MORNING THEFT
That brings
us to who we need
A place where we can save
A heart that beats as both siphon and reservoir
You’re a
woman, I’m a calf
You’re a window, I’m a knife
We come together making chance into starlight
Harry si vestì in fretta,
cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare gli altri. Fuori dalla finestra, la luna splendeva e la sua luce
entrava a fiotti nella stanza, rischiarandola. Finì di allacciarsi le scarpe da
tennis, si infilò la bacchetta nella tasca dei jeans
e, afferrato il Mantello dell'Invisibilità, sgattaiolò fuori dal dormitorio,
giù per le scale fino alla Sala Comune, ormai deserta. O
quasi.
Ginny era seduta su una delle vecchie poltrone rosse, davanti al camino in cui
languivano gli ultimi residui del fuoco. Non lo sentì arrivare, perché non si
voltò neppure. Harry si avvicinò, e quando fu a poca distanza da lei, la chiamò
sottovoce:
"Ginny…"
Lei trasalì leggermente, e si girò a guardarlo.
"Harry" disse soltanto. Il suo viso, illuminato dalla luce della
luna, era grazioso come al solito, ma Harry fu sicuro
di scorgervi un'ombra di preoccupazione che non aveva mai notato prima.
"Che ci fai qui da sola?" le chiese, a bassa voce.
Ginny fece un sorriso esitante. "Ti stavo aspettando" rivelò, ma non
riuscì a sostenere il suo sguardo, dovette distogliere gli occhi dai suoi.
Harry avrebbe preferito che non lo facesse: non gli piaceva sapere di poterla
mettere in imbarazzo, lo faceva sentire strano.
"Mi aspettavi?" sussurrò, stupito. "Ma
come... come sapevi che sarei uscito, stanotte?" Non l'aveva detto a
nessuno, aveva preso una decisione improvvisa qualche minuto prima, solo perché
non riusciva a dormire.
"Non importa" disse Ginny, stringendosi nelle spalle. "Volevo
soltanto chiederti se…"
"…se?" la incoraggiò lui, senza capire.
"… se potevo venire con te, questa volta" terminò la ragazza,
alzando gli occhi.
Lo guardava in un modo strano. Nel suo sguardo c'era quello che Harry era
abituato a leggervi ormai da più di sei anni, ma non solo: sembrava che per lei
il fatto di poter andare con lui quella notte, indipendentemente dalla sua
destinazione, fosse questione di vita o di morte.
Visto che esitava a risponderle, Ginny probabilmente
pensò che stesse cercando il modo più gentile per dirle che non aveva nessuna
intenzione di portarla con lui, perché sussurrò:
"Scusami, Harry, non volevo essere invadente… fai conto che non ti abbia
detto nulla."
"No, aspetta… certo che puoi venire" disse Harry in fretta, perché -
non aveva idea del motivo - improvvisamente si accorse di tenere tantissimo al
fatto che la ragazza andasse con lui.
"Non voglio che tu…" cominciò a protestare lei, ma Harry si accucciò
vicino alla poltrona, guardandola direttamente negli occhi, e questo ebbe il
potere di ammutolirla all'istante.
"Non ti sto facendo un favore" le assicurò, con voce dolce.
"Voglio davvero che tu venga."
Ginny sembrava stupita, ma stavolta non abbassò gli occhi. Annuì lentamente.
"Bene…" Harry si rialzò, e le tese la mano. "Andiamo,
allora."
"Ma dove…?" riuscì a chiedere lei, mentre lo guardava spiegare il
Mantello.
"Non ne ho la più pallida idea" ammise Harry, sorridendo.
Fece roteare il Mantello, che ricadde su di loro, cancellandoli alla vista.
"Vieni qui spesso?" domandò Ginny, una
ventina di minuti dopo. Era appoggiata al muro di cinta, in cima alle gradinate
dello Stadio del Quidditch, e aveva chiuso gli occhi. Il vento le scompigliava
i lunghi capelli ramati, che sembravano quasi ardere di riflessi sotto la luce
fredda della luna.
"A volte…" disse Harry, piano.
"C'è una vista meravigliosa. La Foresta, il lago,
le montagne e tutto il resto…" sospirò lei. "Non ci avevo mai fatto caso, prima d'ora… forse perché non c'ero mai stata di
notte…"
In quel momento, ad essere sinceri, non gli importava un granché del panorama:
un po' perché le preoccupazioni che l'avevano tenuto sveglio continuavano a
tormentarlo, un po' perché faceva fatica a distogliere gli occhi da Ginny. Non
sapeva spiegarsi perché, ma quella sera tutto sembrava diverso. Forse era il
pensiero dello scontro imminente, forse qualcos'altro, ma ad ogni modo gli
sembrava di essere diventato più percettivo del solito verso la realtà che lo
circondava, soprattutto verso Ginny. Gli aveva sempre sorriso in quel modo così
dolce, prima di allora? E se sì, perché non si era mai sentito sciogliere
dentro come gli stava succedendo quella notte?
"Harry, mi hai sentita?"
La voce di lei lo riscosse dai propri pensieri, riportandolo bruscamente alla
realtà. Tornò a mettere a fuoco il suo viso.
"Scusami… cosa dicevi?" sussurrò.
L'espressione di Ginny gli sembrò vagamente rattristata, e
Harry si maledisse mentalmente. Perché doveva
sempre essere così stupido?
"Dicevo" ripeté lei "che ti starai chiedendo perché sono voluta
venire con te, stanotte…"
Se l'era chiesto, certo, ma già da un pezzo aveva scoperto che non gli
importava. Era semplicemente felice di averla lì: se
non ci fosse stata lei, i pensieri cupi lo avrebbero già schiacciato da un bel
pezzo. Cercò un modo per dirglielo senza sembrare ridicolo o sdolcinato, ma
l'attimo giusto passò e lei proseguì:
"Ad ogni modo… volevo dirti che so quello che succederà domani…"
"Cosa?" esclamò Harry, trasalendo. "Come lo hai saputo?"
Doveva essere stato Ron, oppure Hermione… li avrebbe strangolati con le sue
mani, quando gli fossero capitati a tiro.
"Non sono stati Ron e Hermione, se è questo che stai pensando" disse
Ginny, con un debole sorriso. "Loro hanno mantenuto la promessa, ma li ho
sentiti mentre ne parlavano, qualche ora fa, in Sala Comune."
"Avrebbero potuto stare più attenti"
borbottò Harry, lievemente imbarazzato.
