere la propria ambiguità.





La nuit du Noël.


La neve a Natale, in quei tempi in cui le stagioni sembrano essere impazzite e fuori da qualsiasi schema che l'uomo possa concepire, è ormai quasi considerata un miracolo divino.


Miracoli.


Francis aveva sempre creduto che questi accadano sempre, anche nella più semplice delle forme, come la nascita di un bambino, la salvezza di un uomo ormai creduto morto, la cura ad una malattia sconosciuta o fatti inspiegabili di natura quasi paranormale. Era un timorato di Dio, certo, ma non per questo perdeva mai le speranze abbandonandosi in ginocchio in una chiesa a pregare che il Signore risolvesse i suoi guai per lui. Si rimboccava sempre le maniche e si dava sempre un gran da fare, sperando sempre che Dio gliela mandasse buona.


La neve a Natale, appunto, la considerava un miracolo, soprattutto in una città sporca e inquinata come lo era ormai diventata Londra.

Nera come il carbone che l'aveva consumata nei secoli, rendendola buia, si illuminava di bianco grazie ai candidi cristalli che pian piano la ricoprivano. Il nato francese passeggiava per le vie della capitale inglese col naso all'insù fissando il cielo grigio, calpestando la neve sul marciapiede che, sapeva, ben presto sarebbe diventata una poltiglia fangosa dal colore della terra.

Ogni tanto il suo sguardo ceruleo cadeva sul viso dei bambini che facevano a palle di neve inscenando una piccola guerra tra rivali, bagnandosi da capo a piedi ignari del fatto che il giorno dopo si sarebbero di sicuro ritrovati a letto con un bel raffreddore. Leggeva nei loro occhi spensieratezza, voglia di vivere, tanta quasi ne aveva avuta lui alla loro età, quando correva per le vie di Parigi e non immaginava ancora che un giorno avrebbe dovuto abbandonare tutti i suoi sogni bambineschi per inseguirne un altro ancor più impossibile da realizzare.


Da bambino Francis Bonnefoy, dagli occhi color del cielo -quello della Francia, non di certo quello grigio di Londra- e i capelli lunghi biondi come oro, tanto bello da far innamorare di sé sia donne che uomini, non sognava nemmeno il fatto che l'amore lo avrebbe costretto, da adulto, a fare pazzie.



Imboccò una via secondaria dirigendosi verso la mensa dei poveri, sapendo che oramai era tardi e che a momenti avrebbe chiuso i battenti e per mettere un pezzo di pane sotto i denti avrebbe dovuto poi aspettare la mattina successiva. Avrebbe volentieri aspettato, se non fosse stato per altre due bocche da sfamare che lo avrebbero accolto a casa a randellate se si fosse presentato a mani vuote. Odiava quel genere di commissioni, ma avevano deciso di fare a turni e quel giorno, anche se era il Santo Natale, toccava a lui procurare la cena.


Si mise apposto il giaccone pesante che indossava, elegante, fin troppo persino per uno come lui, si sistemò i capelli legati ordinatamente dietro la nuca da un nastro di raso blu e sfoggiò uno dei suoi più sgargianti e passionali sorrisi alle due donne che si occupavano di fornire ai poveri di Londra un pasto caldo a pranzo e a cena.


«Bonsoir, mie belle donne! Siete sempre splendide come al solito, e i grigi fumi dell'Inghilterra non rovinano la vostra bellezza!» esclamò adulatore, vedendo le due ragazze sistemare i piatti vuoti lasciati sui tavoli dai commensali che avevano già da tempo consumato il pasto.

«Smettila di fare il ruffiano, Bonnefoy! Sei in ritardo come al solito ed io ed Elizaveta stiamo già mettendo via la roba!» sbottò la più giovane, dai corti capelli color della paglia sistemati da un fiocco rosso sul capo e i furenti occhi color smeraldo che, taglienti, fulminavano il francese con lo sguardo. «Rimani a digiuno, così impari ad arrivare in orario!» «Ma chére, suvvia! È Natale, non puoi essere meno acida almeno nel giorno più sacro dell'anno!? E non pensi alla povera Sesel? Se non le porto da mangiare morirà di fame e di stenti e io dissanguato per via delle botte che mi darà!» «Te le do io le botte, Francis! Io non sono acida!» sbottò Bella, la belga di origini, facendo il muso duro davanti al broncio supplichevole dell'uomo che si era addirittura levato il cappello e aveva fatto il viso da cucciolo bastonato cercando di corromperla, invano.


