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Autore: Cassie chan    22/09/2005    9 recensioni
Ciao a tutti! Mi chiamo Cassie-chan e questa è la mia prima fanfiction su Tokyo mew mew! Non so se sia venuta molto bene, ma scriverla per me è stato molto bello perché sono riuscita a completarla e di solito non ci riesco quasi mai! Spero che vi piaccia! Un piccola serie di avvisi:
1. La coppia principale è ovviamente Ryan-Strawberry, dato che Mark non lo sopporto e sono rimasta molto delusa dalla fine dell’anime; ci speravo fino all’ultimo che si mettesse con Ryan, ma quella niente! Rimane con il merluzzo umano! Quindi, alle fan di Mark consiglio di non leggerla… non è che faccia proprio bella figura…
2. Uso i nomi dell’anime, anche se non ne vado pazza, ma mi piacciono di più di quelli originali…
3. All’inizio, la storia sembra contorta, ma spero che si capisca tutto alla fine…
4. Commentate! Commentate! Commentate! Altrimenti, mi demoralizzo e non la pubblico più, dato che è praticamente finita!
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo era troppo terso e celeste, tanto da sembrare quasi irreale, come se quel colore semplicemente non poteva esistere, e

Capitolo 9 - You and I… years and years ago…

 

“… and if you knew how I wanted someone to come along and change my life the way you ’ ve done…”--- Chantal Kreviazuk

 

 

Il cielo era troppo terso e celeste, tanto da sembrare quasi irreale, come se quel colore semplicemente non poteva esistere, e fosse nato dalla fantasia di Qualcuno, che sapeva vedere molto più lontano di quanto nessun’altro potesse fare.

L’erba si muoveva placida, come un fresco oceano smeraldino, al richiamo della calda brezza primaverile, profumata dell’odore delle margherite e delle viole, che punteggiavano il prato. Lontano all’orizzonte, dalla sommità delle foglie degli alberi sempreverdi, che ombreggiavano mollemente il terreno, si poteva vedere il vero oceano, increspato dalle onde argentate e dai bagliori dorati del sole.

Su quell’albero, il bambino sorrise leggermente a quella vista, quel paesaggio gli stava semplicemente ritemprando l’anima. Dove aveva letto che non c’è miglior cura per l’anima che i sensi? Che strano non se lo ricordava più… eppure il suo precettore gli aveva sottolineato il nome dell’autore decine di volte con un pennarello rosso sulla superficie ambrata del libro antico, che gli aveva regalato suo padre.

Appoggiò le braccia sul tronco dell’albero, un piede sospeso nel vuoto, gli occhi azzurro chiaro semi socchiusi. I capelli lunghi e biondi si muovevano dolci nel vento, andando di tanto in tanto ad illuminare la camicia bianca di lino che portava.

Aveva uno sguardo troppo serio, quel bambino di sette anni, uno sguardo che faceva paura a molti, che sapeva leggere dentro senza possibilità di scampo per nessuno. Suo padre aveva detto: “E’ un’ottima dote per un re…” e lui aveva semplicemente annuito a quel primo ed unico complimento del suo genitore, mentre sua madre sorrideva e suo fratello borbottava qualcosa, tirando la gonna di seta rosa di sua madre. Tanto per cambiare, non voleva che l’attenzione si focalizzasse troppo su suo fratello maggiore, già ingentilito agli occhi dei genitori dell’appellativo, pesante come un macigno, di Erede al Trono del Regno della Terra.

Ad un tratto, la sua attenzione fu attratta da un grande fracasso, proveniente dalle spalle della collina. Alzò distrattamente lo sguardo e vide una mandria di bufali correre impazziti.

Tutto assolutamente normale, pensò il principe, se non fosse per la figura che correva davanti a loro, sollevando polvere e urlando.

Il bambino distese le braccia davanti a sé e aspettò che la figura, inseguita dagli animali, passasse sotto il ramo, allora si chinò leggermente, afferrandola per le braccia e tirandola in alto.