"Sono voluta venire con te" riprese Ginny, come se non lo avesse
sentito affatto "perché avevo bisogno di parlarti. Ma
prima di farlo ho bisogno di sapere due cose, Harry…"
"Certo…" la guardò, perplesso. "Dimmi pure."
Ginny si staccò dal muretto. Scese un paio di gradini, uscendo dal cono di luce
che la luna proiettava sugli spalti, e Harry non riuscì più a distinguere la
sua sagoma. Si spostò a sua volta. Quando i suoi occhi
si abituarono al buio, vide che lei si era seduta. Le scivolò accanto, in
silenzio. Si era quasi convinto che avesse cambiato idea circa le domande da
fargli, quando la voce di Ginny risuonò lieve:
"Perché hai chiesto a Ron e a Hermione di non dirmi nulla di quello che
succederà domani?"
Il suo tono, di solito così dolce e calmo, sembrava quasi arrabbiato. Tremava
leggermente, e Harry ci mise un po' per rendersi conto che non era rabbia
quella che la faceva vibrare così… o almeno, non solo. Ginny stava seriamente
lottando per non piangere. Osservandola di profilo, notò che si morsicava il
labbro inferiore, come faceva sempre quando era molto nervosa, o molto triste,
o tutt'e due le cose insieme. Il suo piccolo mento era scosso da un lieve
tremito.
"Io…" Harry annaspò, alla ricerca di una risposta sensata, ma non ne
trovò. Perché l'aveva fatto? Non ci aveva pensato su
un granché, veramente, e Ron e Hermione non avevano avuto l'aria di considerare
la sua richiesta così strana, perché si erano guardati un attimo e avevano
annuito convinti. "Io non… non lo so, Ginny." fu
costretto ad ammettere, riluttante.
"Bene… forse la risposta ti verrà in mente dopo la seconda domanda"
proseguì lei, e il tremito nella voce si fece più percettibile. La vide
stringersi le ginocchia al petto con le braccia. Sembrò che lottasse con tutte
le sue forze per riuscire a dire quello che doveva.
"Perché non mi hai mai considerata alla tua
altezza, Harry?" domandò poi, sottovoce. Quando pronunciò il suo nome, la
voce le cedette, suo malgrado, e faticò a reprimere un
singhiozzo.
"Non ti sto rimproverando nulla" si affrettò ad aggiungere poi,
sempre fissando il campo immerso nell'oscurità, sotto di loro. "Volevo
solo… saperlo, ecco tutto."
Harry era sbalordito. Avrebbe preferito sprofondare nelle viscere della terra, in
quel momento, piuttosto che dover rispondere a una
domanda del genere.
Non aveva mai visto la questione in quei termini, ad essere sincero: per lui
non si era mai trattato di essere all'altezza o meno. Non sapeva perché non
avesse mai visto in Ginny altro che la sorellina del suo migliore amico.
"Non lo so, Ginny" mormorò, fissando anche lui il campo, a disagio.
"Davvero, io… non ne ho idea."
"Non importa. Voglio dire, dopo tutto questo tempo avevo
quasi smesso di chiedermelo. Ma stasera tutte le mie vecchie ferite sono
tornate a riaprirsi… quando ho sentito Ron e Hermione che parlavano."
"Ma perché?" chiese Harry. "Cosa c'entra tutto questo con…?"
"Pensavo che fra noi si fosse instaurato un certo tipo di rapporto,
Harry" spiegò Ginny, e nel suo tono c’era dolore. "Credevo che ti
fidassi di me, che… che mi considerassi in gamba, almeno questo."
"Ma io mi fido di te!" si difese lui, girando la testa di scatto per
guardarla. "E certo che ti considero in gamba, ci
puoi scommettere! Che stai dicendo, Ginny?"
"Evidentemente non in gamba quanto
Ron e Hermione, visto che hai accuratamente chiesto loro di non dirmi che
domani avresti affrontato Voldemort" ribatté Ginny, con un'acredine nella
voce che non le conosceva. "Temevi che avrei puntato i piedi come una bambina
per costringerti a portare anche me?"
"No, affatto…" disse Harry, piano.
"Bè, allora non mi conosci come credi, perché è
proprio quello che avrei fatto. Quello che farò"
si corresse, e la sua voce stavolta vibrò di indignazione.
"Ginny…" tentò di interromperla Harry, ma lei non lo ascoltò.
"… e questo non perché sono una bambina capricciosa e incosciente"
andò avanti a dire, imperterrita "ma perché ti amo, Harry, ti amo da impazzire, anche se non te l'ho mai detto
in faccia… e non potrei mai pensare di restarmene qui al sicuro mentre tu
rischi la vita chissà dove."
Si interruppe per qualche istante. Il suo respiro era accelerato, come se
avesse corso, o fatto uno sforzo enorme. Harry non dubitava che avesse dovuto
farsi violenza per riuscire a dirgli quelle cose. Non era da lei essere così
esplicita.
"Non puoi chiedermi questo" aggiunse, e la sua voce sembrò spegnersi.
Al pensiero che Ginny potesse andare con lui, Ron e
Hermione il giorno successivo, e trovarsi davanti Voldemort, Harry si sentì
diventare le viscere di piombo. Non voleva che corresse un pericolo del genere…
non per stare vicino a lui… non per causa
sua… non per lui, che non aveva
mai saputo apprezzarla come avrebbe meritato.
"Non voglio che tu venga" le disse, con il tono più dolce che poté
"perché non voglio che ti accada nulla di male…"
"Oh, piantala, Harry!" Ginny scosse la
testa, seccata. "Non credi che ne sarei in grado, vero?"
"Neanche io lo sono, accidenti!" esclamò lui, perdendo la pazienza.
"Non capisci che sarà una specie di gioco al massacro, Ginny?"
"Perché non ti preoccupi di Ron e Hermione, allora?"
"Perché loro sono i miei migliori amici, e combattono contro questa… questa cosa fin dall'inizio. Non potrei impedire
loro di venire neanche se volessi" le spiegò, con una nota di tristezza
nella voce.
"Non lo impedirai neanche a me" disse Ginny,
risoluta. "Te lo posso assicurare."
Si guardarono per qualche attimo, l'oscurità che palpitava piano, intorno a
loro. Poi Harry sorrise, irresistibilmente, e qualche attimo dopo Ginny fu costretta
a fare altrettanto. Un minuto più tardi ridevano
entrambi, e le loro risate riecheggiarono lungo gli spalti vuoti.
"Adesso capisco dove era nascosto il tuo coraggio da Grifondoro"
osservò Harry, quando riuscì di nuovo a parlare.