Elizaveta intanto sorrideva assistendo alla scena, sistemando in una borsa i tre piatti per Francis che aveva già preparato e messo da parte in precedenza. Lei e la collega ormai sapevano che, quando era turno di Bonnefoy occuparsi del cibo per sé e i suoi compagni di sventura, lui arrivava sempre puntualmente in ritardo. All'ungherese piaceva Francis, non perchè fosse solamente affascinante e prestante, ma perchè era un pensatore, un amate delle arti, un poeta e un adulatore del bello e per questo si perdeva tra le nuvole a fissare le piccole cose materiali assorto nei suoi pensieri, e finiva sempre col perdere la concezione del tempo...

Era come Roderich, il suo amante che non c'era più omai, morto esattamente come il Mozart che tanto amava, dimenticato da tutti tranne che da lei. Rivedeva nel francese il marito e, per questo, nonostante Bella replicasse e la sgridasse ogni volta lei si lasciava persuadere e teneva da parte del cibo anche per lui.


«Oh, Eliza! Tu sì che sei un angelo caduto dal cielo! Non come questa racchia!»

«Racchia!? A me!?» ma Francis non ascoltò le ultime parole della belga, appoggiandosi al tavolo dietro al quale la bella ungherese stava sistemando le ultime cose, con un gomito puntellato sulla tovaglia e la mano a reggere la testa pesante che guardava rapito il seno formoso della donna.

«Come vanno le cose, Eliza?» domandò mentre l'altra incurante dello sguardo blu su di sé finiva di chiudere la borsa e gliela porgeva.

«Insomma... da quando Rod non c'è più lavoro alla mensa tutti i giorni per guadagnare un po' quel che serve per vivere. È un lavoro duro, ma me la cavo, e Bella allontana tutti i pervertiti che mettono lo sguardo su di noi e ciò mi aiuta molto» c'era una nota di malinconia e tristezza nella voce dell'amica, il ricordo del marito scomparso le feriva sempre il suo giovane cuore martoriato da un matrimonio finito ancor prima di essere consumato realmente. Le prese le mani, candide dita rovinate da ustioni e vesciche dovute al maneggiare ogni giorno fuochi e pentole, cercando di infonderle sicurezza.

«Secondo me dovresti accettare la proposta di Gilbert. È bello, è ricco e soprattutto sposandolo torneresti in patria. L'Inghilterra è troppo buia, e tu hai bisogno del sole altrimenti diventerai una vecchia vedova rugosa ma chére!» L'ungherese scosse la testa, con fare quasi rassegnato, ricambiando la stretta delle mani di Francis. «Non tradirò mai Roderich, nemmeno dopo la sua morte. L'ho amato troppo, e tu lo sai»


«Oui, lo so... l'ho amato anch'io.» sussurrò prendendo la borsa, salutando la donna con un occhiolino imbattendosi poi nella furibonda ira di Bella che, con le braccia conserte e gli occhi iracondi, gli impedì di uscire dalla mensa.

«Questa volta ti è andata bene, Bonnefoy, ma non la passerai sempre liscia!» A Francis piaceva la voce di Bella. O meglio, gli piaceva il suo accento francese, così simile al suo che gli ricordava un po' la sua amata Francia.

«I Belgi spingono l'imitazione fino all'eccesso, parola d'onore! Se prendono talvolta la sifilide lo fanno per assomigliare ai Francesi» cantilenò sorpassandola con un radioso sorriso, lasciando l'altra interdetta a riflettere sul senso di quella strana frase: Francis sapeva che, una volta che Bella avesse intuito ciò che aveva voluto dire, le avrebbe prese di santa ragione.


Whitechapel era senz'altro la cosa più orripilante che Francis avesse mai visto in vita sua. Tetra, buia, abbondante di disponibili prostitute, fumerie di oppio, ritrovo di gang mafiose e di malviventi, nonché casa di moltissimi poveracci, lui compreso.

Se avesse avuto un qualche soldo o se fosse riuscito a guadagnarne abbastanza, sarebbe tornato a Parigi, che sì aveva i suoi difetti ma non erano nemmeno paragonabile a quelli di Londra. E invece era talmente squattrinato da vivere clandestinamente con altre due persone in un palazzo decadente in una via dimenticata da tutti fuorché gli uomini che avevano bisogno di un luogo dove consumare il proprio acquisto, sbattendo contro un muro la propria puttana.

