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Autore: NeverThink    13/07/2010    4 recensioni
Si dice che non ci sia niente di meglio dell’amore.
Si dice che l’amore elevi l’animo dell’uomo, ingentilendolo.
Si dice che l’amore ti trascina, ti travolge e ti sconvolge.
In fondo è vero, lo so perché l’ho provato.
Ma soprattutto si di dice che l’amore sia irrazionale…

[..] Poi ci sono giorni in cui, invece, non ti va di fare ciò che dovresti fare. Ed era ciò che stava succedendo a me in quel momento. Mentre con la mente mi perdevo in spazi infiniti, nel mare azzurro dei Caraibi, nella bianca e sottile sabbia della spiaggia, qualcuno bussò crudelmente alla porta. Riemersi dall’oceano di fantasia e immaginazione mi ero immerso ritornando alla realtà… che di certo non era tanto dolce ed assolata come quella dei Caraibi.
Ero steso sul piccolo divano, con la testa che penzolava dal bracciolo e spirali di fumo che si alzavano nell’aria. La luce della luna, pigra e chiara, filtrava attraverso il vetro, illuminando la piccola stanza.
Si, quello non era decisamente una spiaggia caraibica. Sospirai e spensi la sigaretta nel posacenere poggiato ai piedi del divano. [..]
[Non è Robsten... più o meno]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse, unintended.

 

 

Capitolo dieci

Amici

 

«Di cosa sono ripiene?»
«Miglio, Bob, miglio. Sarà la terza volta che te lo ripeto.» disse roteando gli occhi e portandosi in bocca un altro pezzo di zucchina.
«No, perché,» cercai di dire ingoiando, «sono molto più buone di quanto pensassi.» annuii.
Lei rise, incrociando le gambe sulla sedia di plastica trasparente ed afferrando il bicchiere di vino.
«Te l’avevo detto. Sono un capo in cucina.» disse soddisfatta di sé.
Sorrisi e feci spallucce. «Probabile.»
Lei roteò gli occhi, sospirando. «La mia insalata di verdure miste tiepide, mi pare tu ne abbia mangiato due porzioni.» osservò.
«Oh, beh… ma, insomma… perché è leggera come pietanza e per saziarmi ho bisogno di quantità maggiori.» dissi agitando la forchetta in aria.
Rise. «Certo, certo.»
«No, seriamente. Ancora esterrefatto dalla mille ed ignote qualità di Rachel Stevens.» sorrisi guardandola in volto, prima di fissare le zucchine nel piatto.
«Me la cavo.» ripose portandosi ancora la forchetta alle labbra.
«Okay, te la cavi.» dissi scuotendo il capo e poggiandomi allo schienale della sedia.
«No, non è sicuramente il bianco.» disse d’un tratto guardandomi. Alzai lo sguardo, bassi sul piatto, puntando i miei occhi nei suoi.
«Scusa?» chiesi confuso.
«Non è il bianco. Ne sono certa.» annuì alle sue stessa parole.
«Dovrei sapere di cosa stai parlando?» chiesi ancora confuso.
«Il tuo colore preferito. Non è il bianco.»
Arricciai le labbra. «Come fai a saperlo?» chiesi inclinando il capo.
«Beh… il bianco, per me, rispecchia limpidezza, estrema tranquillità… e un po’ di monotonia. E tu  non sei così.» si spiegò facendo spallucce.
«E quindi quale sarebbe?» chiesi poggiandomi con le braccia sul tavolo di legno chiaro.
«Ancora non lo so. Vado per esclusione.» rispose poggiandosi allo schienale della sedia ad affondando il viso nel bicchiere.
«Allora attenderò, da bravo ragazzo.» 
«Ciò vuol dire che non è il bianco.»
«Già.»
«Ti spiace se metto un po’ di musica?»
«No, fa pure.» dissi annuendo e prendendo il bicchiere per bere.
Rachel lasciò il suo e scattò in piedi, correndo in soggiorno.
«Vuoi decidere tu, o decido io?» urlò, ed in sottofondo sentii il rumore delle custodie dei cd.
«Tu!» risposi voltandomi verso la porta della cucina, come per permetterle di sentirmi meglio.
«Okay!»
Pochi attimi e il cd partì. Riconobbi subito le prime note. Sgranai gli occhi. In quell’esatto momento Rachel tornò in cucina sedendosi sulla sedia.
«Aerosmith?» chiesi alzando le sopracciglia.
«Hai detto che potevo decidere io. Vuoi che… che cambi?» chiese corrugando la fronte.
«Oh, no, no. Va benissimo. Credevo fossi più il tipo da pop rock.»
«Uhm… no. Sono cresciuta con i Rolling Stones, ricordi?»
Risi e scossi il capo. «Ti prendo in giro, ragazzina
«Oh.» mormorò portandosi il polpastrello dell’indice sulle labbra. «Beh,» disse poi agitando le mano in aria, «l’avevo capito.»
Repressi una risata mordendomi il labbro inferiore. «Certo, non avevo dubbi al riguardo.»
Per alcuni istanti rimanemmo l’uno negli occhi dell’altra ed ero sicuro volesse ridere anche lei. Istante dopo le nostre risate inondarono la stanza confondendosi con le note  di Falling in Love.


