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Autore: Nike93    19/07/2010    1 recensioni
Dorian non si accorse nemmeno di non averlo chiamato per nome – Alan, Alan, – e di non averlo neanche celato dietro un vago, impersonale – crudele – “lui”, ma di aver pronunciato quelle parole. Vostro marito.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: I personaggi sono tratti dal libro “Il ritratto di Dorian Gray”, di Oscar Wilde. Fanny McKinsey ed Allison Campbell sono personaggi inventati ed appartengono a _MrsGray. La vicenda narrata riprende in parte la storia originale e in parte elementi inventati.
La canzone citata, “The answer lies within”, appartiene ai Dream Theater.





Alan Campbell era uno di quel genere di uomini abituati ad agire con razionalità. Applicava questo metodo persino nel momento in cui sentiva il bisogno di dialogare con se stesso, o trovare delle risposte, o capire cosa non funzionasse, o perché si fosse comportato in un certo modo.
Adesso, avrebbe avuto bisogno esattamente di questo: avrebbe dovuto cominciare a parlare con se stesso e a capire cosa non funzionasse nel preciso momento in cui aveva ricevuto l’invito – o meglio, data la perentoria forma, un ordine dettato da un bisogno urgente – a recarsi all’abitazione di Dorian Gray, e, una volta chiuso con un tonfo sordo il portone dietro di sé, appena un minuto dopo aver sceso di corsa le scale di quel palazzo maledetto, trovare delle risposte a domande che non aveva più nemmeno il coraggio di porsi.
Soprattutto, avrebbe dovuto cercare di capire tante cose, ma così tante che si riducevano tutte ad un unico, lungo e assordante “perché?” .


In quel momento si sentiva semplicemente uno straccio. In quel momento come in quello precedente e come probabilmente in quello successivo.
Dorian sfiorò le ciocche di capelli sparse sul cuscino ormai caldo, dato che erano già diverse ore che Alan si rifiutava di alzare la testa da quel morbido, confortante appoggio. – La stai facendo talmente tragica, Alan…
L’uomo si accigliò, senza tuttavia rifiutare quella carezza delicata. – Sto
male, Dorian.
- E farai ammalare anche me, ma di depressione! – Il biondo assunse un’espressione indispettita, ma non abbastanza convincente perché Alan si pentisse del tono usato. Aveva questa strana tendenza ad analizzare scrupolosamente ogni movimento fatto e ogni parola pronunciata quando Dorian mostrava di non aver gradito. – Su, sono qui apposta per te. Cerca di sforzarti di mostrare almeno un minimo di gratitudine.
Alan sospirò, ma sorrise. Sempre a causa di quella tendenza, il suo sguardo si addolcì e il tono di voce si ammorbidì. – Ti sono grato per essere qui, ma non ti sarò di grande compagnia. Non credo che riuscirò a fare niente di diverso dal leggere un po’…
- E’ solo influenza, tesoro.
- Ma mi sento male!
Dorian sbuffò, ma sbuffò in modo talmente adorabile che Alan, nonostante le proprie paturnie da invalido – perlomeno, lui la vedeva in questo modo – non poté fare a meno di assecondarlo, conducendo uno dei loro frequenti giochi infantili. – Ti chiedo scusa. Ma davvero, sono stanco anche di parlare.
- Allora risparmia il fiato per cercare scuse più ingegnose. Non ho intenzione di lasciare che tu ti abbrutisca con un’enciclopedia di scienze biologiche!
Alan assunse immediatamente un’espressione disperata, memore del volume che stava leggendo in tutta tranquillità prima che Dorian bollasse quella piacevole attività come inopportuna e gli strappasse il libro dalle mani, per poi andare a nasconderlo in un angolo della casa sicuramente troppo lontano dalla sua portata.
Il ragazzo lo guardò e lesse nei suoi occhi l’ombra di incombenti proteste, così si chinò su di lui e premette un bacio leggero sulle sue labbra screpolate. Aveva intenzione di rialzarsi subito dopo, così, come per gioco, ma il respiro di Alan era lieve, caldo, il suo fiato era… saporito, potendo definirlo tale. Sì, il suo fiato era saporito, e le sue labbra avevano bisogno di calore e di umidità per ammorbidirsi, così Dorian si attardò su di esse, stuzzicandole con un bacio appena più profondo. Quando si rialzò, separandosi di pochi centimetri dal viso di Alan, interpretò la sua espressione come se volesse dirgli che non bastava ancora, che aveva bisogno di altro, nonostante le parole che seguirono dicessero tutt’altro.
- Dorian, ti… insomma, potrei contagiarti…
- Sta’ zitto.
Il biondo gli prese il viso tra le mani, sorrise, e riprese a baciarlo, e trovò nella sua bocca la stessa calda accoglienza che trovava sempre nelle sue braccia.
Alan lo salvava da se stesso giorno per giorno, adesso il minimo che potesse fare era salvarlo dalla noia e dalla temporanea debolezza.



