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Autore: _emanuela    13/07/2010    1 recensioni
Ho provato a scrivere una storia di stupro e di perdita della speranza. Non mi convince molto, dovevo entrare maggiormente nei sentimenti della ragazza. Non badate agli errori comessi =).
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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20/11/2008



Sono una semplice studente di nome Atena. Avevo quattordici anni quando la mia vita fu completamente stravolta.
Erano i primi giorni di scuola e la mia timidezza era ben nota. Il suono della campanella segnò l'incontro con il possente uomo che fu l'artefice delle mie paure.
All'epoca ero una ragazzetta che credeva a tutto, la solita ingenua. Sognavo ad occhi aperti. Il principe azzurro, il primo bacio e perché no, anche la prima volta.
Avevo fretta di crescere; avevo fretta di diventare una donna matura. Non avevo ancora compreso che molte volte un bambino, un ragazzo è più intelligente della persona adulta.
In ogni minuto di ora scolastica non c'era persona che non ridesse quando i suoi occhi scrutavano il mio aspetto fisico.
Ero definita la "verginella" dell'Istituto. Non mi sentivo affatto umiliata. Le persone non sono capaci di comprendere le parole che pronunciano.
Non avevo nulla da invidiare a nessuno, studiavo e cercavo di dare il meglio di me, con o senza i risultati sperati.
Era il 15 Marzo, quando conobbi quel diciottenne che incontrai tra i corridoi scolastici.
Quando incrociai il suo sguardo, le mie guancie si tinsero di un rosso che sembrava dar fuoco alla mia ragione.
Un semplice "ciao" ci portò a un "ti amo". Non è facile farmi pronunciare quelle parole, che pur avendo una diversa funzione grammaticale, sono talmente unite, da formarne una.
Parole che possono significare qualsiasi cosa, ma che in questa vita, significano donare se stesso a un’altra persona.
E’ come una lirica, difficile trovare la giusta nota che accompagni tutte le altre.
Passarono mesi dalla nostra relazione. Tutto filava liscio. Eravamo uno lo specchio dell’altro. Il nostro era un museo di amore, gelosie e sorrisi.
Tutto questo, fino al giorno del tuo arresto. Da lì iniziarono le nostre prigioni.
Erano passati due interminabili mesi dalla tua scarcerazione. Finalmente ti avevano assolto. Eri confuso, stanco psicologicamente e partisti, lasciandomi ad aspettarti.
Non sapevo dove eri, cosa facevi e, se eri in buone condizioni mentali e fisiche.
Un giorno come tanti, mentre osservavo il cielo piangere, sentii la solita sirena della polizia.
Decisi di scendere e controllare cosa stesse accadendo.
Nella piazza che si trovava a pochi metri dalla mia abitazione, si era concentrata una folla alquanto agitata.
La situazione non rientrava nei miei interessi, ma per sbaglio, mi ritrovai tra la massa di persone.
Mi sentivo soffocata, cercai di “evadere” e, facendomi spazio in quello che sembrava un lungo percorso, intravidi i lineamenti dell’uomo che stava per essere ammanettato.
Un raggio di sole illuminò il suo “tenebroso” viso.
Eri tu. L’uomo che amavo, era ritornato senza dirmi nulla, senza preoccuparsi di me.
Lavorai, piansi, mi disperai, volevo persino prostituirmi per avere quei maledetti soldi che potessero liberarti.
Dopo mesi e mesi riuscii a raggruppare la giusta somma, se non di più.
Ero diventata uno scheletro, riuscivo a mangiare solo una piccola e sporca mela.
Quando ti vidi dietro quelle sbarre, non riuscivo a crederci. Tu mi abbandoni ed io faccio la fame per liberarti. Questo era il pensiero che mi tormentava in quei giorni.
I tuoi occhi fissavano i miei, e sulla tua bocca un sorriso menefreghista.
Ricordo ancora le tue parole: Ehi grazie verginella per avermi scarcerato, ti ricompenserò molto presto.
Eri diventato così spregevole e stupido. Dovevo capire che ero in pericolo.
Un giorno, che per colpa tua non era più come tanti poiché ero diventata una stecca di gelato, qualcuno bussò alla porta. Tu, insieme a dei tuoi amichetti. In gruppo si è più forti, no?
Mi proferisti testuali parole: Oggi perderai la verginità.
Cercai di fuggire, ma mi bloccaste. Cercai di colpirti, ma non ci riuscii. Ero cieca. Non riuscivo a capire la realtà.
Non avevo forze per urlare, il mio corpo era senza vita.
Ricordo che dopo avermi sbattuto con forza nel muro, mi trattasti come una lurida puttana. Era così che mi definisti.
Volevo fuggire, volevo urlare, volevo morire, volevo piangere. Avevo paura.
Sento ancora quella sensazione nel mio corpo.
Era come una profonda crepa nel terreno, quale il cemento riempiva senza darle spazio, senza farla respirare.
Stuprata, ridotta uno straccio, distrutta nell’animo.
Tutto ciò continuò all’infinito, ero terrorizzata. Le parole che pronunciasti nel momento più orrendo della mia vita, mi tormentavano. Ero sola. Chi poteva dar conto a una ragazzina? Chi poteva dar conto a una come me? Un lurido essere umano, che ha fatto del male a tutti e a tutto.
Ero come una candela spenta; come una candela che aveva consumato la sua cera.
Avevo intenzione di farla finita. Impugnai un coltello e lo portai alla gola.
I miei occhi finirono di rispecchiare la gioia di vivere.
Il mio volto era peccato.
Il mio corpo era sporco.

