Salve a tutti!
Eccomi qua
tornata fresca fresca con una nuova fiction!So bene che dovrei andare avanti
con quelle già iniziate, piuttosto di cominciarne di nuove…ma non ho saputo
proprio resistere!^__^
E’ ambientata più o meno al quinto anno dei
Malandrini, anche se la collocazione temporale non ha
poi così tanta importanza.
Mi piaceva l’idea di creare una serie di piccole
storie, ognuna delle quali parla di un differente sentimento, di un’emozione,
che però nel testo non viene mai nominata. Volevo che
desse l’impressione di qualcosa di delicato e semplice.
E spero di esserci riuscita.
Dragonfly
Qualcosa di piccolo
Queste sono storie sincere, semplici.
Semplici come la pioggia
d’estate, come una tazza di caffè caldo, come un tramonto spiato attraverso una
serratura.
Perché ogni attimo può
nascondere qualcosa. Anche quelli più piccoli.
1.E’ ancora pomeriggio, perché
fuori c’è ancora luce…
E’ ancora pomeriggio, perché fuori c’è ancora luce.
Saranno appena le due.
Pagherebbe qualsiasi somma, qualsiasi, perché il sole
si decidesse a tramontare, e finalmente anche questo stupido Natale fosse finito.
Tutti se ne andrebbero a
casa: saluti, auguri, sorrisi. Tutti falsamente contenti.
Ma in questo momento non ha
proprio voglia di pensare alle menzogne nascoste dietro ad ogni gesto, è
davvero stanco, e poi ormai c’è abituato.
Gli basterebbe solo che se ne andassero
tutti: niente più confusione e occhi carichi di disgusto che lo fissano.
Come se non sapesse cosa pensano di lui.
Come se non sapesse di essere lì solo per una pura
formalità, solo per dare l’apparenza di una buona famiglia ancora unita.
Altrimenti non l’avrebbero nemmeno
invitato. L’avrebbero lasciato a scuola, con una qualche scusa nemmeno troppo
celata, e una lettera di Buon Natale.
Come se non lo sapesse che sono tutte scuse.
Come se non riuscisse a leggere in ogni sguardo la
compassione, dietro ogni sorriso il disprezzo, per ciò che è, per ciò che non
è, e per l’abisso che separa i due.
Gli viene la nausea.
Corre su per la scalinata di marmo, ignorando le
parole sussurrate, gli sguardi di intesa, le risate
che rimbombano tra le mura.
Per un istante vorebbe essere sordo, per non
sentire tutto questo, per estraniarsi da quel mondo che tanto odia, che tanto
lo odia.
Sarebbe anche quello –Sirius pensa,
correndo con gli occhi chiusi- un modo
per essere liberi.
E’ arrivato all’ultimo piano finalmente, e le voci
arrivano solo lontane, sbiadite, come ricordi del dolore che voleva
dimenticare.
I suoi passi risuonano, distorcendo la loro eco
solitaria per tutto il corridoio.
Voleva scappare da tutto, eppure ora teme la solitudine: vorrebbe qualcuno a cui potersi
appoggiare, non vuole essere lasciato solo, non adesso, non ancora, no, per
favore, no, basta.
Accellera il passo col ritmo del cuore, si sente
perso e non vorrebbe, non dovrebbe essere così,
perché, perché non c’è mai nessuno?
Si ferma di colpo di fronte a
una porta, l’ultima del corridoio, la prima che vede.
La porta della soffitta.
La schiude piano, il legno che cigola sui cardini.
Deve essere parecchio tempo che nessuno entra lì
dentro, poiché ogni cosa è ricoperta da uno spesso strato di polvere.
Avanza con circospezione,
come un cane annusa un estraneo, diffidente e silenzioso.
C’è una piccola finestrella, nascosta nella
penombra, unico occhio sul mondo esterno.
L’apre con un unico colpo e subito il sole taglia
il buio.
Una sola lama, splendente e così densa di luce: la
polvere danza al suo interno, in vortici soffocanti, ed anche Sirus vorrebbe svanire così, in un soffio di luce.
In quella stanza sembra tutto fermo, rimasto
immutato nel tempo fino ad allora, ed ancora, per
sempre.
Un luogo sicuro, in cui fuggire il resto del mondo,
in cui rifugiare le proprie paure, un posto che ti sa ascoltare e che puoi
sentire, con le sue mille voci, con le sue voci di ricordi, e di infanzia, e di inguenuità, e di tutto quello che avresti
voluto ricordare ma che hai perso da tempo.
C’è odore di antico e di
libri: improvvisamente gli viene in mente Remus, e pensa che forse un po’ gli
somiglia.
Anche quella soffitta ti sa ascoltare, ed è
paziente, e piena di segreti che non ti sai spiegare
ma riesci a sentire, ed in fondo anche lei è un po’ triste.
E soprattutto, tutti e due
ti sanno abbracciare in quel modo, in quel modo che a Sirius piace tanto, che
ti fa sentire così amato e così a casa.
Probabilmente adesso è tardi.
Le voci dal salotto non si sentono più, o forse è
Sirius a non sentirle.
Sta seduto sul pavimento polveroso, con le braccia
attorno alle ginocchia e la testa abbandonata sul muro; con gli occhi chiusi e
un piccolo sorriso.
La luce continua a danzare al suo fianco,
silenziosa e senza pretese.
Il sole sta morendo, ma la luce non se ne andrà.
Sirius sa che resterà ancora un po’ per fargli
compagnia, e lui resterà per far compagnia a lei, prima che si spenga pian piano.
Resterà seduto lì, ancora per un poco: gli basta
solo un’altra volta, ma vuole essere abbracciato ancora.