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Autore: KatNbdwife    18/07/2010    3 recensioni
Un incontro casuale. Uno sguardo fugace e l'inizio di una storia d'amore che cambierà, per sempre, l'esistenza dei protagonisti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alle undici del mattino, Mandy tornò in stanza. Aveva passato una splendida serata con Georg, si era divertita e, onestamente, era soddisfatta. In tutti i sensi.
Si erano salutati con un abbraccio: entrambi sapevano di essere finiti a letto più per divertimento che per altro. Sicuramente erano attratti l’uno dall’altra, ma nulla a che vedere con il colpo di fulmine o puttanate varie. Anche per Mandy, dopotutto, quella era stata una prima volta: era andata a letto con un ragazzo per gioco e la sensazione che aveva provato le era piaciuta. Non si sentiva sporca. Era stato tutto talmente spontaneo e coinvolgente che il ricordo non faceva male. Anzi, al risveglio i due ragazzi si erano guardati a lungo, sorridendo come ebeti, ma restando in silenzio. Mandy non lo aveva messo in conto, ma ora che era successo era felice. Ogni tanto, una distrazione non faceva di certo male.
Prima di bussare, provò ad aprire la porta, ma come aveva immaginato era chiusa a chiave. Bussò piano e dopo poco, Lea le aprì.
Per un istante, pensò di aver sbagliato piano. La ragazza che le stava di fronte non poteva essere Lea. Occhi rossi, che nemmeno un soggiorno in un coffee shop olandese le avrebbe procurato, trucco colato, capelli in disordine, l’espressione di chi è stato preso a pugni e umiliato in pubblico, i vestiti stropicciati, segno che si era addormentata senza mettersi il pigiama.

“Che cosa ti è successo, Lea?” chiese Mandy, entrando in stanza.
“Io torno a Roma, subito” disse la ragazza, eludendo la domanda dell’amica.
“Lea cosa è successo?”
“Sono idiota, ecco cos’è successo. E adesso facciamo le valigie, voglio tornare a casa”
“Prima di tutto, datti una calmata. Sei sfatta, sciatta, biascichi le parole. Fatti una doccia e ne riparliamo” disse Mandy, spingendola verso il bagno.
“Mandy ti prego, andiamo a casa”
“Ci andiamo Lea, ma prima sistemati”
“Sono a posto, voglio solo andare a casa”
“Sei a posto?” chiese Mandy, costringendola a guardarsi allo specchio “Guardati”

Anche Lea non si riconobbe. Lo spettro di quello che era stata solo il giorno prima. Inguardabile. Eppure, il suo cuore le disse che a Bill sarebbe piaciuta anche così. In fondo, era quello il segreto dell’amore: la semplicità. Semplice come un viso assonnato e senza trucco, come un respiro, come attraversare il mondo in aereo solo per vedere la persona che occupa tutti i tuoi pensieri. Semplice come abbracciarlo e dirgli che anche lei avrebbe attraversato l’oceano, solo per lui.

“Fatti una doccia, io inizio a fare le valigie” disse Mandy.

**

In un quarto d’ora, Lea era tornata alla normalità, almeno esteriormente. Dentro di sé non sarebbe più stata la stessa, lo sapeva. Anche se un giorno fosse riuscita a dimenticarsi di lui, sarebbe bastato un profumo a farglielo ricordare, una canzone, una sigaretta, una rosa. Rossa come quella che le aveva regalato.

Le ragazze furono fortunate. Il volo che partiva di lì a quattro ore aveva ancora dei posti disponibili e Mandy li prenotò.

“Noi abbiamo i biglietti per il concerto di giovedì, lo sai?” disse Mandy all’amica, mentre si dirigevano verso la hall dell’hotel.
“Lasciali alla reception, che li vendano. Non mi interessa, non voglio nemmeno vederli”

Mandy sospirò. Aveva sperato che l’amica fosse felice, che vivesse una settimana magica, che sognasse ad occhi aperti, ma le sue speranze si erano infrante contro un muro di realtà. Quella di Lea.