"Sì, beh… avrei dovuto tirarlo fuori molto prima, temo" ammise Ginny,
sorridendo. Poggiò il mento sulle ginocchia, e si fissò le scarpe, con aria
meditabonda. "Adesso che finalmente ti ho detto tutto mi sento così bene… così leggera"
aggiunse, con un piccolo sospiro. "Anche se poi
erano tutte cose che avevi già capito da solo."
Harry rimase in silenzio. Non aveva mai capito un bel niente, invece… Sapeva
che Ginny aveva una cotta per lui fin dalla prima volta che si erano
incontrati, questo sì, ma nel corso degli anni lei sembrava aver superato ogni
cosa alla grande. Era persino uscita con altri ragazzi, e aveva smesso di
essere sempre taciturna quando c'era lui nei paraggi. Certo, lo aveva sempre
guardato in un modo diverso da come guardava gli altri, ma questo era
comprensibile. E a parte tutto, Harry non aveva mai
pensato alla faccenda in termini di amore.
Sentirla pronunciare quella parola lo aveva quasi sconvolto, ma piacevolmente.
"Forse non avrei dovuto dirtelo proprio adesso" disse ancora Ginny,
esitante " ma è stato un bene che io abbia
sentito mio fratello e Hermione parlare, stasera. Se domani avessi
saputo… e se ti fosse successo qualcosa senza che io… che io…" la
voce le tremò, e si nascose il viso fra le mani "Non voglio nemmeno
pensare a cosa avrei fatto."
Harry sentì nascere dentro di sé un orribile senso di impotenza di fronte a
quel dolore che lui stava provocando. Mentre guardava
angosciato le spalle di Ginny che sussultavano lievemente, pensò che non era
bravo in queste cose. Non era capace di consolare la gente, forse perché
temeva di apparire compassionevole e lui per primo detestava la compassione,
quando ne era l'oggetto. Tuttavia, non riuscì a
restarsene con le mani in mano mentre Ginny piangeva. Tremando leggermente,
allungò un braccio e glielo passò intorno alle spalle, tirandosela vicina. Lei trasalì un poco, poi si lasciò andare. Harry allungò anche
l'altro braccio e la strinse a sé. Si rese conto che il suo gesto, anziché
porre fine alla crisi di sconforto, la stava
peggiorando, così si chiese fuggevolmente se, per l'ennesima volta, avesse
fatto la cosa sbagliata. Le accarezzò i capelli con una mano, mentre piangeva
appoggiata al suo petto, e sentì un senso di tenerezza incredibile
attanagliargli lo stomaco e chiudergli la gola. Non si era mai sentito in quel
modo, prima di allora.
"Ginny…" sussurrò, passandole una mano sulla schiena, dolcemente.
"Non piangere…"
"Oh… oh, Harry… scu-scusami… scusami tanto…" singhiozzò lei,
disperata "ma non ri-riesco proprio a trattenermi…"
Gli tornò in mente, come in un flash-back particolarmente nitido, un'altra
scena simile a quella che stava vivendo in quell'istante: ma al posto di Ginny
c'era Cho Chang, che stava
piangendo per la morte di Cedric Diggory,
non per lui. Anche quella volta si era sentito
impotente e fuori posto, ma era stato diverso. Era difficile da spiegare,
persino a se stesso. Cho gli era piaciuta fin dal
primo momento in cui l'aveva vista - un po' come era
successo a Ginny vedendo lui, pensò - ma poi le cose non avevano funzionato.
Erano proprio incompatibili dal punto di vista caratteriale, ma non era solo
quello il problema: avrebbe dovuto capire già da quella volta, quando si erano
baciati, che fra loro due non avrebbe potuto andare. Se gli fosse davvero importato di lei, non si sarebbe
sentito così a disagio al pensiero di doverla consolare. Se ne rendeva conto
adesso, tenendo fra le braccia Ginny: non era innamorato di lei - non lo era - ma il disagio era molto
minore, stavolta. Era diverso.
"Non piangere…" ripeté, con dolcezza. E
poi aggiunse: "Non mi succederà niente, vedrai… non devi preoccuparti per
me."
Ginny scosse la testa, senza alzare gli occhi.
"Lo dici solo per farmi stare tranquilla… ma non è quello che pensi…"
Era vero. Personalmente, Harry era convinto che il giorno dopo sarebbe morto, anche
se non riusciva a razionalizzare fino in fondo quel
pensiero. Se ci avesse anche solo provato seriamente,
di certo sarebbe impazzito, e quello non era certo il momento di perdere il
senno: aveva un compito da svolgere, doveva affrontare Voldemort, e per farlo
aveva bisogno di tutta la calma e la lucidità possibili.
Ma non voleva che Ginny si preoccupasse, non sopportava il pensiero che stesse male per lui.
"Ginny, ti prego…" sussurrò, e le prese il viso fra le mani, glielo
alzò verso il suo, per poterla guardare negli occhi. Lei lo fissò, e forse per
la prima volta non cercò di distogliere lo sguardo. Aveva gli occhi gonfi e
ancora pieni di lacrime. Harry rimase sconcertato: nessuno lo aveva mai
guardato in quel modo, prima di allora, neanche Ginny stessa. Capì che fino a
quel momento lei si era sempre trattenuta, che non gli aveva mai davvero
mostrato tutto quello che provava nei suoi confronti.
Senza neanche pensare a quello che faceva, avvicinò il viso al suo e la baciò,
sfiorandole la bocca con la propria. La sentì trattenere bruscamente il
respiro, e si accorse che anche lui aveva trattenuto inconsciamente il suo. Le
fece scivolare le mani fra i capelli, morbidi al tatto più di quanto avesse mai
immaginato, e Ginny chiuse gli occhi, con un piccolo sospiro. Harry la guardò per un attimo, nella semioscurità, poi tornò a
baciarla. Stavolta rimase più a lungo con le labbra sulle sue, e si chiese se
Ginny avesse mai baciato qualcun altro, prima di lui. La attirò più vicina, e
schiuse le labbra, esitante. A quel punto, Ginny si mosse accanto a lui,
salendo a stringergli le braccia intorno alle spalle, e schiudendo la bocca a
sua volta. Harry cercò la sua lingua, e lei gliela lasciò trovare. Il bacio divenne gradualmente più profondo e più coinvolgente, fino
a travolgerli entrambi, completamente.
Harry sentiva la mente completamente svuotata, non si era
mai sentito tanto bene in vita sua. Per qualche breve istante dimenticò ogni
cosa: Voldemort, lo scontro, persino il proprio nome. A giudicare dai sospiri
di Ginny, anche lei doveva trovarsi più o meno nelle stesse condizioni. Quando lui approfondì il bacio, stringendola a sé, non
protestò minimamente, anzi gli aderì contro, facendogli scorrere le dita fra i
capelli arruffati.
