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Autore: Alkimia    13/07/2010    2 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Dopo sei ore di studio intensivo, trascorse a mandare a memoria tutta la terminologia tecnica del linguaggio cinematografico, l'autrice dichiara di non essere in possesso delle proprie facoltà mentali, indi rinvia le risposte alle recensioni al prossimo aggiornamento che, si spera, avverrà in tempi più rapidi di questo.
 Intanto si ringraziano tutti i seguitori


***************************

CAPITOLO VENTICINQUESIMO
La fuga

«Aprite!» la voce che pronunciò quell'ordine era aspra e seguì tre pesanti colpi alla porta di ingresso della casa.
Madame Ginette lanciò un'occhiata nervosa verso suo figlio, Alexandre le fece cenno di andare ad aprire,
«Manteniamo tutti la calma» sussurrò assicurandosi che sia sua madre che Raoul udissero la sua raccomandazione.
La donna si strinse nella vestaglia e aprì il battente ricordando a se stessa che, se poteva fare  qualcosa per il figlio che aveva abbandonato, quello era il momento di farlo. 
«Monsieur Bertrand!» esclamò fingendo una smorfia di fastidio davanti all'espressione dura dell'investigatore.
«Perdonate il disturbo, madame Dubois» borbottò l'uomo con un tono tutt'altro che di scusa. «Na dovete lasciarci passare»
«Non abbiamo niente da nascondere» replicò lei con fermezza.
«Allora non avrete problemi a lasciare che i signori della gendarmeria perquisiscano casa vostra»
«Nessun problema» esclamò una voce tranquilla dal fondo del corridoio. Alexandre avanzò lentamente verso l'ingresso e Bertrand entrò con uno scatto, quasi buttando per aria madame Ginette che era ancora davanti alla porta.
«Dov'è lui?» ringhiò l'investigatore fissando il giovane con aria truce.
«Lui chi?»
«Erik!».
Alexandre sorrise tranquillo,
«Non ne ho idea» disse con un tono talmente soave che il volto dell'uomo arrossì per la collera. Nel frattempo Raoul raggiunse anche lui il corridoio e si avvicinò al capitano della gendarmeria,
«Che cosa sta succedendo?» chiese.
«Monsieur Bertrand ci ha detto di essere stato con voi nei sotterranei e che avete aiutato il Fantasma a scappare» rispose l'ufficiale.
«Uhm, e Monsieur Bertrand vi ha anche edotto riguardo al fatto che ha ferito mademoiselle Daae e che ha confessato di essere responsabile dello stupro della ballerina aggredita la notte di capodanno?» intervenne Alexandre.
«Non ho ferito Mademoiselle Daae, è lei che si è messa di mezzo mentre cercavo di fermare quel criminale del Fantasma! In quanto all'aver ammesso lo stupro, lo state affermando voi, ma non potete provarlo» replicò l'investigatore allargando uno dei suoi sorrisi melliflui.
«Ero presente anche io. La parola di uno stimato giornalista e di un visconte di Francia contro la vostra, Bertrand» aggiunse Raoul.
I gendarmi fissarono basiti l'uomo che strinse i pugni nel tentativo di trattenersi dall'assestare un colpo sul naso di quel ragazzino impudente.
«Uno stimato giornalista e un visconte che si stanno rendendo complici di un assassino!» esclamò. «Quale rilevanza possono mai avere le vostre parole?»
«Complici di un assassino?» domandò Madame Ginette fingendo di non capire.
Il capitano della gendarmeria sospirò
«Monsieru Bertrand sospetta che il visconte e vostro figlio abbiano condotto qui quell'uomo conosciuto come il Fantasma dell'Opera insieme a Mademoiselle Daae» spiegò.
«Mademoiselle Daae è qui, ferita da un colpo di pistola sparato dal nostro amico Bertrand» borbottò Alexandre. «L'abbiamo portata via dopo una breve colluttazione nel sottopalco del teatro, in cui il visconte si è visto costretto a colpirlo dal momento che non voleva abbassare l'arma. Del Fantasma dell'Opera non sappiamo che dirvi, di certo non è qui. Controllate pure se volete».
Il capitano annuì e fece cenno ai suoi uomini di ispezionare la casa. Bertrand seguì i gendarmi durante la perquisizione preoccupandosi di controllare personalmente ogni stanza, dentro ogni armadio e sotto ad ogni letto.
«Qui non c'è nessuno» concluse un gendarme scuotendo il capo.
«Non è possibile! Deve essere da qualche parte! Con loro!» tuonò Bertrand irritato.
«Ma come vedete, non c'è» concluse Alexandre scrollando le spalle.
«Impossibile! Non sarebbe mai scappato abbandonando la sua sgualdrina!»
«Monsieur, moderate i termini quando siete in casa mia!» tuonò madame Ginette con fare indignato. «Apostrofare in quel  modo quella povera anima che adesso è inferma in un letto a causa vostra!».
L'investigatore trattenne a stento un moto di stizza, poi sentì un spiffero soffiare contro la sua nuca e si voltò di scatto verso una finestra socchiusa,
«La finestra!» esclamò. «Lo avete fatto scappare da lì! Voglio che degli uomini salgano a controllare il tetto!».
