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Autore: Cheonefer86    19/07/2010    2 recensioni
Un uomo affida i tristi ricordi alla luna, che li custodirà in eterno.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton | Coppie: Lily/Severus
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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RICORDI DI LUNA

Storia scritta per il Gioco Creativo n°9 “Immagini e parole in musica”del Magie Sinister Forum e ispirata alla canzone My Immortal degli Evanescence.

 

Obbiettivamente non so quanto la storia che ho scritto possa c’entrare con la canzone che me l’ha ispirata, ma la prima volta che l’ho ascoltata con il viso di Severus bene in vista, mi si è subito dipinta nella testa la figura di Piton accasciato al suolo, triste, piangente, sotto una splendente luna piena. E il resto è venuto da se ascoltando la musica e le parole della canzone.

 

Ho messo l’avvertimento OOC perché credo che Severus non sia propriamente in canon, non credo di averlo stravolto, ma nemmeno che sia IC, comunque se pensate che non lo sia, io posso solo esserne felice in quanto cerco il più possibile di non cambiare completamente il carattere dei personaggi.

 

Un grazie particolare va alla mia beta-amica, anzi, prima Amica e poi beta-occasionale ^_^, la mia Ki, unica e introvabile ;-)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DE MEMORIIS LUNAE

 

Ricordati, oh luna,

del racconto dell’uomo triste.

Non dimenticarti, oh luna

del pianto dell’eroe mai nato.

 

 

La notte era scesa ormai da tempo e una pesante coltre scura ricopriva il Castello e abbracciava gli alberi e le creature della Foresta Proibita.

La luna svettava alta nel cielo come una pietra solitaria incastonata in una buia grotta, mentre un uomo camminava solitario verso la selva, il suo passo era stanco, scivolava sull’erba come se fosse uno spettro.

Gli abiti neri come la notte si confondevano, i capelli corvini ondeggiavano lievi sotto i colpi di una leggera brezza che li accarezzava. Il suo volto era scavato da sofferenze e fatiche, il pallore quasi cadaverico si contrapponeva a tutta quell’oscurità.

Le sue sembianze erano del tutto simili a quelle di un morto.

Morte era solo un’esile parola pronunciata dalle labbra di Severus Piton, il crepuscolo della sua vita era solo un’effimera speranza, ma speranza era un termine scomparso dalla sua esistenza da troppo tempo ormai.

L’uomo alzò lo sguardo verso la candida gemma nel cielo, ma ad un tratto delle nuvole si frapposero tra i due protagonisti di questa notturna inquadratura.

- Neanche tu, luna riesci a guardarmi, vero? – disse l’uomo rivolto all’angolo di cielo dove un attimo prima si stagliava alta e potente la grossa sfera bianca.

- Tu che attiri oceani non riesci a guardare questo mostro che ti sta parlando?

La soffice coltre scura rimase lì, nessuno spiraglio a colpire l’uomo.

- Non posso biasimarti, luna, - confessò affranto gettandosi a terra – neanche io mi guarderei, la mia immagine mi disgusterebbe.

Il mago era seduto a terra con il viso tra le gambe rivolto a terra, i lunghi capelli scendevano sciolti a coprire la sua espressione di rassegnazione e disgusto, la bacchetta stretta con rabbia tra le esili dita.

- Inutile pezzo di legno - gridò Severus lanciando la bacchetta poco lontano – non mi sei servito a niente, a nient’altro che sporcarmi le mani di sangue innocente.

- Guarda, luna, guarda quest’orrendo marchio che mi brucia l’anima. Guarda il mio cuore di ghiaccio che non si scioglie nemmeno sotto atroci torture. Perché non guardi? Perché nessuno osserva quest’anima sola, corrosa dall’amore per una Schifosa Mezzosangue! – urlò l’uomo al vento che sibilava.