Non era quello di certo il tenore di vita che si era prefissato, ma in quel momento non avrebbe potuto fare altrimenti, ma si era ripromesso che, in grazia di Dio, sarebbe uscito da quel posto malfamato, e si sarebbe portato via con sé i suoi coinquilini.



«Sono a casa, mes amis!» esclamò a gran voce chiamando a raccolta i suoi due compagni di sventura, appoggiando la borsa di Elizaveta sul tavolo mentre si sfilava giacca e cappello e li appoggiava su un chiodo sporgente che fungeva da attaccapanni.

«Era ora, Francis! Sai che l'ora di cena è passata da tre ore!?»


Sesel.

Una ragazzina dalla pelle color biscotto che parlava un modesto francese ed uno strascicato inglese. Non sapeva da dove provenisse -non di certo dalla Norvegia visto il colore scuro della sua carnagione e il colore corvino dei suoi capelli-, ma l'aveva incontrata una sera, proprio a Whitechapel, mentre scappava da un nemico che Francis non seppe mai chi fosse. La accolse in casa sua, offrendole un tetto ed un riparo in cambio di un aiuto ad andare avanti, guadagnandosi da vivere con qualsiasi mezzo eccetto la prostituzione. Così, come un uragano, Sesel senza cognome e senza passato era entrata nella sua vita e non accennava ad uscirne.


E considerava un miracolo il fatto che la giovane fosse finita tra le sue mani e non tra quelle di un qualche maniaco.


«Perdonami, piccoletta, ho avuto un imprevisto» «Li conosco, i tuoi imprevisti. Avrai passato tutto il pomeriggio a bighellonare assorto in chissà quali pensieri!» esclamò la ragazza avventandosi sul piatto di patatine fritte e merluzzo rigorosamente confezionato per non far perdere il contenuto nella borsa, mangiandolo con gusto e senza un minimo di educazione.

Francis sapeva che Sesel non era la classica donna da salotto, e mai lo sarebbe diventata, ma pretendeva che almeno un minimo di etichetta la seguisse. Quella sera, però, era troppo stanco per qualsiasi altro litigio, ne aveva già abbastanza della belga.

«E Arthur? Dov'è?» domandò facendo vagare il suo sguardo lungo l'unica stanza che potevano utilizzare -le altre erano completamente diroccate, ed utilizzavano quella sia come cucina che come salotto e camera da letto-, cercando con lo sguardo l'altro componente di quello sventurato trio.

«Lì, sepolto tra le coperte. Si era stancato di aspettare e si è messo a dormire.»


Al cenno della ragazza il francese adocchiò infatti un cumulo di coperte che lentamente si alzava e si abbassava con un ritmo regolare e preciso sul pavimento.

Si avvicinò a quell'ammasso deforme in punta di piedi, inginocchiandosi ed abbassandosi fino a sollevare le coperte mostrando una testa bionda, avvicinandovi le labbra all'orecchio.


«Ehi, è pronta la cena... svegliati, mon amour!»

«WAA!» Con un grido ed un sussulto Arthur Kirkland si mise di scatto a sedere sulle travi scricchiolanti, come se appena destato a causa di un brutto incubo. E per un attimo pensò di aver solo sognato la perversa voce di Francis soffiargli quelle parole in un orecchio, ma per sua sfortuna si sbagliava.

«Maledetto francese pervertito che non sei altro! Ti sembra questo il modo di svegliare le persone!?»


Sesel, prendendo il suo piatto alzandosi per rintanarsi nel suo angolino privato di casa, alzò gli occhi al cielo maledicendo i due. Come al solito non facevano altro che litigare e stuzzicarsi a vicenda e a risentirne erano le sue orecchie. «Siamo alle solite.»


«Oh Arthur, è così che insegni le buone maniere alla nostra piccola protetta?»

«Non sono piccola, Francis. E tienimi fuori dai vostri battibecchi, io ne ho abbastanza!»

Sbuffando contrariato l'inglese si alzò dal giaciglio cercando di ignorare il più possibile il francese, andando alla ricerca della cena, ormai fredda.

«Le ungheresi e le belghe non sanno cucinare del buon cibo inglese» dichiarò riluttante prendendo la sua porzione di fish and chips, mentre Sesel lo fulminava con lo sguardo. «É il cibo inglese che fa schifo, non come cucinano Bella ed Eliza. E ricordati che loro sono mie amiche!»


