Storia scritta per il Gioco
Creativo n°9 “Immagini e parole in musica”del Magie Sinister Forum
e ispirata
alla canzone My Immortal degli Evanescence.
Obbiettivamente non so quanto la storia che ho scritto
possa c’entrare con la canzone che me l’ha ispirata, ma la prima volta che l’ho
ascoltata con il viso di Severus bene in vista, mi si è subito dipinta nella
testa la figura di Piton accasciato al suolo, triste, piangente, sotto una
splendente luna piena. E il resto è venuto da se ascoltando la musica e le
parole della canzone.
Ho messo l’avvertimento OOC perché credo che Severus
non sia propriamente in canon, non credo di averlo stravolto, ma nemmeno che
sia IC, comunque se pensate che non lo sia, io posso solo esserne felice in
quanto cerco il più possibile di non cambiare completamente il carattere dei
personaggi.
Un grazie particolare va alla mia beta-amica, anzi,
prima Amica e poi beta-occasionale ^_^, la mia Ki, unica e introvabile ;-)
DE MEMORIIS LUNAE
Ricordati, oh luna,
del racconto
dell’uomo triste.
Non dimenticarti, oh luna
del pianto dell’eroe
mai nato.
La
notte era scesa ormai da tempo e una pesante coltre scura ricopriva il Castello
e abbracciava gli alberi e le creature della Foresta Proibita.
La
luna svettava alta nel cielo come una pietra solitaria incastonata in una buia
grotta, mentre un uomo camminava solitario verso la selva, il suo passo era
stanco, scivolava sull’erba come se fosse uno spettro.
Gli
abiti neri come la notte si confondevano, i capelli corvini ondeggiavano lievi
sotto i colpi di una leggera brezza che li accarezzava. Il suo volto era
scavato da sofferenze e fatiche, il pallore quasi cadaverico si contrapponeva a
tutta quell’oscurità.
Le
sue sembianze erano del tutto simili a quelle di un morto.
Morte era solo un’esile
parola pronunciata dalle labbra di Severus Piton, il crepuscolo della sua vita
era solo un’effimera speranza, ma speranza
era un termine scomparso dalla sua esistenza da troppo tempo ormai.
L’uomo
alzò lo sguardo verso la candida gemma nel cielo, ma ad un tratto delle nuvole
si frapposero tra i due protagonisti di questa notturna inquadratura.
-
Neanche tu, luna riesci a guardarmi, vero? – disse l’uomo rivolto all’angolo di
cielo dove un attimo prima si stagliava alta e potente la grossa sfera bianca.
-
Tu che attiri oceani non riesci a guardare questo mostro che ti sta parlando?
La
soffice coltre scura rimase lì, nessuno spiraglio a colpire l’uomo.
-
Non posso biasimarti, luna, - confessò affranto gettandosi a terra – neanche io
mi guarderei, la mia immagine mi disgusterebbe.
Il
mago era seduto a terra con il viso tra le gambe rivolto a terra, i lunghi
capelli scendevano sciolti a coprire la sua espressione di rassegnazione e
disgusto, la bacchetta stretta con rabbia tra le esili dita.
-
Inutile pezzo di legno - gridò Severus lanciando la bacchetta poco lontano –
non mi sei servito a niente, a nient’altro che sporcarmi le mani di sangue
innocente.
-
Guarda, luna, guarda quest’orrendo marchio che mi brucia l’anima. Guarda il mio
cuore di ghiaccio che non si scioglie nemmeno sotto atroci torture. Perché non
guardi? Perché nessuno osserva quest’anima sola, corrosa dall’amore per una Schifosa Mezzosangue! – urlò l’uomo al vento che sibilava.
-
Quanto mi è costata quest’affermazione, quanta sofferenza ha generato in me una
sola ignobile parola. Guarda, luna cos’ha prodotto questa infamia!
Il
mago allungò il braccio sinistro verso la luna ancora nascosta dalle nuvole, e
una lacrima sfuggì al suo controllo e percorse, in rispettoso silenzio, il suo
viso cinereo.