Harry la strinse intorno alla vita e la trasportò a sedere sulle proprie
ginocchia, senza smettere di baciarla. Ginny gli rispose con una passione tale
da togliergli quasi il respiro. E così questa era la timida, impacciata, piccola Ginny? si chiese Harry, confusamente. Scivolò a baciarle il collo,
senza lasciarla andare. Lei gettò la testa indietro e mormorò il suo nome, con
voce tremante di emozione, e di desiderio. Harry
capiva come doveva sentirsi in quel momento: è meraviglioso riuscire finalmente
ad ottenere qualcosa che si è desiderato per anni. Lo capiva benissimo, perché
- sebbene gli sfuggisse il motivo - in quegli istanti
si sentiva anche lui nello stesso identico modo.
Pochi minuti dopo cominciò
a piovere. Per un po' non ci fecero caso, totalmente persi com'erano l'uno
nell'altra, poi dovettero desistere dalle loro occupazioni quando la pioggia
minacciò di trasformarsi in un temporale in piena regola.
Harry non aveva intenzione di interrompere lì quella serata e, ad ogni modo, il
castello era troppo lontano per poterci arrivare senza inzupparsi fino al
midollo. Prese Ginny per mano e scesero lungo gli spalti, fino agli spogliatoi,
incespicando e ridendo. Quando giunsero a destinazione, Harry
accese le torce appese alle pareti, mentre Ginny chiuse la porta e vi si
appoggiò contro, ansimando leggermente per la corsa sotto la pioggia.
Harry si voltò a guardarla: la luce incerta del fuoco la faceva sembrare ancora
più bella. Erano entrambi fradici, e Harry sentiva gli abiti aderirgli
fastidiosamente al corpo: da come lo guardava Ginny, però, capì che a lei la
cosa non dispiaceva affatto. Fece scorrere lo sguardo sul corpo
di lei, messo altrettanto in risalto dagli indumenti zuppi: non si era
mai accorto di quanto fosse armonioso, e invitante. Cosa
diavolo gli stava prendendo, quella sera?
Ginny continuava a guardarlo senza fiatare, ancora appoggiata con la schiena
alla porta. Vincendo ogni esitazione, Harry si avvicinò a lei e le mise le mani sulle spalle, riuscendo a percepire il
calore della sua pelle attraverso il tessuto bagnato. Ginny non distolse lo
sguardo - anche lei sembrava diversa dal solito, quella sera - e chiuse appena
gli occhi quando le loro labbra si incontrarono di
nuovo. Ripresero a baciarsi come se non si fossero mai interrotti, con l'unica
differenza che adesso erano in piedi, anziché seduti.
Non era un grande problema, anzi per certi versi era
molto più bello così… Harry finì per premere col suo corpo addosso a Ginny,
schiacciandola contro la porta, e la cosa non sembrò dispiacerle. Era così
bella… talmente bella che Harry dovette chiedersi
perché diavolo ci avesse messo così tanto tempo ad accorgersene. Scivolò a
baciarle l'orecchio, il collo, e la sentì sospirare sommessamente.
"Harry…" sussurrò, piano.
"Ginny…" mormorò lui, con lo stesso tono sognante. Sollevò il viso e
le cercò le labbra, la baciò ancora e ancora, come se non fosse mai sazio del
tocco delle sue labbra.
L'unica cosa che voleva in quel momento era fare
l'amore con lei… lì, subito, senza perdere altro tempo… ma non era sicuro che
Ginny avrebbe voluto spingersi fino a quel punto. Per quanto lo riguardava, non
si sarebbe mai azzardato a proporle una cosa del genere.
Proprio in quel momento, quasi gli avesse letto nel pensiero, Ginny gettò
indietro la testa e disse, sottovoce:
"Voglio fare l'amore con te, Harry…"
Il cuore di lui mancò un battito.
"Cosa…?" mormorò. "Sei… sei sicura, Ginny?"
"Sicurissima…" sussurrò lei, e sorrise, tenendo gli occhi chiusi.
Continuò a tenerli chiusi anche quando lui la fece adagiare su un letto di
soffici asciugamani che aveva allestito sul pavimento
di pietra, nel tentativo di renderlo più confortevole.
"Toglimi questi vestiti bagnati…" gli disse, fra i baci.
Harry non se lo fece ripetere due volte. Mentre la spogliava lentamente, si
sentì arrossire, e rise di sé stesso… pensò che era
una fortuna che lei non potesse vederlo, visto che aveva gli occhi chiusi.
"Perché arrossisci?" si sentì chiedere invece.
"Come sai che sono arrossito?" si stupì, bloccandosi per un attimo.
"Non hai aperto gli occhi nemmeno per un secondo…"
"Non ho bisogno di vederti per sapere queste cose…" Ginny sorrise,
enigmatica. "Tu non lo sai, ma tutto questo è già successo milioni di
volte, prima d'ora…"
Harry si sentì lievemente imbarazzato nell'apprendere che lei aveva immaginato
così spesso di fare l'amore con lui, ma saperlo lo rese
felice, quasi euforico. Non riuscì a rispondere niente di sensato, ma
quando riprese a spogliarla aggiunse al tocco delle dita quello delle sue
labbra, e Ginny sembrò dimenticare qualsiasi altra cosa.
Quando fu completamente nuda, distesa sulla schiena,
Harry si concesse qualche secondo per contemplarla. Era di certo lo spettacolo
più emozionante che avesse mai visto in vita sua… non era solo bella, era molto
di più.
Ginny aprì gli occhi, e intercettò il suo sguardo… per la seconda volta, Harry
si sentì arrossire leggermente, ma lei sorrise, e gli tese una mano.
Harry si sdraiò accanto a lei, che cominciò a spogliarlo a sua volta, senza
smettere di baciarlo neanche per un attimo… chiuse gli occhi, rapito dal tocco
gentile delle sue dita, inebriato dal suo profumo. Ginny lo liberò dei vestiti
e poi lo strinse a sé, tirandolo sopra al suo corpo. Harry si appoggiò sui
gomiti per non farle male, e la guardò a lungo, in silenzio. Erano così vicini
che i loro respiri si fondevano. Prima che potesse
dire qualcosa, Ginny lo baciò, e in quel bacio Harry avvertì un'urgenza che non
poteva permettersi di ignorare. Sollevò un poco il bacino, e si fece strada
lentamente, chiedendosi nel frattempo se lei avesse mai fatto
l'amore prima… non voleva farle male, doveva andarci piano…
Ginny gli mise le mani aperte sul sedere, spingendolo verso il basso, e si
inarcò verso di lui, per fargli capire che non poteva più aspettare. Harry
trovò il punto giusto e spinse delicatamente, scrutandola in viso per capire se
le procurava dolore. Quando provò ad entrare un po' di
più, la vide mordersi il labbro inferiore, ma sorrideva ancora. Non smise un
attimo di sorridere, anche quando Harry fu sicuro che almeno un po' di male
dovesse sentirlo… ma non gli disse di fermarsi, e lui non lo fece, anche se
cercò di fare tutto con la massima dolcezza possibile.