Trovandosi d'accordo con le parole della ragazzina Francis si lasciò sfuggire un allegra risata mentre si sedeva accanto all'altro uomo per consumare la sua cena, ricevendo da lui un occhiataccia di rimprovero. Ma Bonnefoy avrebbe anche perso delle ore a fissare gli occhi color dei prati dell'inglese. Un verde intenso che ogni giorno si offuscava sempre di più.


Conobbe Arthur davanti ad una fumeria d'oppio.


Il proprietario, un cinese dall'aspetto androgino e dai lunghi capelli color della pece, lo cacciò fuori quasi a pedate proprio nell'attimo in cui stava passando lì davanti per tornare a quella catapecchia che chiamava casa.

Il suo abbigliamento sgualcito rispecchiava l'uomo che un tempo avrebbe dovuto essere: un ragazzo ricco e prestante, un nobile, un diplomatico, un dottore, un avvocato, un politico... non seppe mai Francis cos'era Arthur nella sua vita precedente, ma sapeva solamente che aveva solo bisogno di qualcuno su cui fare appoggio in un momento come quello.

Non seppe nemmeno quali eventi spinsero l'inglese nelle braccia della droga, e mai glielo chiese. Lo portò a casa e aspettò che si riprendesse dagli effetti allucinogeni del papavero assassino per dirgli che, se non aveva alcun posto dove andare, avrebbe potuto fermarsi lì e fare come se fosse a casa sua, per quanto squallida fosse. Invito che Kirkland accettò volentieri.


«Che c'é?» domandò sorridendogli vedendo che il suo viso si incupiva sempre di più.

«Tu e quella mocciosa non avete un minimo di rispetto per me! Mi prendete sempre per il culo! Ma sia tu che lei siete scappati dalla vostra patria per rifugiarvi nella mia! Quindi dovreste essermene grati!»

Sesel si lasciò sfuggire una pernacchia mentre riponeva il piatto vuoto dentro la borsa che il mattino dopo avrebbero dovuto ridare alla mensa.

«Credimi, Arthur. Se potessi me ne tornerei da dove sono venuta, peccato che i tuoi cari amici connazionali mi avete trascinata qui e adesso non ho un soldo per tornarmene a casa!»



Arthur, appena finito anche lui di cenare e di rimettere a posto le cose di Elizaveta, prese alcuni vecchi fogli di giornale e sterpaglie per accendere quella “cosa” di ferro mal ridotta che chiamavano stufa, e che stava esattamente accanto allo spazio privato dell'inglese.


Sesel si torturava un lembo dell'enorme maglione da uomo che indossava, e che le ricopriva gran parte del corpo nascondendone le forme, ancora acerbe, e si mordeva nervosamente il labbro inferiore. Francis sapeva che in quel momento la ragazza stava tentando di opprimere il desiderio di saltare al collo del coinquilino inglese e di farlo fuori con le sue stesse mani. Le cinse le spalle, stringendola a sé in un abbraccio per poi accarezzarle i lunghi capelli setosi legati in due codini da due nastri di raso rosso, lo stesso che portava il francese, di un colore diverso.

«Ti manca la tua casa, ma petite?» la ragazza fece cenno di sì con la testa. «Non ne parli mai. Scommetto che è una bellissima località del sud benedetta da Dio.» ancora un altro cenno da parte di Sesel, che sorrise malinconica «Era una bella isola. Immersa nel mare azzurro e circondata da animali e piante di ogni tipo. Poi sono arrivati gli europei, e hanno conquistato e depredato tutto, distruggendo ogni cosa»

«Tsk, quante stronzate.» sbottò Arthur rannicchiato davanti alla stufa. Faceva freddo e tutti e tre stavano il più possibile vicino al calore per non morire assiderati la notte.


Francis lo guardò di sbieco, mentre continuava imperterrito a coccolare Sesel.

«Non sei per niente carino con lei, sai?»

«E perchè dovrei esserlo? È una perfetta sconosciuta, così come lo sei tu. E poi, se l'Impero deve espandersi paesi privi di qualsiasi civiltà come il suo possono benissimo essere spazzati via, non sono di alcun utilità alla Regina!»

Sesel si alzò di scatto con un ringhio, mirando al collo di Arthur come un cane rabbioso pronto ad azzannargli la gola. Francis la lasciò fare, convinto che all'inglese servisse una lezione.

«Bastardo! Sei solamente un bastardo, come tutti gli altri!»