-
Ma con chi te la vuoi prendere, Severus, la colpa di quest’orrenda vita è solo
tua. – sospirò disilluso il mago - Solo mia, soltanto colpa della mia stupida
arroganza. Se non ci sei più, la colpa è solo mia.
Il
mago s’inginocchiò come in una sorta di accorata preghiera, una preghiera che
si sarebbe persa nel vento e nella notte, tra le nubi che coprivano la luna che
assisteva nascosta, al pianto di un uomo solo, abbandonato alla sua triste
esistenza di rinnegato e di assassino.
Stanco
di vivere, stanco di respirare, stanco di rivedere la sua immagine sbiadita
ovunque andasse, di vederla nelle notti in cui veniva a tormentarlo
sorridendogli con quel suo sorriso che sapeva infrangere la più dura delle
rocce.
Severus
si rialzò a fatica, era del tutto debole, nel corpo e nello spirito, stanco di
lottare per nient’altro che la sua infelicità nella consapevolezza che non
avrebbe ottenuto nulla, nemmeno la redenzione di colpe passate.
Chi
mai avrebbe creduto che dentro la gelida corazza del mago un cuore battesse
d’amore e un’anima piangesse straziata?
Era
in piedi, immobile, a scrutare la notte nell’irreale silenzio, alzò lievemente
il viso verso il cielo ad osservare la luna che non c’era.
-
Tu mi reputi ancora un mostro, Lily? – chiese Severus alla volta celeste come
se parlasse con qualcuno.
Non
appena il mago abbassò lo sguardo rassegnato che nessuna risposta sarebbe
giunta, le nuvole si spostarono e la luna tornò a splendere candida nella
notte.
Una
strana figura si compose lentamente fondendosi con le ombre dei crateri lunari,
un viso femminile apparve confuso, ma l’uomo la riconobbe: era Lily.
La
donna così tanto amata lo guardava sorridendo, quel sorriso che aveva imparato
ad amare, quel sorriso che da quella lontana notte mai più gli aveva rivolto.
Tra
il candore della luna si potevano scorgere i rossi capelli che ondeggiavano
lievi.
Severus
alzò nuovamente lo sguardo ad osservare quel viso così desiderato, chiuse un
istante gli occhi cercando di inspirare a fondo l’odore che sembrava provenisse
da quella morbida chioma. Avrebbe voluto accarezzarli per ore, avrebbe voluto
toccare il suo viso, avrebbe voluto il corpo di Lily sopra il suo. Ma lei aveva
scelto l’odiato rivale e lui era rimasto di nuovo solo e l’oscurità l’aveva
avvolto.
-
Non sorridermi! – gridò all’immagine confusa - Non guardarmi! – le mani sul
volto a coprirsi - Non ne sono degno.
Si
voltò di scatto per non guardare quel viso così sorridente, le lacrime
cominciarono a scendere prepotenti sullo stanco viso di Severus, e lei
sorrideva.
La
tentazione di stare lì per ore ad ammirare il
riflesso del suo cuore che amava, era veramente forte, il ricordo di quel
volto sarebbe stato ancora più forte e nitido nella sua anima, ma il rimorso di
vedere il sorriso dell’amore che aveva ucciso sarebbe stato ancora più aspro.
Ricordo
o rimorso?
Portare
per sempre con sé il ricordo di un sorriso solo suo, anche se fugace gesto,
oppure il rimorso di averle strappato la felicità da quelle labbra che avrebbe
voluto baciare in eterno?
Il
mago si ergeva dritto dando le spalle alla luna e al viso impresso in essa, lo
sguardo basso, le mani strette in un pugno rabbioso e le labbra serrate: era
teso.
Si
voltò di scatto verso il ritratto lunare dalle sembianze di donna, della sua
Lily: - Perché mi fai questo? – gli occhi nuovamente a fissare l’erba che si
muoveva appena – Perché ancora vieni a tormentarmi? Tu sei morta, morta!