Una morsa di agitazione strinse lo stomaco di Raoul, Alexandre e sua madre, tuttavia mantennero la calma mentre il capitano si affacciava al davanzale e guardava verso l'alto.
«Con tutto il rispetto, monsieur Bertrand, ma è improbabile che quell'uomo sia scappato da qui» asserì l'ufficiale. «Piove ancora molto forte e il tetto sarà certamente troppo scivoloso perché qualcuno possa arrampicarsi, se il Fantasma ci avesse provato sarebbe certamente caduto e siamo a un quinto piano! Che il diavolo mi porti se qualcuno ha avuto il fegato di arrampicarsi su un tetto in una notte come questa!».
Nell'udire quelle parole madame Ginette pregò tra sé e sé che non fosse capitato niente a Erik mentre sgattaiolava fuori e cercò di resistere all'impulso di affacciarsi a ogni finestra della casa per controllare se fosse riverso in strada.
«State dimenticando che quell'uomo è stato capace di sparire nel nulla davanti a un teatro intero!» replicò l'investigatore in tono spazientito. «È meglio se mandate i vostri uomini a controllare»
«Sarebbe un suicidio! Scivolerebbero di sotto! Nessuno può essere scappato da qui, se lo avesse fatto a quest'ora avremmo il suo cadavere schiantato sul ciottolato» protestò ancora l'ufficiale.
Bertrand sbuffò con rabbia, poi si voltò verso Alexandre e lo guardò con un'occhiata penetrante,
«Perché lo fate? Perché lo state aiutando? Come diavolo vi è venuta questa malsana idea di farvi complice di quel mostro?» domandò con un'espressione più delusa che adirata.
Il giornalista gli si avvicinò con passo lento pensando che, grazie a Dio, quando Christine aveva urlato a Erik che loro due erano fratelli, Bertrand fosse privo di conoscenza e che quindi non l'aveva udita,
«La caccia è finita» gli mormorò guardandolo negli occhi. «Fatevene una ragione»
«La caccia non è finita, ragazzo. Lo troverò. Vivo o morto» sibilò l'uomo.
«Per sicurezza i miei uomini pattuglieranno la zona» aggiunse il capitano. «Ma voi adesso dovete seguirci, monsieur»
«Come dite?»
«Dovete venire con me alla gendarmeria» precisò l'ufficiale. «Monsieur Dubois e il visconte De Caghy vi hanno mosso accuse piuttosto serie, dobbiamo quanto meno discuterne».
Bertrand non parve scomporsi,
«Accuse che non possono essere provate, vi ricordo» asserì tranquillo.
«Se la mettete così nemmeno le accuse che voi avete mosso a mio figlio e al visconte possono essere provate, anzi mi pare che le prove raccolte fin qui giochino a loro favore» borbottò madame Ginette. «Li avete accusati di nascondere un criminale che di fatto non è nascosto qui!»
«Vedete, madame, se ne aveste viste tante quante ne ho viste io sapreste che le apparenze ingannano» concluse freddamente l'investigatore prima di uscire seguito dai gendarmi.
Alexandre chiuse la porta alle loro spalle e rimase ad ascoltare i loro passi che scendevano le scale, poi li guardò dalla finestra uscire dal palazzo e allontanarsi lungo la strada.
Era evidente che Erik non fosse caduto, altrimenti se ne sarebbero accorti. Probabilmente era rimasto appostato sul tetto, sotto la pioggia fino a quando non aveva visto i poliziotti andare via.
«Perché non scende? Dove è finito?!» borbottò Alexandre notando che erano passati diversi minuti da quando i poliziotti si erano allontanati e l'uomo non accennava a rientrare, mentre fuori continuava a piovere e madame Ginette sembrava sempre più ansiosa.
«E se nel frattempo è sceso in strada e qualcuno lo ha visto?» esclamò la donna preoccupata.
«No, non è così stupido da farsi vedere! Dannazione è notte fonda e sta diluviando, non c'è nessuno in strada a parte i gendarmi» borbottò il giornalista.
«Non è così stupido da farsi trovare ma è abbastanza pazzo da aver fatto qualche follia» commentò bieco Raoul.
«E cioè?»
«Scommetto tutti i possedimenti della mia famiglia che è tornano al teatro» disse il visconte.
Alexandre sgranò gli occhi,
«E perché mai avrebbe fatto un simile idiozia?!» esclamò.
«Perché, nel caso tu non te ne fossi accorto, il nostro caro Fantasma è un pazzo!»
«Perché sta rischiando in quel modo?!... Oddio, ha visto Bertrand e vuole vendicarsi»
«Alexandre, vallo a cercare!» disse madame Ginette allarmata.
«Non posso, se i gendarmi mi vedono in giro capiranno che lo stiamo aiutando, o comunque potrebbero insospettirsi» replicò il ragazzo.
«Ma se uccide Bertrand non farà che complicare la situazione, ammesso che possa complicarsi più di quanto già non lo sia!» aggiunse Raoul.
Alexandre si lasciò cadere stancamente su una poltrona,
«Temo che non possiamo più fare altro» ammise con un sospiro. «Dobbiamo solo aspettare»
«E sperare che Christine non si svegli e non si accorga della sua assenza» concluse il visconte.

