L’austriaco
n’parla, te se simpatico come ‘na rasagnolata
su la capoccia e io penso che vo a
fa come l’por Baglioni.
- Je piasse na’ coleca-
bofonchia a denti stretti, maledicendo non si sa bene chi – ta’ quil porco…- continua camminando a fatica nella
neve, tenendo il fucile alto e gli occhi stretti per non farsi accecare dalla
neve che gli volteggia attorno con la grazia di un gatto a nove code. La
baracca nera su quello sfondo bianco sembra l’unica ancora di salvezza, l’unica
speranza di sopravvivere alla tormenta di neve (perché poteva morire in una
miriade di modi ma non in una fottuta tormente di neve.) e cercare di farsi
trovare dal resto della truppa.
Apre la
porta con un calcio, richiudendola subito dietro la sua schiena. Non fa neanche
in tempo a tirare un sospiro di sollievo, sistemarsi il cappello, riprendere
fiato, guardarsi attorno o qualunque cosa gli potesse venire in mente di fare
che si ritrova una pistola puntata alla fronte. Davanti a lui c’è un uomo in
divisa, col cappello ben calato sul capo. Riconosce subito quella sorta di
gallina morta appiccata sul cappello – Bersagliere!- esclama alzando le mani –
Sono un camerata io! Non un’invasore!-.
-
Appunto.- sibila il bersagliere, guardandolo storto – Sparisci. Voi Arditi
portate guai.
Un suono
proviene dal fondo della baracca. Un ragazzotto dagli occhi azzurri borbotta
qualcosa, avvicinandosi zoppicando al bersagliere. Si poggia sulla spalla e
parla. L’Ardito non capisce nulla, ma
quella lingua gli è stranamente familiare. – Austriaco!- grida puntando il coltello contro il ragazzo che preso
alla sprovvista cade all’indietro, emettendo un flebile lamento di dolore. La
sicura della pistola scatta e l’Ardito può vedere il proiettile in canna – Fai
un’altra mossa e ti faccio saltare le cervella, Ardito.
- Quello
è un austriaco!- bercia l’ardito – Tu ste’ a da’ protezione tal nemico, Bersagliere!- continua a gridare per un po’ e il
Bersagliere si porta una mano al viso, scuotendo la testa sconsolato – Ascolta
un po’- sbotta cercando di dar freno a quel torrente di parole – tu sei venuto
fin qui per scappare alla tormenta?
L’Ardito
annuisce convinto, grattandosi la pelle della fronte sotto il cappello – Bene,
allora facciamo un patto: tu stai zitto e buono e non fai casino e noi ti
lasciamo stare qui e ti diamo da mangiare. Finita la tempesta te ne vai e chi
s’è visto s’è visto.
L’Ardito
ci pensa un po’ su, ritrovandosi ad annuire – Ce sto.-
-Parlem chiaro, io l’austriaco accanto a
me non lo voglio!- esclama l’Ardito indicando l’austriaco seduto a una decina
di centimetri da lui – Avevi detto che non facevi casino.- lo rimbeccò il
Bersagliere, passandogli un pezzo di formaggio – N’faccio casino, è che de
certo c’ha le zecche!-
-
Sicuramente le hai anche tu, Ardito, quindi fai silenzio, rendi grazie al
Signore del cibo e mangia.
- Guarda
che n’me chiamo Ardito, io. Me chiamo
Lodovico Alunni, primo maresciallo del 30° Arditi!- esclama Lodovico
indicandosi con una mano ed afferrando il formaggio – E neanche io mi chiamo
Bersagliere. Sono Gianmaria Vinti, tenente del 27°Bersaglieri. E quello là- indica l’austriaco tutto proteso
verso il fuocherello acceso con i pezzi di uno sgabello e un po’ di carta – Si
chiama Florian. Non sono riuscito a capire altro.
- Per me
se po’ anche chiama’ solo “Crucco”.-
bofonchia Lodovico a bocca piena. Gianmaria scuote la testa. Florian
semplicemente non capisce.
- Cos’è
che n’è capito del “n’voglio l’austriaco vicino”?!
- Credo
tutte le parti in dialetto.- risponde tranquillo Gianmaria, togliendosi il
cappello piumato e riponendolo religiosamente sul pagliericcio di una sedia –
Quindi zitto e fallo dormire vicino a noi.
- No!-
sbraita Lodovico, puntando il coltello verso Gianmaria. Florian poco più
indietro lo guarda con aria interrogativa- Metti giù quel coltello, Lodovico.-
borbotta Gianmaria scocciato – Neanche a me fa piacere dormire spalla a spalla
con un ardito e un austriaco, ma se non vogliamo morire di freddo dobbiamo
stare vicini come buoni amici.
-
Fantastico.- grugnisce Lodovico, calandosi la visiera lucida sul viso.
Gianmaria si volta verso Florian, facendogli cenno di venire fin lì.
Si
siedono schiena a schiena, cercando una posizione decente – Io controllerò che
il fuoco non si spenga. Poi toccherà a te, Lodovico.
- E
l’austriaco?