- Quanto mi è costata quest’affermazione, quanta sofferenza ha generato in me una sola ignobile parola. Guarda, luna cos’ha prodotto questa infamia!

Il mago allungò il braccio sinistro verso la luna ancora nascosta dalle nuvole, e una lacrima sfuggì al suo controllo e percorse, in rispettoso silenzio, il suo viso cinereo.

- Ma con chi te la vuoi prendere, Severus, la colpa di quest’orrenda vita è solo tua. – sospirò disilluso il mago - Solo mia, soltanto colpa della mia stupida arroganza. Se non ci sei più, la colpa è solo mia.

Il mago s’inginocchiò come in una sorta di accorata preghiera, una preghiera che si sarebbe persa nel vento e nella notte, tra le nubi che coprivano la luna che assisteva nascosta, al pianto di un uomo solo, abbandonato alla sua triste esistenza di rinnegato e di assassino.

Stanco di vivere, stanco di respirare, stanco di rivedere la sua immagine sbiadita ovunque andasse, di vederla nelle notti in cui veniva a tormentarlo sorridendogli con quel suo sorriso che sapeva infrangere la più dura delle rocce.

Severus si rialzò a fatica, era del tutto debole, nel corpo e nello spirito, stanco di lottare per nient’altro che la sua infelicità nella consapevolezza che non avrebbe ottenuto nulla, nemmeno la redenzione di colpe passate.

Chi mai avrebbe creduto che dentro la gelida corazza del mago un cuore battesse d’amore e un’anima piangesse straziata?

Era in piedi, immobile, a scrutare la notte nell’irreale silenzio, alzò lievemente il viso verso il cielo ad osservare la luna che non c’era.

- Tu mi reputi ancora un mostro, Lily? – chiese Severus alla volta celeste come se parlasse con qualcuno.

Non appena il mago abbassò lo sguardo rassegnato che nessuna risposta sarebbe giunta, le nuvole si spostarono e la luna tornò a splendere candida nella notte.

Una strana figura si compose lentamente fondendosi con le ombre dei crateri lunari, un viso femminile apparve confuso, ma l’uomo la riconobbe: era Lily.

La donna così tanto amata lo guardava sorridendo, quel sorriso che aveva imparato ad amare, quel sorriso che da quella lontana notte mai più gli aveva rivolto.

Tra il candore della luna si potevano scorgere i rossi capelli che ondeggiavano lievi.

Severus alzò nuovamente lo sguardo ad osservare quel viso così desiderato, chiuse un istante gli occhi cercando di inspirare a fondo l’odore che sembrava provenisse da quella morbida chioma. Avrebbe voluto accarezzarli per ore, avrebbe voluto toccare il suo viso, avrebbe voluto il corpo di Lily sopra il suo. Ma lei aveva scelto l’odiato rivale e lui era rimasto di nuovo solo e l’oscurità l’aveva avvolto.

- Non sorridermi! – gridò all’immagine confusa - Non guardarmi! – le mani sul volto a coprirsi - Non ne sono degno.

Si voltò di scatto per non guardare quel viso così sorridente, le lacrime cominciarono a scendere prepotenti sullo stanco viso di Severus, e lei sorrideva.

La tentazione di stare lì per ore ad ammirare il riflesso del suo cuore che amava, era veramente forte, il ricordo di quel volto sarebbe stato ancora più forte e nitido nella sua anima, ma il rimorso di vedere il sorriso dell’amore che aveva ucciso sarebbe stato ancora più aspro.

Ricordo o rimorso?

Portare per sempre con sé il ricordo di un sorriso solo suo, anche se fugace gesto, oppure il rimorso di averle strappato la felicità da quelle labbra che avrebbe voluto baciare in eterno?

Il mago si ergeva dritto dando le spalle alla luna e al viso impresso in essa, lo sguardo basso, le mani strette in un pugno rabbioso e le labbra serrate: era teso.