Proprio perché non voleva farle male, fece tutto molto piano. Quando arrivò in fondo, Ginny sembrò rilassarsi un poco,
sotto di lui, e i suoi lineamenti si distesero leggermente.
"Tutto bene…?" sussurrò lui, baciandole la fronte.
"Tutto benissimo…" gli rispose, sempre sorridendo. Aprì gli occhi e
lo guardò. Harry dovette lottare con se stesso per non abbassare lo sguardo. L'espressione di lei lo faceva sentire strano, era come se il
suo stomaco fosse diventato una gabbia di farfalle impazzite.
Prese a muoversi dentro di lei, cercando di essere
delicato, di non farle male. Studiò ogni minima espressione del suo viso, e ben
presto si sentì totalmente rapito da quella ragazza che non aveva mai
considerato seriamente… non l'aveva davvero mai vista nel modo in cui la stava
vedendo adesso.
Che cosa mi stai facendo, Ginny? pensò, mentre i battiti del suo cuore acceleravano insieme
ai suoi movimenti. Che cosa stiamo facendo?
Harry avrebbe
voluto restare lì per sempre. Non sapeva se anche Ginny si sentisse allo
stesso modo, ma di certo gli sembrava felice, mentre la guardava.
Erano ancora entrambi distesi sul soffice letto di asciugamani
che, a giudicare da come erano andate le cose, era decisamente servito al suo
scopo. Ginny teneva gli occhi chiusi, e sorrideva appena; negli ultimi minuti
non aveva più detto una parola, e Harry cominciava a sospettare che si fosse
addormentata. Sorrise, divertito, e cambiò posizione, sollevandosi su un gomito
e appoggiando la tempia alla mano. Non era mai stato capace di capire se il
fatto che una donna si addormentasse, dopo aver fatto l'amore, fosse da prendere come un complimento o meno.
Lo spogliatoio era immerso nella semioscurità. Alcune torce si erano spente, e
fuori era buio pesto. Stava ancora piovendo, e gli unici suoni udibili al
momento erano il rumore delle gocce contro i vetri delle finestre e l'ululato
del vento, intorno alle mura dello Stadio.
Studiò il viso di Ginny, quei lineamenti così familiari, eppure così nuovi. Non
si era mai accorto di quanto fosse bella, di una bellezza che andava oltre
quella fisica: l'aveva sempre saputo, cioè - non era
cieco, ovviamente, né stupido - ma non gli era neanche venuto in mente che tutto
questo per lui potesse significare qualcosa di importante. Allungò una mano e
le scostò una ciocca di capelli dalla fronte: nel farlo, le sfiorò la pelle con
le dita, e sentì che scottava. Sembrava quasi che avesse la febbre, e non sarebbe poi stato così strano: in quello spogliatoio angusto
faceva piuttosto freddo, e i mantelli che avevano usato a mo' di coperte non
erano sufficienti a scaldarli sul serio.
Aveva appena ritratto la mano, quando Ginny aprì gli
occhi. Fissò per qualche istante il soffitto, su cui danzavano le ombre
proiettate dalle torce, poi spostò lo sguardo sul viso di Harry, alla sua
sinistra.
"Ehi…" sussurrò lui, sorridendole. Quei capelli rossi erano davvero incredibili, pensò stupito. Catturavano i
riflessi del fuoco e sembravano incandescenti.
"Ciao…" rispose Ginny, restituendogli il sorriso. Si stiracchiò
pigramente, come un gatto. "Sei ancora qui" disse poi, sogguardandolo
con una strana espressione, a metà fra il soddisfatto e l'incredulo.
"Dove pensavi che sarei andato?" chiese Harry, sogghignando.
"Fuori sta diluviando."
Ginny rise.
"Piantala!" esclamò, dandogli una debole
pacca sul petto nudo.
Harry si scansò, divertito, e le catturò la mano nella sua, nonostante lei
avesse tentato di sgusciare via: Ginny era un'abile Cercatrice, e aveva degli
ottimi riflessi, ma lui era molto più bravo. Si portò la mano alle labbra e le
baciò le dita, una ad una, lentamente.
"Davvero…" sussurrò "dove credevi che sarei andato?"
Lei lo stava guardando con un'espressione adorante, o almeno così gli sembrava.
Arrossì di nuovo, ma stavolta c'era meno luce e Ginny non se ne
accorse.
"In nessun posto…" mormorò, senza smettere di fissarlo. "E' che
non ero proprio sicura che non si fosse trattato di un sogno, tutto qui...e ad
ogni modo, sono sempre in tempo per svegliarmi…"
Harry annuì, sorridendo. "Okay…" sussurrò, avvicinandosi di più a lei
e raggomitolandosi sotto ai mantelli. "Devo fare
qualcosa in particolare per dimostrarti che sono vero?"
Si aspettava di farla sorridere, ma l'espressione sul suo viso era diversa:
adesso fissava l'oscurità che premeva sul vetro della finestra alla loro
destra, e sembrava stranamente assorta.
"Ginny?" sussurrò lui, dolcemente. "Cosa
c'è?"
"Domani ci sveglieremo tutti…" disse Ginny, e la voce le tremò
impercettibilmente.
Harry capì il senso delle sue parole, e un senso di gelo minacciò di invadergli
l'anima.
"Sì" disse piano. "Immagino che tu abbia ragione. In un modo o
nell'altro, tutto cambierà. Niente sarà più lo stesso. Comunque
vada…"
"Non dire così!" lo pregò lei, rabbrividendo e serrando le palpebre.
Harry la guardò sorpreso, ma non disse nulla.
"Non posso neanche immaginare l'eventualità che tu…" cominciò Ginny. Ma non riuscì a continuare, le parole le morirono in gola.
Harry sospirò, avvilito, e si fece più vicino, la prese fra le braccia. Avrebbe
voluto consolarla, ma ancora una volta si rendeva
conto di essere la persona meno adatta per quel compito.
Ginny gli si raggomitolò contro, poggiando la testa nell'incavo della sua
spalla. La sua pelle scottava davvero, notò Harry.
