Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Ernil    07/07/2010    15 recensioni
Remus perde la vista.
Non si vede bene che col cuore.
[Per il compleanno di Chu! ♥]
Genere: Dark, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sommario: Remus perde la vista.

Non si vede bene che col cuore.

[Per il compleanno di Chu!]

Pairing: Sirius/Remus

Rating: Verde

Disclaimer: ehr, temo di non possedere nemmeno uno dei bei ragazzoni che compaiono in questa storia.

Beta: Geilie.  

Note dell’Autrice/1: Tanti auguri Chu, regina del Wolfstar! *hugga* ♥♥♥

 

 

[Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.

 

Il Piccolo Principe, Antoine de Saint-Exupéry]

 

 

« Io penso » disse Remus quietamente « che non ci sia antidepressivo migliore che mangiarsi la cioccolata guardando il cielo ».

« Non ho intenzione di guardare il cielo » disse Sirius, e si tirò via i capelli dagli occhi. « E ne ho piene le palle della cioccolata » aggiunse, e tirò il suo quadratino. Andò a spiaccicarsi sulla tappezzeria, appena sotto il poster della ragazza in bikini che li fissava sorridendo, e cadde sul pavimento con un tonfo lieve e quasi timido.

Remus guardò per un attimo il quadratino di cioccolata, scuro e scheggiato, mentre le spirali di polvere tornavano a posarsi sul pavimento come con un sospiro rassegnato.  

« Stai cercando di farmi credere che non ti piace più nemmeno la cioccolata di Mielandia? » disse, mordendone un pezzo. « Andiamo, Sirius. Ti conosco meglio di così ».

« Sono giorni che non fai altro che venire qua a rimpinzarmi di quella roba, Moony ». Sirius Black si ribaltò sul letto e ringhiò contro il cuscino, la bocca una rossa linea obliqua e imbronciata nel mezzo del volto.

Remus uccise un sorriso sotto un altro boccone di cioccolata. Gli piaceva guardare Sirius quando metteva il broncio, come se avesse avuto ancora sei anni, mentre tutto quello che aveva era una barba non fatta sul viso magro, e i capelli lunghi e aggrovigliati, e il pallore di chi non esce mai di casa.

« Ti porto “questa roba” perché non mangi nient’altro, Sirius » disse ragionevole, e addentò la barretta. Quadratino dopo quadratino, la stava demolendo tutta. Era cedevole sotto i suoi denti, qualcosa di morbido in quella stanza che diveniva di giorno in giorno più spigolosa e irta, perché Sirius la riempiva di angoli e rabbia pungente. Quando un tempo l’avrebbe riempita di luce.

« È davvero un antidepressivo, sai » disse, fissando l’ultimo quadratino. « È scientificamente provato, anche se... »

« Secchione » venne la voce di Sirius dal cuscino.

« ...anche se può creare dipendenza » concluse Remus, leccandosi via dalle dita la cioccolata. Se una qualsiasi donna l’avesse visto, lo avrebbe ucciso. Sirius si limitò ad arricciare il naso di nascosto. Remus sorrise fra sé.

« Funzionerebbe meglio se guardassimo il cielo, sappilo ». Inclinò la testa in direzione delle tende chiuse. Pendevano dal soffitto come capelli morti, spesse e scure, i lembi luridi che sfioravano il pavimento; gli angoli si erano torti su se stessi -  ogni giorno un po’ di più, pensò Remus, un oscuro memento del tempo che si accumulava.

« Non ho intenzione di aprirle ».

Proprio come un bambino col broncio. Doveva essere stato adorabile, prima che gli crescesse la barba, e i capelli si allungassero e gli occhi si oscurassero, e Remus cercava di non pensare troppo spesso al loro piccolo angolo di infanzia, o la cioccolata avrebbe assunto un sapore un po’ troppo amaro perfino sulla punta delle sue dita.

« Perché no? » chiese. Spezzò un quadratino dalla tavoletta di Sirius, uno schiocco morbido come quello di un bacio nell’aria rarefatta.

