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Autore: Francine    22/09/2005    3 recensioni
Che ci faceva lì?
Ma, dov’era
?
Forse al Santuario? Ma da quando in qua ad Atene c’è necessità di coprirsi tanto?, pensò sgranando gli occhi di colpo, E poi quando mai Mask mi ha portata con sé?
Fece per alzarsi di scatto, quando un lancinante dolore al fianco le mozzò il respiro nei polmoni e la costrinse ad accasciarsi sul pavimento, un braccio posato sul letto.
Si toccò istintivamente la parte, notando la punta delle dita sporca di sangue.

Che cosa?, si chiese allibita, mentre la stanza attorno a lei cominciò a girarle vorticosamente intorno e a scurirsi.
Il narciso, bianco nel nero puro della stanza, si allontanava piano piano, svanendo all’orizzonte.
Rimase qualche secondo a fissare l'oscurità; sbatté le palpebre, per sincerarsi di avere gli occhi aperti.
Era nel buio più profondo e silenzioso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un, deux, trois' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Eroe
 

A gran voce dice il Cid nato in buon ora:
"colpite, cavalieri, in nome del Creatore!
Io sono Ruy Dìaz, il Cid Campeador!"
(Cantar de Mio Cid ,vv. 719-721, 1040-1080 ca.)



Françoise sentì qualcosa sfiorare le lenzuola in fondo al letto.
Ancora non completamente assopita, la ragazza si stropicciò gli occhi, volgendosi verso la porta.
«Tonio?», chiamò con la voce ancora impastata dal sonno, senza ottenere risposta.
«Tonio?», ripeté allarmata mettendosi a sedere, la schiena appoggiata ai cuscini dietro di lei.
Fu allora che Françoise percepì chiaramente la presenza di qualcun altro, oltre a lei, in quella stanza.
Chiunque fosse, non aveva intenzioni pacifiche, questa era la sola cosa che avvertiva chiaramente, immersa nel buio irreale di quella stanza.
«Chi sei?!», ordinò imperiosa alla figura scura che iniziava lentamente a prendere corpo.
Una risata sommessa rispose alla domanda fatta dalla ragazza.
«CHI SEI!!», urlò Françoise alzandosi in piedi sul letto, pronta a cercare di fronteggiare l’attacco che sarebbe di lì a poco arrivato.
Le nuvole che coprivano la sottile falce lunare lasciarono il posta agli strali argentei dell’astro notturno, proiettando un esile cono di luce all’interno della stanza. Le costole pulsavano impazzite, mentre i sensi erano allertati e pronti a cogliere il minimo movimento dell’intruso.
Françoise, spalle alla luce, vedeva riflessi sul pavimento di legno scuro gli infissi della finestra: la figura estranea, i piedi lambiti dal cono di luce, sembrava fosse una statua di sale, ferma immobile, come se stesse aspettando il momento propizio per palesarsi.
Quando anche l’ultima nube si dileguò dal cielo, la ragazza vide un luccichio in fondo alla stanza.
Non può essere, pensò sgranando gli occhi e ricordandosi che era visibile al nemico, mentre questi aspettava nascosto nel buio.
«Te lo chiedo per l’ultima volta!», disse la ragazza portando la gamba sinistra in avanti e le braccia in posizione di guardia. «Dimmi. Chi. Sei!!»
La figura, per tutta risposta, avanzò fino al letto della ragazza, palesando la sua reale identità.
Il cuore di Françoise perse un battito.
Non… non è possibile, si disse portandosi le mani al viso e sgranando gli occhi fin quasi a farli fuoriuscire dalle orbite. Aprì la bocca per gridare, ma sentì la gola arsa e la voce assente, come se fino ad allora non avesse mai posseduto alcuna corda vocale.
L’estraneo avanzò indisturbato, prendendole le mani e baciandogliele con galanteria.
«Hola, mia piccola gaviota…»
Françoise ritrovò di colpo la favella ed urlò la sua paura a pieni polmoni.