- Sarebbe molto bello se capisse quello che
diciamo, ma poiché ne dubito, allora faremo la guardia in due.
Gianmaria
sogna. Sogna Milano e la sua famiglia, i fratellini che gli vengono incontro
ridendo e il padre che ride lisciandosi i baffi “e bravo figliolo!” esclama paonazzo dalla gioia abbracciandolo “sei stato bravo, Gianmaria!” dice
dandogli una pacca sulle spalle, una delle sue belle pacche forti da spezzar la
schiena.
- Aaa…maatoo…- una voce fastidiosa e tentennante s’infila nel
suo sogno. Gianmaria apre un occhio seccato, ritrovandosi all’altezza del
ginocchio di Lodovico. Alza lo sguardo, trovandolo intento a leggere una
lettera alla luce del fuoco. Guarda a lungo la faccia concentrata, con la
fronte corrugata in un’espressione leggermente perplessa – Lodovico…-
dice in tono più sicuro (quindi almeno il suo nome lo sapeva leggere bene) – soonoo…
- Non
sai leggere?- domanda Gianmaria,
puntellandosi su un gomito – So leggere.- risponde Lodovico, punto
nell’orgoglio. Gianmaria si passa le mani fra i lisci capelli castani,
mettendosi a sedere – Non sai leggere bene.
–
- Lo
so’.- borbotta Lodovico, abbassando il capo. Gianmaria sorride – Di chi è la
lettera?
- Di mia
moglie.-
- Da quanto sei sposato?
- Due
anni circa.- Lodovico sorride leggermente nel dire quelle parole – Come si
chiama tua moglie?- domanda Gianmaria avvicinandosi a lui –Rosa, si chiama
Rosa.-
- Avete
figli?
- Uno: Damianino che ha sei mesi. Cioè, l’aveva quanno so’ partito. Ora avrà quasi n’anno. - il sorriso si spegne sul viso
di Lodovico – Volevo famme
legge la lettera da n’amico che sa leggere bene, ma me son
perso durante n’operazione e…- la frase si perde nel crepitio del fuoco – Te la posso
leggere io. - propone Gianmaria sorridendo – Sono bravo a leggere.
- Eh, c’hai la faccia da laureato.- dice
Lodovico porgendogli il foglio stropicciato – Farò finta che sia un “grazie, accetto il tuo aiuto”.- sospira
Gianmaria.
Lodovico
sorride e Gianmaria vede una lacrimuccia spuntagli all’angolo dell’occhio,
subito asciugata con uno sfregamento di quella sorta di carta vetrata di cui è
composta la sua divisa – ‘spetta, te faccio vede’ nà bella cosa. – dice frugandosi in
tasca. Ne estrae una foto piegata malamente, che distende con i palmi sul
ginocchio. Alla fine può mostrare a Gianmaria la foto ingiallita di una donna
con un vestito a fiori e un bambino fra le braccia – La mi’ Rosa e Damianino.
Gianmaria
sorride – Tua moglie è splendida.- dice prendendo la foto fra le mani – Certo,
è la mi’ moglie!- esclama orgoglioso
Lodovico. Gianmaria tira fuori un piccolo portadocumenti, estraendo anche lui
una foto – Questo è mio padre.- dice indicando il tipo rubicondo col panciotto
in mezzo ai quattro ragazzi – E questi sono i miei fratellini.
- E la tu mamma?
-
Morta.- dice Gianmaria. Una mano batte sulla sua spalla. Si volta di scatto,
incrociando gli occhi azzurri dell’austriaco. Vede che in mano regge una foto
Gli fa
largo, facendolo sedere fra sé e Lodovico che stranamente non si lagna – Mutter.- dice
Florian indicando una donna sorridente – Vatter.
- Ch’a detto?
- Credo
che siano i suoi genitori.- Gianmaria fissa la foto, notando come l’uomo coi
mustacchi sulla destra somigli a suo padre. Forse tutti i padri del mondo si
somigliano, si dice. Forse anche il padre dell’austriaco aspetta il figlio per potergli
battere una mano sulla spalla e dire “sei
stato bravo figliolo!”, l’unica differenza era che glielo avrebbe detto in
austriaco.
- Che
bella tu’madre.- dice Lodovico,
osservando la donna bionda con un sorriso. Florian annuisce, andando poi ad indicare
lo spazio vuoto accanto ai due –Bruder.- dice.
Gianmaria lo guarda, poi guarda lo spazio vuoto – Ma come, non c’è nessuno lì.- obbietta.
Florian
indica con aria più decisa, corrugando le sopracciglia chiare – Bruder!- esclama.
Gianmaria non capisce e Lodovico gli dà un colpetto – Guarda pe’bene.
Allora
Gianmaria la nota: c’è una foto appesa al muro. Bruder, per l’appunto.
- Cosa
fai?
- Na’ tacca.
- Questo
l’ho visto.- Gianmaria gli si avvicina per osservare la striscia incisa nel legno.
– Perché la fai?
- N’capisco più i giorni.- sbotta Lodovico
– Così me li segno.
-
Secondo giorno, allora?
-
Secondo.
Gianmaria
alza lo sguardo verso la finestra e sospira. C’è ancora la tempesta.