Afferrò un lembo del mantello e lo tirò, per coprirla meglio: non servì a
molto, ma Ginny apprezzò il gesto gentile, e sorrise.
"Voglio venire con te" disse, dopo qualche attimo di silenzio.
"No" dichiarò Harry, deciso. Si era aspettato quelle parole, e sapeva
già perfettamente cosa rispondere. "Non voglio che ti succeda qualcosa di
brutto… non lo volevo prima, e tantomeno sono disposto a correre questo rischio
ora, dopo… dopo quello che c'è stato fra noi" terminò,
imbarazzato.
"Non sei tu che devi decidere."
"Invece ti sbagli" replicò lui, sommessamente. "E' una
cosa che riguarda me. Se vuoi sapere la verità, penso che non sia giusto che
vengano neppure Ron e Hermione…"
La risata sarcastica di Ginny lo colse di sorpresa.
"Vorresti andare da solo?" chiese la ragazza, guardandolo come se
fosse impazzito.
"Penso che sarebbe la cosa più giusta, sì" ammise lui. Mentre parlava, le accarezzava piano la schiena.
"Beh, io invece penso che sarebbe una follia" disse Ginny, senza giri
di parole. Si sollevò e lo guardò dritto negli occhi, con un'intensità che lo
lasciò stupefatto. "Non ti permetterò di fare una sciocchezza del genere. Se la tua vita non conta nulla per te, Harry Potter, sappi
che per le persone che ti amano è diverso. Per me la tua vita conta moltissimo."
Colpito da quelle parole, sulle prime Harry non seppe che rispondere.
"Anche per me la tua conta moltissimo" ribatté
poi, accigliandosi. "Per questo vorrei che restassi al sicuro…"
"Non trattarmi come una bambina stupida" disse
Ginny, infastidita.
"Non lo faccio" le assicurò lui. "Vorrei solo che capissi
che non c'è bisogno di offrire a Voldemort le vite di persone innocenti su un
piatto d'argento. Affrontarlo è il mio destino, non il vostro…" si interruppe, e trasse un lungo sospiro. "Dovreste
solo ringraziare il cielo per…"
"Non voglio sentire una parola di più!" lo interruppe lei, furiosa.
Si svincolò dalla sua stretta, e si alzò in piedi, allontanandosi verso la
finestra. Si fermò lì accanto, dandogli le spalle, avvolta nel mantello.
Harry rimase immobile, sdraiato sugli asciugamani. Stava succedendo proprio
quello che aveva cercato in tutti i modi di evitare. Come poteva riuscire a
spiegarle le sue ragioni?
Si alzò e la raggiunse alla finestra, avvolgendosi nell'altro mantello.
"Ginny, ti prego" mormorò, alle sue spalle. "Cerca di essere ragionevole."
"Io sono ragionevole"
ribatté lei, cupa. "Sei tu che proprio non vuoi capire."
Al dilà del vetro, dietro alle gocce che scivolavano lente, Harry vide lo
Stadio immerso nel buio, gli spalti inondati dalla pioggia: un paesaggio tetro,
che metteva tristezza. Strinse Ginny fra le braccia, attirandola con la schiena
contro il proprio petto, e nascose il viso fra i suoi capelli morbidi. Non
aveva più parole: c'era solo quel nodo strettissimo che gli serrava la gola,
impedendogli persino di respirare.
Non c'era da meravigliarsi che Ginny non capisse come si sentiva. Non era affatto facile mettersi nei suoi panni, poteva
immaginarlo. Non riusciva a dirlo, ma aveva paura: non solo per gli altri, ma
anche per se stesso. Paura di soffrire, di essere torturato, di impazzire.
Paura di morire senza aver mai vissuto davvero. Senza aver
mai capito cosa volesse dire amare qualcuno ed essere riamato. Senza
portarsi addosso il peso di un fardello troppo grande.
Senza essere una creatura marchiata.
Avrebbe tanto voluto essere una persona normale. Era anche per questo che
combatteva, dopo tutto. Sconfiggere Voldemort non era
solo un compito di importanza fondamentale per la
comunità magica: era anche la sua unica possibilità di guadagnarsi un'esistenza
normale.
Quando lo sconforto e la paura prendevano il
sopravvento su di lui - di solito succedeva di notte, al buio, quando era solo
- arrivava persino a pensare che forse sarebbe stato meglio se Voldemort avesse
ucciso anche lui, insieme ai suoi genitori… ma tutto questo svaniva
immediatamente, quando ricordava che sua madre aveva dato la propria vita per
salvare la sua.
Harry scoprì, terrorizzato, che gli veniva da piangere. Non voleva
farlo davanti a Ginny, sarebbe morto piuttosto che accrescere
ulteriormente la sua angoscia. Tutto quello che desiderava era consolarla e
farla stare tranquilla, non certo scaricarle addosso le
sue ansie e le sue paure. Deglutì, ma a fatica: il groppo che gli chiudeva la
gola rimase dov'era, non riuscì a mandarlo via in nessun modo. Ripetersi di essere forte non serviva a nulla: tutto quello che
riusciva a pensare era che non voleva lasciare i suoi amici … ma soprattutto,
in quegli istanti, non riusciva a immaginare di dover lasciare lei. Non adesso… non così. Non sarebbe
stato giusto, per nessuno dei due.
Non avrebbero potuto scegliere un momento più sbagliato per avvicinarsi in quel
modo, se ne rendeva perfettamente conto: sarebbe
dovuto succedere molto prima, oppure dopo la fine della guerra, se lui fosse
sopravvissuto.
Perché, Ginny? pensò
Harry, stringendola in silenzio, ascoltando il suono del suo respiro. Perché ci succede tutto questo? Avrei dovuto
rendermi conto che non era il caso… avrei dovuto fermarmi…
Eppure, nonostante tutto, non riusciva a pentirsi
davvero di quello che avevano fatto. Nel profondo del suo cuore - sembrava
assurdo anche solo pensarlo, ma era proprio così - sentiva che avevano fatto la
cosa giusta. O meglio: la cosa di cui avevano bisogno,
entrambi, per motivi diversi.
Con suo sommo orrore, sentì le lacrime pungergli di nuovo gli occhi, e lottò
per ricacciarle indietro. Non avrebbe pianto, accidenti…
"Harry" la voce di Ginny fu solo un
sussurro. "Harry, cosa c'è? Stai piangendo?"
"No…" disse, piano, ma non era certo che
fosse la verità.