« Perché? » ripeté Sirius, e prese il cuscino e gettò anche quello contro il muro; colpì la ragazza Babbana, e mentre cadeva al suolo con un tonfo polveroso, il pezzo di scotch ingiallito che sosteneva un angolo della fotografia cedette, lasciando che si ripiegasse su se stessa. Il sorriso della modella finì in ombra. La tappezzeria che era rimasta nascosta per tutti quegli anni era d’un chiaro quasi doloroso rispetto al resto.

« Perché è una cosa schifosa che io debba rimanere qui dentro mentre tutti gli altri sono là fuori a combattere! » ringhiò Sirius, e in un attimo saltò giù dal letto, agile come lo rendeva agile la rabbia; aveva i denti stretti: Remus poté vederli perché il labbro superiore di Sirius era alzato, un ringhio rosso e bianco di incisivi e gengive. « Perché » Sirius diede un calcio al cuscino per terra, e si sollevò una nube di polvere, « è fottutamente » colpì il muro con un piede: una larga striscia di tappezzeria si staccò con un gemito, « ingiusto! »

Guardò con odio il viso ora quasi nascosto della ragazza della foto, che in tutti quegli anni non aveva mai smesso di sorridere.

« Così ingiusto, cazzo » ripeté, e rimase in piedi a rilasciare respiri pesanti attraverso i denti, stringendo le dita, e Remus poteva vedere ogni piega della pelle, e il piccolo neo vicino al polso destro.

Rimase sul letto, con un pezzo di cioccolata in mano, guardando le spalle di Sirius mentre Sirius guardava il muro, tremante di rabbia.

« Stare qui dentro a tenere il broncio speri che cambi qualcosa? » disse Remus, e il sorriso che gli uscì era uno dei suoi più stanchi; sembrava che le labbra dovessero cedere da un momento all’altro. « Cos’è, una specie di sciopero della luce? »

« Sono incazzato ».

« Ne avevo come avuto il sentore » sorrise Remus, e scese dal letto. Il tempo e le scale verso la camera di Sirius avevano rovinato i suoi mocassini; le suole lise non fecero rumore sul tappeto, ma comunque poté vedere le orecchie di Sirius raddrizzarsi.

« Non... » cominciò, voltandosi verso di lui, ma Remus fu un attimo più veloce, scattando verso le tende; le sue mani si strinsero attorno allo scuro velluto.

Un attimo dopo, le braccia di Sirius lo placcarono, togliendogli il fiato. Remus non mollò le tende mentre il peso di Sirius lo trascinava a terra, con il suo respiro nelle orecchie, e ci fu un potente strap, così forte che Remus fu sicuro che avesse riecheggiato in tutta la casa, mentre i gomiti magri di Sirius gli bucavano la schiena e lui cadeva faccia a terra nella polvere, a poca distanza dal cuscino e dal pezzo di cioccolata.

« Merda! »

« Merda lo dico io » bofonchiò Remus, senza fiato e dolorante dai lombi in su, tenendo le tende tanto strette che le sue dita erano penetrate nelle pieghe rimaste intoccate da anni, là dove il velluto era umido e gonfio di vecchiaia. Il peso di Sirius sopra di lui era schiacciante e spigoloso, e sentiva il suo ansito nell’orecchio, arrabbiato e sull’orlo di una risata.

Sorrise anche lui, cercando di tenere alta la testa.

Le tende si erano strappate ed erano crollate a terra in un groviglio scuro, ripiegate su se stesse e sul proprio cupo orgoglio.

Parve a Remus, tenendole strette, di aver appena fatto cadere un idolo. Alzò un po’ di più la testa, verso la finestra.

I vetri erano sporchi; una grigia patina di polvere li ricopriva, e negli angoli degli infissi si ergevano in cumuli cadaveri di mosche e insetti.

La luce non era mai sembrata tanto splendente che mentre fendeva l’incuria e il buio. Centinaia di piccole lame luminose scendevano dall’alto verso il pavimento, dove erano sdraiati loro, uno sopra l’altro, senza fiato e trafitti. Stilettate di luce precipitavano in parabole imperfette sul pavimento, sull’anta del vecchio mobile, sulla pianta morta nell’angolo, sul tappeto, creando oasi nell’oscurità muffita della camera, e Remus sorrise, ancora ansimando, vittorioso seppur schiacciato.