“Posso almeno salutare Georg?” chiese Mandy, mentre Lea pagava il soggiorno.
“Come vuoi, io ti aspetto qui”

Mandy lasciò i bagagli all’amica e raggiunse la stanza del ragazzo. Spiegò della loro imminente partenza, disse che non sapeva cosa fosse successo ma che, evidentemente, Bill e Lea avevano litigato furiosamente e strinse forte il bassista, facendogli promettere di farsi sentire presto.

Tornando da Lea, si asciugò una lacrima: in fondo, le spiaceva scappare in quel modo. Del resto era lei quella romantica, la sognatrice. Ma preferì non dar a vedere a Lea il suo dispiacere, ci sarebbe stato tempo per parlarne, in un altro momento.

Il receptionist aveva chiamato un taxi per le due ragazze, che ora lo aspettavano di fronte all’hotel, in silenzio. Lea si voltò verso l’albergo alle sue spalle, alzò la testa e cercò la finestra della stanza di Bill, che dava sulla strada come la sua. Sperò di intravederlo, nonostante il pensiero la ferisse, ma del cantante nemmeno l’ombra.
La vettura le caricò poco dopo e le portò all’aeroporto. Mancavano due ore e mezza alla partenza ma Lea aveva preferito aspettare sul posto.

“Quando mi dirai che cosa è successo?” esordì Mandy.
“Quando sarò in grado di farlo” rispose Lea, asciutta. Poi guardò l’amica e aggiunse: “Sono odiosa, lo so. Ti chiedo scusa, per tutto. Per la partenza immediata, per il silenzio, per le risposte secche. Ma ti giuro Mandy, ti racconterò tutto. Solo che adesso non ci riesco”

Mandy le sorrise, stringendole una mano. L’amicizia è fatta anche di comprensione.

In quel preciso momento, Georg si trovava nella stanza di Bill, intento ad informarlo della partenza di Lea.

“E’ già partita?” chiese Bill. Aveva sperato che cambiasse idea, ci aveva quasi creduto. Quando avevano bussato alla porta, aveva creduto fosse lei, aveva sperato che fosse tornata. Invece era solo Georg. Niente Lea.
“Sì, hanno il volo fra circa due ore” spiegò Georg.
“Chiama Mandy, fermale! Io devo dirle una cosa, prima che vada” esplose Bill, correndo per la stanza intento a cercare un paio di jeans. Si vestì in fretta e furia, mentre Georg cercava di chiamare Mandy e lo guardava stupito.

Bill scese le scale a perdifiato, corse in strada, si gettò sul primo taxi che vide e si fece portare al Charles De Gaulle. Aveva detto a Georg di farla uscire, con una scusa qualsiasi. Non aveva tempo di mettersi a cercarla per tutto l’aeroporto, doveva fare in fretta.

Mandy ricevette la chiamata di Georg, ma quando vide il suo nome sul display si alzò e si allontanò da Lea.

“Bill sta venendo in aeroporto” le aveva detto il bassista “Porta fuori Lea, con una scusa”
“Cosa?”
“Credimi, ho capito meno di te!” aveva riso Georg. E Mandy aveva eseguito. Adducendo un’improvvisa vampata di calore, aveva chiesto all’amica di accompagnarla all’esterno, per respirare un po’ d’aria fresca. E lì, dopo qualche minuto, aveva assistito ad una scena che l’aveva commossa, sebbene fosse rimasta in disparte.

Bill era sceso dal taxi di corsa, con la maglietta spiegazzata, i jeans abbottonati solo per metà, i capelli che svolazzavano da tutte le parti e un paio di occhiali scuri indosso. Urtò contro un passante, rischiò di cadere e di stamparsi contro una pila di valigie che sostavano sul marciapiede. Lea lo aveva riconosciuto subito e aveva guardato Mandy, spaesata.