*

Il tetto era pericolosamente scivoloso con tutta quella pioggia che continuava a cadere. Arrampicarsi fin lassù era rischioso, ma non per lui. Non per il Fantasma dell'Opera, abituato a scale, cunicoli bui e umidi e funi. Quelle imprese spericolate erano state il divertimento della sua infanzia.
Salire, arrampicarsi fino in cima, sulle statue di bronzo del parapetto a un passo dal vuoto e a un palmo dal cielo... andare via dal fango e, chissà, magari anche dal dolore.
Erik era arrivato in cima alla palazzina ed era rimasto rannicchiato sotto la fitta pioggia che picchiettava pungente sulle spalle e sulla testa, nascosto dall'acqua scrosciante e dal buio della notte. Dall'alto aveva visto il piccolo drappello di gendarmi guidati da Bertrand entrare nel palazzo e uscirne molto tempo dopo. Aveva deciso di scendere, lo avrebbe trovato, lo avrebbe preso e finalmente avrebbe liberato il mondo da quell'essere.
Raggiunse con prudenza la strada e si nascose dietro l'angolo dell'edificio a spiare il capitano dei gendarmi dare disposizioni per pattugliare il quartiere e tutta la zona vicino al teatro.
Quando la pattuglia si fu allontanata, l'uomo cominciò a camminare cauto, rasente il muro, facendo molta attenzione a rimanere sempre nel buio del cono d'ombra proiettato dalle sagome degli edifici. In fondo alla strada vide uno scorcio della piazza e il profilo del maestoso palazzo che ospitava l'Opera Populaire, sospirò mentre si rendeva conto che i suoi vestiti erano zuppi di acqua e per la prima volta dopo tanto tempo provò paura, quella paura infantile e spiazzante del bambino che si perde nella folla e non riesce a ritrovare la mano di sua madre.
La pioggia continuava a cadere, scivolando sul suo viso in grossi goccioloni dal sapore di ruggine che gli colavano dal mento, come a ricordargli che ora sì che era soltanto un uomo!
Erik deglutì nervosamente e si terse la pioggia dal viso con un gesto stizzito, poi sentì una voce provenire da una viuzza laterale,
«Dovete fare molta attenzione» disse quella voce che ormai aveva imparato a riconoscere con lo stesso fastidio con cui il suo fine orecchio da musicista coglieva una nota stonata in una sinfonia. «Dovete cercare in ogni angolo, dovunque! E per l'amore del cielo! Non siate spaventati come galline, con ogni probabilità quell'uomo è disarmato».
Erik spiò silenziosamente Bertrand che impartiva ordini e raccomandazioni a un piccolo drappello di gendarmi che stringevano ansiosi le mani attorno alla canna del loro fucile. L'ordine era quello di sparargli a vista.
Con la coda dell'occhio l'uomo scorse una spessa corda legata alle estremità di una ringhiera, probabilmente serviva per stendere il bucato. Sciolse la fune e ne testò la resistenza poi le fece un nodo scorsoio da un lato e stringendo il cappio tra le mani avanzò nel buio nella direzione in cui si era diretto Bertrand.