>Athena, ti supplico, fa’ che io possa arrivare in tempo!
Milo, lottando contro l’intrico di rovi che stava letteralmente soffocando la graziosa casetta in cima alla collina, pregava dentro di sé che non fosse troppo tardi per salvare almeno Françoise.
Per ogni ramo che spezzava, un altro fuoriusciva dal rovo, rendendo vano qualsiasi sforzo fatto. Milo indietreggiò di un passo, sentendosi le mani e le braccia ardere per il contatto con le spine del roseto: lo spettacolo che si parava di fronte ai suoi occhi era raccapricciante.
I rovi danzavano illuminati sinistramente dalla fredda Luna, come al suono di una folle melodia, agitando i rami carichi di spine nel fresco vento settembrino. La pallida luce lunare, ora liberata da cumuli di nubi nere, donava all’insieme un tocco di lucida follia.
Mostruoso!, pensava il ragazzo guardando l’orrore che si andava consumando davanti a sé.
Françoise era ancora in quella casa, come avrebbe fatto per liberarla?
Il suo corpo, non protetto dall’armatura, era ferito in diversi punti, sulle braccia e sulle gambe, mentre dalle ferite iniziavano a fuoriuscire piccole perdite di sangue.
Devo farcela!, si disse fissando con rabbia la casa a pochi passi da lui: rivide mentalmente la giornata appena trascorsa assieme a Françoise e Tonio, il pranzo, la scenata della ragazza, la sensazione di pericolo avvertita quando era stata attaccata dal nemico, la sensazione di calore provata pochi minuti prima…
Non può andare a finire così!! Non deve finire così!, pensò fissando l’insolito nemico che si trovava ad affrontare. Raccolse tutte le sue forze e tutta la determinazione per cui era noto al Santuario: strinse i pugni ed espanse il proprio cosmo dorato fino ai limiti estremi. Sulla collina, una calda luce dorata brillò improvvisamente, rischiarando di poco le tenebre della notte.
Alla base di essa, una coppia di innamorati, che rincasava da una romantica passeggiata, vide come un’esplosione di fuochi d’artificio splendere per un istante sulla sommità del colle.
«Credi che ci sia qualche festa qui vicino?», chiese la ragazza abbracciando forte il proprio fidanzato.
«No, che io sappia no…», rispose lui circondandole le spalle con un braccio.
«Chissà chi sarà », aggiunse lei estasiata dal quell’inatteso spettacolo.
Il buio riprese possesso della cima del colle.


