You could be my
unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse, unintended.
Capitolo dieci
Amici
«Di
cosa sono ripiene?»
«Miglio, Bob, miglio. Sarà la terza volta che te
lo ripeto.» disse roteando gli
occhi e portandosi in bocca un altro pezzo di zucchina.
«No, perché,» cercai di dire ingoiando,
«sono molto più buone di quanto
pensassi.» annuii.
Lei rise, incrociando le gambe sulla sedia di plastica trasparente ed
afferrando il bicchiere di vino.
«Te l’avevo detto. Sono un capo in
cucina.» disse soddisfatta di sé.
Sorrisi e feci spallucce. «Probabile.»
Lei roteò gli occhi, sospirando. «La mia insalata
di verdure miste tiepide, mi
pare tu ne abbia mangiato due porzioni.» osservò.
«Oh, beh… ma, insomma…
perché è leggera come pietanza e per saziarmi ho
bisogno
di quantità maggiori.» dissi agitando la forchetta
in aria.
Rise. «Certo, certo.»
«No, seriamente. Ancora esterrefatto dalla mille ed ignote
qualità di Rachel
Stevens.» sorrisi guardandola in volto, prima di fissare le
zucchine nel
piatto.
«Me la cavo.» ripose portandosi ancora la forchetta
alle labbra.
«Okay, te la cavi.» dissi scuotendo il capo e
poggiandomi allo schienale della
sedia.
«No, non è sicuramente il bianco.» disse
d’un tratto guardandomi. Alzai lo
sguardo, bassi sul piatto, puntando i miei occhi nei suoi.
«Scusa?» chiesi confuso.
«Non è il bianco. Ne sono certa.»
annuì alle sue stessa parole.
«Dovrei sapere di cosa stai parlando?» chiesi
ancora confuso.
«Il tuo colore preferito. Non è il
bianco.»
Arricciai le labbra. «Come fai a saperlo?» chiesi
inclinando il capo.
«Beh… il bianco, per me, rispecchia limpidezza,
estrema tranquillità… e un po’
di monotonia. E tu non
sei così.» si
spiegò facendo spallucce.
«E quindi quale sarebbe?» chiesi poggiandomi con le
braccia sul tavolo di legno
chiaro.
«Ancora non lo so. Vado per esclusione.» rispose
poggiandosi allo schienale
della sedia ad affondando il viso nel bicchiere.
«Allora attenderò, da bravo ragazzo.»
«Ciò vuol dire che non è il
bianco.»
«Già.»
«Ti spiace se metto un po’ di musica?»
«No, fa pure.» dissi annuendo e prendendo il
bicchiere per bere.
Rachel lasciò il suo e scattò in piedi, correndo
in soggiorno.
«Vuoi decidere tu, o decido io?» urlò,
ed in sottofondo sentii il rumore delle
custodie dei cd.
«Tu!» risposi voltandomi verso la porta della
cucina, come per permetterle di
sentirmi meglio.
«Okay!»
Pochi attimi e il cd partì. Riconobbi subito le prime note.
Sgranai gli occhi.
In quell’esatto momento Rachel tornò in cucina
sedendosi sulla sedia.
«Aerosmith?» chiesi alzando le sopracciglia.
«Hai detto che potevo decidere io. Vuoi che… che
cambi?» chiese corrugando la
fronte.
«Oh, no, no. Va benissimo. Credevo fossi più il
tipo da pop rock.»
«Uhm… no. Sono cresciuta con i Rolling Stones,
ricordi?»
Risi e scossi il capo. «Ti prendo in giro, ragazzina.»
«Oh.»
mormorò portandosi il
polpastrello dell’indice sulle labbra.
«Beh,» disse poi agitando le mano in
aria, «l’avevo capito.»
Repressi una risata mordendomi il labbro inferiore. «Certo,
non avevo dubbi al
riguardo.»
Per alcuni istanti rimanemmo l’uno negli occhi
dell’altra ed ero sicuro volesse
ridere anche lei. Istante dopo le nostre risate inondarono la stanza
confondendosi con le note di
Falling in Love.
«Tieni.» alzai
lo sguardo e afferrai
il grande bicchiere di vetro,
contenente mousse al cioccolato.
«Grazie.» dissi sorridendole ed affondando il
cucchiaino nel cioccolato.
Rachel si sedette accanto a me, sul divano color del fuoco.
«Prego.» disse poi
sfilandosi le scarpe direttamente dal tallone ed incrociando le gambe.