Si asciugò il sudore dalla fronte e si risolse a guardare la figura, piegata in due per l’affanno, che sedeva sul ramo vicino a lui. Era una bambina un po’ più piccola di lui, che portava un vestitino leggermente strappato sull’orlo di colore giallo e un cappellino di paglia, calato sicuramente da una mano materna a proteggere la testolina, ricoperta di capelli ondulati color mogano.

Quando la bambina alzò lo sguardo, mostrò due grandi occhi color ametista, rilucenti dallo spavento e dalla gratitudine.

“Grazie” mormorò, ancora scossa dall’affanno.

Il bambino, che non sapeva perché aveva perso per qualche istante la capacità di pensare razionalmente di fronte ai suoi bellissimi occhi, pieni di luce, alzò le spalle e disse: “Niente di importante… non credi che dovresti stare più attenta? Potevano calpestarti…”.

La bimba non si scompose e disse: “Lo so benissimo… ma la mia mamma mi ha detto che l’erba per lo stufato cresce vicino ai pascoli dei bufali, e perciò la dovevo prendere per forza… non è mica colpa mia se si sono accorti di me…”.

Il principino sorrise all’espressione, al contempo, buffa e serissima della bambina, poi, rendendosene conto, arrossì e distolse lo sguardo forzatamente da lei.

Dopo pochi secondi, udì di nuovo la voce cristallina di lei: “Come ti chiami?”.

Lui si voltò e mormorò: “Leon… mi chiamo Leon…”.

Lei sorrise leggermente e disse, porgendo la mano paffuta: “Io mi chiamo Elissa…”.

 

Strawberry sgranò gli occhi, mentre quelle immagini continuavano a scorrerle dentro. Ecco chi era Elissa, la voce che l’aveva guidata fino a quel momento…era una persona, che aveva fatto parte del passato di Leon ed indirettamente perciò anche di quello di Ryan. Una cosa la sconvolse, oltre misura, prima che altre immagini le si accavallassero sugli occhi: a parte gli occhi viola e ovviamente le orecchie a punta, Elissa era praticamente uguale a lei.

 

Leon sorrise, poi, volendo colpire l’immaginazione di quella bambina, socchiuse gli occhi e disse: “Elissa, tu sai almeno con chi stai parlando?”.

Lei non capì e ripeté ingenuamente: “Con Leon… hai detto che ti chiami così, no?”.

Lui, reprimendo le risate, disse: “Io sono il principe Leon, per tua informazione… sono in questo piccolo ed insulso villaggio in vacanza… non dovresti trattarmi con più rispetto, non credi? Considerano anche che ti ho salvato?”.

La sua reazione fu completamente diversa da quella che Leon si aspettava. Si aspettava una riverenza, un languido sospiro, o magari una bocca spalancata per la meraviglia.

Invece Elissa lo spinse giù per l’albero, mandando Leon a ruzzolare nell’erba, bagnata ancora di rugiada. Lui sollevò il capo, verso la bambina, che lo guardava con un’espressione indecifrabile.

“Ma che ti prende, razza di mocciosa?!” urlò.

Lei non si scompose e scese dall’albero, con un rapido salto. Poi esaminò  il ginocchio sbucciato di Leon, da cui usciva qualche goccia di sangue.

“Non è vero…” disse seria.

“Cosa?!” chiese lui esasperato, massaggiandosi la spalla sinistra.

“Che sei il principe Leon… non hai il sangue blu, sei solo un bugiardo!” replicò Elissa decisa, poi si alzò e si allontanò, mentre Leon la guardava, chiedendosi se si comportava così, perché era solo una bambina di cinque, sei anni, o se fosse semplicemente matta. Allora non voleva minimamente sapere che razza di adulta sarebbe diventata.

Mentre si alzava, spazzolandosi i pantaloncini, sperò ardentemente di non rincontrarla mai più.

Ma si sa, il destino ama non esaudire i nostri desideri.