Per la prima volta poté vedere la trama del tappeto su cui poggiava la testa; un viola intenso di polvere e luce.

Il peso di Sirius su di lui gli toglieva il fiato, ma non avrebbe mai voluto che se ne andasse. Sentiva sul collo il respiro che andava calmandosi, mentre le costole di Sirius gli premevano nella schiena tanto da vicino che poteva sentire il battito del suo cuore.

Ci fu qualche attimo di silenzio, mentre Remus abituava i suoi occhi alla luce.

« Stronzo » disse infine Sirius.

« Per servirti » replicò Remus, e quando Sirius cominciò a ridere, anche Remus lo fece, cercando di non uccidersi mentre il petto gli era schiacciato contro il tappeto, e la sua risata suonò soffocata e alla ricerca d’aria, come quella di Sirius.

« Allora » disse Remus infine, prendendo grandi boccate dell’aria viziata della camera, una dopo l’altra, e sollevando la polvere in volute bizzarre. « Allora. Che te ne pare? »

« Mi pare che tu sia uno stronzo, Moony ». Sirius si aggiustò meglio sulla sua schiena, e poggiò la testa fra le scapole di Remus. Remus poteva sentire i contorni magri del suo viso, e i capelli lunghi e neri gli solleticavano la nuca; il respiro caldo di Sirius si infiltrava tra le maglie allargate del suo maglione.

« Hai i capelli lunghi » fece notare inutilmente, solo perché dire qualcosa di ovvio e non pericoloso era un lusso che voleva concedersi.

« Non sei mica mia madre » borbottò Sirius, e Remus poté sentire il suo sorriso allargarsi sulla sua pelle, come una calda onda che dalle labbra di Sirius si inerpicava fino al suo cuore, e chiuse gli occhi e trattenne il fiato, in ascolto.

Perché quando Sirius rideva, a Remus veniva in mente un cane che abbaiava felicemente contro la luna. Le saltava attorno, la invitava a scendere a giocare con lui; e il cielo attorno alla luna non era nero di notte, ma azzurro come la carta della loro cioccolata preferita, che dal copriletto era caduta per terra e ora giaceva nella polvere, come un uccellino maldestro nel volo, con le ali di carta stagnola colpite da un esile raggio di luce.

« Un po’ meglio? » chiese faticosamente.

« Se tu fossi più morbido, Moony » mugugnò Sirius. « Ma sono abbastanza comodo ».

« Chiedevo se andava un po’ meglio con la tua stupida depressione, sciocco » disse Remus, aspirando l’odore del tappeto.

Sapeva un po’ di Sirius. Strano e colorato, e morbido sotto la polvere che si accumulava sui disegni esotici che si intrecciavano, con le sue linee dritte, gli angoli retti, le curve che cambiavano direzione all’improvviso. Sapeva molto di Sirius.

Sirius grugnì in risposta.

Remus sorrise.

« Non ha molto senso rintanarsi nella cuccia prima che sia calato il sole, non trovi? »

« Il cioccolato ti rende filosofo, Moony » disse Sirius; rise sopra di lui. « Ho fatto bene a rifiutarlo ».

« La considero un’offesa personale » borbottò Remus. « Sirius, mi stai schiacciando ».

« Devo togliermi? » chiese Sirius. « Sto così comodo. Devo togliermi? »

Un cane, pensò Remus. È proprio un cane sul suo divano preferito.

Ed era come portare il cielo sopra le proprie spalle. Era vero che lo schiacciava – ma era un peso così leggero da sopportare, se si pensava alle nuvole che lo attraversavano, e al suo colore puro e indicibile come quello della carta della cioccolata. 

« No » rispose. Scosse la testa con un sorriso, impolverandosi i capelli. « Resta ».

 

***

 

Remus ansimò, e quando inciampò pensò che sarebbe stata questione di un attimo, il suo naso avrebbe impattato contro l’erba, avrebbe sentito il sangue e poi gli sarebbero stati addosso, come i segugi sulla volpe.

Due mani arrestarono la sua caduta, e poi Snape lo schiaffeggiò. 

