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Autore: Blas    10/07/2010    1 recensioni
Una storia d'amore districata in un tempo mai scorso e in un Inghilterra governata da un sovrano mai esistito. Una nobiltà corrotta e sfruttatrice. Una congiura che sfocerà nel sangue e nella morte. Una corte inglese che nasconde misteri orribili e irremissibili peccati. Questa è la storia d'amore tra una marchesa e un duca. Tra una nobile donna e uno sregolato principe. Tra la brillantezza e la ribellione. Tra ciò che è giusto e ciò che non lo è.
Genere: Romantico, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un nuovo principe

 

 

 

 

Il cocchiere incitava i cavalli a galoppare più velocemente mentre la carrozza oscillava appena.

Era una delle più comode e lussuose di tutta l’Inghilterra.

“Vostra madre tiene molto a voi” notò la tutrice del piccolo Math, seduta di fronte a lui e accanto alla sorella “Vi ha fatto usufruire di una delle più belle carrozze del regno”.

Serena annuì distrattamente, troppo intenta a seguire le vicende narrate nel libro che stava leggendo per occuparsi dei vaneggiamenti della tutrice.

Math era invece intento ad ammirare il panorama che non aveva mai visto, non essendo mai uscito dal palazzo della marchesa.

Stavano attraversando la strada principale di un piccolo paesino del nord d’Inghilterra, popolato da pochissime persone e con ben poche presenze nobiliari.

Era più che altro un paese di contadini che, all’apparenza, sembravano condurre vite spensierate e felici.

Era un chiaro indizio: quel paese non era sotto il controllo di Melinda.

“la contessa Sciontese tratta molto bene il suo popolo” commentò Serena, distaccandosi dalle avventure dell’Orlando e ammirando la tranquillità delle case che stavano oltrepassando.

Sperava che quelle parole convincessero la tutrice ad aprirsi e ad esprimere ciò che realmente pensava.

“Non avete motivo di fingere, tutrice” rincarò Serena, poggiando una mano sul braccio della donna “So cosa pensate di mia madre e condivido pienamente i vostri pensieri. La contessa Sciontese è una nobile degna di rispetto, al contrario di mia madre, che maltratta il suo popolo a discapito dell’intero regno”.

Math si fece improvvisamente attento e interessato.

Aveva ascoltato le parole della sorella e, nonostante non ne capisse il significato, era in grande di cogliere il disprezzo nella voce di lei.

“Cosa ha fatto nostra madre?” chiese con la sua voce fanciullesca e ancora quasi femminile.

“Niente” rispose Serena scuotendo il capo “Goditi il viaggio, tesoro”.

Math distolse lo sguardo dalla sorella e dalla tutrice ma non rimase per nulla soddisfatto dalla risposta di Serena. Non si sarebbe arreso facilmente.

“Badate a come parlate, lady Serena” ammonì la tutrice, parlando a bassa voce e a pochi millimetri dall’orecchio di Serena “Non vorrete mica turbare vostro fratello”.

“Riferirgli la verità, volete dire!” ribatté Serena sorridendo e allontanandosi dalla tutrice.

Riprese in mano il suo libro e si rituffò nella lettura.

Il sole era alto in cielo ed iniziava a far caldo.

I vestiti che indossavano erano pesanti e pieni di ornamenti, non certo adatti ad un lunghissimo viaggio di inizio primavera.

Serena indossava un abito blu mare, ornato di pietre preziose e arricchito con un meraviglioso collier d’oro, regalo di un califfo arabo.

Nonostante i capelli fossero legati in un elegante chignon, ciò non impedì alle goccioline di sudore di formarsi sulla sua fronte, così come su quella del fratello e della tutrice, abbigliata in modo nettamente più informale e meno ornato.

“Non potremmo fermarci?” chiese il piccolo Math, stanco del viaggio e stremato dal caldo.

Serena chiuse di scatto il libro e fissò il fratello.