“Lea!” l’urlo del ragazzo la raggiunse, forte e chiaro. In meno di venti secondi, le fu addosso. La prese fra le braccia, incurante dei passanti e Lea lo lasciò fare. Lo lasciava sempre fare.
“Cosa fai qui?” balbettò.
“Non potevo farti andare via senza dirti che ho capito” spiegò Bill, parlando a raffica “Ho capito quello che volevi dirmi, Lea. E mi spiace di non avertelo detto prima, di averti lasciata andare via stamattina. Avremmo potuto trascorrere la nostra ultima notte diversamente, invece di urlarci addosso. Io ho capito” continuò, tenendo il viso della ragazza fra le mani “E adesso so quanto ti costi andare via” poi posò le sue labbra su quelle di lei, con foga.
“Aspetta” si divincolò Lea “Ti amo, Bill. Non te l’ho mai detto ma io ti amo. Non mi scorderò mai di te e ti ringrazio per tutto quello che hai rappresentato per me. Ma devo andare. Voglio ricordarmi di te così, come sei adesso, senza rischiare di continuare una storia che verrebbe soffocata dalla distanza”
“Anche io ti amo. E adesso lo so, so che devi tornare alla tua vita, dalla tua famiglia, nel tuo mondo, anche se non è poi così diverso dal mio adesso che li abbiamo messi a confronto. Forse l’ho sempre saputo ma non riuscivo ad arrendermi all’idea che tutto questo potesse avere fine. Ma se sentirai la mia mancanza, cercami. Salgo sul primo volo e ti raggiungo, dovunque sei”
“Te lo prometto. Ricorda che ti osserverò, da lontano. Ogni volta che comparirai in televisione, sappi che sarò dall’altra parte dello schermo, che non perderò una tua mossa. Per sempre”

Un lungo bacio, struggente. Un abbraccio devastante, malinconico e poi via. Via verso l’aereo, via verso l’Italia.
Bill la guardò allontanarsi da lui e lei si voltò mandandogli un bacio con la mano.
Pensava di aver visto tutti i suoi sogni divenire realtà, ma solo in quel momento si accorse che ne mancava uno. Ed era quello che aveva appena vissuto con Lea, quello che ogni persona desidererebbe vivere almeno una volta.
Ecco la risposta alle sue domande, il pezzo mancante. Se ne era andata, ma nulla gli avrebbe impedito di pensare a lei quando la vita diventava troppo dura da sopportare. E gli altoparlanti dell’aeroporto, come fosse un monito, trasmisero una canzone che faceva così:

Every breath you take
Every move you make
Every bond you break
Every step you take
I’ll be watching you…

EPILOGO

Lea tornò alla sua vita, come un militare torna a casa dopo aver passato anni al fronte. Riprese il suo lavoro, i suoi studi, la frequentazione delle sue amiche in maniera più assidua, trovò il coraggio di parlare a Marie e quello di parlare alla madre riguardo alla relazione con suo padre, che per anni aveva cercato di mantenere ma che, solo ora, si rendeva conto non avrebbe avuto futuro. Edward era menefreghista e lo sarebbe sempre stato. La noncuranza con cui l’aveva abbandonata, era la stessa che aveva mostrato cercandola per invitarla alle nozze.

“Col tempo ti renderai conto che ci sono persone per le quali non vale la pena di soffrire. Anche se quelle persone ti hanno dato la vita” le aveva detto Bill, tanti mesi prima. Ed era proprio così.

La sua vita era cambiata in meglio, e tutto questo era solo merito di quel ragazzo, che le aveva fatto conoscere un universo parallelo, dal quale stava cercando in tutti i modi di nascondersi. Bill era il regalo più bello che il destino potesse riservargli, era la sua personale stella cometa: non l’aveva condotta in nessuna sperduta mangiatoia. Aveva fatto di più: l’aveva condotta verso la vita.