Due occhi attenti notarono la sagoma scura sfrecciare rapida tra due palazzine come un'ombra che scompare non appena si sposta l'inclinazione della lampada. La figura, che reggeva una piccola sacca di cuoio e che camminava proteggendosi dalla pioggia con un pesante mantello di lana scura, si lanciò all'inseguimento dell'ombra e la raggiunse alle spalle.

Erik aveva appena trovato Bertrand. L'investigatore si era fermato sotto la tettoia di un'edicola a fumare un sigaro fissando davanti a sé con un'espressione di odio rabbioso, come se fosse convinto che la città stessa fosse complice del suo nemico, come se la notte, la pioggia, il buio fossero tutti alleati dell'uomo a cui stava dando la caccia.
Il Fantasma dell'Opera fece il giro dell'isolato raggiungendo la viuzza che sbucava alle spalle dell'edicola dove era fermo l'uomo. Il suo cuore non accelerò di un solo battito, il suo respiro si mantenne regolare mentre stava per scattare in avanti e lanciare il cappio in direzione del collo dell'investigatore, ma quasi inciampò sul ciottolato scivoloso quando una voce alle sue spalle chiamò il suo nome in un lieve sussurro.
Erik si voltò con uno scatto spaventato per ritrovarsi davanti Madame Giry avvolta in un mantello ormai zuppo. Con una velata aria di rimprovero mista ad apprensione, la donna gli strappò via la corda di mano e lo tirò per un lembo del mantello,
«Sei pazzo?» mormorò aspramente. «Vuoi ucciderlo in mezzo a una strada dove potrebbe passare chiunque e scoprirti! Vuoi davvero finire in prigione?!»
«Diavolo, Eloise! Quando smetterai di pensare che l'unico scopo della tua vita è salvarmi?» borbottò lui irritato.
La donna lo trascinò via e si allontanarono a grandi passi infilandosi in un labirinto di viuzze secondarie dove i gendarmi non erano ancora arrivati a controllare,
«Quando la tua vita non sarà più legata a quella di una persona che amo» replicò Eloise. «Ma credo che questo non accadrà mai, quindi... lei dov'è?»
«A casa dei Dubois»
«Ah...»
«Sì, so tutto. Il danno insieme alla beffa» commentò Erik cupo.
Madame Giry si morse il labbro e sospirò,
«Ho delle cose con me» gli disse mostrandogli la sacca che reggeva tra le mani. «Sono dei vestiti e del denaro, pensavo vi sarebbero serviti».
I due raggiunsero il palazzo dove abitava la famiglia Dubois, dovettero aspettare che la pattuglia si allontanasse per entrare.
«Cosa è accaduto nel frattempo nel teatro?» domandò Erik mentre lui ed Eloise salivano le scale tremando per il freddo sotto i vestiti bagnati.
«Il pubblico è scappato via, i direttori sono arrivati a un passo dall'infarto... c'è stata una gran confusione tra chi voleva venirti a cercare e chi ha pensato che non fosse il caso di rischiare» rispose la donna scrollando le spalle.
«Christine aspetta un figlio» aggiunse secco il Fantasma.
Madame Giry si bloccò per un istante stringendo le dita sul corrimano di ferro battuto ma non disse nulla,
«Andrà tutto bene» sussurrò poi.
«Certo...» blaterò Erik con poca convinzione.