Nessuno mi conosceva.
Annegavo nell’immensità del peccato.

Infinite domande fluttuavano nella mia mente: Era giusto vivere per dare sfogo a un adolescente con gli ormoni fuori controllo?
Con tal domanda, però, mi domandavo se era giusto morire senza combattere. E la mia risposta fu un si.
Tuttavia, fu un pensiero a prendere il sopravvento. Finisco io e comincia un’altra innocente. Se devo perdere la vita, non è forse giusto farlo lottando contro costui uomo?
Anche se era la persona alla quale avevo dato il mio spirito, dovevo farlo. Ero costretta.
Avevo perso la capacità di avere figli.
Ti denunciai, ma fu tutto inutile.
Ti avevano dato solo cinque maledetti anni.
Tacqui, piansi.
Tutto era un cumulo di “usa e getta”. La giustizia non vi era più.
Passarono cinque anni.
Ero sicura che la mia tortura sarebbe ricominciata.
Dovevo farmi giustizia da sola.
Passarono giorni, mesi.
Finii all’ospedale, in cure. Il mio stato era grave.
Decisi che se io sarei morta, tu mi avresti raggiunto all’inferno.
Non potevo ucciderti, ma non ero lucida.
Dopo tutto quello che mi avevi fatto, non volevo abbassarmi al tuo livello.
Purtroppo stavo morendo e l’unica cosa che pensavo era che pagassi. Non solo cinque anni, ma per sempre.
Corsi via dall’ospedale, il cielo era buio.
Presi i soldi che mi erano rimasti e comprai una pistola.
Sapevo dove eri, ormai per me eri un libro aperto.
Intravidi il tuo volto, puntai la pistola e.
Ti guardai dritto negli occhi.
Le mie mani tremavano, il mio corpo sudava, il mio cuore stava cedendo.
Dovevo sparare alle gambe, c’era maggiore possibilità che tu continuassi a vivere.
22/11/2008

Sparai. Sparai al cuore.
Corsi da te. Il cielo pianse. Chiesi perdono a Dio.
A un certo punto, il mio cuore cessò.
Morii con te.
Morii con il lupo assetato di sangue.
Atena: Nascita 15/03/1986 Morte 22/11/2008
Angelo: Nascita 15/07/1982 Morte 22/11/2008


Invidio le persone che lottano contro il desiderio di vendetta e di morte.

E mentre racconto questa esperienza, una celebre frase di Oscar Wilde, si fa padrona del mio spirito: L'unico modo per resistere a una tentazione è cedere ad essa. Resisti, e la tua anima si ammalerà del desiderio delle cose che si è proibite, di passione per ciò che le tue stesse e mostruose leggi hanno reso mostruoso e illegale.
Terrificante, ma reale.
  
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