«Tieni.»  alzai lo sguardo e  afferrai il grande bicchiere di vetro, contenente mousse al cioccolato.
«Grazie.» dissi sorridendole ed affondando il cucchiaino nel cioccolato.
Rachel si sedette accanto a me, sul divano color del fuoco. «Prego.» disse poi sfilandosi le scarpe direttamente dal tallone ed incrociando le gambe.
«Le tue calze con le nuvole sono… meravigliose.» osservai assaggiando la mousse. «E questa,» dissi indicando con il cucchiaino il bicchiere, «è… paradisiaca.» dissi chiudendo gli occhi e godendomi il buonissimo e meraviglioso sapore del cioccolato.
Lei rise. «Sono contenta ti piaccia. E’ la cosa che mi riesce meglio in assoluto.»
Poggiai la testa allo schienale del divano. «Sì.» mormorai gustandone ancora il sapore sulle lingua.
«E piantala!» esclamò in un risolino Rachel dandomi un leggero spintone sulla spalla.
Aprii gli occhi e mi voltai verso lei, sorridendole. «Okay, okay.»
«Quando era piccola nonna Salice me la faceva sempre, ogni sabato, quando andava a dormire da lei. Poi mi ha insegnato a farla. E non è difficile, anzi è piuttosto semplice.» disse portandosi il cucchiaino alle labbra e fissando il cuscino del divano. Con la schiena era poggiata al guanciale.
«Ti manca.»
«Non è una domanda.»
«Lo so.»
«Non vorrai metterti a fare lo psicologo con me.» disse e la sua voce era fredda. Alzò lo sguardo sul mio viso e i suoi occhi s’illuminarono quasi di… rammarico misto a rabbia, come un lampo nel cielo notturno in tempesta.
«No, non lo farei mai.» dissi con fare dolce, un angolo della bocca rivoltò verso l’alto.
«Bene.» disse annuendo piano, abbassando ancora lo sguardo e, in quel momento, apparve una bambina, dolce ed indifesa, desiderosa di calore umano. «Comunque, sì, mi manca. Terribilmente.» mormorò.
Provai l’irresistibile impulso di stringerla a me, e sussurrarle che lei era comunque lì. 
«Odio parlarne, sai?» disse guardandomi in volto. «Tutti ti guardano con compassione, della serie “che pena”. E’ irritante.» ammise portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Rimasi lì, immobile, con sguardo indecifrabile, e guardarla, ad osservare un altro lato di Rachel Stevens, quello fragile come cristallo.
Non avevo ben idea di cosa fare, cosa dire. Così, mormorai ciò che mi passò per la testa, in quello stesso istante. «Sai, Rachel… a volte la gente ha solo paura di aggravare la situazione e cerca di dire cose che ritengano facciano piacere, ma in realtà, non fanno che aggravare le cose, accorgendosene solo in un secondo momento. Certe cose sono le uniche da poter dire, in certe occasioni.»
«Forse.» sussurrò. «Questa non l’avevo ancora sentita. Sei un pozzo di saggezza.» cercò di ironizzare abbozzando un sorriso.
Sorrisi e le presi una ciocca di capelli neri come la pece, giocandoci un istante, per poi lasciarla andare oltre la sua spalla. «Sorrideresti per me, ragazzina?» chiesi, ed istintivamente le sue labbra si aprirono in un sorriso.
«Grazie.» disse. «Qualcuno che mi abbia parlato… con… con… maturità.» disse annuendo.
Mi passai una mano su un sopracciglio, indugiando poi sulla mandibola.
«Robert?» disse. La guardai, sorpreso. Non mi chiamava così dal primo incontro agli studi. La sua voce era titubante ed armoniosa, morbida come il miele. «Posso abbracciarti?» chiese e gli angoli della sua bocca si sollevarono verso gli occhi, giungendo agli occhi turchesi.
Di rimando sorrisi, intenerito. Scossi il capo e feci un risolino.
«Oh, certo che puoi, sciocca ragazzina!» dissi allargando le braccia e stringendola con delicatezza al mio petto.
Rachel vi si accoccolò contro e sentii la sua guancia premere sulla mia maglietta leggere.
Respirò a fondo ed alzò lo sguardo, cercando il mio. «Amico Bobby. Suona bene, no?»
«Sì, direi di sì, amica Rachel.»
«E’ strano… però, è come se ti conoscessi da sempre. Cioè, so che può sembrare una frase scontata ed idiota, ma mi rendo conto che è vera, è reale. Delle volte succede. Non prendermi per pazza.» ridacchiò.
«Sai, Rachel… credo tu abbia ragione. Delle volte… è reale. E sei pazza tu, beh, allora lo sono anch’io.»