« Dannazione, Lupin! Guarda a dove metti i piedi! »

« Non ci vedo » disse Remus, e si portò una mano al volto mentre Snape lo tirava in piedi. 

La mano di Snape si chiuse attorno al suo polso, così fredda che avrebbe potuto essere quella della Morte. Remus la strinse. 

Il volto di Severus era una macchia pallida davanti ai suoi occhi.

« Ti porto io » disse Snape, sprezzante. « Datti una mossa o ti lascio sul ciglio della strada ».

Snape cominciò a correre e Remus sentì lo strattone al braccio; cominciò a correre anche lui, ansimando, aggrappato a Snape, pensando che non gli andava di morire in una notte senza luna, ma che se non avesse corso abbastanza...  

L’erba alta e selvatica del prato gli graffiava le gambe. Avrebbe voluto voltarsi indietro per vedere se Fenrir era vicino oppure no, ma davanti ai suoi occhi la notte era indistinta e scura, fatta di ombre. La luna non c’era.

Remus inciampò di nuovo, e questa volta Snape non era abbastanza vicino. Cadde e sentì la terra in bocca; spalancò gli occhi quanto più poteva, ma all’improvviso il cielo si era fuso con la terra, e capire da che parte dovesse rialzarsi divenne impossibile.

Non ci vedo, pensò, molto lucido, molto dolorante. Non riesco più a vedere.

Un attimo dopo un’ombra sottile e indistinta si chinò su di lui, e sentì braccia che lo sollevavano di peso. A giudicare da come imprecava, era Severus.

« Non riesco a vedere » disse, un buco nel petto dove aveva sbattuto contro un sasso appuntito. I polmoni gli facevano male. Gli occhi gli facevano male. « Severus, io non... »

« Il punto di Smaterializzazione è qui vicino » disse Snape, e Remus sentì la mano di Snape stringergli il polso e trascinarlo in avanti. « Non mollare la mia mano e non morirà nessuno ».

« Sì » disse Remus.  

« Bravo Mannaro » disse Snape voltandosi. Il suo viso, che era stato una chiazza bianca per gli occhi di Remus, fu sostituito dall’ombra scura della sua schiena, e Remus continuò a stringere la mano di Snape, camminando dietro di lui, sentendosi goffo e tremendamente nelle mani di qualcun altro.  

« Siamo arrivati » disse Snape. « Non lasciare la mia mano ».

Remus ansimò.

« Sì. D’accordo ».

Strinse più forte le dita di Severus. Snape non strinse in cambio.

La Smaterializzazione portò via i pochi colori rimasti, stringendo, strappando e comprimendo, e Remus chiuse gli occhi con forza.

Quando li riaprì, i colori non tornarono.

L’aria era fresca e non c’era fumo, come nel campo, non c’era odore di erba e terra, ma non c’erano nemmeno nient’altro, il mondo era molto, molto scuro.

« Lupin » disse Snape freddo. « Puoi mollarmi la mano ».

« No che non posso » disse Remus. Prese un gran respiro per non far crollare la sua voce. « Non posso ».

Ci fu un breve silenzio. Remus continuava a stringere la mano di Snape.

« Non ci vedi » disse infine Snape. Non era una domanda, ma Remus rispose lo stesso.

« No » disse. « Dove... »

« Ti porto dentro » lo interruppe Snape. « Io devo tornare indietro ».

« No ».

« » disse Snape, che ormai non era più Snape ma solo la sua voce. « Io devo tornare indietro e spiegare... »

« No » ripeté Remus. « Non... »

« Sì » sibilò Snape. « Non fare il bambino! Ti lascio nelle mani di Black e... »

« Non voglio che Sirius mi veda ».

« Tu di certo non lo vedrai » replicò Snape tagliente, e poi Remus sentì il rumore di una porta che scattava, e Snape lo spinse dentro, mormorando qualcosa su come fosse imbarazzante portarsi dietro un Lupo Mannaro per mano, avrebbe dovuto chiedere a Dumbledore i fondi per il guinzaglio.

Remus percepì attraverso le palpebre strette un cambio nel suo buio, mentre sentiva la porta chiudersi. Più denso, se possibile, e poi più leggero. Severus doveva aver acceso la luce dell’ingresso.