Lasciami stare!
Il
mago si gettò nuovamente a terra, le ginocchia a rovinare duramente sul terreno
e le mani a coprirsi il volto.
-
Non voglio guardarti. Non guardarmi! Non sorridere all’unico colpevole della
tua morte. Vattene! Lasciami solo! Non essere il mio sogno tra gli incubi… -
Severus sospirò tra le lacrime – non me lo merito.
Il
dolore che inghiottiva l’uomo si diffuse nella radura perdendosi tra le fronde
della foresta, intorno solo silenzio e immobilità.
Le
immagini di un lontano passato cominciarono a scorrergli davanti agli occhi
come un fiume in piena, immagini di un tempo trascorso con lei, nella felicità
e nella spensieratezza.
Si trovava in un
parco giochi quasi deserto. Un'enorme ciminiera dominava l'orizzonte. Due
bambine si dondolavano sulle altalene e un ragazzino magro le osservava da
dietro un gruppo di cespugli. Aveva i capelli neri troppo lunghi e abiti così
male assortiti che sembrava fatto di proposito: jeans troppo corti, un cappotto
logoro e troppo grande che avrebbe potuto appartenere a un adulto, una strana
camicia simile a un grembiule.
Piton non doveva
avere più di nove o dieci anni, giallastro, piccolo, nervoso. Sul suo volto
magro si leggeva chiaramente il desiderio con cui guardava la più piccola delle
due bambine dondolare sempre più in alto, molto di più della sorella. [1]
Rialzò
appena il viso a guardare il ritratto offuscato di Lily che ancora gli stava
sorridendo, come se avesse assistito lei stessa alla scena.
-
Ti ricordi, Lily quando ti spiavo? Eri così bella e solare, eri perfetta già
allora, ed io già da allora ero solo un illuso, un patetico stupido illuso. Che
cosa credevo? Che saremmo stati uniti per sempre? Sei sempre stato un idiota,
Severus.
Un’ombra
di amarezza attraversò il viso dell’uomo, che chiuse un istante gli occhi.
-
Quando ero bambino, trascorrevo le ore nella mia stanza a piangere, tappandomi
le orecchie per non sentire le urla dei miei genitori. Mio padre beveva e
quando alzava troppo il gomito, picchiava mia madre.
Le
lacrime scesero lente quando nella sua mente apparve l’immagine della madre
coperta di lividi, strinse le braccia al petto per proteggersi, come faceva
quand’era piccolo nella buia stanza di Spinner’s End.
-
Mio padre le ripeteva spesso: “Sei un mostro! Tu e tutti quelli come te!”.
Mosse
le mani mimando i passati gesti del padre.
-
Ed io ero come lei: un mostro. Col tempo cominciai a crederlo sul serio. In
fondo ero deriso da tutti a scuola, mio padre mi picchiava se facevo qualcosa
di strano anche senza volerlo, e mia madre era troppo innamorata e ingenua per
ribellarsi. Era una stupida! Come me. Uno stupido bambino che subiva in
silenzio e osservava la madre piangere. Ero un’inutile presenza su questa
terra, come lo sono ancora adesso.
La
luna ascoltava silente le parole dell’uomo, un’altra goccia salata scivolò sul
volto scavato, mentre la donna ancora sorrideva, come si sorride a qualcuno cui
si tiene.
-
Sono un uomo inutile che ha saputo solo fare del male. Anche a te, Lily.
Severus
tornò a guardare il candido volto di luna.
-
Sei morta per colpa mia. La notte continui ad apparirmi, perché? Perché il tuo
sguardo non mi lascia un solo istante. Perché il verde dei tuoi occhi rischiara
le tenebre dei miei? Costretto a guardare tutti i giorni le tue iridi di
smeraldo nel figlio di James, in tuo figlio, nel bambino che ho giurato di proteggere,
nel bambino che non sarà mai mio. Lo sai cosa significa per me guardare ogni
giorno il frutto del tuo amore per Potter? No, non lo sai. Se solo ne fossi un
minimo consapevole, mi lasceresti da solo sotto questa luna. Vai via!