La sentì rigirarsi fra le sue braccia, e in quel momento scoprì che le lacrime
l'avevano giocato: avevano già cominciato a scendere, senza che lui se ne
rendesse minimamente conto. Per un attimo si sentì terribilmente sciocco, e maledisse la sua stupidità: odiava apparire vulnerabile. Si
asciugò le lacrime con un gesto stizzito.
"Non è niente…" borbottò, seccato che lei l'avesse
visto in quelle condizioni.
Gli occhi di Ginny percorsero ogni centimetro del suo viso, e da come lo guardava
Harry capì che doveva conoscere già ogni più piccolo particolare, ogni minimo
lineamento, ogni più stupida espressione del suo viso. Pensò a quante volte
doveva averlo guardato, studiato di nascosto, mentre lui era intento a pensare
a qualcos'altro, fosse il Quidditch, Voldemort o
un'altra ragazza. Ginny sapeva già tutto, da molto tempo… e lui era stato
soltanto uno stupido.
Sentì le mani di lei accarezzargli il retro del collo,
i capelli ancora umidi di sudore. Chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro. Si sentiva così stanco… così stanco. Non ne poteva più di essere forte, di sforzarsi sempre di essere all'altezza
della situazione, di non potersi permettere di crollare, di mollare… Il groppo
alla gola si strinse sempre di più, e Harry non riuscì a trattenere le lacrime.
Cercò di allontanarsi, ma Ginny glielo impedì, tenendolo stretto. Abbandonando
ogni resistenza, l'abbracciò e nascose il viso contro la sua spalla, serrando
forte gli occhi. Ginny gli accarezzò la schiena, sussurrando il suo nome, e a
quel punto Harry non riuscì più a trattenersi.
Pianse a lungo, stringendola fin quasi a farle male. I suoi singhiozzi erano
così violenti da scuoterli entrambi, ma Ginny non lo lasciò andare. Harry, pur
nella tremenda confusione che c'era nella sua testa in quei momenti, gliene fu
immensamente grato: se si fosse staccato da lei, era certo che sarebbe andato
in mille pezzi. In un improvviso soprassalto di lucidità, si sentì
completamente sopraffatto dall'enormità del compito che lo attendeva. Sembrava
stupido provare queste sensazioni adesso, visto che erano
anni che conosceva quale fosse il suo destino, ormai. Ma
era solo per questo che la gente lo amava? Perché
pensava che avrebbe liberato il mondo da Voldemort? Era solo questo ciò che
contava veramente, in lui?
Ginny gli prese il viso fra le mani, e lo baciò a lungo, lentamente,
asciugandogli le lacrime con le labbra, poi con la punta delle dita. Lo guardò
negli occhi. Quanto amore c'era nei suoi… come aveva potuto
non accorgersene prima? Come aveva potuto pensare che non significasse nulla?
"Ti amo, Harry" sussurrò Ginny. Si vedeva
che era commossa, ma fu brava a trattenersi. Riuscì persino a tirare fuori un
piccolo sorriso incerto, e Harry ammirò la sua forza. "Credo di avere solo
una vaga idea di quello che stai provando, ma… se ti stai chiedendo perché
tutto questo sia capitato proprio a te, credo di poterti rispondere con
sicurezza." Sollevò le sopracciglia. "Perché sei speciale."
Harry deglutì a fatica. "Grazie, Ginny, ma…"
"Ci vuole una persona davvero speciale" andò avanti
lei, come se non lo avesse sentito "per fare quello che hai fatto
tu finora, rimanendo sempre lo stesso."
Harry si sforzò di sorridere. "Sei solo tu che mi
devi così speciale" disse, in un sussurro.
"Forse perché per me sei sempre stato solo Harry" disse Ginny,
dolcemente. "Harry e basta."
Harry sentì una specie di vuoto allo stomaco.
"E' quello che avrei voluto essere per tutti" bisbigliò.
"Nient'altro che Harry." Si asciugò
nervosamente il viso e scosse la testa, cercando di scacciare il dolore
pulsante che aveva cominciato a tormentarlo.
"Cosa c'è?" sussurrò Ginny. "Non mi credi?"
"Certo che ti credo" mormorò, e le sue mani salirono fra i capelli
ramati di lei, li accarezzarono piano. "Non potrò mai perdonarmi di essere
stato così stupido, in tutti questi anni… di non aver capito che…"
"Non essere così duro con te stesso." Ginny
mise la mano sopra quella di lui, che le stava
accarezzando la guancia. "Non c'è niente da perdonare."
Harry rimase a guardarla, in silenzio. Era meravigliosa… i suoi occhi erano
pieni di fiducia, come se non avesse alcun dubbio che lui avrebbe sconfitto
Voldemort, il giorno dopo. Tutto questo lo faceva sentire sicuro, quasi
invincibile, ma lo riempiva anche di paura. Se quella
sera Ginny non avesse insistito per andare con lui, probabilmente a quell'ora
sarebbe stato solo sugli spalti, a rimuginare e a bagnarsi fino all'osso.
"Dove sei stata per tutto questo tempo, Ginny?" mormorò,
stringendosela al petto e poggiandole la guancia sui capelli. Era una domanda
stupida: se non si erano trovati prima, la colpa era stata soltanto sua.
"Sempre accanto a te, Harry" disse Ginny, baciandolo piano alla base
del collo. "Sempre, anche quando non mi vedevi. E' per
questo che domani, costi quel che costi, verrò con te. Che tu lo voglia o no."
"Ginny…"
"Non potrai fermarmi. Dovrai uccidermi, per impedirmi di seguirti…"
la voce di lei suonò decisa, ma anche lievemente
divertita.
Harry si rese conto che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea, e una parte di lui fu certa di volerla accanto in quello che
sarebbe di certo stato il momento più difficile della sua vita. L'avrebbe
voluta accanto a sé per sempre: non era quello il momento giusto per pensare
una cosa del genere, ma era così che si sentiva.
"Allora?" domandò Ginny, scrutandolo, in attesa.
"D'accordo" sussurrò, arrendendosi. Le sorrise, spettinandole i
capelli. "Ma devi promettermi che farai la brava…" aggiunse,
sollevando le sopracciglia e tentando un'espressione severa.
"Lo prometto" la vide sorridere, divertita.
"Cosa c'è'?" chiese, senza capire.
"Pensavo alla prima volta che ci siamo visti..."
rispose Ginny. "Ti ricordi?"
Nonostante l'atmosfera si fosse decisamente
alleggerita, Harry non poté fare a meno di cogliere una leggera nota di
tristezza nella sua voce.