Aspettò vari minuti prima di decidersi ad aprire la porta, e di scoprire che un gesto normale, semplice, era diventato quasi impensabile da compiere.
Continuava a chiedersi con quale coraggio sarebbe entrato in casa e si sarebbe fatto vedere da Fanny – e da Allison, dio, da Allison. Le mani non avevano smesso di tremargli, i capelli e gli abiti erano impregnati di un insopportabile odore di acido nitrico e, anche se questi particolari non fossero bastati, sarebbe stato sufficiente lo sguardo con cui si sarebbe presentato alla famiglia, uno sguardo colpevole, terrorizzato, folle. Uno sguardo che rifletteva figure terribili, grottesche, due pupille in cui era ancora intrappolata l’immagine che lo avrebbe perseguitato per il resto dei suoi giorni.
L’immagine di un uomo riverso su un tavolo di una casa che non era la sua, soffocato dal suo stesso sangue. Un uomo che non avrebbe smesso di esistere neanche adesso che il suo corpo era stato trasformato in cenere.
Alan era stato sicuro di essere sul punto d’impazzire, e questa certezza si era presentata molte volte, troppe, nell’arco di quella giornata. Lo aveva creduto quando si era presentato da Dorian Gray, perché era semplicemente una pazzia: aveva impiegato anni per cancellare quella parte della propria vita e, proprio nel momento in cui aveva appena finito di raschiare via gli ultimi rimasugli, ecco che tutto sembrava destinato a ricominciare. Poi, lo aveva creduto di nuovo, costretto ad ascoltare un discorso completamente privo di senso. Quell’uomo l’ho ucciso io. Non puoi capire cosa mi ha fatto passare. Ho bisogno di te.
Non poteva che essere una follia. Ho bisogno di te.
Aiutami a farlo sparire, o per me sarà la fine. Semplice.
Dorian Gray aveva sempre avuto questo particolare carisma che aveva accettato di mettere in secondo piano quando si trattava di tenersi stretto un uomo, per esibire un comportamento che gli sarebbe stato congeniale se solo avesse avuto davvero l’età che dimostrava. Questa sorta di aura che lo circondava gli permetteva di assumere il massimo della credibilità e della serietà, qualunque cosa dicesse. Per cui era sembrato un fatto naturale, ovvio. L’ho ucciso, ora sbarazzati del suo corpo, fa’ in fretta, fallo per me. Perlomeno, sarebbe sembrato naturale a chiunque non lo conoscesse.
Ma Alan lo aveva conosciuto fin troppo bene. Purtroppo ciò non era bastato a mantenere la promessa di non aiutarlo, qualunque cosa comportasse questa decisione.
Il motivo per cui aveva ceduto, macchiandosi di una colpa che non avrebbe espiato nemmeno con le penitenze più dure, si trovava al di là di quella porta che Alan aprì con una lentezza esasperante, smettendo di chiedersi se non fosse meglio andarsene lontano e non tornare mai più. Per uno strano scherzo del destino, aveva commesso il peggiore dei peccati per amore di coloro che, in un antico disegno tracciato dalla speranza, avrebbero potuto renderlo un uomo migliore.
La porta si richiuse con un cigolio leggero. Lui vi appoggiò la schiena e non riuscì più a muoversi.
- Alan, sei tu?
Dischiuse le labbra come per pronunciare uno stentato sì, ma anche quello era troppo difficile.
Lei comparve pochi istanti dopo, ma Alan non la mise subito a fuoco.
Fanny lo scrutava dall’altro capo dell’atrio, le mani strette sul petto a fermare i lembi della vestaglia che indossava sopra la camicia da notte. I capelli erano raccolti, qualche ciocca era sfuggita alle forcine, ma lei non se ne preoccupava minimamente, com’era chiaro dalla prima occhiata che rivolse al marito. L’intimità che vi era fra loro le permetteva di indossare abiti da camera in qualunque momento della giornata, se in casa era presente solo Alan, differentemente da quanto imponevano i costumi degli anni Novanta. L’uomo sapeva benissimo cosa avrebbe detto, aveva capito subito che lei lo aveva aspettato in ansia, ma non proferì sillaba.
- Alan… cosa è successo?
La vide deglutire e fissarlo con quei penetranti occhi verdi, ma non riuscì a reggere il suo sguardo. Chinò il capo, continuando a ripetersi incessantemente sempre le stesse parole. Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?
Fanny percorse la stanza a grandi passi, lo fronteggiò e gli prese il volto tra le mani, costringendolo ad alzare gli occhi. Alan cominciò a sentirsi male prima ancora di guardarla in faccia.
Lei non glielo chiese una seconda volta, ma aggrottò le sopracciglia e dischiuse le labbra. Alan voltò la testa di lato, riuscendo finalmente a ritrovare la voce. – N-niente, Fanny.
Lei lo guardò nell’unico modo in cui era pensabile che potesse guardarlo, come se avesse appena sentito la più stupida ed evidente delle frottole, e come se si sentisse ferita per esser stata presa in giro in maniera così plateale. – Ma sei… sei sconvolto. Dove sei stato, Alan, cosa…? – Le parole le morirono in gola: Alan capì senza sforzo che lei stava compiendo una fatica immane per mantenere quel tono dolce, tenero, e che era a un passo dall’esplodere, sfogando tutta la preoccupazione accumulata durante quelle lunghe ore di assenza ingiustificata. La molla scattò in meno di un istante, e bastò l’espressione di Alan, l’espressione con la quale fu chiaro, per Fanny, che, qualunque cosa si nascondesse dietro quegli occhi terrorizzati, non sarebbe mai venuto fuori. C’era qualcosa che lo tratteneva dal rispondere, e lei non lo sopportò. – Non dirmi “niente”! – sbottò, sembrando disperata piuttosto che adirata. – Hai idea di cosa hai fatto? Sei sparito quasi per tutta la giornata, potevi lasciare almeno un biglietto!
Alan deglutì un bolo di amarezza e sollevò la testa, guardandola senza poter evitare di avvertire una dolorosa stretta allo stomaco. Aiutami, avrebbe voluto dirle, aiutami, ti prego aiutami. Fanny ricambiò quell’occhiata e ne ebbe paura. Gli toccò le spalle, esitante.
- Tu… tu stai tremando, – mormorò con un fil di voce. Parve pensare che ciò non bastasse, e arricciò il naso, aggrottando le sopracciglia, incredula. – E quest’odore…
Alan era a un passo dal crollare definitivamente, così si liberò bruscamente da quella debole stretta che aveva finito con l’opprimerlo, e superò la moglie senza più avere il coraggio di guardarla negli occhi.
- Dimmi cos’è successo! – gridò lei.
- Non sono affari tuoi, Fanny! – ringhiò l’uomo, lasciando la stanza.
- Alan!
Quel richiamo se lo portò dentro, insieme con un’altra miriade di voci ed immagini che avrebbe fatto meglio a dimenticare.


Allie non dormiva. Alan si rese conto di esser passato davanti alla sua camera solo quando vide due grandi occhi chiari, identici a quelli di Fanny, fissarlo oscurati di paura. – Papà?
L’uomo si sforzò di sorridere, o almeno di apparire più tranquillo. – Tesoro…
La bambina si rannicchiò sotto le coperte e strinse le labbra. – Stavate gridando…
Avrebbe voluto risponderle che non era niente, ma sapeva che lei avrebbe aggiunto qualcosa di simile a un “Ma voi non lo fate mai” . Era così, lui e Fanny non avevano mai litigato ferocemente e, del resto, non lo avevano fatto neanche adesso, ma dietro quei pochi scatti di rabbia si nascondeva qualcosa di troppo grande per essere spiegato a una bambina di cinque anni. Così s’inginocchiò accanto al suo lettino e le sfiorò il viso con una carezza. – Può succedere, Allie. Sono cose che capitano, ma poi… – Deglutì. – …Poi torna tutto a posto.
L’ombra di angoscia che gli velò le pupille risultò talmente evidente che Allie si sporse e gli toccò il viso con le sue piccole mani, proprio come aveva fatto Fanny, sperando di trovare una risposta. – Papà, perché sei triste?
Alan sentì una stretta al cuore nel chiedersi cosa avesse fatto di male sua figlia per essere coinvolta in quel pasticcio immenso che era diventata la sua vita. Sarebbe stato così facile se lei fosse stata una donna e lui un vecchio sfiancato dalle troppe esperienze: allora magari le avrebbe raccontato tutto. Ho coperto un omicidio, piccola mia, ne sono diventato complice. Era tanto tempo fa, Allison. Sai cosa significa? Un uomo è morto, e io ho fatto sì che il suo assassino si liberasse dalle più piccole tracce di una colpa che adesso è solo mia.
Ma Allie non era una donna, anche se lui si sentiva vecchio, consumato…
- Papà è un po’ stanco, e… e deve sistemare una cosa importante, – mormorò infine, chiudendo le manine di Allie tra le proprie. Lei lo guardò come se per un attimo avesse capito, ma lui non seppe se quest’impressione avesse giovato al proprio animo o se lo avesse spinto ancora più in basso.
La bambina lo strinse forte, nascondendo il volto nel suo collo. Alan premette un bacio sulla sua fronte, mentre lei mormorava un flebile “Ti voglio tanto bene…”
Fu come se avesse potuto davvero raccontarle tutto.