Ogni singolo giorno passato con lui, non era più un giorno da ricordare con le lacrime agli occhi come aveva fatto, suo malgrado, i primi tempi dopo il suo rientro in Italia. Adesso, quelli erano giorni da ricordare con un sorriso. Quando accendeva la tv, sapendo che il ragazzo sarebbe stato dall’altro lato dello schermo, e vedeva tutte quelle ragazze che esibivano cartelloni giganteschi con la scritta “Danke”, sorrideva. Valeva lo stesso per lei. Danke Bill.

Bill, invece, l’aveva odiata nei giorni successivi alla loro breve storia. Non riusciva a pensare a nessun’altra ragazza al suo fianco, non pensava di poter essere in grado di amare qualcuno in maniera completa, come aveva fatto con lei. Il contatto con le fan gli dava quasi fastidio, le mani delle ragazze che lo toccavano, che lo abbracciavano, che si stringevano a lui per scattare una foto, lo innervosivano. Paragonava il suo corpo ad un tempio, che solo Lea poteva esplorare. Nessun’altra.

Ma, col passare del tempo, quello sgomento cessò di esistere. Giorno dopo giorno, si ritrovò a pensare a lei con serenità, con tenerezza. Nessuno gli avrebbe mai tolto il ricordo, nemmeno quello del suo odore, che continuava a sentire come se lei fosse al suo fianco. Quell’esperienza lo aveva rinvigorito e quando rilasciava interviste, sorrideva sempre alla telecamera, perché sapeva che lei era là dietro. Aveva preso l’abitudine di salutare con la mano, al termine di ogni dichiarazione. Quel saluto era SOLO per lei.

Tre mesi dopo quella storia, Lea rincasò e trovò ad attenderla una busta bianca. Marie, accanto al lavello, le disse: “C’è qualcosa per te”.
Dal suo sogghigno, Lea pensò di capire cosa fosse.
Una semplice busta, ma il francobollo non era italiano. E, prendendola fra le mani, le sembrò di sentire la pelle di Bill sotto alle dita.
All’interno, trovò solo un biglietto, anch’esso bianco. E una sola frase, scritta a mano. Una lacrima, solo una, che Lea asciugò in fretta. Strinse il biglietto al cuore, sorrise a Marie e si avviò verso la sua stanza.

Il biglietto, diceva solo così:

Nach dir kommt nichts

**

Bene, siamo arrivate alla fine xD

Ora, prima di tutto volevo precisare che per la prima parte ho utilizzato, come ispirazione, "Every breath you take" dei Millencolin, una cover punk-rock della famosa canzone dei Police mentre, per l'epilogo, mi pare palese il fatto che abbia utilizzato, come colonna sonora, "Nach dir kommt nichts" dei nostri cari cruccoli ^^

Detto questo, che mi sembrava giusto precisare, volevo ringraziarvi ancora una volta. Ringraziare tutte le ragazze che hanno commentato (grazie anche a AlienToLove, una "new entry" ^^) e che hanno letto. E, anche se lo leggerai in ritardo, vorrei augurare buone vacanze ad Elisabeth ^^

Mi spiace che, per alcuni di voi, Lea sia una vera stronza xD Lo so, questo personaggio ha suscitato le stesse reazioni anche ad altre lettrici. Mi auguro che, tutto sommato, abbiate capito le sue motivazioni.

Prima di finirla con questo stressante monologo volevo informarvi che... udite udite... questa storia ha un seguito. L'ho scritto qualche tempo dopo la fine di questa perchè mi ero tremendamente affezionata ai personaggi da me ricreati e mi spiaceva abbandonarli.

Se vi interessa leggere il seguito non avete altro da fare che dirmelo ed io sarò ben felice di postarlo anche qui!

Per adesso GRAZIE di vero cuore a tutti. Spero abbiate voglia di farmi sapere cosa ne pensate anche di questi ultimi capitoli.

Kate

   
 
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