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Autore: Sweetie616    08/07/2010    4 recensioni
Una fan che, per una scommessa, diventa addetta stampa della sua band preferita. Un cantante che fa di tutto per allontanarla, finchè....
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Helsinki, maggio 2010
“Una fan? Ma starai scherzando, spero!” Mi alzai di scatto dal divano dell’ufficio di Seppo. Doveva essere completamente impazzito, se voleva mettere una fan a lavorare per l’ufficio stampa!
“Cassandra ha un ottimo curriculum, è in gamba e il fatto che sia fan della band da anni le farà fare un lavoro migliore di chiunque altro! Ormai è deciso Ville, stavolta non hai voce in capitolo, mi dispiace”.
“Ha anche un nome ridicolo” borbottai.
“Talmente ridicolo che l’hai perfino messo in una canzone” ridacchiò Seppo.
Ecco, se c’era una cosa che non ero mai riuscito a capire in 15 anni è che mai e poi mai avrei potuto averla vinta con Seppo. Ma non era detta l’ultima parola…. Pur non avendo voce in capitolo, avrei tentato quanto meno di renderle la vita impossibile….

Calma, respira.
Primo giorno di lavoro alla Heartagram limited. Avevo mandato il curriculum per colpa di una stupida scommessa con Janne,mio amico dai tempi della scuola superiore, convinta che mai e poi mai mi avrebbero preso. E invece, appena due settimane dopo era arrivata una telefonata, a cui stavo anche per rispondere in malo modo, con cui la segretaria di Seppo Vesterinen mi comunicava di essere attesa per un colloquio.
Il colloquio era andato benissimo, ecco svelato il motivo per cui ora mi trovavo davanti allo specchio da circa un’ora, con tre quarti del mio guardaroba buttato in malo modo sul letto. Sapevo benissimo che non sarebbe stato affatto facile. Gli HIM erano i miei idoli da sempre, da quando una me quattordicenne era stata quasi trascinata di peso a uno dei loro primi concerti da quella che ai tempi era la mia migliore amica. Nemmeno a dirlo, mi ero presa una cotta pazzesca per Ville Valo. La fine dell’adolescenza era riuscita un po’ a stemperarla, ma nonostante tutto dovevo ammettere che vederlo mi faceva ancora un certo effetto. E ora avrei dovuto lavorare con lui, occuparmi delle interviste e… seguire la band in tour. Magari tutto questo mi avrebbe aiutata a liberarmi definitivamente di quell’assurda ossessione adolescenziale per il Valo. Forse conoscendolo di persona mi avrebbe finalmente deluso. Forse.
Scartai sistematicamente ogni maglietta di band che poteva avere anche lui, e alla fine, quasi in ritardo, decisi per un paio di jeans e un’anonima magliettina nera. Non troppo dark, non troppo colorata. Non avevo Heartagram tatuati in vista, quindi sarei tranquillamente potuta passare per una persona normale. Un’ultima occhiata allo specchio ed eccomi pronta a buttarmi nella fossa dei leoni, ovvero la sala prove, dove avrei conosciuto i ragazzi di persona.
Ce la puoi fare, Cassie…. Ma anche no.

“E’ in ritardo” sbuffai.
“… di ben cinque minuti, che guaio!” commentò ridacchiando Migè “Ti ricordo che io e Linde ti abbiamo aspettato mezz’ora sotto casa perché hai dimenticato di mettere la sveglia”
Sbuffai di nuovo. A volte rimpiangevo il fatto di non fumare più, almeno avrei avuto qualcosa da fare mentre pensavo a tutti i modi possibili per liberarmi di Cassandra quanto prima.
Due minuti dopo, entrò Seppo accompagnato dalla nostra nuova addetta stampa. Accidenti, era carina! Molto carina, per essere sincero. Ma era pur sempre una fan, ed ero intenzionato ad avere a che fare con lei il meno possibile.

La giornata era stata meno tragica del previsto. Avevo legato sin dal primo momento con Migè, e anche gli altri ragazzi erano davvero simpatici e alla mano… beh, a parte uno. Si era presentato vestito da barbone, con quella che un tempo era una maglietta grigia e adesso aveva più buchi che stoffa, mi aveva stretto la mano e non mi aveva più rivolto la parola, limitandosi ad aprire bocca solo per criticare il modo di suonare di Gas o di Burton.
Delusa? Assolutamente no. Anche vestito da barbone, ai miei occhi era una sorta di apparizione angelica. Ero decisamente un caso umano senza speranza.
E di lì a qualche giorno, mi aspettava quella che di sicuro sarebbe stata una delle prove più difficili. I festival estivi.