Fanny si era innamorata di Alan praticamente la prima volta che lo aveva incontrato. Quell’uomo l’aveva guardata in un modo che le aveva fatto pensare “Lui sarà mio marito”. Non che fosse caduto ai suoi piedi o avesse subito cominciato a parlare di matrimonio, ma lei aveva trovato in lui qualcosa che non aveva mai neanche scorto da lontano in nessun’altra persona. Il loro fidanzamento era stata una felice combinazione con gli ideali delle due famiglie: tanto i Campbell quanto i McKinsey erano stati ben contenti di veder coronato spontaneamente un sogno che si erano preparati a veder realizzato con il proprio intervento. Ma, di fatto, Fanny e Alan sembravano aver trovato quello che cercavano da sempre.
Fanny doveva molte cose a suo marito, tra le quali l’averla fatta diventare donna. Sapeva di esser caduta preda di una sorta di cotta adolescenziale quando lo aveva conosciuto, ma con Alan aveva scoperto l’amore in tutte le sue sfaccettature: l’amore di una ragazza pronta ad iniziare una nuova vita, l’amore carnale, l’amore giurato davanti ad un altare, l’amore di una donna che si vedeva realizzata in un contesto familiare, una donna alla quale non bastava la compagnia di se stessa e dei propri pensieri. Il semplice frequentare Alan le aveva fatto capire cosa significasse entrare pian piano nella vita di qualcuno, desiderare ardentemente di scoprire ogni sua sfaccettatura e di curare ogni sua ferita. Alan sembrava serbarne qualcuna dentro di sé, ma, alla fine, Fanny era giunta a pensare che, in qualche modo, anche lui aveva solo trascorso del tempo ad aspettarla. Sposarsi non era certo stata una scelta campata in aria, né i primi tempi furono facili, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati da una coppia così inequivocabilmente perfetta. Ogni tanto Fanny leggeva come un’ombra di tormento nei suoi occhi e nei suoi gesti e, giungendo alla conclusione che dovesse essere colpa di una tendenza di base e di qualche piccola brutta esperienza ormai lasciata alle spalle, si era adoperata con tutte le proprie forze per rendere suo marito un uomo felice e realizzato. Avere la certezza di esserci riuscita valeva più di qualunque altra cosa al mondo.
Fanny sentiva adesso incombere una strana paura, il timore di aver sbagliato tutto. Erano passati tre giorni da quando Alan era tornato a casa in quello stato dopo ore di assenza e non era ancora cambiato nulla. Anzi, pareva addirittura che le cose dovessero peggiorare: parlava solo lo stretto necessario e trascorreva la maggior parte del tempo chiuso nel laboratorio sotterraneo, riemergendo solo la sera, sempre con la stessa espressione smarrita, come se si aspettasse di essere giustiziato da un momento all’altro.
Sua moglie lo rivoleva indietro, per sé e per la loro bambina, e sarebbe stata disposta a lasciare nel mistero qualunque evento lo avesse sconvolto pur di vederlo com’era sempre stato. Pensieroso, a volte malinconico, ma vivo, presente.
Anche quella sera Alan andò a letto molto presto, ma Fanny rinunciò a lasciarlo in pace prima che si addormentasse, come aveva fatto negli ultimi tre giorni, e decise di raggiungerlo. Anche solo per abbracciarlo e fargli capire che lei gli sarebbe stata vicina, qualunque cosa fosse accaduta.
Quando lei sollevò le coperte e salì sul letto, lui le dava le spalle. Non avrebbe saputo dire se stesse già dormendo.
Fanny gli sfiorò un braccio ed ebbe in risposta un lievissimo sussulto. – Alan, – bisbigliò. Aveva pronunciato il suo nome così tante volte in quei giorni… Magari non aveva senso, ma era sicura che lui avrebbe capito. Dal momento che non aveva dato spiegazioni e si era rinchiuso nel mutismo, l’unica parola che Fanny si sentiva in potere di pronunciare senza sbagliare era quella. – Stai tranquillo. Non voglio chiederti nulla, non voglio… non voglio sapere. – S’interruppe per un attimo, ma non vi fu risposta. La donna osò accarezzargli il braccio, e da quel momento non pensò più di doversi fermare. – Sono sicura che hai solo bisogno di fare chiarezza. Mi fido di te, tesoro…
Alan si mosse impercettibilmente e, a quel punto, Fanny fu certa che fosse sveglio. Così si chinò in avanti e, con cautela, lo baciò su una guancia. L’uomo non aprì gli occhi, ma lei fece in tempo a vederlo serrare le labbra.
- Troverai una soluzione, Alan, ne sono certa. Capirai cosa è giusto fare…
Lui non rispondeva ancora.
Fanny si morse le labbra, raccogliendo le ginocchia al petto e stringendosele tra le braccia. Non sapeva più cosa dire, né cosa pensare. Se la persona accanto a sé non fosse stata Alan, probabilmente avrebbe desistito, aspettando che il resto venisse da sé, ma, semplicemente, non ci riusciva. Qualcosa le bloccò il respiro e lei sentì gli occhi inumidirsi. Fanny non piangeva di frequente, ma quel senso di impotenza e di fallimento era insopportabile.
- Forse… forse ho sbagliato tutto con te, magari non sono stata la moglie che desideravi, però… – farfugliò, reprimendo un singhiozzo, – …però ti amo, Alan.
Non lo vide sollevarsi su un gomito e guardarla di striscio, con gli occhi appannati, e non poté neanche immaginare cosa fosse transitato per la sua mente mentre lei gli parlava in quel modo così… così tenero e così morbido, ma, così come era bastato pronunciare il nome di Alan, bastò anche sentire il proprio.
- Fanny…
Lei sobbalzò e si voltò verso di lui, che ora la guardava con infinito rammarico, consapevole di ciò che doveva aver provocato il suo totale rifiuto di comunicare. Fanny non aspettava altro che scoprirlo a guardarla e a vederla, così gli gettò le braccia al collo e lo strinse a sé, terrorizzata dall’idea di vederlo svanire di nuovo. Alan, la schiena appoggiata ai cuscini, la accolse e la baciò sulla fronte, senza neanche pensare di calmarla, ma col solo desiderio di scusarsi per quanto le stava facendo patire. Lei si appoggiò al suo petto, lasciandosi cullare. – Non pensare mai più niente del genere, – mormorò Alan, la voce roca, – sei l’unica persona che avrebbe potuto aiutarmi. Io… avrei solo dovuto incontrarti prima.
Fanny si sentì talmente felice di sentirlo parlare che per qualche istante dimenticò quanto era successo e si limitò a godersi quell’abbraccio. – Ci siamo trovati al momento giusto, – sussurrò sorridendo e cercando il suo viso con una mano. Lo accarezzò e se lo portò vicino alle labbra, baciandogli ripetutamente una guancia. Alan non rispose immediatamente, ma sembrò dover pensare a lungo al modo in cui collegare altre parole a quel loro breve discorso. Poi quelle parole vennero fuori senza esser state prima scelte: la conseguenza fu che suonarono in modo terribilmente sbagliato, ma non alle orecchie di Fanny.
- …Cosa faresti se sapessi che io ho compiuto un atto peggiore di un delitto?
La donna non riuscì ad angosciarsi, ma solo a considerarlo un pensiero ridicolo. – E’ impossibile, Alan. Tu sei così buono e onesto che…
Suo marito non le permise di continuare e tornò a guardarla con quegli occhi colmi di terrore di cui lei si era tanto spaventata. – Allora dovrei essere impazzito. Non… non dovrei essere in me.
Ancora una volta, Fanny ebbe paura del meccanismo che si era innescato nella testa di Alan, e lo guardò stranita. – Ma che discorsi fai? – tentò di chiedergli. Alan aveva chiuso gli occhi, perdendosi nuovamente nei ricordi orribili che sapeva che non avrebbe mai cancellato dal proprio cuore.
Non dovrei essere in me. Non ero in me. Non lo sono.
Strinse i pugni, mordendosi le labbra.
Maledetto.
Quando Fanny vide suo marito chinare il capo e cominciare a piangere, per un attimo si sentì gelare, rendendosi conto di non avere il potere di consolarlo, se prima non riusciva a capire cosa fosse successo per ridurlo in quello stato. Ma poi Alan si coprì il viso con le mani, singhiozzando silenziosamente, e lei dimenticò quel pensiero inutile: tutto quello che provò fu tenerezza e amore, amore infinito, e l’unica cosa giusta da fare le parve abbracciarlo.
- No-non è stata colpa mia, – balbettava Alan, lasciandosi stringere come un bambino, – io non…
- Ssh, Alan, ssh…
Fanny lo cullava piano, accarezzandogli i capelli, dimenticando per qualche minuto che quello era un uomo alle soglie dei trent’anni, un uomo forte, l’uomo che aveva sposato. In quel momento non era altro che un figlio da consolare. Non poteva ammettere quanta paura serbasse nel cuore, non poteva permettersi di tremare davanti a lui, neanche adesso che sembrava parlare al vento, o con la propria coscienza, ma non certo con lei.
- Alan, amore, calmati, – continuò a mormorare, asciugandogli le lacrime con baci lievi. Quando le parve che i sussulti si fossero placati lo strinse più forte, appoggiando la fronte sulla sua guancia umida. – Non so cosa ti stia passando per la testa in questi giorni, ma sono sicura che ne uscirai. – L’uomo non rispose, né la guardò negli occhi. Tuttavia Fanny si sentì come rinforzata da quelle stesse parole e, appoggiando una mano sul suo petto, sorrise anche se lui continuava a non guardarla. – Al di là di come ti senti adesso, dentro di te c’è tanto, Alan, più di quanto tu veda. Devi solo rendertene conto, e tranquillizzarti…
La donna continuò a cullarlo nel proprio abbraccio e chiuse gli occhi, ignara del fatto che Alan avesse spalancato i propri, fissando nel vuoto quei fantasmi che, adesso, lei era sicura di aver cacciato via.