«Oh, mio Dio ti ringrazio!» esclamò Madame Ginette quando vide Erik comparire sulla soglia, per poi sobbalzare stupita quando vide Madame Giry alle sue spalle.
«Dove diamine sei stato?!» borbottò Raoul guardando con aria di rimprovero i vestiti bagnati dell'uomo. «Hai idea dello spavento che avrebbe preso Christine se si fosse svegliata?!».
Erik lo fissò con un ghigno canzonatorio,
«Che c'è, visconte? Ti stai affezionando a me?» borbottò.
Il giovane sospirò di esasperazione poi si offrì di accompagnare Madame Giry da Christine mentre Alexandre si accostava a Erik,
«Dobbiamo andarcene» gli disse. «Ho un piano».
Il Fantasma roteò gli occhi con aria di sopportazione,
«Cos'è che ti fa sentire in dovere di farmi da balia?» domandò. «Il senso di colpa o qualche altro maledetto sentimentalismo di cui non riesco ad afferrare il senso?»
«Ah, ti prego non cominciare! Tu devi lasciare Parigi e non puoi farlo da solo»
«Nel caso non lo avessi notato, ho imparato a camminare diversi anni or sono»
«E, sentiamo un po', grand'uomo, dove hai intenzione di andare?»
«Non ci ho ancora pensato».
Alexandre sospirò,
«Allora se vogliamo optare per il piano migliore direi che dobbiamo scegliere il mio» concluse.
«Scusa, ma sono stato troppo occupato a scappare dal tuo amico investigatore e a preoccuparmi di Christine per formulare un piano che fosse all'altezza dei tuoi lampi di genio!» replicò Erik aspro.
«Dunque, abbiamo la carrozza di Raoul che ci porterà fino a casa mia, a Saint-Gaudens... è dove sei nato» spiegò il ragazzo.
Immagini di un'infanzia mai vissuta soffiarono tra i pensieri di Erik come brezza primaverile ma l'uomo di costrinse a ignorarle e a rimanere lucido.
«Dove sarebbe?» chiese asciutto.
«È una piccola cittadina dei Pirenei, a qualche chilometro da Tolosa, vicino al confine con la Spagna».
Erik sgranò gli occhi,
«È praticamente dall'altra parte del Paese!» esclamò.
«Sì, ma tu capirai che non c'è scelta» asserì deciso il giornalista. «Lì non ci verranno a cercare. È il posto dove sono cresciuto, dove è sempre vissuta la nostra famiglia e, con un po' di fortuna, la storia del Fantasma dell'Opera non sarà arrivata fin lì. Poi appena Christine sarà in condizioni di viaggiare ti raggiungerà e una volta tornati insieme deciderete cosa fare»
«Mi stai chiedendo di lasciarla qui?»
«Non te lo sto chiedendo... pensavo ci arrivassi da solo: tu devi andartene al più presto e lei non è in condizione di viaggiare, pensavo che la tua mente geniale risolvesse da sola certi sillogismi».
Erik arricciò le labbra,
«Da come la metti tu sembra che non ci siano altri modi» concluse.
Alexandre aprì la finestra e guardò fuori,
«Tra qualche ora sarà giorno e sarà difficile andarcene senza farci scoprire» gli disse. «Quindi è meglio se decidi in fretta. Io vado a fare i bagagli, nel caso il tuo poco buonsenso ti facesse ragionare, almeno sarò pronto per partire»
«Dovresti ascoltarlo» si intromise Madame Ginette, che in tutto quel tempo era rimasta sulla soglia del salotto a guardare i due uomini discutere.
«Sì, immagino che voi lo reputiate perfetto e infallibile in ogni cosa che fa» commentò Erik con freddezza scoprendosi incapace di voltarsi a guardarla in viso.
La donna entrò nella stanza e gli posò una mano sulla spalla, lui avrebbe voluto sottrarsi a quel tocco ma non ci riuscì. Avrebbe dovuto detestarla, aveva odiato e ucciso per molto meno, ma in quel momento si ricordò che era tutta la vita che aveva desiderato una semplice carezza materna.
Si stupì quando sentì qualcosa di soffice e profumato passargli tra i capelli e lambirgli dolcemente il collo e le spalle: Madame Ginette lo stava asciugando con un telo di ciniglia.
«Lasciatemi stare...» borbottò lui con voce malferma mentre lacrime strane e inaspettate gli pizzicavano le ciglia.
«No, è un errore che ho già fatto una volta e che non ho intenzione di ripetere» rispose lei con fermezza mentre anche la sua voce si incrinava nel tremore del pianto.
«Non me lo avete ancora chiesto...» sussurrò Erik .
«Cosa? Il perdono?» domandò la donna. «Adesso la tua salvezza e quella di Christine è l'unica cosa di cui mi importa e poi, non ho bisogno del tuo perdono, sono tua madre e ti amerò con o senza quello».