Rock Im Park 2010

“Si può sapere dov’è finito Ville? Tra meno di mezz’ora ha l’intervista per Radio Energy!” sbottai rivolta a Migè, mentre facevamo colazione in albergo.
“Ultimamente ha qualche problema con la sveglia” ridacchiò sornione.
Questo voleva dire solo una cosa. Dovevo andare a tirarlo giù dal letto.
Bussai alla porta per un minuto buono, prima che finalmente si degnasse di aprire… con solo un asciugamano blu scuro avvolto attorno alla vita, goccioline d’acqua che scivolavano sulla pelle tatuata. Oh. Mio. Dio. No. Sorriso idiota, non osare spuntarmi in faccia. E voi ormoni, a cuccia, per favore.
Cassandra, andiamo, datti un contegno! Ok, calma… perché sono qui? Cosa dovevo dirgli?
“Ehm… sei in ritardo” borbottai, cercando di guardare ovunque, tranne il punto in cui si trovava lui.
“Se ne faranno una ragione” rispose “Entra, mi vesto e scendiamo… sempre che non ti crei problemi avermi intorno seminudo… sei arrossita o ti sei semplicemente truccata troppo?” ridacchiò.
Se c’era una cosa di cui ero sicura, era che quest’uomo aveva davvero bisogno di qualcuno che ridimensionasse il suo ego.
“Se non crea problemi a te… sei tu quello mezzo nudo davanti a una sconosciuta, non io” fortunatamente ero tornata in me… quasi.
“Peccato, devo ammettere che se la situazione fosse capovolta, sarebbe un bello spettacolo” altra risatina. Idiota.
Alzai gli occhi al cielo “Valo, smettila di fare il cretino. Ti aspetto giù, hai quattro minuti esatti, non uno di più. E per le prossime volte, ricordati di metterti qualcosa addosso prima di aprire, non si sa mai chi potresti trovarti alla porta”
“Non credo ci siano fan pronte a saltarmi addosso, qui… a parte te, ovviamente” disse con uno dei suoi ghigni malefici.
Ok, magari questa gliel’avevo servita su un piatto d’argento, ma era davvero troppo.
“Mi dispiace deludere il tuo smisurato ego, ma ci sono anche persone che sono fan solo della tua musica, e se ne fregano altamente del tuo aspetto fisico” sbottai, sbattendo la porta alle mie spalle.
Quasi mi accasciai contro il muro del corridoio. Era uno stronzo patentato… un bellissimo stronzo patentato. Ma questa realtà, invece di smorzare la mia ossessione per lui, se possibile la fece anche aumentare.
E di certo lui non faceva nulla per migliorare la situazione. Si divertiva a sperimentare su di me qualsiasi metodo secondo lui adatto a far crollare una donna ai suoi piedi, comprese battutine poco felici, sorrisi e sguardi languidi dal palco ogni volta che, più o meno per caso, mi ritrovavo nel backstage mentre suonavano. Una tortura. Una vera e propria tortura.
Ma a un certo punto, smise di colpo, diventando fin troppo gentile nei miei confronti. Questo, se possibile, mi spaventava ancora di più.