Dorian Gray era stato certamente un incidente di percorso nella sua vita, il più grave, ma, anche durante i primissimi anni di matrimonio con Fanny, Alan non era mai riuscito ad archiviarlo come tale. Di fatto, quell’esperienza durata poco più di un anno e mezzo lo aveva cambiato profondamente. Per altri versi, lo aveva reso consapevole di quanto le brutte esperienze non avessero il potere di modificare altri aspetti del suo carattere, come il bisogno di dare tutto se stesso alla persona che amava. Dorian si era preso tutto, e ciò che rimaneva Alan lo aveva affidato nelle mani di sua moglie, ben consapevole di quanto lei meritasse in confronto a quella miseria che le offriva. Nei primi tempi, aveva creduto che sarebbe stato capace di chiudersi del tutto nei confronti di chiunque, ma era poi giunto alla conclusione che era inutile: a tanto sarebbe valso tagliare i contatti col mondo. Alan aveva bisogno di affidarsi a qualcuno e, purtroppo – questa era stata infatti la causa scatenante tutta le serie di errori nei quali Dorian era compreso – anche di sapere che quel qualcuno si affidasse a lui, per compensare l’odiosa tendenza a sentirsi inutile.
L’anima di Dorian Gray era malata e sudicia e lui aveva creduto di poterla curare. Dorian glielo aveva fatto credere.
Inizialmente aveva persino creduto che sposarsi fosse stato il secondo errore madornale: l’immagine ossessionante di quel ragazzino biondo dai grandi occhi chiari lo perseguitava in ogni momento. Da quando era riuscito a racimolare il coraggio per lasciarlo, aveva cominciato a pensare che, magari, Dorian non fosse mai stato realmente innamorato di lui. Il modo in cui lo aveva supplicato e gli insopportabili piagnistei, per un momento, lo avevano quasi innervosito.
Erano passati più di cinque anni e adesso la prova di quanto si fosse sbagliato era tangibile e gli impediva di chiudere occhio.
Da quando aveva cominciato a piangere tra le braccia di Fanny, Alan aveva sentito l’aria abbandonarlo a poco a poco, insieme con tutto ciò che fino a quel giorno gli aveva permesso di tirare avanti: l’amor proprio, l’onore, l’amore per la vita. Tutto si stava dissolvendo con una rapidità impressionante.
Alan continuò a passare le dita tra i capelli della moglie anche dopo che lei si fu addormentata, e la sua espressione tranquilla gli riduceva il cuore in pezzi.
Guarda dentro di te, aveva detto.
C’era solo del marcio, e ricordi orrendi. Che senso poteva mai avere?


- Mi dispiace, Alan, mi dispiace davvero, ma mi stai costringendo a fare cose che non vorrei fare.
Quel biglietto.
Alan strinse i pugni e sentì le vene pulsargli nelle tempie. Cercò disperatamente di calmarsi e di ripetere a voce le parole che gli frullavano in testa.
- Non ti aiuterò.
Dorian Gray
sorrise. In quel lieve moto delle labbra dal disegno perfetto Alan vide tutto quello che si era sforzato di nascondere per diciotto mesi, anche se quei mesi appartenevano ad anni che stentava a ricordare. Quel sorriso era perfido, intriso di una cattiveria sovrumana.
Il ragazzo non aggiunse altro, si limitò ad infilare una mano nella tasca della propria giacca, per poi estrarne una lettera. La sventolò davanti a sé, compiaciuto. – Guardala, è pronta. L’indirizzo è già scritto. – Gliela gettò davanti, come avrebbe potuto gettare una moneta nel berretto di un barbone. Alan le diede un’occhiata rapida, e il suo orgoglio gli avrebbe imposto di guardare subito altrove se quella frazione di secondo non fosse bastata a fargli scoprire la destinataria dell’epistola.

Fanny McKinsey in Campbell.
Un gemito gli sfuggì alle labbra, e Alan tentò di prendere quella lettera, ma Dorian gliel’aveva già soffiata via da sotto il naso e la stava sventolando nuovamente, divertito come per un qualsiasi gioco. – Vuoi che ti dica cosa c’è scritto? Se ti sforzi puoi immaginarlo da solo. – Alan lo fissava come inebetito. – Prova anche ad immaginare la faccia della tua signora, Alan. La faccia di tua figlia, magari.
Dorian smise di sorridere e lo guardò con odio. La mascella gli s’indurì e gli occhi diventarono simili a ghiaccio, ma Alan non era più in grado di vederlo. – Preferisci rovinare una famiglia o salvare la vita
ad un amico, bastardo?!
Poche parole, intrise di tutto quello che Dorian gli aveva sputato addosso cinque anni prima.
Pochi pensieri, che bastarono a rovinarlo per sempre.



…Nessun senso.
Non aveva mai realmente desiderato di sapere cosa vi fosse scritto in quella lettera: la malignità di Dorian Gray arrivava a livelli inimmaginabili e, di certo, qualunque cosa lui avesse immaginato non avrebbe trovato un corrispettivo nella realtà. La realtà era sempre peggio.
Alan ingoiò l’ultima delle lacrime che si era concesso di versare. Ma cosa mai avrebbe potuto rivelare a una donna ignara? Di esser stato l’amante di suo marito? Non importava che fosse successo mesi prima che lei lo incontrasse, bastava raccontarle ogni loro giorno, ogni sguardo, ripetere ogni parola. Sarebbe bastato insinuare il dubbio che lei non fosse stata l’unica.
Non aveva davvero nessun senso.
Alan si liberò delle lenzuola, si chinò in avanti, seppellì la testa tra le mani, dondolandosi disperatamente in un abbraccio che gli mancava. Si domandò che senso poteva avere vivere con un fardello insopportabile, anche solo per amore della moglie e della figlia, tener loro nascosta la propria colpa e allo stesso tempo sapere di non poterla mai sfuggire, privarle di un marito e di un padre degno, condannarle alla vita accanto a un essere meschino.
Loro meritavano altro. E lui sentiva il cuore pronto a scoppiare, sapeva di non poter reggere più quel groviglio di sensazioni: troppo affetto verso Fanny, troppo senso di protezione verso Allie, troppa nostalgia per una tranquillità di cui non avrebbe mai più goduto. Troppo rancore, e rabbia, e disgusto, e amore, per una stessa persona.
Le malattie possono portare a due strade diverse, e la guarigione non è mai scontata.
Morire.
Per un attimo, Alan curvò le labbra in un sorriso sollevato, folle, malato. Morire. Sì, morire. Sparire, scappare, dissolversi, volare, morire, per Dio, morire. Nessun luogo sarebbe stato più il suo rifugio, neanche quella camera, quel letto caldo, con sua moglie accanto. Non poteva resistere, quella non era vita, non lo sarebbe stata mai più, non poteva permetterlo… Voleva solo che la vita abbandonasse il suo corpo, lo voleva ardentemente, e sarebbe stato disposto anche a patire qualunque altro tormento, ma sapeva di non aver più il diritto di sollevare gli occhi, giungere le mani in preghiera e chiederlo. Non poteva desiderare più niente che non potesse procurarsi da sé.
Fanny dormiva, i capelli rossi sparsi sul cuscino, le mani chiuse a pugno, talmente tenera e delicata che l’unico pensiero che Alan riuscì a rivolgerle, poco prima di raggiungere la porta, fu “Non avresti mai dovuto incontrarmi”.


Il cadavere di Basil Hallward aveva già cominciato ad emanare un odore disgustoso, un odore a cui tuttavia Alan era abituato. Sapeva che l’unica via di fuga era svolgere il proprio compito con rigore scientifico, come se si trovasse in un obitorio.
Prima ancora di tirar fuori le provette, sollevò i capelli scomposti dalla fronte dell’uomo e scrutò il volto ingrigito in cerca di quella che doveva essere stata la sua ultima espressione prima di morire. Ma non trovò nulla oltre qualche ruga e le palpebre tumefatte, e lo interpretò come un invito a sbrigarsi senza pretendere di trovare chissà quale senso in un volto senza vita.
Respirò a fondo, deglutì, si costrinse ad indossare una maschera d’impassibilità e, con gesti meccanici, aprì il baule.