«Le tue calze con le nuvole sono…
meravigliose.» osservai assaggiando la
mousse. «E questa,»
dissi indicando
con il cucchiaino il bicchiere, «è…
paradisiaca.» dissi chiudendo gli occhi e
godendomi il buonissimo e meraviglioso sapore del cioccolato.
Lei rise. «Sono contenta ti piaccia. E’ la cosa che
mi riesce meglio in
assoluto.»
Poggiai la testa allo schienale del divano.
«Sì.» mormorai gustandone ancora il
sapore sulle lingua.
«E piantala!» esclamò in un risolino
Rachel dandomi un leggero spintone sulla
spalla.
Aprii gli occhi e mi voltai verso lei, sorridendole. «Okay,
okay.»
«Quando era piccola nonna Salice me
la faceva sempre, ogni sabato, quando andava a dormire da lei. Poi mi
ha
insegnato a farla. E non è difficile, anzi è
piuttosto semplice.» disse
portandosi il cucchiaino alle labbra e fissando il cuscino del divano.
Con la
schiena era poggiata al guanciale.
«Ti manca.»
«Non è una domanda.»
«Lo so.»
«Non vorrai metterti a fare lo psicologo con me.»
disse e la sua voce era
fredda. Alzò lo sguardo sul mio viso e i suoi occhi
s’illuminarono quasi di…
rammarico misto a rabbia, come un lampo nel cielo notturno in tempesta.
«No, non lo farei mai.» dissi con fare dolce, un
angolo della bocca rivoltò
verso l’alto.
«Bene.» disse annuendo piano, abbassando ancora lo
sguardo e, in quel momento,
apparve una bambina, dolce ed indifesa, desiderosa di calore umano.
«Comunque,
sì, mi manca. Terribilmente.» mormorò.
Provai l’irresistibile impulso di stringerla a me, e
sussurrarle che lei era
comunque lì.
«Odio parlarne, sai?» disse guardandomi in volto.
«Tutti ti guardano con
compassione, della serie “che pena”. E’
irritante.» ammise portandosi una
ciocca di capelli dietro un orecchio.
Rimasi lì, immobile, con sguardo indecifrabile, e guardarla,
ad osservare un
altro lato di Rachel Stevens, quello fragile come cristallo.
Non avevo ben idea di cosa fare, cosa dire. Così, mormorai
ciò che mi passò per
la testa, in quello stesso istante. «Sai, Rachel…
a volte la gente ha solo
paura di aggravare la situazione e cerca di dire cose che ritengano
facciano
piacere, ma in realtà, non fanno che aggravare le cose,
accorgendosene solo in
un secondo momento. Certe cose sono le uniche da poter dire, in certe
occasioni.»
«Forse.» sussurrò. «Questa non
l’avevo ancora sentita. Sei un pozzo di saggezza.»
cercò di ironizzare abbozzando un sorriso.
Sorrisi e le presi una ciocca di capelli neri come la pece, giocandoci
un
istante, per poi lasciarla andare oltre la sua spalla.
«Sorrideresti per me,
ragazzina?» chiesi, ed istintivamente le sue labbra si
aprirono in un sorriso.
«Grazie.» disse. «Qualcuno che mi abbia
parlato… con… con…
maturità.» disse
annuendo.
Mi passai una mano su un sopracciglio, indugiando poi sulla mandibola.
«Robert?» disse. La guardai, sorpreso. Non mi
chiamava così dal primo incontro
agli studi. La sua voce era titubante ed armoniosa, morbida come il
miele.
«Posso abbracciarti?» chiese e gli angoli della sua
bocca si sollevarono verso
gli occhi, giungendo agli occhi turchesi.
Di rimando sorrisi, intenerito. Scossi il capo e feci un risolino.
«Oh, certo che puoi, sciocca ragazzina!» dissi
allargando le braccia e
stringendola con delicatezza al mio petto.
Rachel vi si accoccolò contro e sentii la sua guancia
premere sulla mia
maglietta leggere.
Respirò a fondo ed alzò lo sguardo, cercando il
mio. «Amico Bobby. Suona
bene, no?»
«Sì, direi di sì, amica
Rachel.»
«E’ strano… però,
è come se ti conoscessi da sempre. Cioè, so che
può sembrare
una frase scontata ed idiota, ma mi rendo conto che è vera,
è reale. Delle
volte succede. Non prendermi per pazza.» ridacchiò.
«Sai, Rachel… credo tu abbia ragione. Delle
volte… è reale. E sei pazza tu,
beh, allora lo sono anch’io.»