-
Florian è ferito?- domanda Lodovico fissando il fuoco. Gianmaria alza la testa
verso di lui ed annuisce.
- Chi
l’ha ferito?
- Io.- Gianmaria si alza, accompagnato da un mugugno di
protesta di Florian (doveva aver avvertito la scomparsa del calore del corpo di
Gianmaria) che dormiva accanto a lui. – L’é
porteto qua
tu?
- Sì.
-
Perché?
- Perché
mi somigliava.- Lodovico si gratta una guancia e Gianmaria butta una manciata
di paglia nelle fiamme – Era come me: un ragazzino in guerra.
-
Ricordo che quanno
c’addestravano giù a Piazza D’Armi ce dicevano che l’austriaci son mostri.-
dice Lodovico passando le dita sulla visiera del cappello – L’se n’a cosa? Quanno ho ammazzato l’mi primo austriaco era n’ragazzo biondo tipo Florian.
Gianmaria
lo guarda in silenzio osservando le forma spigolose del viso di Lodovico che
tremolando alla luce del fuoco – S’è
piegato in avanti e ha agiteto
le braccia. Pareva n’angelo che
n’riusciva a volà.
- Gli
angeli non riescono a volare in battaglia?
- Non
con ‘n coltello infilzeto nte lo stomaco.
- Fa freddo.-
bofonchia Gianmaria – Non c’è niente da bruciare?
- No.- risponde glaciale (glaciale era l’aggettivo adatto,
giacché aveva persino i cristalli di ghiaccio impigliati sulla barba) Lodovico,
incidendo la quarta tacca.
- Ho
trovato n’à cosa da brucià.- dice
Lodovico dando un buffetto a Gianmaria. Saranno due ore che il ragazzo batte i
denti stringendo il cappello piumato accanto a Florian. L’austriaco invece si
era limitato a fissare le braci del fuoco con aria depressa – Cosa?- chiede
speranzoso Gianmaria.
Lodovico
sorride, sfilandosi la giacca e buttandola sulle braci.
Gianmaria
e Florian fanno tanto d’occhi vedendo la giacca prendere fuoco con le
decorazioni e tutto.
Lodovico
allarga il sorriso –Per ‘n po’
basterà, no?
Gianmaria
si trattiene dal picchiarlo quando gli si siede vicino, mentre Florian gli si
avvicina, poggiandogli il proprio cappotto sulle spalle – Così però bubboli dal freddo tu, Florian.
Lodovico
avvicina a se i due, coprendoli alla meno peggio col cappotto dell’austriaco – Quanno finisce la
tempesta- dice guardando la giacca bruciare – venite con me a Perugia a magnà la torta.
La mi’ Rosina
la fa che è nà
meraviglia.
- Senti
una cosa, Lodovico.
- Che?
- Ora
Florian non ti sta più antipatico?
- Ah,
finché n’parla…
- Gianmaria…
- Sì?
- C’ho sonno.
- Dormi,
allora.
- Non
quel sonno, quell’altro.
- Quale
altro?
Lodovico
gli mette in mano un foglio spiegazzato –La f’è avé tà mi’
moglie, Gianmari’? Prometti?
Gianmaria
annuisce. Lodovico sorride voltandosi e carezza i capelli biondi di Florian –
Peccato che n’parlo l’austriaco.
Lasciano
il corpo di Lodovico in un angolo della baracca e si stringono sotto il
cappotto. Gianmaria sospira e l’aria si trasforma in una nuvoletta.
- Era un
brav’uomo. - dice. Florian guarda fisso il corpo dell’ardito. Gianmaria chiude
gli occhi – Molto bravo.
Il sole
illumina la neve bianca facendola risplendere come un tappeto di diamanti.
Florian esce dalla baracca, lanciando un ultimo sguardo ai due corpi
abbandonati sul pavimento.
Ha
sistemato i berretti sulle teste dei due soldati, avendo cura d’inclinare
quello del Bersagliere e lucidare il teschio su quello dell’Ardito.
Tiene in
tasca una lettera e due foto.
Sospira
strofinandosi le braccia con le mani. Vuole tornare a casa, ora.
Poi,
quando finirà la guerra, tornerà in Italia, a portare le foto e le lettere.
In fondo
lo sapeva che sarebbe stato un male dire ai due che lui l’italiano lo capisce.
A.Corner___
Tutta
questa roba sulla guerra mi fa male al cervello.
Dunque
il buon Lodovico è un contadinozzo del contado perugino, mente il caro
Gianmaria stava tentando la laurea a Milano. Disgrazia ha voluto che la guerra mettesse fine alle
loro occupazioni.
Florian
lo immaginavo allievo del conservatorio, figlio di una famiglia della bassa
nobiltà viennese.
Ah, “Vo
a fa come l’por Balgioni” significa che presto si
tireranno le cuoia. Mentre “te se
simpatico come ‘na rasagnolata
su la capoccia” significa “sei simpatico come una mattarellata
sulla testa”.
È triste
non azzeccare gli accenti del proprio dialetto, eh?
E poi… umm… basta.
Allegria!