Aveva l’età di otto anni. Aveva i capelli del suo stesso colore, tra il castano chiaro e il biondo, una pelle chiarissima e un viso dolcissimo, da riempire di baci e carezze.

Indossava un completo bianco sporco, con tanto di ornamenti, rigonfiamenti estetici e organza intorno al collo.

“Si” annuì Serena, convenendo con il fratello. Poi si rivolse al cocchiere, alzando la voce di qualche ottava: “Fermiamoci. Necessitiamo di una pausa. Jestin è perfetta come località!”.

Il cocchiere fermò improvvisamente la marcia dei cavalli e scese ad aprir loro lo sportello della carrozza.

La tutrice di Math guardò entrambi i giovani Vaners con aria di dissenso. Aveva promesso alla marchesa di tenerli d’occhio e di occuparsi di loro, di controllare che non succedesse nulla di terribile.

Fermarsi in un paesino popolato interamente da popolani ignoranti non era certo  il miglior modo per garantire la loro incolumità!

Fu l’ultima a scendere, tenendo sollevato il proprio abito con le mani e pregando mentalmente Dio e tutti i santi.

 

 

A pochi chilometri di distanza, all’interno dell’unica locanda di Frendonmen, Daniel beveva del vino in compagnia di una giovane signora.

Altri clienti della locanda ballavano e cantavano e suonavano intorno a loro, festeggiando la nascita del nuovo figlio del re e della regina.

Era nato il principe Redio d’Inghilterra, futuro erede al trono.

A Daniel e alla donna, però, non interessava nulla della nascita del principe.

L’unico pensiero che riempiva le loro menti era la congiura ai danni della marchesa.

“Come faremo adesso che la figlia della marchesa non potrà tenerci informati?” chiese la donna, abitante di Sher fuggita qualche giorno prima, dopo che la marchesa aveva ucciso suo marito e suo padre senza nessuna valida ragione.

Daniel l’aveva incontrata rientrando nel proprio ducato, dopo aver viaggiato per un intero giorno e un’intera notte.

Nessuno si era ancora accorto del suo ritorno e sarebbe stato meglio che nessuno lo avesse fatto. Avrebbe potuto mandare a monte i suoi piani; per questo indossava un lungo cappotto dotato di un ampio cappuccio che si era calato sulla testa.

La donna, invece, che rispondeva al nome Charlotte, era bellissima. Una foltissima chioma nera le ricadeva sulle spalle e non stonava affatto sul vestito viola malva.

Era una povera donna ma grazie a qualche lavoro poco raccomandabile era riuscita a comperare abiti e ornamenti, facendosi passare così per la contessa Charlotte di Menors.

“Non è un grandissimo problema, Charlotte. Sta per raggiungere Londra anche lei ed utilizzando mezzi reali di sicuro arriverà lì prima di noi. Avrà il tempo di trovarci un posto dove stare e di iniziare a lavorarsi il re”.

“È pericoloso, Daniel. Non solo per noi ma anche per coloro che sono rimasti a Sher. Tomaso e la tua famiglia, la piccola Jane”.

Daniel annuì e poggiò i gomiti sul tavolo, tenendosi stretta la testa tra le mani.

“Lo so, ma è l’unico modo che abbiamo per fermare la tirannia incontrollata della marchesa. Basterebbe che lady Serena conquistasse la fiducia del re o che lui faccia visita a Sher durante uno dei misfatti della marchesa”.

Charlotte annuì, appoggiando la schiena allo schienale e guardandosi intorno.

La musica era rilassante e le persone ubriache era parecchio più numerose di quelle dalla mente lucida.

“Quando partiremo?” chiese senza guardare Daniel, ma ancora intenta a perlustrare la folla.

“Domattina all’alba” rispose Daniel “I miei servitori hanno preparato un calesse. Dovremmo riuscire ad entrare a Londra senza grossi problemi. Sono il duca di Frendonmen d’altronde, e a quanto pare il re non sa ancora che la marchesa mi cerca e mi vuole morto”.

Charlotte annuì di nuovo.

