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Autore: Trevor    18/09/2005    2 recensioni
Un po’ per la stanchezza, un po’ per la tensione, non riesco a rispondere se non con un sorriso forzato e qualche gesto. Non riesco a non pensare che, se avessi reagito con più prontezza, avrei potuto evitare questa situazione. So benissimo che ora è inutile farsi venire i sensi di colpa, sia giusti che sbagliati, ma non ne posso fare a meno.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Undici metri

Due brevi fischi e uno più lungo. La partita è definitivamente finita. I tempi supplementari sono finiti, ma non sono bastati a decidere il risultato.
Appena l’arbitro fischia la fine, sospiro profondamente, mi tolgo i guanti e vado verso la panchina, dove si stanno dirigendo anche gli altri, per bere un po’ d’acqua. Vicino alla panchina, tutti i miei compagni mi stringono la mano, mi incoraggiano e mi danno pacche sulle spalle.

Un po’ per la stanchezza, un po’ per la tensione, non riesco a rispondere se non con un sorriso forzato e qualche gesto.
Non riesco a non pensare che, se avessi reagito con più prontezza, avrei potuto evitare questa situazione. So benissimo che ora è inutile farsi venire i sensi di colpa, sia giusti che sbagliati, ma non ne posso fare a meno. Sarebbe bastato così poco, la palla era lì, a pochi centimetri dalle mie dita …
Quanto è pesante fare il portiere in questo momento. Non che di solito lo sia di meno. Molti dolori e poca gloria. A meno che tu non salvi la partita con un riflesso spettacolare. In quel caso la gloria arriva … fino alla prossima partita. Poi ti devi rigiocare tutto.

L’allenatore ha finito di comunicarci la lista di chi tirerà i rigori. Non l’ho praticamente ascoltata, non la saprei ripetere. Rimetto la borraccia nel portaborracce e, con i miei compagni che tireranno, mi dirigo verso centrocampo. Ricevo altri auguri e in bocca al lupo, e stavolta riesco a rispondere a parole, e ad augurare a mia volta buona fortuna ai tiratori. Mi infilo di nuovo i guanti e vado verso la porta dove verranno tirati i rigori. L’arbitro e il portiere avversario sono già lì, al limite dell’area di rigore. Tiriamo a sorte i turni e ci stringiamo la mano, augurandoci buona fortuna … non proprio sinceramente, devo aggiungere. Non che siamo sleali, ma portare fortuna ad un avversario non è proprio l’ideale in quella situazione.

Comincia lui.
Il mio compagno, che tirerà per primo, appoggia la palla sul dischetto. Arretra camminando lentamente, per prendere la rincorsa. Mentre il vociare del pubblico si attenua, sostituito da una specie di ronzio interrotto da qualche esclamazione isolata, si ferma a qualche metro dal pallone. Immobile, con le braccia lungo i fianchi e il piede sinistro leggermente più in avanti, pronto alla rincorsa, guarda verso la porta, dove si trova il portiere avversario in attesa, e attende che l’arbitro fischi. Mi ha sempre sorpreso la capacità dello stridulo suono del fischietto di aumentare i battiti e la tensione. Prende la rincorsa …
Goal.
Mentre dal pubblico a bordo campo si levano applausi e varie esclamazioni, sia di felicità che di delusione, discretamente, senza troppa enfasi, tiro un pugno all’aria per scaricare la tensione e festeggiare il goal. Non è ancora il momento di fare salti di gioia. Prima di tutto, perché è solo il primo rigore di una serie di cinque. Secondariamente …

Ora tocca a me.

Cammino lentamente verso la porta, e incrocio silenziosamente il portiere avversario. Non faccio caso a lui, e lui non fa a caso a me, come se fossimo due persone che si incrociano per caso in città. Sono un fascio di nervi, una corda tesa che rischia di saltare. Mentre cammino chiudo per un istante gli occhi e respiro profondamente, cercando di liberarmi dalla tensione che mi ha accompagnato fino a questo punto. È meglio arrivare rilassati sulla riga, questa è una cosa che ho imparato da tempo. Ma non ci riesco lo stesso. Aggiusto meccanicamente l’ala del cappello, da cui non mi separo mai durante la partita, mi guardo a destra e a sinistra per cercare il centro della porta, prendo un’altra boccata d’aria e mi volto verso l’avversario.

Sta posizionando il pallone.
Mi aggiusto anche i guanti e mi preparo. Da qui in poi inizia la sfida.
Molti lo chiamano semplicemente “il tiro a segno”, altri, più complicati, “la roulette”. Io non sono d’accordo. Io non sono un bersaglio a punti, e la fortuna qui ha lo stesso peso che in qualunque altra situazione di gioco. Affidarsi solo alla fortuna vuol dire essere quasi sicuri di perdere. Quello che ti permette di vincere contro colui che dovrà tirare è l’intuito e una buona capacità di osservazione.
Ogni movimento può tradire l’intenzione di un tiratore. Un guizzo degli occhi verso destra o sinistra, la posizione assunta dal giocatore durante la rincorsa, la posizione della gamba, soprattutto del piede, pochi istanti prima del tiro.
Se riesci a cogliere questi segni e ad interpretarli per tempo hai già il cinquanta per cento di possibilità di vincere questa sfida. Il resto lo fa l’abilità del portiere e l’angolazione con cui viene tirato il pallone. Poi, naturalmente, ci vuole anche un po’ di fortuna.
Per carità, non pretendo certo di essere un esperto. Ma dopo anni di gioco, e decine di rigori, credo di aver perlomeno capito come funziona. Ma non sempre riesco ad applicare quello che ho imparato. Alcune volte semplicemente sbaglio. Oppure non leggo abbastanza rapidamente questi segni. Altre volte, invece, il tiratore riesce a nascondere i segni o ad ingannarmi con false mosse.

Prende la rincorsa.
Il mormorio proveniente dal bordo del campo si attenua nuovamente. Appoggio le mani sulle ginocchia leggermente piegate, spingendo la punta delle dita in fondo ai guanti, e lo fisso appena oltre l’ala del cappello, perfettamente immobile, pronto a leggere i segni. Una fugace occhiata all’angolo destro. Destra … No, lo guarda per troppo tempo, ha perfino la testa voltata. Tirerà a sinistra. È una finta.

Smette di camminare all’indietro per la rincorsa e aspetta il fischio dell’arbitro. Una rapida occhiata a sinistra conferma i miei sospetti.
Anche se il dubbio non ti abbandona finché il rigore non viene tirato, in quel momento devi andare deciso a destra o a sinistra. Oppure resti immobile e speri che il giocatore tiri in mezzo. Non che non succeda mai, ma preferisco rischiare. Almeno non mi accuseranno di non essermi mosso.

L’arbitro porta il fischietto alla bocca.
La mia mente è completamente libera, vedo solo il giocatore e il pallone, e sento solo il mio respiro. E il fischio dell’arbitro, che puntualmente arriva.
Alzo il busto, allargo le braccia e piego le ginocchia, preparandomi a scattare. Non posso muovermi dalla linea prima dell’inizio della rincorsa del tiratore.

Appena la rincorsa inizia, con un breve balzo mi porto in avanti di una trentina di centimetri. Il giocatore carica il tiro, mentre io stendo le gambe per tuffarmi a sinistra.
Non è una roulette. E nemmeno un tiro a segno. È un duello. Un duello di nervi tra portiere e tiratore. A vincere sarà colui che manterrà i nervi più saldi fino alla fine. E spero di essere stato io, stavolta. Un po’ di gloria non mi farebbe male …
  
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