Pier Pressure Festival, Svezia

Ero seduta a gambe incrociate sul letto della mia camera d’albergo, immersa in almeno un centinaio di richieste di interviste quando sentii bussare alla porta. L’ultima persona che avrei voluto vedere in camera mia, anche se, almeno stavolta, era vestito.
“Ciao Ville” salutai, cercando di essere cordiale. “Come mai qui?”
“Seppo mi ha detto che stai rispondendo alle richieste di nuove interviste… se vuoi posso aiutarti”
Lo guardai perplessa. Di sicuro c’era sotto qualcosa. “Se ci tieni…” risposi, tornando a sedermi sul letto. Nemmeno a dirlo, si mise a curiosare in tutti, ma proprio tutti i mucchi di fogli che avevo tanto faticato a mettere in ordine.
“Perché hai scartato la richiesta di Mayra?” chiese.
“I fan la detestano” risposi. “E considerato che ti ha già intervistato due volte in un anno, è anche il caso di lasciar spazio ad altri, no?”
“Anche tu la detesti?” chiese con un sorrisetto canzonatorio… e devastante. Distolsi lo sguardo.
“No… sai, non ho molto da invidiarle, se non il fatto che, beata lei, deve sopportarti appena una volta l’anno…”
Ville ridacchiò. “Hai decisamente un bel caratterino, Cassie”
“Credo di essere stata scelta per questo … a quanto pare per tenerti testa ci vuole un bel caratterino” sorrisi angelica. Questo lavoro iniziava ad essere davvero divertente.
“Sono così insopportabile?” chiese, di nuovo il sorrisetto canzonatorio sulle labbra.
“Se escludiamo il fatto che ti diverti a mettere in difficoltà le persone solo per partito preso, che sei convinto di avere sempre ragione e che reciti la parte del bello e impossibile quando in realtà sei una persona estremamente sensibile e dolce… no, non sei insopportabile. Almeno quando decidi di toglierti la maschera ed essere te stesso.”

Rimasi senza parole. Ero davvero così facile da capire, o era lei che mi sapeva leggere dentro come pochi erano in grado di fare?
“Devo aver centrato il punto, visto che non parli più” ridacchiò. “Credevo fosse impossibile riuscire a farti smettere di parlare”
“Hai finito?” sorrisi.
“No… devo ammettere che è divertente psicanalizzarti, sei un soggetto piuttosto interessante.” Ridacchiò, guardandomi con quegli occhi che da subito mi avevano colpito per quella luce particolare. “Ma non è il vostro giorno libero, oggi? Cosa ci fai chiuso in albergo invece di essere fuori con gli altri?”
Avevo due alternative, a questo punto. Continuare, come diceva lei, a recitare una parte, oppure dirle la verità, mostrarmi senza maschera. Scelsi la seconda possibilità.
“Linde è con Toni Marie, Migè con Vedrana. Gas e Burton sono tornati a Helsinki. Mi sentivo…di troppo, ecco. E non ho motivi particolari per tornare a casa quando ho un giorno libero.” Dissi, a occhi bassi. “A parte la mia chitarra, non c’è nessuno ad aspettarmi”
Fece un sorrisino strano. Probabilmente stava cercando la battuta acida adatta alla situazione, ma a quanto pare ci ripensò. “Senza contare che sei anche un pochino asociale…. Solo un pochino. Potresti andare a visitare la città” sorrise.
“Vorrei farti notare che anche tu sei chiusa in camera a fare un lavoro che potresti tranquillamente fare domani… e poi sarei io l’asociale?”
Alzò le spalle. “Io almeno non ho problemi ad ammetterlo”

“Se vuoi possiamo fare gli asociali insieme, stasera” propose.
Lo guardai perplessa. Era… un invito? O semplicemente l’ennesimo tentativo di farmi cadere ai suoi piedi per dimostrarmi che non ero adatta a fare il mio lavoro?
“Grazie, ma credo che me ne resterò qui” risposi, diffidente.
“Non ti stavo invitando a uscire, infatti” ridacchiò. “Vedila così, è una tregua. Ci facciamo portare da mangiare, vediamo un film, cerchiamo di non ucciderci a vicenda con battute acide. Visto che a quanto pare devi lavorare con noi, tanto vale provare ad andare d’accordo. Pensi di potercela fare?”
“Ci posso provare” ridacchiai. “Ma sei pregato di arrivare vestito, al contrario di come ti sei fatto trovare qualche settimana fa”
“Vedrò cosa posso fare” scoppiò a ridere, e non riuscii a trattenermi dal ridere a mia volta.