Pur non avendo idea di cosa fare, di come fuggire, Alan si nascose nel laboratorio, l’unico posto al riparo dal resto della casa, al piano sottostante. Qualunque cosa fosse successa, sarebbe rimasta rinchiusa tra quelle quattro mura, e non c’era bisogno di chiudere a chiave la porta: non avrebbe permesso che il suo dramma varcasse confini illeciti. Quell’idea lo avrebbe addirittura rassicurato se, all’improvviso, l’immagine di Fanny che dormiva non gli fosse balenata alla mente, stanandolo senza dargli possibilità di scampo.
Se solo avesse previsto una cosa del genere avrebbe fatto di tutto per evitarla.
Fanny.


Non riusciva a capire se stesse ridendo o piangendo, forse nessuna delle due cose, o forse entrambe, ma non era importante fintanto che lui condivideva quel senso di beata, stordita confusione. Fanny stringeva al petto un fagotto bianco, lo cullava, ricoprendo di baci il faccino paffuto che ne sbucava fuori. – Oh, tesoro, – mormorò quando Alan le circondò le spalle con le braccia, trovando il modo di stringerla a sé insieme con la piccola Allison.
- Siete meravigliose, – sussurrò, estasiato. Fanny si appoggiò a lui, chiuse gli occhi, una lacrima scivolò giù lungo la sua guancia, e Alan non ebbe più nessun dubbio circa l’esistenza della felicità.



Alan sorrise e il suo sorriso si bagnò di un’altra lacrima, mentre lui deglutiva appoggiandosi pesantemente alla credenza, come un ubriaco in procinto di crollare. Non desiderava altro. Crollare, scivolare via, perdere la memoria.
Ma Fanny… Fanny non poteva rimpiangerlo… Fanny doveva essere felice, doveva sapere… L’uomo cominciò ad aprire cassetti senza criterio, in cerca di un foglio e una matita, solo quello, non chiedeva niente, doveva solo spiegare, mettersi definitivamente l’anima in pace, e l’avrebbe fatto da sé…
Alan tirò disperatamente l’ultimo cassetto a destra, fin quasi a strapparlo via dal mobile.


- Ti prego, – singhiozzava, – ti prego, solo… oh, Alan, ti supplico!
Ti supplico. Quelle non erano parole di Dorian, non potevano esserlo. Alan voltò la testa di lato, ma il ragazzo lo afferrò per la giacca, tirandolo verso di sé, quasi scuotendolo. – Io ti ho dato tutto me stesso! – urlò, a un passo dall’isteria, ma tutto quello che ottenne fu di sentire i propri polsi stretti in una morsa e di vedere Alan allontanarlo con un’espressione contratta.
- Lo so, – mormorò l’uomo, guardandolo negli occhi per la prima volta in quella mattinata, – ma ti sei preso tutto il resto.



La canna della pistola luccicò nel buio, con la complicità della debole luce di un lampione, resa ancor più fioca dalla finestra lasciata aperta solo di pochi centimetri. Alan l’afferrò e per un attimo i visi di Allie, di Fanny e di Dorian scomparvero, cedendo il posto a quello austero di suo padre. “Il mondo in cui viviamo è una guerra continua in cui nessun uomo può permettersi di sentirsi sicuro,” mimarono le sue labbra sottili, appena visibili sotto i folti baffi bianchi. Alan non aveva voglia di affrontare le guerre del mondo. Ne aveva un’altra da sedare prima che prendesse il sopravvento su quel poco che aveva costruito con fatica.
Le sue dita corsero lungo il metallo freddo fino a far scattare un gancio: era carica.
Tutto diventò soffice e leggero e Alan si sentì come se stesse fluttuando verso la meta che bramava, la libertà. Era così semplice, sarebbe stato così veloce… L’unica cosa da fare era saldare il proprio debito con la persona più importante della sua vita, subire ancora qualche minuto di prigionia solo per lasciarle qualche riga scritta di fretta, per spiegarle, e poi sperare che non sarebbe rimasta mai sola.
Afferrò una penna e scrisse velocemente il suo nome, poi passò subito alla riga successiva, in cerca delle parole più adatte. Ma, poco prima di averle trovate, il suo sguardo tornò distrattamente indietro, visualizzando l’unica parola scritta in cima al foglio.
Dorian.


- Non mi lasciare! –
E lui capì che l’unica cosa giusta da fare era l’unica che lui cercava di impedirgli.



La serenità data dalla consapevolezza della libertà imminente fu schiacciata dall’oppressione che lo aveva condotto fino a stringere una pistola in mano, e Alan accartocciò furiosamente il foglio, lasciandosi sfuggire un gemito disperato e credendo che, per premere il grilletto, avrebbe dovuto aspettare troppo, mentre lui voleva morire subito, per l’amor di Dio, subito. Ne prese un altro e cominciò a scrivere di getto, senza più tornare indietro e rileggere: non c’erano più timore né vergogna, c’era solo quel fantasma che continuava a tormentarlo e che lo avrebbe accompagnato fino alla tomba. Maledetto, maledetto, lasciami in pace.
Firmò in fretta e furia, ormai incapace di aspettare. Lasciami in pace, lasciami in pace, lasciami in pace…
La sensazione di freddo contro la tempia fu così dannatamente, orribilmente bella che per un attimo, l’ultimo, Alan smise di sperare che Dorian arrivasse a provare anche solo la minima parte dei suoi tormenti. Sentì i piedi staccarsi a poco a poco da terra. Ecco, stava per spiccare il volo, sì, finalmente stava per arrivarci…
…lasciami morire in pace.
Quegli occhi di ghiaccio furono l’ultima cosa che vide.