Si voltò di scatto verso il ritratto lunare dalle sembianze di donna, della sua Lily: - Perché mi fai questo? – gli occhi nuovamente a fissare l’erba che si muoveva appena – Perché ancora vieni a tormentarmi? Tu sei morta, morta! Lasciami stare!

Il mago si gettò nuovamente a terra, le ginocchia a rovinare duramente sul terreno e le mani a coprirsi il volto.

- Non voglio guardarti. Non guardarmi! Non sorridere all’unico colpevole della tua morte. Vattene! Lasciami solo! Non essere il mio sogno tra gli incubi… - Severus sospirò tra le lacrime – non me lo merito.

Il dolore che inghiottiva l’uomo si diffuse nella radura perdendosi tra le fronde della foresta, intorno solo silenzio e immobilità.

Le immagini di un lontano passato cominciarono a scorrergli davanti agli occhi come un fiume in piena, immagini di un tempo trascorso con lei, nella felicità e nella spensieratezza.

 

Si trovava in un parco giochi quasi deserto. Un'enorme ciminiera dominava l'orizzonte. Due bambine si dondolavano sulle altalene e un ragazzino magro le osservava da dietro un gruppo di cespugli. Aveva i capelli neri troppo lunghi e abiti così male assortiti che sembrava fatto di proposito: jeans troppo corti, un cappotto logoro e troppo grande che avrebbe potuto appartenere a un adulto, una strana camicia simile a un grembiule.

Piton non doveva avere più di nove o dieci anni, giallastro, piccolo, nervoso. Sul suo volto magro si leggeva chiaramente il desiderio con cui guardava la più piccola delle due bambine dondolare sempre più in alto, molto di più della sorella. [1]

 

Rialzò appena il viso a guardare il ritratto offuscato di Lily che ancora gli stava sorridendo, come se avesse assistito lei stessa alla scena.

- Ti ricordi, Lily quando ti spiavo? Eri così bella e solare, eri perfetta già allora, ed io già da allora ero solo un illuso, un patetico stupido illuso. Che cosa credevo? Che saremmo stati uniti per sempre? Sei sempre stato un idiota, Severus.

Un’ombra di amarezza attraversò il viso dell’uomo, che chiuse un istante gli occhi.

- Quando ero bambino, trascorrevo le ore nella mia stanza a piangere, tappandomi le orecchie per non sentire le urla dei miei genitori. Mio padre beveva e quando alzava troppo il gomito, picchiava mia madre.

Le lacrime scesero lente quando nella sua mente apparve l’immagine della madre coperta di lividi, strinse le braccia al petto per proteggersi, come faceva quand’era piccolo nella buia stanza di Spinner’s End.

- Mio padre le ripeteva spesso: “Sei un mostro! Tu e tutti quelli come te!”.

Mosse le mani mimando i passati gesti del padre.

- Ed io ero come lei: un mostro. Col tempo cominciai a crederlo sul serio. In fondo ero deriso da tutti a scuola, mio padre mi picchiava se facevo qualcosa di strano anche senza volerlo, e mia madre era troppo innamorata e ingenua per ribellarsi. Era una stupida! Come me. Uno stupido bambino che subiva in silenzio e osservava la madre piangere. Ero un’inutile presenza su questa terra, come lo sono ancora adesso.

La luna ascoltava silente le parole dell’uomo, un’altra goccia salata scivolò sul volto scavato, mentre la donna ancora sorrideva, come si sorride a qualcuno cui si tiene.

- Sono un uomo inutile che ha saputo solo fare del male. Anche a te, Lily.

Severus tornò a guardare il candido volto di luna.

- Sei morta per colpa mia. La notte continui ad apparirmi, perché? Perché il tuo sguardo non mi lascia un solo istante. Perché il verde dei tuoi occhi rischiara le tenebre dei miei? Costretto a guardare tutti i giorni le tue iridi di smeraldo nel figlio di James, in tuo figlio, nel bambino che ho giurato di proteggere, nel bambino che non sarà mai mio. Lo sai cosa significa per me guardare ogni giorno il frutto del tuo amore per Potter? No, non lo sai. Se solo ne fossi un minimo consapevole, mi lasceresti da solo sotto questa luna. Vai via!