Si presentò un paio d’ore dopo, vestito stranamente bene, dove per bene si intende una maglietta stirata e senza buchi né macchie messa sopra i soliti jeans larghissimi, con in mano una confezione formato gigante di Mozartkugeln.
“E quelle?” sorrisi, indicando la scatola.
“Ho smesso di fumare e di bere …. vuoi togliermi pure la cioccolata?”
Scossi la testa. “No … basta che me ne lasci una” sorrisi.
Questa tregua/tentativo di andare d’accordo rischiava di diventare molto, molto pericoloso. Perché la verità era che andavamo un po’ troppo d’accordo. Passammo una serata decisamente piacevole, mangiando pizza, chiacchierando di qualsiasi cosa ci passava per la mente e guardando serie TV in svedese ridoppiandole a modo nostro. Erano anni che non ridevo così tanto.
Non so a che punto della notte mi svegliai, e scoprii con orrore di essermi addormentata con la testa appoggiata alla sua spalla. Dormiva anche Ville, la testa appoggiata alla mia, un braccio a farmi da cuscino. Rimasi qualche minuto immobile a guardarlo, chiedendomi con un sorriso ebete in faccia se quell’ossessione adolescenziale avrebbe prima o poi rischiato di trasformarsi in amore … se solo lui avesse deciso di abbandonare per sempre la maschera spaccona e irritante che aveva deciso di indossare a mio completo beneficio.
Mi addormentai di nuovo, decisa a godermi ancora per qualche ora la sensazione di pace e benessere che mi dava il suo respiro regolare sulla mia pelle.
Il secondo risveglio fu decisamente meno piacevole del precedente, grazie a una cuscinata che mi colpì in pieno viso.
“Ville, lo sai dove devi mettertelo quel cuscino?” borbottai, girandomi dall’altra parte.
“Bonjourrrr, finesse!” Mi rispose con un francese stentato e una risata buffa. “Vado in camera mia a fare la doccia… se vuoi goderti lo spettacolo puoi passarmi a chiamare tra una decina di minuti”
Fine della tregua, pensai amaramente mentre il mio cuscino colpiva la porta ormai chiusa.

Vienna, 25 giugno 2010
Quella donna mi stava facendo impazzire. Non l’avevo vista per un’intera settimana dopo il Pier Pressure, nonostante tutti i giorni accampavo scuse su scuse per passare in ufficio da Seppo. Il suo era un comportamento assolutamente sleale, come si permetteva di sparire nel nulla per poi materializzarsi a tradimento tutte le notti, nei miei sogni?
E ora eccola apparire al gala di ATV Osterreich come se niente fosse, bella come non l’avevo mai vista e… al braccio di un tizio sconosciuto.
Non ero riuscito a staccarle gli occhi di dosso nemmeno per un minuto. Ero rimasto distante, con la paura che, se mi fossi avvicinato per salutarla, avrebbe potuto leggere nei miei occhi tutti i pensieri che si agitavano dentro di me in quel momento.
Desiderio, gelosia e una paura assurda di perderla… di perdere qualcosa che in realtà non era stato mio nemmeno per un istante, se non quando, una settimana prima, si era addormentata involontariamente tra le mie braccia. In quell’unico momento, guardandola dormire prima di scivolare nel sonno a mia volta, mi ero sentito completo, felice. Cassandra mi aveva restituito un piccolo raggio di quella speranza che credevo perduta. Peccato che ora, il vederla abbracciata ad un altro mi dava solo la sensazione che la luce che avevo intravisto alla fine del tunnel non fosse altro che un treno che sopraggiungeva in corsa, pronto a travolgermi.
“Chi è quel tizio appiccicato a Cassandra come una piovra?” chiesi a Migè, facendo il vago.
“Un amico, il suo ragazzo… chi può dirlo? se non glielo chiedi non puoi saperlo” ridacchiò “qualcuno è geloso, per caso?”
Lo fulminai con lo sguardo. “Ma figuriamoci! Io geloso di lei?” dissi, per poi uscire a grandi passi dal locale.