Fanny sobbalzò, aprendo gli occhi di scatto e aggrappandosi al lenzuolo. Un rumore non molto lontano le aveva perforato i timpani; non doveva essere stato molto forte, magari lei si era solo appisolata ma, di fatto, quel suono ovattato aveva sortito l’effetto di una spruzzata d’acqua ghiacciata.
Ebbe paura, e la prima cosa che le venne in mente di fare fu girarsi dall’altra parte per scuotere Alan e svegliarlo, ma la paura si trasformò in gelo e poi in terrore quando non lo trovò accanto a sé. Rimase immobile per qualche istante, prima di calciare via le lenzuola ed alzarsi precipitosamente dal letto, chiamando debolmente il nome del marito.
- Alan, dove sei?
Non perse tempo ad accendere nessuna luce e procedette a tentoni verso la porta, chiamando il nome di Alan con tono via via più alto. Dopo il silenzio, le rispose una voce fioca e spaventata.
- Mamma… mamma…!
Il richiamo di Allie la scosse ulteriormente, e Fanny sentì all’improvviso l’impellente bisogno di sapere dove si trovasse suo marito, desiderando di poter pensare che fosse solo andato in cerca di un bicchiere d’acqua, o che non riuscisse a prendere sonno. Si accostò alla porta socchiusa della camera della bambina e le disse di non preoccuparsi, poi le ingiunse di non muoversi dal suo letto per nessun motivo. Allie tremava, ma Fanny non si fermò a consolarla.
Restare ad ascoltare il silenzio non serviva a nulla, così la donna si precipitò giù per le scale a piedi nudi, senza sapere dove cercare, perché cercare. Non fu un qualche sesto senso a spingerla verso i sotterranei, ma il ricordo dell’espressione di Alan, del vuoto assoluto dei suoi occhi e del pallore del suo volto.
La porta del laboratorio era socchiusa: se fosse stata serrata, probabilmente Fanny vi sarebbe passata davanti senza nemmeno prestarvi attenzione, ma la debole luce proveniente dallo spiraglio la attirò all’istante. Tentò un’ultima volta, – Alan? –, ma questa volta, invece che il silenzio, le rispose l’istinto di spalancare l’uscio e guardare dentro.
Tutto quello che accadde in seguito non avrebbe mai saputo descriverlo, né il suo cervello avrebbe mai distinto delle scene particolari. Avrebbe ricordato solo un dolore lancinante e un forte giramento di testa nel momento in cui scoprì Alan scompostamente disteso sul pavimento, un braccio allungato verso l’esterno e le dita che sfioravano una pistola abbandonata lì accanto.
Fanny gli si avvicinò con una lentezza difficile da immaginare e, quando le forze e la ragione l’abbandonarono del tutto, cadde sulle proprie ginocchia, accanto a quel corpo innaturalmente fermo. Solo allora si rese conto di cosa stava accadendo e, come presa da uno scatto di lucidità, afferrò Alan per le braccia, cercando di sollevarlo, di scuoterlo in qualsiasi modo: non riuscì a fare altro che sorreggerlo con un braccio dietro le spalle e uno intorno al busto. La testa del marito ricadde di lato, contro il suo petto.
- Amore, – mormorò rocamente, cullandolo, – amore mio, sono qui…
Parlare era una fatica immane, il fiato sembrava essersi esaurito quasi del tutto: le sue forze erano impegnate nel tentativo di sorreggere il corpo pesante di Alan, di scuoterlo dolcemente. La camicia da notte cominciò a macchiarsi di sangue, lo stesso sangue che, colando dalla tempia destra dell’uomo, gli rigava la guancia fino ad imbrattare il colletto del pigiama. Fanny gli toccò il viso e le sue dita si inumidirono di quel liquido denso e scuro; solo allora lei cominciò a piangere, stringendo spasmodicamente Alan contro di sé. – Apri gli occhi, Alan, ti prego, – singhiozzò, – avanti
In quella lunga agonia, Fanny sentì un disperato bisogno d’aiuto. Sbatté le palpebre guardandosi intorno per quanto il buio quasi totale le permettesse e, non appena riuscì a vedere il minimo indispensabile, scorse dei fogli abbandonati sulla scrivania di Alan. Ingoiò un singhiozzo e allungò una mano per afferrarli, senza lasciar cadere il corpo che giaceva abbandonato sul suo grembo. Non sapeva cosa vi avrebbe trovato, sapeva solo che, nel momento in cui aveva chiesto silenziosamente aiuto, quei pezzi di carta erano comparsi nella sua visuale.
I fogli erano due. Uno di essi era accartocciato su se stesso, così Fanny lo dispiegò malamente, quanto bastava per leggere qualunque cosa vi avrebbe trovata scritta; ma, quando lo mise a fuoco, non vide altro che l’intestazione – Dorian – seguita da un vuoto desolante.
Il secondo foglio era una lettera. Tra i pochi pensieri sconnessi di Fanny non comparve nulla che somigliasse vagamente ad un “Qui ci sarà una risposta, me l’ha lasciata Alan, devo leggerla” , ma la sua mano si mosse automaticamente, stringendo la carta e sollevandola all’altezza degli occhi.
“…e non pensare mai che sia colpa tua. Ho davvero guardato dentro di me, Fanny, e ho visto solo un’anima deformata e indegna di vivere. Non ho trovato nulla che fosse degno d’essere salvato. Se sono diventato peggiore di un assassino la colpa è di una persona sola, e quella non sei tu. Quella persona…”
Fanny non riuscì a leggere più di poche righe e la sua mano non fu capace di reggere la lettera senza tremare innaturalmente. I fogli caddero a terra, e Alan aveva ancora gli occhi chiusi e la pelle grigiastra. Nessuna lettera, nessuna spiegazione le avrebbe restituito suo marito.
La donna lo strinse a sé e, riversa sul suo cadavere, liberò l’urlo straziato che aveva soffocato non appena era entrata nel laboratorio.