« Chi è? » domandò la voce di Sirius, e Remus pensò a quanto fosse doloroso – la voce. E un attimo dopo, ancora la voce di Sirius: « Moony! »

La mano di Snape lasciò improvvisamente il suo polso. Remus per un attimo annaspò, poi Sirius lo abbracciò. Remus non seppe rispondere.

Era Sirius – sentiva il suo corpo magro oltre la camicia, i capelli gli andavano sul naso, solleticandolo, e l’odore era quello. Strano e morbido. Parabole e linee dritte. Brusche deviazioni.

Era come abbracciare un nulla fatto di Sirius, col suo identico sporco odore e la sua barba non fatta.

« Moony, che cosa... »

« Non ci vede ».

« Cosa? »

« Black, una volta nella tua vita, dimostra di non essere cresciuto solo di taglia. Pensaci tu al Mannaro ».

« Snape! Bastardo, cosa cazzo hai fat... »

La porta sbatté.

All’improvviso Remus si sentì molto solo, senza poter vedere Sirius, senza poter vedere proprio niente. Sbatté le palpebre più volte, ma Sirius non rimase che un’ombra – come il crepuscolo in una stanza, un attimo oltre la sua vista, per quanto si sforzasse; come se un velo fosse calato fra di loro.

« Che cosa ha detto quello stronzo? Moony, cosa... »

« Ha ragione » disse Remus. « Non ci vedo, Sirius ».

 

***

 

« Sai » disse Sirius quando furono seduti al tavolo e il latte fu bruciato nel pentolino, sovrastando l’odore di Sirius per quanto Remus allargasse le narici. « Quel bastardo di Snivellus troverà una soluzione. È il motivo per cui gente come lui è al mondo ».

« Non ne dubito » disse Remus. « Che troverà la soluzione ».

« Perché non esiste » continuò Sirius, e Remus quasi sorrise perché Sirius non capiva mai quando era il momento di stare zitti a fissare le proprie tazze. Fissarle, o stringerle e fingere di fissarle per abitudine. « Non esiste proprio che tu perda la vista. Che stronzata ».

Remus non parlò, mentre mescolava la sua cioccolata calda senza assaggiarla. Non aveva paura.

Non troppa, almeno.

Non la assaggiava perché Sirius in cucina era un assoluto disastro. E comunque, sicuramente se la sarebbe cavata anche senza vista. Era un Lupo Mannaro, dannazione. I sensi ultrasviluppati facevano parte del pacchetto. Non c’erano solo lati negativi.

Non troppi, almeno.

E poi sentì la mano di Sirius sopra la sua; un’ombra che si muoveva nel suo campo visivo, troppo indistinta per capire finché le dita calde di Sirius non si posarono sul suo palmo.

Forse era tutta una questione di avere una mano stretta alla tua.

« Come è successo » disse piano Sirius. Remus pensò Mi hanno versato qualcosa sul volto, o sarà stato un incantesimo e Non mi fa male, ma prima che riuscisse a mentire Sirius riprese.

« Dannazione, fra tutte le persone, come è successo a te, Moony » disse, e ci fu un tonfo. Remus strizzò gli occhi per cercare di capire cosa, nel movimento di ombre confuse, fosse andato a sbattere contro il tavolo.

Poi sentì Sirius imprecare a bassa voce, e dedusse che fosse stata la tazza di cioccolata calda. Sirius non pensava mai alle conseguenze delle sue azioni prima di agire. Remus tolse la mano dal tavolo di colpo quando un’ondata di cioccolata bollente la lambì.

Sentì Sirius che prendeva la bacchetta e mormorava qualcosa insieme a uno: « Scusa ».

Non disse niente. Si portò alle labbra quel dito bagnato di cioccolata.

Non era poi così male. Sirius doveva essersi esercitato di nascosto.

« È buona ».

« Ti piace? » chiese Sirius, e Remus avrebbe dato parecchio per poter vedere i suoi occhi che si allargavano, e con essi il suo sorriso.

« Ti sei esercitato di nascosto » disse. Non era una domanda. Il sorriso di Sirius sembrò in un qualche modo incerto e nascostamente felice.