Mi portai la
sigaretta alle labbra, aspirai il fumo, ed
osservai il fumo che in spirali si alzava nell’aria calda
della stanza.
L’orologio segnava l’una di notte, ed io ero ancora
a casa di Rachel. Seduto
sulla poltrona blu, la gambe sul guanciale e la schiena poggiata allo
schienale, buttai indietro la testa lasciandomi cullare dalle note dei
Pink
Floyd.
«Questa musica… ti fa entrare in trans.»
osservai portandomi ancora la
sigaretta alle labbra. Con lo sguardo, senza spostarmi di un centimetro
guardai
Rachel. Le gambe erano poggiate allo schienale, ricadendo oltre esse,
mentre la
testa penzolava dai grandi cuscini, i capelli ricadevano sulle tavole
di legno
del pavimento.
Alzai un sopracciglio e lei mi guardò.
«Dici?» chiese con aria innocente.
Risi sommessamente. «Sì.»
«Ti fa sentire leggero. Come se… come
se… fossi sotto effetto di cannabis, non
credi?»
«Sì.»
«Devo farlo più spesso, è rilassante,
sai? Solo che, col sangue che fluisce
alla testa, conversare è un po’
difficile.» osservò agitandosi le mani davanti
agli occhi.
Risi, aspirando ancora del fumo. «Forse dovresti alzarti,
Rachel.»
«Sì, credo lo farò.» disse
senza però spostarsi, guardandomi.
«Allora?»
«Stavo notando che al contrario sembri bello.»
disse corrugando la fronte e
cercando di inclinare il capo, con grande insuccesso.
«Ehi, io sono bello.» dissi alzando il capo.
«Okay, devo alzarmi.» mormorò sbattendo
ripetutamente la palpebre e mettendosi
a sedere sul divano.
«Io sono bello.» mi difesi. «Secondo
molti l’uomo più sexy sul pianeta.» la
stuzzicai.
«Certo… “uomo”…
“più bello”… “del
pianeta”. Credici finché puoi.» disse
stendendosi sul divano, con la testa rivolta verso la mie gambe.
«Tanto lo so che lo pensi anche tu.»
Inclinò il capo leggermente all’indietro,
guardandomi. «Cosa te lo fa pensare?»
Feci spallucce. «Sesto senso.», e spensi
l’ormai finita sigaretta nel
posacenere sul tavolino.
«Ed un terzo occhio sul mento.»
Risi e scossi il capo. «Scema.» e poggiai il
polpaccio sulla sua testa.
«Ehm… Bob?» disse lui intrecciando le
mani sul ventre ed incrociando i piedi.
«Dimmi.»
«Ti spiace togliere questa zampaccia dalla mia
fronte?»
«Non lo so. Questa posizione è dannatamente
comoda. Non trovi?»
«No, non trovo.» disse afferrando la mia gamba e
lasciandola cadere oltre la
sua testa. Poi incrociò le dita sul ventre piatto, fasciato
da una canotta
nera.
Sghignazzai e alzai nuovamente la gamba poggiandola ancora sulla sua
fronte.
«Quale parte del “no” non ti è
chiara, Bob?», e con forza spostò la mia gamba.
Risi. «Sei
uno spasso.» dissi
scompigliandole i capelli.
«Oh, grazie. Questo sì, che è un
complimento.» disse
«Non c’è di che.»
«Nonnino?»
«Dimmi, ragazzina.»
«Ti va una birra?»
«Perché no.»
«Bene, arrivo.» disse e scattò
giù dal divano con agilità, prima di saltare
oltre le mie gambe e camminare a passo svelgo verso la cucina.
Chiusi un attimo gli occhi cercando di distinguere i rumori provenienti
dalla
cucina, sovrastati dallo stereo.
Dopo pochi secondi la sua voce irruppe nel silenzio della mia testa,
tanto
vicina ed inaspettata da farmi sobbalzare.
«Uh, ti ho spaventato?» chiese sbattendo le
palpebre con fare civettuolo e
porgendomi la bottiglia.
«Nah, sono un uomo io.» dissi bevendone un sorso.
Rachel mi guardò, alzando le sopracciglia e mordendosi il
labbro inferiore.
«Ah, sì.» annuì poi.
«Uomo sexy. Scusa, dimenticavo. Chissà dove ho la
testa
oggi.» mormorò, ma sembrava parlasse
più con se stessa che con me.
«Probabilmente con le mucche assassine.»
Rise e mi lanciò un cuscino, prendendomi in pieno viso.