Si rialzò di scatto, furente, diede le spalle alla luna e diresse i passi verso il Castello. Doveva andarsene da lì, tornare nel freddo dei Sotterranei dove i suoi incubi sarebbero tornati ancora più atroci. Ma la donna che tanto amava era lì, lo stava guardando, stava sorridendo proprio a lui, e non voleva rinunciare a quei pochi istanti di felicità.

Ma nella mente apparvero i ricordi del giorno in cui una parola spezzò ogni cosa, e il dolore s’impossessò nuovamente di lui.

 

Piton usciva dalla Sala Grande, dopo aver sostenuto l'esame di G.U.F.O. in Difesa contro le Arti Oscure, si allontanava dal castello e andava, soprappensiero, verso la betulla sotto la quale erano seduti James, Sirius, Lupin e Minus. Lily raggiunse il gruppo e difese Piton, ma Piton le urlò contro, umiliato e furente, le parole imperdonabili: «Schifosa Mezzosangue». [2]

 

Cadde nuovamente a terra come se fosse stato colpito da qualcuno, e sul volto scesero prepotenti le lacrime che, non trattenute dalle mani che coprivano il volto, rovinarono sull’erba a formare una dolorosa rugiada.

- Aveva ragione mio padre: sono un mostro. Non sono mai stato nient’altro che un mostro.

Le parole uscivano a fatica dalle labbra del mago, i singhiozzi si fecero sempre maggiori diffondendosi per la radura.

Nessun rumore a spezzare il dolore di un uomo, nessun movimento dalla foresta, ogni creatura taceva per ascoltare il dolce rovinio delle salate gocce di lunghi tormenti.

- Quella parola è un pugnale acuminato che mi lacera il cuore, ed ogni volta che il tuo ricordo entra in me, si conficca maggiormente, ogni volta che i tuoi occhi incontrano i miei, la mia anima si lacera. Perché continui ad essere il mio dolce tormento?

Severus volse il viso verso la luna, verso Lily, le lacrime ancora a bagnargli il volto, i suoi occhi tradivano rabbia e le labbra si serrarono.

- Quelle parole ti hanno ferita a morte, sono stato stolto a dirti quelle cose, ma tu? Tu mi stai facendo a pezzi giorno dopo giorno e ancora non riesco a recuperare i cocci.

Sto fingendo davanti a tutti, fingo di stare bene, di essere felice, di essere solo uno duro insegnante di Pozioni, ma in realtà non sto bene, non sono felice. Ho osservato a lungo grigi cieli d’autunno, sotto gocce di pioggia si fondevano le mie lacrime salate e amare. Un cupo velo ha coperto per anni il mio cuore, dove c’era gioia ora solo tristezza, dove c’era amore ora solo odio. Sono stanco di essere preso per quello che non sono, pensate che dietro a quest’espressione ci sia una statua che non prova nessun sentimento, che non ne ha diritto?

Pensate questo di me?

Il mago si alzò dritto e fiero come se stesse fronteggiando un qualche nemico, ma il nemico era lui stesso, le sue colpe e i suoi rimorsi.

- Perché non torni dal mondo dei morti per strapparmi questo mio inutile cuore? – disse a Lily strattonando furiosamente il lembo di stoffa che copriva il suo muscolo.

- Che ci faccio ancora su questa terra, che se ne fa il mondo di Severus Piton?