Fanny conservò quei fogli fino al giorno dei funerali, senza sapere veramente a che scopo lo avesse fatto. Aveva riprovato a leggere la lettera il giorno dopo, ma i singhiozzi disperati di Allison divennero ben presto l’unico fattore esterno che riuscì a percepire, e la donna finì con lo scaraventare il foglio sul tavolo, voltandolo per non vedere cosa vi era scritto. Sapeva che, qualunque cosa Alan avesse tentato di dirle, sarebbe sempre stato bloccato dalla paura di ferirla. Rimaneva solo un modo per fare chiarezza e collegare quella orribile disgrazia – così la chiamarono i parenti e gli amici, terrorizzati di usare parole più chiare e taglienti, il suicidio di Alan, – ad un antefatto concreto.
Fu per questo che, al cimitero, Fanny si allontanò dai parenti impegnati nel disperato tentativo di consolarla e, con la bambina in braccio e il cuore a mille, avanzò verso l’unica persona che non si era ancora avvicinata per chiederle cosa fosse successo, come fosse stato possibile o, se non di più, per porgerle le condoglianze. Per un curioso scherzo del destino, in quel momento Dorian Gray era immobile davanti al punto in cui era stata sepolta la salma di Alan, segnata da una lapide di marmo incisa in fretta e furia. Era stato questo l’unico capriccio che Fanny si era concessa: la pretesa che quel rettangolo di terra venisse segnato subito, a dispetto dei tempi che di solito erano costretti a rispettare i congiunti di un personaggio non molto in vista in società prima di avere una lapide da collocare sulla tomba.
La donna si fermò a pochi passi dal ragazzo, il quale non diede il minimo segno di averla notata, mentre invece fissava impassibile la foto di un Alan sorridente e giovane. Fanny aveva ben impressa in mente quell’immagine e forse fu proprio grazie ad essa che si armò del coraggio che credeva non avrebbe mai raccolto.
- Volevate dirgli ancora qualcosa?
Dorian sobbalzò e la donna socchiuse gli occhi da dietro il velo scuro che le copriva il viso: resse stoicamente lo sguardo tagliente che lui le lanciò non appena l’ebbe inquadrata. Conosceva appena quel ragazzo, sapeva che vi era stata, tra lui ed Alan, una conoscenza abbastanza approfondita, ma questa era stata molto raramente argomento di conversazione e si era classificata come “appartenente al passato”. Non aveva mai avuto l’opportunità di farsi una precisa opinione su di lui e, nell’istante in cui i loro occhi si incontrarono per la prima volta, si disse che l’ultima emozione che Dorian potesse suscitare negli altri fosse il timore. Si sentiva talmente stanca, svuotata e bisognosa che quello sguardo di ghiaccio non sortì alcun effetto su di lei.
Anche Dorian la riconobbe subito e non poté fare a meno di deglutire un bolo di odio profondo: fu una sensazione talmente immediata da risultare troppo forte persino per un animo segnato da ogni genere di passioni e corruzioni. “Lui non apparteneva a questa donna,” pensò soltanto, quando la vide piantarsi di fronte a sé a scrutarlo e parlargli in quel modo, come se lui non avesse il diritto di stare accanto ad Alan anche adesso che era morto, “lui amava me”.
Seguirono pochi lunghissimi istanti di agghiacciante silenzio, fino a che lo sguardo di Dorian non cadde involontariamente sulla bambina aggrappata al vestito di Fanny. Aveva gli occhi chiari della madre e una spruzzata di lentiggini sul naso, ma lo sguardo intenso e la massa di capelli e le sopracciglia nere gli fecero credere di poter vedere una versione femminile in miniatura dell’uomo che sorrideva pacatamente dalla foto della lapide. La piccola lo guardò con i suoi occhi immensi, pieni di smarrimento. – Il mio papà è un angelo, adesso, lo sai? – mormorò. Dorian strinse le labbra, per un attimo la sua corazza d’odio parve lì lì per sgretolarsi. – E tu somigli tanto a un angelo.
Fanny fissò il ragazzo nel momento in cui spalancò gli occhi e socchiuse le labbra, e pensò che anche lei avrebbe detto la stessa cosa, se avesse avuto cinque anni e avesse visto per la prima volta una figura del genere, senza sospettare cosa potesse nascondersi dietro un paio di occhi azzurri in un viso incorniciato da soffici boccoli color miele.
Si sentì vagamente in colpa a mettere giù la bambina e a mandarla dai nonni, ma, qualunque cosa avesse detto Dorian Gray, non sarebbero state parole che lei potesse ascoltare. Fanny la seguì con lo sguardo fino a che Allie non raggiunse il folto gruppo dei parenti radunati ai cancelli del cimitero, dopodiché si voltò nuovamente verso il ragazzo che, fino a quel momento, aveva continuato a guardare ostinatamente i propri piedi con un’espressione contrita, di rabbia repressa. Lo guardò attentamente e capì che non avrebbero potuto sostenere una normale conversazione, ma che ogni parola sarebbe stata venata di troppa nostalgia o troppo rancore per ragionare con lucidità. Se solo non fosse stata così stanca…
- Dirglielo è stato tremendo, – esordì a mezza voce, senza aspettarsi che Dorian alzasse la testa. – Riuscite a immaginare cosa significhi spiegare a una bambina così piccola che suo padre è morto? – Il ragazzo teneva le braccia strettamente incrociate sul petto e continuava a non guardarla. – Io… non riesco ancora a credere che lui non ci sia più.
Lo disse con una fermezza sorprendente, con un gelo che sconvolse anche Dorian, il quale sollevò finalmente la testa. Fanny si vide oltrepassata da un’occhiata carica di ostilità. Non aveva idea di quali parole avrebbe ascoltato a quel punto, per cui non si stupì nemmeno quando il ragazzo le ordinò di scoprirsi il viso, senza un briciolo di pietà. Disse proprio così, “Toglietevi il velo” , e la guardò fisso, senza vergognarsi di quanto aveva appena detto. Fanny ubbidì senza lasciar cadere quel glaciale contatto visivo; non fece altro che portarsi le mani sopra la testa, sfilare il cappellino con la veletta e abbassarlo all’altezza del petto. Si ritrovò persino a guardare il proprio interlocutore dall’alto in basso, senza arroganza, solo in attesa. Chiunque avrebbe notato con quale dignità lei stesse affrontando quell’insopportabile situazione, ma Dorian Gray non riusciva a vedere nulla di tutto ciò. Aveva solo bisogno di trovare un colpevole che lo alleggerisse dal proprio fardello.
Fanny inarcò impercettibilmente le sopracciglia. – Cosa vi aspettavate?
Ad un osservatore esterno sarebbe parso più normale che fosse Dorian a chiederle cosa volesse, ma lui, in realtà, non aveva ancora fatto una piega, salvo il breve momento di smarrimento di fronte ad Allie. Difatti fu con la stessa insofferenza che replicò: – Nulla. Volevo guardare in faccia la moglie di Alan.
Il modo in cui pronunciò quel nome avrebbe fatto tremare chiunque, ma, di fatto, quello era un confronto inevitabile, una silenziosa ed estenuante battaglia, e nessuno dei due poteva permettersi di crollare. Sarebbe equivalso a lasciar fluttuare via l’anima dell’uomo che entrambi avevano perso, libera e dimenticata, e crogiolarsi in una disgrazia destinata a rimanere relegata nel buio.
- Io mi aspetto che voi mi spieghiate perché mio marito si è ucciso. – Fanny usò quell’appellativo senza il reale desiderio di vendicarsi per quell’insolente presa di posizione – Alan, come se Alan fosse appartenuto a quel ragazzino che non doveva avere più che una decina d’anni meno di lei. – C’è un motivo ben preciso per cui vi ho cercato, Dorian.
- Davvero! – Il ragazzo rispose con una risata secca. – Mi trovate impreparato, non so quale tipo di storiella voi desideriate ascoltare.
La risata gli morì in gola non tanto per lo sguardo di Fanny, freddo e distante, quanto per il fatto che adesso lei gli stesse porgendo un foglio chiuso in un piccolo rotolo. Lei non sorrideva con aria di sfida o di compiacimento, e probabilmente fu questo a spaventarlo. – Mio marito mi ha lasciato una lettera, ma aveva tentato di scriverne una anche a voi, – disse fermamente, e la sua voce era priva di calcolata lentezza o intonazione, ma Dorian si sentì come se le gambe gli fossero improvvisamente diventate molli, incapaci di reggere il suo peso. Fanny non gli aveva ancora messo il foglio tra le mani, si limitava a stringerlo nel pugno. – Non è andato oltre il vostro nome. Tenetela, Dorian, credo che ne avrete molto bisogno.
La donna non poté che confermare il proprio pensiero quando Dorian afferrò il foglio e prese a srotolarlo febbrilmente, come se si fosse dimenticato della sua presenza e della propria ostentata dignità: quel ragazzo, adesso, non le ispirava che una sincera pietà. Non le interessava cosa lui provasse in quel momento, ma sapeva che l’unico modo di sapere ciò di cui aveva bisogno era metterlo in una situazione in cui non potesse o non volesse più combattere con lei. E, a giudicare dall’espressione smarrita che aveva appena stravolto quel viso dai lineamenti perfetti, quel momento era arrivato.
Dorian sollevò lo sguardo dal foglio e fissò Fanny con occhi carichi d’ansia. – Lui… ha scritto questo?
Lo chiese come se fra le sue mani si trovasse un intero testamento piuttosto che un pezzo di carta completamente bianca, ad eccezione del proprio nome scritto in alto a sinistra. La donna non disse nulla, non credeva che vi fosse veramente bisogno di una risposta.
Dorian lesse e rilesse quelle poche lettere scritte di corsa, sentendo qualcosa dentro di sé che si sgretolava a poco a poco. Fissò nuovamente la donna negli occhi adesso lucidi, ancora più chiari, e si morse le labbra. Fu come se riuscisse a leggerle nel pensiero, come se lei stesse chiedendo aiuto ad Alan affinché le desse la forza di andare fino in fondo. Per la prima volta anche lui provò la medesima pietà verso di lei, prima ancora che lei cominciasse a parlare.
- Eravamo sereni… – pronunciò, la voce spezzata, mentre si stringeva il busto tra le braccia e il suo sguardo si perdeva lontano. – Tutto quello che abbiamo costruito, l’abbiamo costruito con fatica. Alan faceva sempre progetti per la nostra vecchiaia, voleva che fosse perfetta e che ad Allie non mancasse mai niente. Volevamo… avremmo voluto regalarle un fratellino, a lei sarebbe piaciuto tanto, – fu interrotta da un singulto strozzato, ma l’istante successivo aveva già raccolto la forza per proseguire: – …e non sarebbe stata da sola. Alan era meraviglioso con lei, e lei lo adorava. Lui aveva perso la testa per nostra figlia, e non era quasi mai triste. Per me ed Allie era tutto… tutto. E lui ha voluto proteggerci fino alla fine, ma io voglio sapere… devo sapere. Sento che… che solo così riuscirò a continuare a stargli accanto. – La sua voce andò spegnendosi, proprio come il suo sguardo. Fanny non si accorse del modo in cui Dorian la guardava.
Mentre la vedeva abbandonarsi a quel monologo, sbriciolandosi davanti a lui senza nessuna vergogna, si rese conto che vendicarsi su di lei sarebbe stato insensato. Non l’aveva mai realmente voluto, non gli interessavano minimamente le persone a cui Alan voleva bene: era stato lui il suo unico bersaglio, lui la sua unica lotta disperata. Un tempo, magari, sarebbe anche stato disposto ad uccidere quella donna solo per il gusto di vedere Alan soffrire come un cane, ma adesso… adesso, il dolore di Fanny non gli interessava, che questa fosse compassione o puro egoismo. Non avrebbe avuto senso distruggere i suoi ricordi e il suo amore, perché la sua vita era già distrutta. E lui non ne avrebbe tratto nessuna serenità. Non più.
Riacquistò in pochi istanti la lucidità di cui aveva bisogno e, nell’attesa che Fanny si riprendesse, accese una sigaretta e se la portò alle labbra. Quando lei lo guardò di nuovo, Dorian capì che era giunto il momento di porre fine a quel confronto estenuante. – Se è davvero così poco ciò che chiedete… – cominciò, fingendo che lei non avesse aperto bocca, – io lo amavo.
Evidentemente lo disse con tanta tranquillità, con un tono talmente ovvio e pacato, che la donna lo fraintese. – Alan era benvoluto da tutti, – ribatté. Dorian sospirò, ma la guardò senza battere ciglio, aspirando una boccata di fumo.
- No, Fanny, io lo amavo sul serio, – si concesse una brevissima pausa, – e ho sofferto molto per questo. Ma vostro marito… era una persona troppo pulita e onesta per non rendersi conto che l’assecondarmi avrebbe rovinato entrambi.
Dorian non si accorse nemmeno di non averlo chiamato per nome – Alan, Alan, – e di non averlo neanche celato dietro un vago, impersonale – crudele – “lui”, ma di aver pronunciato quelle parole. Vostro marito.
Sentì il proprio cuore alleggerirsi a poco a poco, ma questa sensazione non aveva nulla a che fare con la donna che, adesso, lo guardava con le sopracciglia aggrottate, senza ancora riuscire a capire fino in fondo.
Non dovette inventare nulla: si limitò ad immaginare come sarebbe stato se Fanny fosse arrivata prima di lui nella vita di Alan. – Eravamo amici da molti mesi e io ero convinto che, in un modo o nell’altro, sarei riuscito a legarlo a me come desideravo. Ma Alan mi voleva semplicemente molto bene. Troppo. – Aggiunse quest’ultima parola con un sorriso rammaricato, o almeno così sarebbe parso a chiunque lo avesse visto. Fanny non vi badò, troppo stordita e quasi certa di ciò che sarebbe venuto dopo. – Sarebbe stato impossibile nascondere ad una persona come lui il fatto che soffrissi enormemente, e lui si sentì talmente in colpa per avermi provocato tanto dolore con il suo rifiuto che si abbassò a concedermi capricci d’ogni sorta e ad accontentarmi in tutto, nonostante io mi… impegnassi a condurlo verso l’abiezione, per semplice dispetto.
La donna sentì qualcosa di molto simile ad una dura corteccia chiudersi gradualmente sul proprio cuore, ma non fiatò. Dorian sollevò impercettibilmente il capo, quanto bastò per oltrepassare con lo sguardo la figura di Fanny: in un certo qual modo, temeva che guardarla negli occhi compromettesse i suoi propositi. – Alan viveva di sani princìpi, ma ha messo la fedeltà verso un amico a un posto troppo alto, e io rimpiango solo questo… di avergli chiesto troppo.
Fanny sollevò lentamente la testa e, suo malgrado, il ragazzo incrociò il suo sguardo. Non si scompose nemmeno quando lei lo guardò come se fosse la sua ultima ancora di salvezza. Nonostante in quel momento non desiderasse altro che voltargli le spalle per non rivederlo più, Fanny non era in grado di lasciar cadere quella confessione: se Allison era l’unico filo conduttore che la legasse ad Alan, Dorian Gray era l’unico che la legasse con la sua morte. Sentì l’impellente bisogno di continuare ad ascoltarlo, così mormorò flebilmente: – Allora… lui non sopportava di…
- …di vedermi star male, – concluse il ragazzo, abbassando gli occhi. – Ho convinto vostro marito ad accontentare qualunque mio capriccio, a fare cose di cui si pentì subito, ma non sono mai riuscito ad ottenere più del suo semplice affetto.
Dorian tirò un lieve sospiro e per un brevissimo, appagante attimo si sentì in pace. Fanny era talmente stordita che non si era curato di mentire fino alla fine; era sicuro che lei non avesse nessuna voglia di scoprire cosa avesse costretto Alan a fare per lui.
La donna lo fissò. I suoi occhi erano ormai asciutti, ma ogni singolo tratto del suo volto era sconvolto da una tristezza infinita, da uno struggente rammarico che impregnò persino le poche parole con cui lo congedò. – Il suo…semplice affetto. – Non vi fu risposta, così lei gli voltò le spalle, lasciandosi dietro l’impronta del proprio sguardo distrutto. – Voi… dovete essere molto peggiore di quanto date a vedere. Spero con tutto il cuore di non rivedervi mai più, Dorian.
Lo disse senza cattiveria, armata unicamente di sincerità. E, a suo modo, fu peggio di tutta la malignità che avrebbe potuto usare se solo ne avesse avuto la forza.