Si fingeva tranquilla e fiduciosa ma in cuor suo temeva per la propria vita e per quella dell’amico.

Conosceva Daniel perché aveva vissuto non molto lontano da lui, a Sher. Poi, quando lei era scappata, lo aveva sentito raramente, attraverso qualche lettera.

Ritrovarlo fu una vera gioia e non fu affatto difficile per lui convincerla a partecipare alla congiura.

“Avete ricevuto notizie da sir Tomaso?” chiese tornando a guardare sir Daniel.

Quest’ultimo scosse la testa con gravità e cupezza, sospirando amaramente.

“No. Né sue né da parte della mia famiglia. Confido che siano ancora vivi e prego Dio ogni istante affinché non mi sbagli”.

Charlotte tese una mano sul tavolo e Daniel l’afferrò, stringendola forte.

“Andrà tutto bene. Riusciremo a liberarci del demonio”.

 

 

La locanda che ospitava Serena, Math e il loro seguito era silenziosa, buia e quasi disabitata.

Non vi era nessun tipo di illuminazione e ciò costrinse la tutrice a dormire nello stesso letto di Math, tenendolo stretto al petto per calmare le sue paura.

Serena era sveglia e vigile, invece, in piedi davanti alla porta della sua camera, con indosso gli abiti del giorno.

Vedeva attraverso il corridoio la porta della camera del fratello e desiderava con tutta se stessa poter entrare e salutarlo un ultima volta prima di rincontrarlo a Londra, ma la tutrice era con lui e se l’avesse svegliata avrebbe rischiato di non partire più.

Non poteva aspettare che la loro carrozza li portasse tutti a Londra. Doveva agire immediatamente e partire da sola.

Si fece il segno della croce e indirizzò le preghiere al fratello e alla tutrice. Dopodiché, con passi silenziosi e attenti, scese di sotto, nella speranza che il proprietario della locanda non fosse sveglio.

Fortunatamente il silenzio e il buio persistevano anche al piano terra.

Serena lasciò due monete d’oro sul bancone del locandiere e uscì nella notte mite di primavera.

Il paese era deserto ma Serena aveva studiato abbastanza da sapere che quando si cercava un cavallo bisognava andare in periferia, dove stalle e maneggi abbondavano smisuratamente.

Percorse le stradine di Jestin con il cappuccio calato sulla testa e facendo attenzione ad ogni angolo e ad ogni vicolo.

Era tutto troppo inquietante.

Non vi era illuminazione alcuna se non quella della luna e le case parevano disabitate, spettrali, prive di vita.

Serena non aveva mai visto il mondo ma aveva abbastanza conoscenze da sapere che vi erano case, persone e lavoro.

Nulla.

Quella notte sembrava che tutto fosse spento e avvizzito.

Serena camminò ancora per qualche minuto finché l’ombra lontana di qualcuno la fece fermare di botto e fece di nuovo martellare il suo cuore.

Si immobilizzò, guardandosi alle spalle per calcolare quanto ci avrebbe messo a correre in direzione della locanda.

Quando tornò a fissare davanti a sé, la sagoma sconosciuta era più vicina e a malapena identificabile.

Uomo. Di una certa età. Povero.

“Cosa volete da me?” chiese lady Serena, con la voce tremante e debole.

Il silenzio che regnava il paese trasformò quella domanda in un urlo rimbombante.

“Nulla, signora. Mi chiedo solo cosa ci facciate in giro per il paese a quest’ora della notte. Non sapete che i demoni della caverna si impossessano di queste strade?”.

La voce dell’uomo era bassa e profonda, eppure non intimidiva affatto. Rassicurava, piuttosto. Sembrava la voce di un docile nonno che racconta le storielle ai nipotini.

Serena rise.

“Io non credo alle leggende di paese”.

L’uomo sgranò gli occhi e l’iride bianca spiccò sullo sfondo nero e confuso.

“Voi, piuttosto?” chiese Serena incrociando le braccia sul petto “Cosa ci fate in giro di notte? Non avete paura dei demoni?”.