La rabbia era ormai svanita, ora solo desolazione sul suo viso. Si gettò nuovamente sull’erba, rassegnato ad un’esistenza di dolore e sofferenza, un’esistenza dove nemmeno l’inesorabile scorrere del tempo potrà rimarginare le ferite dell’uomo. Chi ha detto che il tempo cancella ogni cosa forse non ha conosciuto l’uomo inginocchiato sotto una bianca luna con le mani inermi lungo i fianchi. In ginocchio come quel giorno…

 

Un attimo dopo, Piton era in ginocchio nella vecchia camera di Sirius. Stava leggendo la lettera di Lily e dalla punta del naso adunco gli colavano lacrime. La seconda pagina recava solo poche parole:

possa mai essere stato amico di Gellert Grindelwald. Personalmente, sono convinta che stia perdendo il senno!

Con tantissimo affetto,

Lily

Piton prese la pagina con la firma di Lily e il suo affetto, e la infilò sotto la veste. Poi strappò in due la foto che aveva in mano e tenne per sé la metà in cui Lily rideva, gettando quella con James e Harry sul pavimento, sotto il cassettone...[3]

 

- Il destino non mi ha concesso di essere amato, sono arrivato a farmi odiare da te. Tu conservi tutti i miei ricordi di quando ero un ragazzo felice, tu mi rendevi quel ragazzo felice. Avrei fatto di tutto per te, ma ho sbagliato.

Il mago era immobile, la sua era una posa di rassegnazione.

- Com’eri bella quando sorridevi. Come avrei voluto un accennato sorriso d’amore soltanto per me. Ma io non potevo essere amato, hai fatto la scelta migliore, Lily. Che vita avrei mai potuto offrirti? Solo morte e desolazione. La desolazione di questo mio arido cuore. Avrei tenuto la tua mano stretta tra la mia, avrei camminato per l’eternità vicino a te. Ti avrei protetta, avrei sacrificato la mia vita per te. Invece tu sei lì, che mi guardi dalla luna ed io sono qui, vivo per scontare ogni peccato che ho commesso, per espiare ogni mia colpa. Il mio unico desiderio è la morte, ma non mi è concessa nemmeno quella.

Severus si rialzò nuovamente per l’ennesima volta, dritto a fronteggiare la luna, percorse pochi passi per recuperare la bacchetta e diede un ultimo sguardo ai verdi occhi di Lily, nella consapevolezza che non avrebbe mai potuto dimenticarli.

- Vattene! Lasciami solo, merito di essere solo a questo mondo.

L’immagine obbedì all’ordine e scomparve portandosi via il sorriso, per sempre, le nuvole si fecero molteplici e minacciose, poi arrivò la pioggia a lavare via ogni errore e ogni dolore.

Il mago alzò il volto al cielo, con gli occhi ben serrati, si tolse il mantello e lo gettò a terra, poi slacciò lentamente i bottoncini della giacca, lentamente, l’acqua a scivolargli sul viso in una sensazione di pace e tranquillità. Avrebbe voluto che quella sensazione durasse in eterno.

Si spogliò della giacca e fece altrettanto con la candida camicia: voleva sentire la pioggia sulla pelle.

Allargò le braccia al cielo cercando di farsi purificare completamente da quel liquido così fresco, inspirò l’aria a pieni polmoni e un forte odore di erba bagnata lo pervase.

Rimase immobile per qualche istante in questa posa, i muscoli tesi come se fosse una scultura, una magnifica scultura del più puro e pregiato marmo esistente al mondo.

Improvvisamente una forte fitta al braccio lo costrinse a terra: il Marchio stava bruciando e il Signore Oscuro reclamava la sua presenza.

Così lasciò la bianca gemma nel cielo per andare al cospetto di due rubini avidi di sangue.

 

 



[1] Harry Potter e i Doni della Morte – Capitolo 33 – La storia del Principe.

[2] Harry Potter e i Doni della Morte – Capitolo 33 – La storia del Principe – N.d.A. pezzo leggermente variato per integrarlo al meglio nella storia.

[3] Harry Potter e i Doni della Morte – Capitolo 33 – La storia del Principe.

   
 
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