Si
rialzò di scatto, furente, diede le spalle alla luna e diresse i passi verso il
Castello. Doveva andarsene da lì, tornare nel freddo dei Sotterranei dove i
suoi incubi sarebbero tornati ancora più atroci. Ma la donna che tanto amava
era lì, lo stava guardando, stava sorridendo proprio a lui, e non voleva
rinunciare a quei pochi istanti di felicità.
Ma
nella mente apparvero i ricordi del giorno in cui una parola spezzò ogni cosa,
e il dolore s’impossessò nuovamente di lui.
Piton usciva dalla
Sala Grande, dopo aver sostenuto l'esame di G.U.F.O. in Difesa contro le Arti
Oscure, si allontanava dal castello e andava, soprappensiero, verso la betulla
sotto la quale erano seduti James, Sirius, Lupin e Minus. Lily raggiunse il
gruppo e difese Piton, ma Piton le urlò contro, umiliato e furente, le parole
imperdonabili: «Schifosa Mezzosangue». [2]
Cadde
nuovamente a terra come se fosse stato colpito da qualcuno, e sul volto scesero
prepotenti le lacrime che, non trattenute dalle mani che coprivano il volto,
rovinarono sull’erba a formare una dolorosa rugiada.
-
Aveva ragione mio padre: sono un mostro. Non sono mai stato nient’altro che un
mostro.
Le
parole uscivano a fatica dalle labbra del mago, i singhiozzi si fecero sempre
maggiori diffondendosi per la radura.
Nessun
rumore a spezzare il dolore di un uomo, nessun movimento dalla foresta, ogni
creatura taceva per ascoltare il dolce rovinio delle salate gocce di lunghi
tormenti.
-
Quella parola è un pugnale acuminato che mi lacera il cuore, ed ogni volta che
il tuo ricordo entra in me, si conficca maggiormente, ogni volta che i tuoi occhi incontrano i miei, la mia
anima si lacera. Perché continui ad essere il mio dolce tormento?
Severus
volse il viso verso la luna, verso Lily, le lacrime ancora a bagnargli il
volto, i suoi occhi tradivano rabbia e le labbra si serrarono.
-
Quelle parole ti hanno ferita a morte, sono stato stolto a dirti quelle cose,
ma tu? Tu mi stai facendo a pezzi giorno dopo giorno e ancora non riesco a
recuperare i cocci.
Sto
fingendo davanti a tutti, fingo di stare bene, di essere felice, di essere solo
uno duro insegnante di Pozioni, ma in realtà non sto bene, non sono felice. Ho
osservato a lungo grigi cieli d’autunno, sotto gocce di pioggia si fondevano le
mie lacrime salate e amare. Un cupo velo ha coperto per anni il mio cuore, dove
c’era gioia ora solo tristezza, dove c’era amore ora solo odio. Sono stanco di
essere preso per quello che non sono, pensate che dietro a quest’espressione ci
sia una statua che non prova nessun sentimento, che non ne ha diritto?
Pensate
questo di me?
Il
mago si alzò dritto e fiero come se stesse fronteggiando un qualche nemico, ma
il nemico era lui stesso, le sue colpe e i suoi rimorsi.
-
Perché non torni dal mondo dei morti per strapparmi questo mio inutile cuore? –
disse a Lily strattonando furiosamente il lembo di stoffa che copriva il suo
muscolo.
-
Che ci faccio ancora su questa terra, che se ne fa il mondo di Severus Piton?