Poi si ricordò che era Natale. E il Salvatore aveva insegnato agli uomini a volersi bene tra di loro, e anche se loro tre non andavano d'accordo almeno in quel giorno santo dovevano cercare di non uccidersi tra di loro.


«Dieu, ragazzi. Evitiamo di farci fuori a vicenda almeno a Natale. Domattina potremo pestarci finchè vogliamo, ma per ora tregua. Ok?»

Sesel mollò la presa sulla carotide di Arthur, lasciandolo respirare, per poi tornare nel suo letto nascondendosi offesa tra le coperte.


«Inglesi... francesi... vi odio tutti!» gridò prima di lasciarsi abbandonare al sonno, trattenendo le lacrime.




Arthur avvolto nelle coperte pesanti fissava il fuoco dentro il focolare improvvisato, le iridi opache e lo sguardo assente. Francis invece contemplava l'inglese, sapendo quanto si stesse rovinando con le proprie mani, con l'alcol e la droga. Voleva porre fine alle sue sofferenze, in qualche modo, fargli cessare ogni sua dipendenza, ma ogni suo sforzo era vano e ogni qualvolta che pensava di aver distolto Kirkland da quelle malsane abitudini, ecco che vi ci si rituffava di nuovo dentro fino al collo.


«Arthur. Mi avevi promesso che non saresti più andato alla fumeria» gli mormorò accarezzandogli con le nocche il viso, l'altro nemmeno si scompose a quel tocco.

«Non ci sono andato! Cosa ti fa credere che ci sia andato!»

«Sei sempre nervoso e acido come una vecchia zitella quando vai a trovare Wang...»


Dapprima Arthur lo guardò confuso e spaventato. Francis lo conosceva così bene, mentre lui non sapeva nulla sul suo conto. Poi distolse lo sguardo tornando a fissare ipnotizzato le fiamme.

«Me lo prometti sempre, e poi continui ad andarci ogni volta. Dieu, Arthur, ti stai uccidendo! E poi dove li trovi i soldi per pagarti l'oppio? Non sarebbe meglio tenerli da parte per rifarti una vita?»

«Non ho più speranze di rifarmi una vita, Francis! Il mondo là fuori mi odia. Sono un oppiomane, un relitto della società che andrebbe buttato nel Tamigi. La gente come me o muore o finisce in Australia.» «Questo è un altro degli stupidi pregiudizi che affliggono voi inglesi, Arthur.» decretò tirando fuori dalle proprie coperte una bottiglia di vino di seconda mano che custodiva gelosamente in rammarico ricordo del buon champagne francese. Quanto avrebbe voluto in quel momento dello champagne!


«Per voi diverso vuol dire minaccia. Cinesi, polacchi, russi, italiani, ebrei, malati deformi, malati di mente, omosessuali, poveri mendicanti, persino le donne possono essere un potenziale nemico. Tutte, eccetto la vostra Vittoria, naturellement.»


Bevette il suo vino, sentendo l'aspro sapore lungo la gola mandandone giù a gran sorsi, Arthur lo guardò desideroso di berne anche lui solo un goccio. Un po' compassionevole gli porse la bottiglia che l'inglese afferrò avidamente cominciando a mandarla giù tutta di un fiato.


«Io vado a vedere se trovo in giro qualcosa da bruciare, Kirkland. Aspettami qui, e chiedi scusa a Sesel.»






Passeggiare per la Whitechapel di notte era un po' come camminare in un limbo senza fine dove vengono passati in rassegna tutti i peccati a cui l'uomo può abbandonarsi.

I gemiti delle prostitute e dei propri seviziatori riecheggiavano per i vicoli bui dandogli i brividi.

E pensare che anche lui, un tempo, poco prima di incontrare Sesel e Arthur e di vivere una vita da barbone si lasciava affascinare da quelle donne. Ovviamente ai tempi aveva soldi per pagarle, ma preferiva sempre la compagnia maschile comunque.


Sì domandò se il polacco con cui aveva fatto amicizia tempo prima fosse ancora lì, in quello stesso quartiere, ad offrire servizi in cambio di ciò che serviva per vivere e pagare gli usurai. Aveva passato con lui varie notti, forse le più belle della sua vita. Poi quando perse tutto non lo rivide più. Se non avesse avuto un compito da svolgere -non voleva di certo morire di freddo-, avrebbe cercato Feliks e gli avrebbe domandato se in cambio di amore e poesie avrebbe trascorso un altra notte con lui. Poesie e amore però non rendono felici gli usurai.