«Tu sei il vero
assassino.»
«Idiota.» ridacchiai lanciandole il cuscino, che
afferrò con una mano,
poggiandolo sul divano.
«Esci mai, Bob?»
«La smetteresti di chiamarmi, Bob?»
Rachel alzò un sopracciglio. «E come vorresti ti
chiamassi?»
«Non so… Rob?» chiesi bevendo un sorso
di birra.
«Nah, troppo comune.»
«Robert?»
«Troppo serio.»
Sbuffai. «Okay, ci rinuncio.»
Rachel represso un gridolino di vittoria. La fulminai con lo sguardo e
lei
tossi annuendo col capo prima di portarsi la bottiglia alle labbra.
«Dicevo prima che mi interrompessi, Bob…
esci?»
«No… cioè, sì. Non
spesso.»
«Perché?» chiese inclinando il capo
verso per guardarmi meglio. I capelli le
finirono danti la spalla, quasi accarezzandogliela.
«Non lo so, in verità.»
«Quanti anni hai detto di avere?»
«Ventitré.»
«Dovresti darti alla vita notturna, amico.»
disse bevendo ancora.
«E’ ciò che dicono.» ammisi
con un cenno del capo.
Rachel si portò una mano sul mento, accarezzandoselo appena,
prima di fissare
con aria concentrata il pavimento. «Bene, domani verrai con
me.»
Sgranai gli occhi. «Cosa? Dove?»
Fece spallucce. «In nessun posto.»
«In nessun posto?» chiesi alzando un sopracciglio.
«Beh… in giro, non so bene dove. Domani esco con i
ragazzi della band. E verrai
anche tu.» disse portandosi le ginocchia al petto.
«Non credo sia il caso.»
«Dai, Bob, ti farà bene. Ci
divertiremo.» m’implorò lei gattonando
sul divano
ed avvicina dosi a me. Sbatté più volte le
palpebre, sporgendo il labbro
inferiore.
Istintivamente feci un risolino. «Okay,
d’accordo.»
«Ti passo a prendere io per le dieci.» disse
sedendosi a gambe incrociate.
«Okay.» sospirai.
Per alcuni istanti i suoi occhi indugiarono nei miei e, alla fioca luce
dalla
lunga lampada di cartone poggiata accanto al divano, la sue pelle parve
essere
della stessa consistenza della seta, priva di qualsiasi imperfezione.
Ed in
fondo, lo era.
Sorrisi fra me.
«Che c’è?» chiese lei quasi
avvampando di rossore, portandosi una ciocca di
capelli dietro un orecchio.
«Non lo so.» mormorai. Poi scostai lo sguardo
sull’orologio e feci una smorfia.
«Devi andare?», e nella sua voce potei quasi udire
delusione.
«Credo di sì.» dissi alzandomi e
dirigendomi in cucina, seguito da lei. Poggiai
la bottiglia accanto al lavabo, che l’ora precedente avevamo
ben pulito, ed
afferrai la giacca dalla sedia.
«E’ stata una bella serata, Rachel.»
dissi sorridendole. Lei alzo lo sguardo
sul mio viso ed annuì col capo.
«Sì, sono stata bene.» rispose
incrociando le braccia al petto e dondolando sui
talloni.
«Allora ci vediamo domani.» disse dirigendomi verso
al porta d’ingresso.
«Certo. E ricordati della serata.»
«Lo farò.»
«Bene.»
Afferrai la maniglia, ma prima di aprire la porta, mi voltai verso
Rachel. I
suoi occhi turchesi erano impetrabili, avrei voluto leggervi qualcosa,
ma non
ci riuscii.
«Grazie.» mormorai.
«Grazie.» rispose lei reggendo il mio sguardo. Poi
piano si avvicinò, con
strema lentezza ed alzandosi in punta di piedi si avvicinò
al mio viso,
baciandomi una guancia.
«’notte, amico mio.» mormorò
prima di allontanarsi.
«’notte, ragazzina.»
Uscii, chiudendomi la porta alle spalle, felice di aver trovato
qualcuno che mi
facesse sentire… me.
*
Purtroppo
non posso ringraziare a modo. E’ tardi e domani mattina
presto ho un treno… ed
io sono ancora qui.
Un grazie speciale e chi ha recensito lo scorso capitolo: Nessie93, Piccola
Ketty,
ginevrapotter, Ryry_
e KeLsey.
E
grazie a te, Ely.
E grazia a te, Kate.
A
voi, un bacio,
Panda.