Madame Giry era inginocchiata al capezzale di Christine, stringeva tra le mani il suo rosario e pregava. Pregava Dio perché concedesse a quella fanciulla un po' di pace e un po' di quella felicità che meritava e perché Erik potesse avere un'altra possibilità, l'occasione di vivere lontano dalla rabbia, dall'odio, dalla paura che aveva fatto di lui un mostro.
In quel momento l'uomo entrò nella stanza e si avvicinò a Eloise,
«Parto...» le disse. «Alexandre mi accompagnerà fino a Saint-Gaudens, è molto lontano da Parigi, ma sarò al sicuro»
«È la cosa migliore» convenne lei.
«Già... ma potrei non poter tornare mai più a Parigi».
Madame Giry appoggiò la sua mano su quella dell'uomo e sorrise tristemente consapevole che quello era un addio, che l'amico, il fratello, il figlio, l'affetto che Erik era stato per lei stava per andarsene,
«Un giorno forse Parigi si dimenticherà del Fantasma dell'Opera, ma io non mi dimenticherò mai di te» gli disse.
«Dovresti, ti ho fatto solo male, ti ho messa in pericolo, ti ho...»
«Sssh, basta. Mi hai voluto bene... a modo tuo, magari, ma lo hai fatto»,
Erik sospirò. Tra lui ed Eloise non c'erano mai state occasioni per lasciarsi andare alla tenerezza, per scambiarsi affetto nel modo in cui sono soliti farlo i vecchi amici.
«Grazie di tutto, Eloise» concluse l'uomo stringendo la mano della sua interlocutrice.
Lei trattenne a stento le lacrime,
«Ti lascio salutare Christine» concluse sgusciando via dal suo sguardo prima che la tristezza la potesse sopraffare a aggiungere altro amaro a una situazione già abbastanza difficile e dolorosa.
Erik svegliò la ragazza scuotendola dolcemente, lei aprì gli occhi e lo guardò con espressione sollevata,
«Ho sentito tanto trambusto prima... so che sono venuti i gendarmi a cercarti, ho fatto finta di dormire...» mormorò.
Lui le prese la mano e la baciò con delicatezza
«Christine, io devo partire, devo lasciare Parigi» disse con voce affranta.
«Lo so...»
«Non voglio lasciarti».
La giovane sorrise teneramente e gli passò la mano tra i capelli in una carezza amorevole,
«So anche questo, ma non sarà per sempre» gli disse.
«Sì, quando starai bene potrai raggiungermi e...»
«E?...»
«E, vorresti sposarmi, Christine?» domandò lui stringendo un po' di più la mano attorno a quella della fanciulla. Lei sobbalzò come colta alla sprovvista,
«Ti amo così tanto che quasi il matrimonio mi sembra superfluo» disse emozionata. «Ma... sì, Erik, mille volte sì!».
Dopo lunghi minuti l'uomo si staccò da quel letto con aria riluttante,
«Non essere triste» gli disse lei. «È solo per poco, e poi mi lasci in buone mani»
«Sì, certo. Ma se le mani di un certo visconte dovessero allungarsi un po' troppo temo che il nostro amico si ritroverà monco!» scherzò Erik nel tentativo di stemperare la tensione e la malinconia.
Christine rise,
«Smettila! Lui è un gentiluomo» esclamò divertita. «Tu piuttosto, stai attento. Ah già, dimentico che anche tu sei in buone mani. Cerca di trattarlo bene, Alexandre non è abituato a sopportare il tuo caratteraccio come lo sono io»
«Beh, allora è arrivato il momento che si abitui!».
I due si guardarono ridacchiando sommessamente, poi Erik si chinò di nuovo ad abbracciarla e la baciò con trasporto,
«Ti amo, Christine. Ti amo» le mormorò guardandola intensamente negli occhi.
«Ti amo anch'io. Ricordatelo, ogni volta che ti sentirai solo, che ti sentirai triste» rispose la giovane.
«There will never be a day when I won't think of you» canticchiò Erik al suo orecchio prima di lasciare la stanza.