C'era un mafioso russo che gestiva la zona di Whitechapel dove gli omosessuali, costretti a fingersi ciò che non erano per soddisfare una società riluttante del diverso, ritrovavano fanciulli efebi pronti a soddisfare la loro astinenza sessuale repressa. E quel russo ci aveva visto giusto, con metà dei guadagni dei suoi ragazzi si era fatto una fortuna. Feliks gli raccontava sempre, dopo il sesso, di quanto il suo usuraio fosse un emerito stronzo, ma ciononostante non aveva paura di lui.


E per questa sua sfrontatezza che Francis non era sicuro di ritrovare Feliks sotto quel lampione.


Sospirò cercando di ignorare quei pensieri dolorosi.


Aveva ripreso a nevicare, un manto bianco aveva già ricoperto il marciapiedi e Francis lasciava dietro di sé le orme delle scarpe consumate che indossava.


Rovistò tra dei rifiuti alla ricerca di vecchi mobili gettati via da poter spaccare ed utilizzare come legna da ardere -certo che quel lavoro lo avrebbe fatto in seguito Arthur-, rabbrividendo di freddo.


«Joyeux Noël, Francis!» ringhiò a denti stretti per evitare di imprecare, mentre oggetti disgustosi passavano in rassegna delle sue dita, fissandole disgustato.



Un pianto di un neonato ruppe il silenzio di Whitechapel.

Un pianto disperato, a squarciagola, talmente nitido che Francis giurò di sentirlo accanto a sé.

Non poteva essere un bambino in una culla poco distante, ne era sicuro, quel bambino si trovava tra i rifiuti.

Cacciò via tutte le cianfrusaglie, sentendo quel lamento sempre più vicino, quasi disperato e con foga crescente -la paura di essere arrivato tardi, di non aver potuto fare nulla per qualcuno lo opprimeva- finchè, nascosto da alcune vecchie coperte, non fece capolino la figura di un neonato col viso arrossato dal pianto e le lacrime che sgorgavano copiose.


«Bon dieu...» mormorò esterrefatto prendendo il bambino tra le braccia avvolgendolo sempre di più dentro le coperte, unico riparo dal freddo e dal gelo.

Fissò la piccola creaturina tra le sue braccia, stringendolo a sé per infondergli più calore.

Aveva dei profondissimi occhi azzurri, e i capelli biondo scuro, e ora che era coccolato da qualcuno e rideva gli sembrava il bambino più bello del mondo.


«Ehi! C'è nessuno qui!? C'è un neonato qua!»

Ma non ottenne nessuna risposta, da nessuno.

«EHI!» Urlò di nuovo, attirando l'attenzione di una prostituta che stava rincasando in quel momento. «Lascia perdere. Sarà il figlio illegittimo di qualche puttanella che non poteva permettersi di mantenerlo e lo ha lasciato morire lì!»

Francis fissò boccheggiando la donna, e poi il neonato tra le sue braccia.

«Ma come si può abbandonare al suo destino una creatura così bella?»

In quel momento il bambino fece una smorfia, un verso strano ed infine gli sorrise teneramente.

Francis ricambiò quello sguardo blu profondo con un sorriso.


Si incamminò sulla strada del ritorno a casa, cullando l'infante e guardandosi attorno circospetto, sperando di scorgere anche solo in lontananza la madre, ma fu invano.

«Non ha visto nessuno lei, madame?» domandò garbatamente alla prostituta vestita di rosso e nero che stava già correndo via, fregandosene deliberatamente del francese che reggeva il bambino con un aria spaesata e il volto triste.

«No, nessuno. E se le interessa non conosco nessuna delle mie colleghe che fosse incinta. Mi dia retta, lasci perdere, quel bambino le causerà solo guai!»



Ma Francis non aveva alcun intenzione di lasciare quel bambino al freddo a morire assiderato o divorato dai cani.

Non credeva alle coincidenze, al caso o ad altre storie che i ciarlatani raccontavano in giro.

Era stata la Divina Provvidenza a mettergli in mano quel bambino, come aveva fatto con Arthur e con Sesel, oppure era stato veramente uno dei tanti miracoli a farglielo trovare proprio lì e la notte di Natale.


Sì.

Si sarebbe preso cura di quel bambino proprio come un padre.

Gli avrebbe dato ciò che i suoi veri genitori gli avevano negato. Ed era sicuro che anche Sesel e Arthur avrebbero contribuito a rendere la vita di quel bambino splendida.

  
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