 

Mi portai la sigaretta alle labbra, aspirai il fumo, ed osservai il fumo che in spirali si alzava nell’aria calda della stanza.
L’orologio segnava l’una di notte, ed io ero ancora a casa di Rachel. Seduto sulla poltrona blu, la gambe sul guanciale e la schiena poggiata allo schienale, buttai indietro la testa lasciandomi cullare dalle note dei Pink Floyd.
«Questa musica… ti fa entrare in trans.» osservai portandomi ancora la sigaretta alle labbra. Con lo sguardo, senza spostarmi di un centimetro guardai Rachel. Le gambe erano poggiate allo schienale, ricadendo oltre esse, mentre la testa penzolava dai grandi cuscini, i capelli ricadevano sulle tavole di legno del pavimento.
Alzai un sopracciglio e lei mi guardò. «Dici?» chiese con aria innocente.
Risi sommessamente. «Sì.»
«Ti fa sentire leggero. Come se… come se… fossi sotto effetto di cannabis, non credi?»
«Sì.»
«Devo farlo più spesso, è rilassante, sai? Solo che, col sangue che fluisce alla testa, conversare è un po’ difficile.» osservò agitandosi le mani davanti agli occhi. 
Risi, aspirando ancora del fumo. «Forse dovresti alzarti, Rachel.»
«Sì, credo lo farò.» disse senza però spostarsi, guardandomi.
«Allora?»
«Stavo notando che al contrario sembri bello.» disse corrugando la fronte e cercando di inclinare il capo, con grande insuccesso.
«Ehi, io sono bello.» dissi alzando il capo.
«Okay, devo alzarmi.» mormorò sbattendo ripetutamente la palpebre e mettendosi a sedere sul divano.
«Io sono bello.» mi difesi. «Secondo molti l’uomo più sexy sul pianeta.» la stuzzicai.
«Certo… “uomo”… “più bello”… “del pianeta”. Credici finché puoi.» disse stendendosi sul divano, con la testa rivolta verso la mie gambe.
«Tanto lo so che lo pensi anche tu.»
Inclinò il capo leggermente all’indietro, guardandomi. «Cosa te lo fa pensare?»
Feci spallucce. «Sesto senso.», e spensi l’ormai finita sigaretta nel posacenere sul tavolino.
«Ed un terzo occhio sul mento.»
Risi e scossi il capo. «Scema.» e poggiai il polpaccio sulla sua testa.
«Ehm… Bob?» disse lui intrecciando le mani sul ventre ed incrociando i piedi.
«Dimmi.»
«Ti spiace togliere questa zampaccia dalla mia fronte?»
«Non lo so. Questa posizione è dannatamente comoda. Non trovi?»
«No, non trovo.» disse afferrando la mia gamba e lasciandola cadere oltre la sua testa. Poi incrociò le dita sul ventre piatto, fasciato da una canotta nera.
Sghignazzai e alzai nuovamente la gamba poggiandola ancora sulla sua fronte.
«Quale parte del “no” non ti è chiara, Bob?», e con forza spostò la mia gamba.
Risi.  «Sei uno spasso.» dissi scompigliandole i capelli.
«Oh, grazie. Questo sì, che è un complimento.» disse
«Non c’è di che.»
«Nonnino?»
«Dimmi, ragazzina.»
«Ti va una birra?»
«Perché no.»
«Bene, arrivo.» disse e scattò giù dal divano con agilità, prima di saltare oltre le mie gambe e camminare a passo svelgo verso la cucina.
Chiusi un attimo gli occhi cercando di distinguere i rumori provenienti dalla cucina, sovrastati dallo stereo.
Dopo pochi secondi la sua voce irruppe nel silenzio della mia testa, tanto vicina ed inaspettata da farmi sobbalzare.
«Uh, ti ho spaventato?» chiese sbattendo le palpebre con fare civettuolo e porgendomi la bottiglia.
«Nah, sono un uomo io.» dissi bevendone un sorso.
Rachel mi guardò, alzando le sopracciglia e mordendosi il labbro inferiore. «Ah, sì.» annuì poi. «Uomo sexy. Scusa, dimenticavo. Chissà dove ho la testa oggi.» mormorò, ma sembrava parlasse più con se stessa che con me.
«Probabilmente con le mucche assassine.»
Rise e mi lanciò un cuscino, prendendomi in pieno viso. «Tu sei il vero assassino.»