La
rabbia era ormai svanita, ora solo desolazione sul suo viso. Si gettò
nuovamente sull’erba, rassegnato ad un’esistenza di dolore e sofferenza,
un’esistenza dove nemmeno l’inesorabile scorrere del tempo potrà rimarginare le
ferite dell’uomo. Chi ha detto che il tempo cancella ogni cosa forse non ha
conosciuto l’uomo inginocchiato sotto una bianca luna con le mani inermi lungo
i fianchi. In ginocchio come quel
giorno…
Un attimo dopo, Piton
era in ginocchio nella vecchia camera di Sirius. Stava leggendo la lettera di
Lily e dalla punta del naso adunco gli colavano lacrime. La seconda pagina
recava solo poche parole:
possa
mai essere stato amico di Gellert Grindelwald. Personalmente, sono convinta che
stia perdendo il senno!
Con
tantissimo affetto,
Lily
Piton prese la pagina
con la firma di Lily e il suo affetto, e la infilò sotto la veste. Poi strappò in
due la foto che aveva in mano e tenne per sé la metà in cui Lily rideva,
gettando quella con James e Harry sul pavimento, sotto il cassettone...[3]
-
Il destino non mi ha concesso di essere amato, sono arrivato a farmi odiare da te.
Tu conservi tutti i miei ricordi di quando ero un ragazzo felice, tu mi rendevi
quel ragazzo felice. Avrei fatto di tutto per te, ma ho sbagliato.
Il
mago era immobile, la sua era una posa di rassegnazione.
-
Com’eri bella quando sorridevi. Come avrei voluto un accennato sorriso d’amore
soltanto per me. Ma io non potevo essere amato, hai fatto la scelta migliore,
Lily. Che vita avrei mai potuto offrirti? Solo morte e desolazione. La
desolazione di questo mio arido cuore. Avrei tenuto la tua mano stretta tra la
mia, avrei camminato per l’eternità vicino a te. Ti avrei protetta, avrei
sacrificato la mia vita per te. Invece tu sei lì, che mi guardi dalla luna ed
io sono qui, vivo per scontare ogni peccato che ho commesso, per espiare ogni
mia colpa. Il mio unico desiderio è la morte, ma non mi è concessa nemmeno
quella.
Severus
si rialzò nuovamente per l’ennesima volta, dritto a fronteggiare la luna,
percorse pochi passi per recuperare la bacchetta e diede un ultimo sguardo ai
verdi occhi di Lily, nella consapevolezza che non avrebbe mai potuto
dimenticarli.
-
Vattene! Lasciami solo, merito di essere solo a questo mondo.
L’immagine
obbedì all’ordine e scomparve portandosi via il sorriso, per sempre, le nuvole
si fecero molteplici e minacciose, poi arrivò la pioggia a lavare via ogni
errore e ogni dolore.
Il
mago alzò il volto al cielo, con gli occhi ben serrati, si tolse il mantello e
lo gettò a terra, poi slacciò lentamente i bottoncini della giacca, lentamente,
l’acqua a scivolargli sul viso in una sensazione di pace e tranquillità.
Avrebbe voluto che quella sensazione durasse in eterno.
Si
spogliò della giacca e fece altrettanto con la candida camicia: voleva sentire
la pioggia sulla pelle.
Allargò
le braccia al cielo cercando di farsi purificare completamente da quel liquido
così fresco, inspirò l’aria a pieni polmoni e un forte odore di erba bagnata lo
pervase.
Rimase
immobile per qualche istante in questa posa, i muscoli tesi come se fosse una
scultura, una magnifica scultura del più puro e pregiato marmo esistente al
mondo.
Improvvisamente
una forte fitta al braccio lo costrinse a terra: il Marchio stava bruciando e
il Signore Oscuro reclamava la sua presenza.
Così
lasciò la bianca gemma nel cielo per andare al cospetto di due rubini avidi di
sangue.
[1] Harry Potter e i Doni della Morte – Capitolo 33 – La storia del Principe.
[2] Harry Potter e i Doni della Morte – Capitolo 33 – La storia del Principe – N.d.A. pezzo leggermente variato per integrarlo al meglio nella storia.
[3] Harry Potter e i Doni della Morte – Capitolo 33 – La storia del Principe.