«Non è possibile!», gridò Françoise indietreggiando fino a toccare il muro con la schiena. Davanti ai suoi occhi, bello e sorridente come se lo ricordava, era apparsa una sua vecchia conoscenza.
Shura di Capricorn.
Uno dei migliori Saint al servizio di Athena.
Uno degli amici di suo fratello Camus.
Uno dei guerrieri periti durante le battaglie al Santuario di Grecia.
Françoise guardava quell’apparizione, tanto impossibile quanto tangibile, apparsagli nel bel mezzo della notte, con gli occhi letteralmente fuori dalle orbite per la sorpresa.
«Non è possibile…», ebbe la sola forza di dire fissando dritto gli occhi scuri dell’altro.
«È da tanto che non ci vediamo, mia piccola gaviota…», rispose Shura scostando di poco la cappa color della pece che aveva usato per mimetizzarsi, rivelando un bagliore dorato al di sotto di essa. Ci volle un istante alla ragazza per capire che Shura, o chi per lui, indossava le sacre vestigia del Capricorno.
«Com’è possibile?», chiese la ragazza stupefatta, pregando in cuor suo che quell’apparizione non fosse un’illusione generata dal nemico.
Shura sorrise, avvicinandosi alla ragazza fino a mettere un solo passo fra di loro.
«Non mi hai visto, poco fa nel tuo sogno?», le chiese carezzandole una guancia con la mano destra.
Françoise annuì meccanicamente, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli scuri e magnetici del ragazzo.
«Era il mio modo per annunciarti il mio ritorno…», aggiunse lui dolcemente accompagnando le proprie parole con un caldo sorriso.
«Ma… ma tu sei morto durante la rivolta…», tentò di dire la ragazza tra i singhiozzi e lo stupore. «Come…?»
«È semplice… il mio corpo ha vagato nello spazio finché io non ho avuto la forza necessaria per richiamare a me la mia Armatura; a quel punto, sono potuto scendere sulla Terra senza preoccuparmi dell’impatto con l’atmosfera…»
Il caldo accento spagnolo con cui Shura parlava fece riaffiorare prepotentemente il ricordo dei giorni trascorsi al Santuario e dell’ultima volta che si erano visti.
Calde lacrime rigavano il viso della ragazza, che, senza curarsi di asciugarle o di celarle, si era avvicinata all’ospite, annullando qualsiasi distanza.
«Ma, allora… è anche possibile che…»
Non riuscì a terminare la frase, tanta era la speranza che riponeva in quell’impossibile pensiero.
Shura annuì.
«Sì, anche tuo fratello Camus riuscirà a risvegliarsi dalla bara di ghiaccio in cui lo ha rinchiuso Hyoga. È solo questione di tempo!», le disse rassicurandola e regalando al suo cuore un battito nuovo ed una nuova speranza.
«Shu… Shura…», sussurrò la ragazza abbracciando l’amico e scoppiando in un pianto liberatorio sul pettorale dell’Armatura.
«Shh… tranquilla, va tutto bene», la rassicurò il Gold Saint carezzandole la testa con fare protettivo. «Rilassati, andrà tutto per il meglio…», le disse con voce dolce, cercando di coprire i singhiozzi della ragazza.
Françoise era incredula, ma il suo cuore aveva avuto un tuffo quando Shura le aveva detto che, forse, c’era ancora una speranza per suo fratello.
Se ce l’ha fatta Shura, ce la farà sicuramente anche lui!, si andava dicendo mentre piangeva a dirotto tra le braccia dell’amico.
Nella calma notturna, la giovane guerriera lasciava che le emozioni, forti ed intense, viaggiassero libere e senza freno.
Il silenzio era rotto solo dai suoi singhiozzi e dal placido ronfare dei due micini.
Sentiva il pettorale dell’Armatura emanare un calore rassicurante ed il battito del cuore dell’amico ritrovato le giungeva, seppur attutito, come un ipnotico mantra capace di rasserenarla e fugare ogni paura.
«Io… io… mi sentivo persa…», disse tra le lacrime, sentendo il proprio fiato appannare la corazza dorata su cui si appoggiava. «Non avevo neppure un posto dove venire a piangervi… mio fratello… avvolto da uno strato di ghiaccio allo zero assoluto… tu… disperso nel cosmo…. avevo due vuote bare…. che senso aveva tutto ciò..?»
«Tranquilla, gaviota… è tutto finito…», la calmò il ragazzo carezzandole la testa lentamente, come se stesse facendo le coccole ad un gattino, ed asciugandole le lacrime con il dorso della mano. «Adesso calmati, su smettila di piangere…»
All’improvviso, mentre sentiva le forze abbandonarla e le braccia di Morfeo richiamarla prepotentemente a sé, Shura strinse la mano posta sulla testa di Françoise e, rapido e preciso, colpì alle spalle la ragazza con la sua Excalibur.
Cancer fece appena in tempo a spostarsi di lato.
Guardò con occhi sbarrati l’amico, che, brandendo il proprio braccio come fosse una spada affilata, minacciava la ragazza che aveva tenuto fino a poco tempo prima stretta al suo petto.
«Perché?», chiese lei arretrando verso il muro. «Perché, mio Cid Campeador?»,  continuò ricordandogli il soprannome che gli aveva dato anni addietro.
Shura non si scompose.
«Chi sarebbe questo Cid Campeador», chiese con un sorriso di scherno dipinto a fior di labbra.
«L’eroe della Reconquista spagnola… Il paladino della Cristianità sui Mori… Il nobile e valoroso eroe che scacciò l’invasore dalla propria terra», disse Françoise stringendo i pugni e sentendo il sangue fuoriuscirle dalla ferita provocatagli sul fianco sinistro. «TU eri il MIO Cid Campeador!», urlò espandendo il proprio cosmo, gli occhi frementi dalla rabbia.
Un inquietante sorriso si dipinse sulle labbra del Gold Saint.
«Tu… tu non sei Shura! Non PUOI esserlo!», gridò la ragazza con le lacrime che le offuscavano la vista.
«Alla buon’ora!», rispose la figura.
Françoise pensò di avere le traveggole: Shura andava lentamente sbiadendo nel buio, mentre prendeva piano piano corpo una figura corpulenta e nerboruta.
Una risata di scherno la colpì più di un pugno ben assestato.
«Cretina… pensavi realmente che si possa tornare da un viaggio nel cosmo, senza alcuna protezione…?», prese a dire la figura che aveva assunto altre sembianze. «Non credevo fossi così ingenua, Françoise…»
La ragazza, per tutta risposta, non staccò gli occhi di dosso all’avversario, stringendo rabbiosamente i pugni lungo i fianchi.
«Cos’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?», continuò l’uomo con fare sarcastico all’indirizzo della guerriera. «Oppure sei rimasta colpita dalla mia bravura, eh?»
«Tu…», sibilò Françoise con quanto freddo odio era capace di infondere a quel semplice pronome.
«Esatto…», fece il nemico palesandosi definitivamente.