«Idiota.» ridacchiai lanciandole il cuscino, che afferrò con una mano, poggiandolo sul divano.
«Esci mai, Bob?»
«La smetteresti di chiamarmi, Bob?»
Rachel alzò un sopracciglio. «E come vorresti ti chiamassi?»
«Non so… Rob?» chiesi bevendo un sorso di birra.
«Nah, troppo comune.»
«Robert?»
«Troppo serio.»
Sbuffai. «Okay, ci rinuncio.»
Rachel represso un gridolino di vittoria. La fulminai con lo sguardo e lei tossi annuendo col capo prima di portarsi la bottiglia alle labbra.
«Dicevo prima che mi interrompessi, Bob… esci?»
«No… cioè, sì. Non spesso.»
«Perché?» chiese inclinando il capo verso per guardarmi meglio. I capelli le finirono danti la spalla, quasi accarezzandogliela.
«Non lo so, in verità.»
«Quanti anni hai detto di avere?»
«Ventitré.»
«Dovresti darti alla vita notturna, amico.» disse bevendo ancora.
«E’ ciò che dicono.» ammisi con un cenno del capo.
Rachel si portò una mano sul mento, accarezzandoselo appena, prima di fissare con aria concentrata il pavimento. «Bene, domani verrai con me.»
Sgranai gli occhi. «Cosa? Dove?»
Fece spallucce. «In nessun posto.»
«In nessun posto?» chiesi alzando un sopracciglio.
«Beh… in giro, non so bene dove. Domani esco con i ragazzi della band. E verrai anche tu.» disse portandosi le ginocchia al petto.
«Non credo sia il caso.»
«Dai, Bob, ti farà bene. Ci divertiremo.» m’implorò lei gattonando sul divano ed avvicina dosi a me. Sbatté più volte le palpebre, sporgendo il labbro inferiore.
Istintivamente feci un risolino. «Okay, d’accordo.»
«Ti passo a prendere io per le dieci.» disse sedendosi a gambe incrociate.
«Okay.» sospirai.
Per alcuni istanti i suoi occhi indugiarono nei miei e, alla fioca luce dalla lunga lampada di cartone poggiata accanto al divano, la sue pelle parve essere della stessa consistenza della seta, priva di qualsiasi imperfezione. Ed in fondo, lo era.
Sorrisi fra me.
«Che c’è?» chiese lei quasi avvampando di rossore, portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Non lo so.» mormorai. Poi scostai lo sguardo sull’orologio e feci una smorfia.
«Devi andare?», e nella sua voce potei quasi udire delusione.
«Credo di sì.» dissi alzandomi e dirigendomi in cucina, seguito da lei. Poggiai la bottiglia accanto al lavabo, che l’ora precedente avevamo ben pulito, ed afferrai la giacca dalla sedia.
«E’ stata una bella serata, Rachel.» dissi sorridendole. Lei alzo lo sguardo sul mio viso ed annuì col capo.
«Sì, sono stata bene.» rispose incrociando le braccia al petto e dondolando sui talloni.
«Allora ci vediamo domani.» disse dirigendomi verso al porta d’ingresso.
«Certo. E ricordati della serata.»
«Lo farò.»
«Bene.»
Afferrai la maniglia, ma prima di aprire la porta, mi voltai verso Rachel. I suoi occhi turchesi erano impetrabili, avrei voluto leggervi qualcosa, ma non ci riuscii.
«Grazie.» mormorai.
«Grazie.» rispose lei reggendo il mio sguardo. Poi piano si avvicinò, con strema lentezza ed alzandosi in punta di piedi si avvicinò al mio viso, baciandomi una guancia.
«’notte, amico mio.» mormorò prima di allontanarsi.
«’notte, ragazzina.»
Uscii, chiudendomi la porta alle spalle, felice di aver trovato qualcuno che mi facesse sentire… me.

 

*

Purtroppo non posso ringraziare a modo. E’ tardi e domani mattina presto ho un treno… ed io sono ancora qui.
Un grazie speciale e chi ha recensito lo scorso capitolo: Nessie93, Piccola Ketty, ginevrapotter, Ryry_ e KeLsey.

E grazie a te, Ely.

E grazia a te, Kate.

 

A voi, un bacio,
                       Panda.

   
 
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