Come se ci fosse bisogno di nascondere la tua felicità. Stupido.

Come se tu potessi vederlo, pensò poi. Stupido!

« E se non ci riuscirà Snape » riprese a parlare all’improvviso Sirius, urgente e frettoloso, e la mano che era stata vicino a quella di Remus si sollevò - Remus poté sentire il calore che si allontanava e le dita che si immergevano nei capelli, « se non ci riuscirà Snape, ce la farà Dumbledore. Chiaro ».

« Chiaro ».

Remus poteva sentire la cioccolata raffreddarsi nella tazza sbeccata che teneva fra le mani. Alzò un pollice per tracciare il contorno del bordo; c’era una scheggiatura di mezzo centimetro, dove poteva sentire le venature semicircolari della ceramica sotto la sua pelle; e sul manico rotondo c’era una sottile crepa, lunga e curva e tanto esile che poteva a malapena tracciarla con l’unghia. 

Era la sua tazza preferita. Era stata di un blu intenso; ma l’uso l’aveva stinta. Sul fondo un azzurro cielo stava allargandosi lentamente, lavaggio dopo lavaggio, estendendo chiare propaggini nei territori del blu più scuro.

Avrebbe sicuramente finito per diventare azzurra, scolorita e lisa e piena di tagli come una vecchia maglietta amata. Avrebbe sicuramente finito per diventare azzurra, ma Remus si chiese se l’avrebbe mai vista, però.

« Ammazzerò personalmente quei bastardi che ti hanno fatto questo, Moony » disse Sirius, esattamente nel momento in cui Remus pensava: Questo è il suo limite massimo di silenzio.

« Non dire stupidaggini ». Il suo cucchiaio fece il suo triste giro nella tazza, solcando i mari scuri della cioccolata.

Forse avrebbe dovuto berla.

« Credi che non ne sia capace? Moony... »

« Preferirei non vederti di nuovo in prigione, Sirius ». Alzò il viso e si rese conto di quello che aveva detto; sulle sue labbra tremò un sorriso.

Quanto avrebbe voluto vedere Sirius, in quel momento. Vedere la rossa linea del suo broncio, il mento che si increspava sotto la barba non rasata, alzare la mano e sfiorare i suoi capelli scuri per sentire se erano ancora al loro posto.

Non si sarebbe mai perdonato se Sirius se li fosse tagliati per quella cosa che aveva detto. Gli piacevano i suoi capelli lunghi. Erano... simili al moto delle maree, quando scuoteva la testa.

E Sirius scuoteva la testa solo quando rideva, e le maree erano influenzate dalla luna.  

« Moony... » cominciò Sirius, e Remus fu rapido nel ficcarsi il cucchiaino in bocca, per non poter rispondere a nessuna domanda. Ma Sirius fu più furbo – forse solo più spontaneo. « Perché non apri gli occhi? »

Remus preferiva di no. Davvero, mentre il gusto della cioccolata si fondeva nella sua bocca a quello metallico del cucchiaino. Avrebbe voluto tener chiuse le palpebre, chiuse come tende.

« Sirius... » sospirò, e si tenne il cucchiaino in mano perché non era sicuro che sarebbe riuscito a metterlo nella tazza.

« Apri gli occhi, Moony. Cosa pensi che mi... »

« Sirius » disse Lupin. « No ».

Silenzio da parte di Sirius. Così... insolito. Avrebbe potuto non esserci, tanto era il silenzio. Avrebbe potuto non esserci nessuno dall’altra parte del tavolo, forse lui era solo nella stanza, solo tenendo il cucchiaino in mano, aspettando che...

Lo stridio delle gambe della sedia contro il pavimento fu in un qualche modo assordante. Remus lasciò cadere il cucchiaio di scatto, sentendo i passi pesanti di Sirius e pensando Se ne sta andando.

Ma i passi di Sirius non si diressero verso la porta, e un attimo dopo l’aria intorno a Remus fu riempita dell’odore di latte bruciato – Sirius se l’era versato un po’ addosso – e sotto, se respirava veramente a fondo come stava facendo in quel momento, il profumo di Sirius, che riportava alla sua mente gli arabeschi dei tappeti e la polvere illuminata dalla luce, tanti piccoli diamanti polverosi sugli armadi.