"Sì, mi ricordo perfettamente" disse. Nella mente rivide con
chiarezza la bambina di dieci anni che lo fissava con gli occhini sgranati, sul
binario nove e tre quarti, davanti all'Espresso per Hogwarts. "Eri con tua
madre, e piangevi… quando il treno è partito, l'hai rincorso, ma era troppo
veloce…"
"Mi stavi guardando?" si stupì Ginny. "Dopo che il treno si è
mosso?"
Harry annuì, sorridendo. "Sì, ti ho guardata
finché non sei scomparsa dietro alla prima curva" disse. "Eri così
buffa… non sapevi se ridere o piangere, e quando il treno ha accelerato hai
continuato a salutarci con la mano. Lo ricordo come se fosse ieri."
Ginny fece una smorfia. "Chissà che avrai pensato
di me" osservò. "Non posso certo biasimarti se per anni hai visto in
me soltanto una ragazzina timida e piagnucolosa."
"Smettila, non è così" disse Harry. "Sai quanto io abbia sempre
tenuto a te, e quanto…"
"Quanto hai sempre pensato che fossi in gamba?" terminò lei,
sarcastica. "Lo so, Harry, ma non era abbastanza per me. Non lo è neanche
quello che è successo prima, se è per questo…" aggiunse, e nei suoi occhi
brillò una scintilla maliziosa che non sfuggì a Harry.
"Vieni qui…" le disse, sottovoce, chinandosi
a baciarla sulle labbra.
Ginny si lasciò stringere. Avvinghiati, barcollarono fino al centro della
stanza e caddero sul giaciglio di asciugamani, l'una
sopra all'altro, senza smettere di baciarsi.
"Adesso ho intenzione di prendermi ancora una piccola parte di quello che
mi spetta…" sussurrò Ginny, sopra di lui, parlando con le labbra quasi
incollate alle sue. Harry poteva sentire il calore del suo respiro sul viso.
"Posso…?" chiese poi, sollevandosi un poco. Lo scrutò attentamente,
gli occhi scintillanti.
Harry annuì, sorridendo e pettinandole i lunghi capelli con le dita.
"Certo che puoi. Puoi prendere tutto quello che vuoi…" mormorò. "Non hai più bisogno di chiedere…"
Mentre la baciava, fu sicuro che stesse sorridendo.
Era quasi l'alba quando
sgattaiolarono di nuovo nella Torre di Grifondoro, arrampicandosi nel buco
dietro al ritratto della Signora Grassa. La Sala Comune era deserta, e
l'orologio appeso alla parete segnava le cinque e un quarto del mattino.
Il fuoco si era definitivamente spento. Ginny rabbrividì,
stringendosi nel mantello.
"Hai freddo?" chiese Harry, passandole un braccio intorno alle
spalle.
"Un po'" ammise lei, tirando su col naso. "Temo di
essermi beccata un raffreddore…"
"Avremmo potuto accendere un fuoco, laggiù…" osservò Harry.
"A me sembra che di fuoco che ne sia stato comunque
a sufficienza, questa notte" ribatté Ginny, sollevando le sopracciglia.
Harry rise.
"Sì, beh, l'ho notato anch'io…" ammise, divertito.
Anche Ginny rise. Mentre lo guardava, la sua voce e il
suo viso erano pieni di emozione, e Harry non poté
dubitare neanche per un secondo della sincerità dei suoi sentimenti.
Nonostante il pensiero dello scontro imminente fosse
già tornato a tormentarlo, si sentiva meravigliosamente bene. Era stata la
notte più bella di tutta la sua vita, e ricordava ogni secondo del tempo appena
trascorso, ogni minimo particolare era impresso nella sua mente. Era certo che,
se fosse morto di lì a poche ore, il viso di Ginny illuminato dalla luce
incerta delle torce mentre facevano l'amore sarebbe stata
l'ultima immagine che avrebbe visto davanti agli occhi.
Ai piedi delle scale che portavano ai dormitori, Ginny si voltò verso di lui.
La guardò, con un sorriso un po' incerto.
"Eccoci arrivati…" mormorò lei, con un espressione
molto simile alla sua.
"Già… eccoci di nuovo qui.”
Lei si strinse nel mantello. "E' stato bellissimo, Harry" sussurrò. Aveva gli occhi lucidi, sembrava persino commossa. "Non
è mai stato così bello, sai, nemmeno nei miei
sogni."
Harry arrossì, e si fissò i piedi per un attimo, prima di tornare a guardarla.
"Avrei voluto darti qualcosa di più" sussurrò, affranto.
Ginny sembrò lievemente stupita, ma sorrise, scuotendo
lievemente la testa. "Tu mi hai dato già moltissimo, l'hai sempre
fatto… ma mi ricorderò le tue parole" disse, maliziosa " e reclamerò
quello che mi spetta… questa sera, quando torneremo."
I suoi occhi brillarono.
"Sei avvisato, Harry Potter."
Suo malgrado, Harry rise sommessamente.
"Sembra quasi una minaccia, Ginny Weasley" sussurrò,
inarcando un sopracciglio.
"Questo dipende solo da te" disse lei, divertita. "In
ogni caso, mi assicurerò personalmente che non ti capiti nulla di male"
aggiunse, e tornò ad accarezzargli una guancia. "Ho già aspettato troppo
per avere quello che ho sempre desiderato con tutta me stessa… e non permetterò
né a Voldemort né a nessun altro di portarmelo via."
Prima che Harry potesse trovare qualcosa di sensato da
risponderle (ma dubitava che sarebbe riuscito a spiccicare parola dopo un
discorso del genere), Ginny avvicinò il viso al suo e lo baciò, sfiorandogli le
labbra.
"Non dimenticare mai quanto ti amo…" mormorò, guardandolo negli
occhi.
Harry si sentì avvampare, e lei se ne accorse.
"No… non lo dimenticherò" le disse, sostenendo il suo sguardo.
Sembrava che il potere che aveva scoperto di possedere su di lui - il potere di
metterlo in imbarazzo - la divertisse, perché il suo
volto si aprì in un sorriso sincero.
"Buonanotte, Harry."
"Buonanotte, Ginny…" rispose, sorridendole a sua volta.
Lo guardò per qualche attimo ancora. Poi si voltò e, senza aggiungere altro,
sparì su per le scale del dormitorio femminile. Mentre saliva la scala che
portava a quello maschile, Harry ebbe il presentimento
che non l'avrebbe mai spuntata, con quella ragazza… e il pensiero, malgrado
tutto, lo fece sorridere.
Meet me tomorrow
night, or any day you want
I have no right to wonder just how, or when
And though the meaning fits, there’s no relief in this
I miss my beautiful friend
I had to send
it away to bring her back again.