“Anche io… signora Campbell.”
Così come non avrebbe avuto senso raccontarle altro, non ne avrebbe avuto nemmeno rivederla ancora una volta. Sentiva di aver svolto il proprio ruolo, perlomeno quello che Fanny aveva inconsciamente desiderato. A cosa sarebbe servito macchiare la memoria di Alan e riempire di dubbi la mente sconvolta di quella giovane donna, infangare il ricordo e il rispetto di una bambina verso suo padre? Alan sarebbe rimasto il loro punto di riferimento, il loro eroe, mentre Dorian non aveva mai avuto intenzione di far ricadere su di loro la propria vendetta.
Alan aveva pagato per lui e per se stesso, mentre loro non dovevano scontare nulla.
Il ragazzo svolse nuovamente il rotolo che Fanny gli aveva consegnato e tornò a fissare il proprio nome, poi il suo sguardo si spostò sulla fotografia sorridente dell’uomo che lui stesso era riuscito ad uccidere, senza bisogno di puntargli una pistola alla tempia. Nonostante tutto gli venne da sorridere, ripensando alla lettera che aveva sventolato sotto al naso di Alan, soltanto per il gusto di fargli leggere l’intestazione e convincerlo ad aiutarlo; quella lettera nella quale, in realtà, non aveva scritto nulla, sicuro com’era che avrebbe ottenuto senza sforzo la collaborazione di un uomo distrutto dal terrore. Anche allora non gli importava nulla delle presunte destinatarie di chissà quali confessioni; ammettere di aver amato disperatamente un uomo e di averlo lasciato fuggire non sarebbe stato nulla di più che un’umiliazione.
Quando ripose il foglio nella tasca del tight, le mani avevano già iniziato a tremargli leggermente. Dorian serrò le labbra e sollevò lo sguardo sull’immagine nitida e sorridente di Alan. Aprì la bocca come per dirgli qualcosa, ma fu senza stupore che si rese conto che una grossa lacrima gli aveva solcato la guancia, ricacciando le parole indietro. Dovettero scorrerne ancora altre prima che Dorian trovasse quel poco di voce sufficiente per rivolgersi ad Alan, in modo che solo lui potesse sentirlo.
- No-non ho rinnegato quello che c’è stato tra noi, Alan. – Respirò profondamente e scacciò le lacrime con un gesto rabbioso, prima di incassare la testa tra le spalle e lasciarsi andare definitivamente. – Era l’unico modo per chiederti scusa.
L’uomo stampato sulla fotografia non gli rispose, ma lo guardò in silenzio. Così era sempre stato, e così sarebbe stato per sempre. Dorian lo guardò senza riuscire realmente a vederlo. – Perdonami, amore mio, – singhiozzò, – perdonami…!
Quegli occhi di pece furono l’ultima cosa che sarebbe mai riuscito ad amare e l’unica che lo avrebbe perseguitato fino alla morte – in qualunque momento essa avesse mai deciso di sopraggiungere, ponendo fine al suo tormento.






Note: Dunque, niente. Non avevo intenzione di scrivere chissà quale capolavoro, né mi sono crogiolata nei giochi di retorica, anche se, rileggendo il tutto, mi sembra abbastanza… opulento ò_ò Tutto ciò è soltanto un regalo per la titolare della Fiammant Productions, la quale è pregata di tener conto che nel mio documento di Word questa storia ha coperto esattamente 15 pagine, come avevo promesso 8D
Va da sé che i ringraziamenti per questa shot vanno proprio a lei, che mi ha fornito uno spunto strabiliante con i suoi innumerevoli What if? circa la vicenda Doriana-Alana, con l’aggiunta di questa meravigliosa donna, Fanny, che mi ha invogliata a ricominciare a scrivere e inventare (senza nulla togliere agli OC della sottoscritta 8D).
  
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