Milo, raccolta l’energia sufficiente, l’aveva convogliata tutta nel suo venefico aculeo e, scovato il punto debole del roseto, vi aveva lanciato contro il colpo per cui era così tristemente famoso. Un raggio di luce dorata era partito dal dito del guerriero, andandosi a schiantare contro la base della pianta. In un attimo, esso si era dapprima fermato per poi contorcersi dal dolore ed accasciarsi a terra in preda ai singulti.
Milo osservò con freddezza la fine di quel maledetto intrico di rovi. Richiamò a sé la propria Armatura e sui diresse a spron battuto verso l’interno della casa, chiamando a gran voce il nome della compagna.
Entrò in casa come una furia e corse su per le scale salendo i gradini a due a due.
Speriamo che gli altri sentano il mio cosmo e mi raggiungano al più presto! Non ho di sicuro il tempo materiale per fare le cose secondo le regole!, pensava il ragazzo dirigendosi a gran velocità verso la camera da letto di Françoise.
Non c’era alcun rumore al piano superiore, nulla che facesse presupporre la presenza di altre persone vive.
«Françoise!!», gridò aprendo di scatto la porta.
Lo spettacolo che gli si parò davanti lo fece sbiancare dall’orrore.
Il Female Gold Saint di Cancer giaceva esanime sul letto, la testa ciondolante a terra: un rivolo di sangue scorreva dalla bocca fino alle tempie della ragazza, il cui sguardo era spalancato dall’orrore provato.
Aveva sicuramente cercato di difendersi, ma le ferite le avevano impedito di rispondere a tono all’aggressore, che aveva avuto la meglio su di lei, uccidendola.
Sentì il sangue ribollirgli nelle vene.
Strinse le nocche finché non divennero bianche e finché le unghie non gli si conficcarono nelle carne.
Si avvicinò impotente al corpo della ragazza, con una gran voglia di radere al suolo tutto quanto.
A cosa è servito venire fin qui?, si chiese Milo abbassando le palpebre di Françoise. Non sono riuscito a salvare la sorella del mio migliore amico…
Si alzò e si mise una mano sugli occhi, iniziando a recitare una preghiera.
Dato che del nemico non vi era più traccia, e che per Françoise era ormai tardi, girò sui tacchi e si diresse verso il corridoio per riprendersi dalla scena.
Si passò una mano sulle folte sopracciglia, quando ebbe un’illuminazione e si fermò nel bel mezzo della stanza.
Fu un attimo: riprese a camminare verso il corridoio, la testa china, come se non fosse accaduto nulla. Si voltò di scatto verso la sagoma stesa a terra, colpendola con il suo ago venefico.
   
 
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