Era decisa a non apparire come una stupida fanciulla borghese.

Era una marchesa colta e istruita e quell’uomo le avrebbe dato tutte le risposte che cercava.

“Un demone non può albergare in un  corpo già occupato”.

Un brivido corse lungo la schiena di Serena, cancellando definitivamente il sorriso dalla sua faccia.

“Smettila, Saro” esclamò qualcuno alle spalle della ragazza “Così spaventi la fanciulla”.

L’uomo, Saro, scoppiò in una fragorosissima risata e in un attimo la preoccupazione di Serena scemò nel nulla.

“Lasciatelo stare, signora. Adora burlarsi degli stranieri”.

Serena si voltò e si ritrovò faccia a faccia con una donna.

Sembrava una matrona, una di quelle donne dei romanzi che non facevano altro che lavorare ed allevare i figli con il sudore della fronte e il sangue delle mani.

Era molto formosa e gioviale. Il suo sorriso, infatti, illuminava quell’angolo di oscurità in cui si trovavano.

“Chi siete?” chiese Serena, non molto sicura di potersi fidare.

“Lui è Saro, fa il falegname. Io sono Libetta e sono una sarta”.

“Cosa ci fate fuori a quest’ora?”.

Fu Saro a rispondere. “Controlliamo che gli stranieri non creino problemi. Siamo un paese apolitico e indipendente e non vorremmo mai essere messi in mezzo ad affari che non ci riguardano”.

“Voi, invece?” chiese Libetta, poggiando una mano sulla spalla di Serena “Chi siete?”.

Serena optò per una bugia, utilizzando controvoglia l’unico insegnamento che le aveva dato la madre.

“Mi chiamo Elizabeth e sono una futura cortigiana del re”.

A quelle parole sia Saro che Libetta si inchinarono, abbassando il capo.

“Oh, no!” esclamò Serena sorridendo “Sarò una semplice damigella di sua maestà la regina. Nessun titolo nobiliare”.

Saro e Libetta lentamente tornarono eretti.

“Cosa fate in giro per le strade di Jestin, allora? Se siete in viaggio per Londra vi conviene non rischiare alcun inconveniente”.

Serena si rivolse a Libetta come se stesse parlando a una vecchia amica.

“Dovete aiutarmi, gentile signora. Ho bisogno di un cavallo”.

“Cosa?” salto su Saro “Un cavallo? E per farne che cosa?”.

Serena, allora, si voltò e fissò Saro dritto negli occhi.

“Devo raggiungere Londra, ve l ’ho detto!”.

“Ma non siete forse a seguito del marchese e della marchesa che alloggiando nella locanda di Fidelmo? Perché non attendete il giorno e partite insieme a loro?”.

Il discorso di Libetta aveva molto senso, e non era certo una donna stupida.

Si chiedeva certamente cosa avesse da nascondere quella giovane donna e ciò portò Serena ad ammirarla.

A quanto aveva sentito erano poche le donne di basso ceto dotate di una cultura e di una furbizia degna di nota.

“Vi prego, non fatemi domande” insistette Serena “Donatemi un cavallo e sarò disposta a pagarlo”.

Il viso di Saro si illuminò.

Serena sapeva benissimo che quella carta giocata le avrebbe garantito il successo. Qualche falegname avrebbe detto di no a una proficua somma di denaro.

“Quanto sareste disposta a pagare?” chiese Libetta, evidentemente anche lei interessata al denaro.

Serena alzò le spalle. “Ciò che volete”.

Subito Saro l’afferrò per una mano e le sorrise.

“Seguiteci” le ordinò poi Libetta, incamminandosi lungo la strada che Serena non aveva finito di percorrere.

Avrebbe preso un cavallo, avrebbe cavalcato fino a Londra, avrebbe incontrato il re e avrebbe avuto modo di conoscerlo prima dell’arrivo della tutrice e del fratello.

Arrivo che, se tutto fosse andato per il verso giusto, non si sarebbe verificato prima dell’inizio del mese di Aprile.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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