« Sirius? » disse, sentendo che il sapore metallico del cucchiaino gli era rimasto precisamente in bocca, coi suoi bordi affilati e scomodi.

Avrebbe voluto vedere dov’era Sirius. Lo sentiva vicino a sé – molto vicino, ma se solo avesse potuto vederlo, mentre c’era quella patina di oscurità sui suoi occhi, e le palpebre chiuse non mostravano nulla.

« Sirius? » disse di nuovo, e nel momento in cui lo diceva la sua mano fu presa fra quelle di Sirius, così calde e un po’ rovinate, spellate perché amava grattare le pareti, quando era cane, e perché da uomo amava anche tracciare con la punta delle dita gli arabeschi del tappeto, fino a impararli a memoria. Era una mania che gli aveva attaccato Remus, acquisita a forza di pomeriggi solitari nella sua cameretta.   

Stette zitto mentre la mano di Sirius prendeva la sua, e un attimo dopo le sue dita furono immerse in qualcosa di morbido che erano i capelli di Sirius.

Non se li era mica tagliati.

« Sai » disse Sirius, e la sua voce era spavalda e roca, e molto sua. « Non devi preoccuparti, Moony ».

« Non... non sono preoccupato, Sirius ». Era sempre stato un pessimo bugiardo.

« Perché ci sono io » disse Sirius, con la voce di chi non ha neanche sentito qualcuno parlare, come al solito. « Snivellus sicuramente troverà una soluzione, ma comunque, fino ad allora... sono un cane, sai. Posso essere addestrato ». Rise, un basso suono di latrato che Remus trovò in grado di sbriciolare il suo cuore dall’interno all’esterno, tutto, lentamente. Come una lenta ricrescita. O un nuovo punto di vista.

Le sue dita scivolarono fra i capelli di Sirius, caldi e confortevoli come una coperta per l’anima.

« Dici? »

Udì il sorriso sfacciato e spaventato di Sirius, lo sentì poggiare il mento sulla sua coscia. Pizzicava come l’inferno, perché non si faceva mai la barba.

Gli toccò una guancia, cercando di catturare l’immagine del volto di Sirius sotto le sue dita. Forse anche lui, alla fine, avrebbe avuto dita logorate come quelle di Sirius, a forza di tracciare con i polpastrelli i sentieri del suo viso – il naso dritto, le sopracciglia, giù fino all’orecchio. Forse si trattava davvero solo di cambiare prospettiva. Il respiro di Sirius era caldo sulla sua coscia, e i capelli gli solleticarono le dita quando infine fermò la mano vicino al collo di Sirius. 

« Certo che lo dico » disse Sirius. « Sarò il miglior cane guida di tutta l’Inghilterra. Idiota, non dubitarne ».

« Sembra divertente » disse Remus sorridendo.

« Sono io » disse pomposamente Sirius. « Lo sarà. Ci divertiremo un mondo, finché non finirai lo sciopero della luce ».

Ci fu un piccolo silenzio in cui Remus sentì l’esitazione di Sirius, prima che Sirius si schiarisse la gola e dicesse:

« Non finisci la tua cioccolata? Ho sentito » aggiunse con un sorriso « che è un antidepressivo. E poi, l’ ho fatta io ».

Remus si prese un attimo per vedere il sorriso di Sirius, poi allungò una mano a tastoni per prendere la tazza, ma Sirius la stava già spingendo verso le sue dita cieche. Si era raffreddata, e Remus la bevve tutta, guardando Sirius attraverso le palpebre chiuse, pensando che non c’era nulla di meglio che bere la cioccolata con il cielo a portata di mano, pronto a farsi grattare dietro le orecchie. E ad aiutarlo ad attraversare la strada.   

 

 

 

Note dell’Autrice:

Il Piccolo Principe è una Grande Ossessione, e tutta la mia cioccolata è stata sacrificata sull’altare della Wolfstar. Ma una volta all’anno non può uccidermi, mi dicono *_* Ancora tanti auguri, cara! ♥

   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Ernil