La carrozza aspettava i due fratelli sul retro dell'edificio. Raoul stava ancora dando istruzioni al cocchiere esasperandolo con una serie di raccomandazioni mentre Erik e Alexandre sistemavano i pochi bagagli nel baule.
«Veglia su Christine» mormorò Erik salutando madame Giry prima di salire in carrozza.
«Esigo che la prima cosa che tu faccia all'arrivo sia quella di mandarmi un telegramma e dirmi che siete arrivati tutti interi!» disse madame Ginette abbracciando Alexandre.
«Sì, certo, state tranquilla, maman, è solo un viaggio, non è la prima volta» rispose il giovane.
Raoul si avvicinò al suo amico e gli posò una mano sulla spalla,
«Un lungo viaggio in carrozza con il genio del male... non ti invidio neanche un po'!» scherzò.
«Tu dovresti cercare di tirarmi su di morale!» replicò il giornalista.
«Ci sono frangenti in cui un uomo non può essere tanto diplomatico» asserì il visconte scuotendo il capo.
«E ci sono uomini che farebbero meglio a perdere l'uso della parola» borbottò Erik lanciandogli un'occhiata accigliata.
«D'accordo, d'accordo, andiamo» tagliò corto Alexandre entrando nella vettura.
Erik si voltò per seguirlo ma madame Ginette lo trattenne per la manica della giacca,
«Pregherò per voi» gli sussurrò. «E per il tuo perdono»
«Pregate per Christine» concluse l'uomo sparendo dietro lo sportello della carrozza senza avere la fermezza di guardare in viso la donna nemmeno quella volta.

La carrozza riuscì a lasciare Parigi poco prima che albeggiasse.
Erik era immerso nei suoi pensieri ma sentiva su di sé lo sguardo curioso di Alexandre,
«La smetti di fissarmi! Mi stai irritando, ragazzo» borbottò sbuffando infastidito.
«Non è che ci sia molto altro da guardare qui dentro» replicò il giovane scrollando le spalle.
«D'accordo. Senti, è tutta la notte che sei in piedi a farmi da balia e architettare fughe da romanzo d'avventura, perché adesso non dormi, da bravo e mi lasci in pace?» concluse l'uomo.
Alexandre sospirò,
«Eh, sì. Sarà un viaggio molto molto lungo» si disse reclinando il capo sullo schienale e chiudendo gli occhi.


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Capitolo reinserito il 29\12\2011

   
 
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