Meno male che c’era Janne. Lo avevo costretto a prendere un aereo e accompagnarmi al gala, dal momento che lui era il principale responsabile della mia attuale situazione. Odiavo trovarmi in mezzo alla gente… e sapevo di non essere l’unica. Con mio estremo disappunto, passai gran parte della serata a seguire Ville con lo sguardo. Sembrava agitato, decisamente poco a suo agio. Lo vidi uscire, per poi rientrare con una bionda stratosferica arpionata al braccio. Immediatamente una sensazione di odio e fastidio mi colpì proprio alla bocca dello stomaco. Non andava affatto bene.
“Vado a prendere qualcosa da bere” dissi a Janne, per poi avvicinarmi a Migè, intento ad assaggiare tutti i tipi di tartine presenti sul tavolo.
“Chi è la tizia abbarbicata a Ville tipo koala?” chiesi, con una leggera punta di acidità nella voce.
Migè non si sforzò affatto di nascondere una risatina.
“Sai, Cassie… credo proprio che tu e il secco dobbiate parlare” disse, appoggiandomi una mano sulla spalla.
Lo guardai con aria interrogativa. “Parlare di cosa?” chiesi.
“Meno di mezz’ora fa, lui mi ha chiesto la stessa cosa del tuo accompagnatore. Credo abbia usato il termine “piovra”, se non sbaglio” ridacchiò.
Mi sentii avvampare le guance. “La mia era una domanda di circostanza, non che mi interessi davvero”
“Certo … come la sua, immagino. “ rise “Credevo che di persone cocciute come Ville ne esistessero poche al mondo… evidentemente eravate destinati a incontrarvi, prima o poi. Ora si tratta solo di smetterla di negare l’evidenza, forse tra una decina d’anni ce la fate”.
Ok, nel mio caso era vero… dovevo solo accettare il fatto di essere completamente e inesorabilmente persa per lui. Ma nel suo caso era lo stesso? E soprattutto… era davvero geloso del mio amico gay?

Vienna, Donauinsel Festival
Ero di pessimo, pessimo umore. Quel pover’uomo di Janne aveva dovuto sopportare per tutta la notte i miei deliri da sciocca sentimentale. Il pacchetto completo, compreso di lacrime e frasi da adolescente emo alla prima cotta. La conclusione era arrivata quando l’avevo accompagnato in aereoporto. “Parlagli… quello che hai detto a me puoi dirlo anche a lui, no?”
Certo. Sicuramente. Ecco svelato il motivo per cui Janne era single da tempo immemorabile.
Me ne stavo seduta sulle scalette del palco da circa due ore, con un muso che arrivava praticamente a terra, cercando il modo di parlare con Ville senza sembrare una perfetta idiota. Maledissi il giorno in cui avevo accettato quella scommessa con Janne e avevo inviato quel curriculum. Ero circa al quindicesimo sbuffo, quando Ville mi si sedette accanto. Proprio quello che ci voleva.
“Qualcosa non va?” disse, scostandomi una ciocca di capelli per vedermi in viso. Pessima mossa. Quel giorno indossavo una canottierina nera che, senza i capelli sopra, non copriva di certo il tatuaggio che da mesi tenevo nascosto.
La scritta “Scream me a dream”, intrecciata a un Heartagram, proprio sulla spalla che Ville aveva appena scoperto.
Mi guardò intensamente negli occhi, per poi posare delicatamente un bacio sulla mia spalla, accanto al tatuaggio. Brividi. Mi alzai in piedi di scatto.
“Si può sapere dove stai andando? Che ho fatto di male?”
Mi fermai, voltandomi verso di lui. “A fare le valigie. Hai vinto, mi sembra chiaro che non sono in grado di fare questo lavoro, visto… visto l’effetto che mi fai” dissi secca, riprendendo a camminare a passi veloci. Avrei trovato un autobus, un treno o un taxi per tornare in albergo, no?
Ville scosse la testa. “Sei talmente concentrata su te stessa da non renderti conto dell’effetto che fai tu a me” sospirò “Cassie, se non l’hai capito mi sto innamorando di te”
“Sì, ok, e io sono la Fata Turchina” borbottai, per poi fermarmi bruscamente. Non stava scherzando. Non aveva la solita voce canzonatoria di quando mi prendeva in giro. “Potresti ripetere quello che hai appena detto, per favore?”
Ville si avvicinò a me, sorridendo. Un sorriso dolce, sincero, che mi fece martellare il cuore nel petto.
“Ho detto che mi sto innamorando di te” sussurrò, sulle mie labbra. Ok, mie care farfalle nello stomaco, ora scatenatevi pure, non ho alcuna intenzione di fermarvi, né tantomeno di fermare le labbra di Ville appiccicate alle mie. Anche se siamo esattamente nel mezzo dell’area vip del festival… oh cazzo.

Quella sera, per la prima volta, gli HIM suonarono Shatter me with hope. Ville pronunciò il mio nome con un sorriso dolcissimo, guardando verso il backstage, dove sapeva che l’avrei aspettato.
Want you come and play with me? Sì, Valo… eccome se voglio! voglio giocare con te per il resto della mia vita…
   
 
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