 

Il palazzo di pietra bianca, ornato dalle colonne e dai fregi delle varie epoche della loro civiltà, splendeva niveo nel centro della città, stagliandosi anche contro il plumbeo colore del cielo. Sembrava che l’azzurro del pianeta fosse evaporato dall’atmosfera, lasciando quella sola parvenza di non colore.

L’aria era piena dell’odore di gas, che provenivano dalle viscere della terra e che con il loro seguito di lava incandescente, erano andati a lambire buona parte delle abitazioni della periferia della capitale del Regno terrestre. Molta gente correva per le strade, piangendo, mentre una piccola folla si era radunata davanti al cancello dorato della Reggia.

Un paio di lucenti occhi azzurri scrutarono la folla e si rivolsero ad una persona, dietro di loro.

“E così, mio fratello non è d’accordo con la mia decisione di lasciare il pianeta…” disse Leon, le mani sotto il mento “Non che mi stupisca… figuriamoci se per una santa volta può essere d’accordo con me… l’unica cosa che davvero mi preoccupa è che ha radunato parecchia gente attorno a sé…”.

“Vuole che la disperdiamo, Vostra Maestà?”.

“No, assolutamente… voglio sentire che cosa hanno da dire” replicò, voltandosi completamente “Ad accezione di quella sottospecie di seguaci delle arti magiche di mio fratello, gli altri sembrano persone normali… voglio sentirne qualcuno…”.

L’uomo lasciò la sala, mentre Leon tornava a guardare distrattamente il cielo. Quei lunghi anni lo avevano cambiato molto: era molto più alto, robusto, e i suoi capelli erano cresciuti molto. Solo i suoi occhi erano gli stessi, anzi se era possibile, gli si era aggiunta nuova tristezza e fierezza.

Era diventato Re, questo era vero, ma aveva perso i suoi genitori in una maniera terribile. Uccisi dai suoi oppositori, che li avevano rapiti, torturati e trucidati, come sicuramente avrebbe desiderato suo padre, dopo non aver ricevuto da parte sua alcun segnale di cedimento alle condizioni del riscatto, che gli imponevano di abdicare, a favore del fratello minore.

E aveva perso anche suo fratello, catturato dalle arti magiche e dal desiderio di rivalsa. Avrebbe potuto arrestarlo, bandirlo, condannarlo e distruggerlo in quello stesso istante, ma non lo faceva. Perché era il solo parente che gli era rimasto, perchè era tutta la sua famiglia, perché era convinto che, un giorno, sarebbe cambiato, perché aveva promesso sulla tomba dei suoi genitori di proteggerlo.

L’uomo ritornò nella stanza, stringendo per il braccio una ragazza leggermente più giovane di Leon, che appariva leggermente infastidita dalla stretta dell’uomo, che era parecchio più imponente di lei.

“Lasciala andare, Devon. Puoi andare adesso…” disse Leon, ancora voltato verso il cielo.

La ragazza, massaggiandosi il braccio, chiese, la voce non minimamente intimorita:” Perché mi ha fatto venire qui? Io non ho assolutamente niente da dirle, a parte che la sua decisione è assolutamente sbagliata… se poi vuole giustiziarmi, faccia pure… i miei compagni protesteranno abbastanza anche per me…”.

“Mi dica, perché ritiene che la mia decisione sia sbagliata?” chiese Leon, ancora di spalle.

La ragazza prese fiato e disse velocemente: “Lei non sa che cosa significa vivere di stenti e riuscire, dopo anni di sacrifici, a conquistarsi una posizione di minimo benessere… la mia famiglia è molto umile e i miei genitori sono anziani e malati. Non vogliono lasciare la loro terra e non voglio neanche io, dopo quanto ci abbiamo lavorato. Perché se esiste un modo per rimanere qui, non possiamo usarlo, invece di sradicare tante famiglie dalle loro certezze e dalla loro modesta sicurezza? Per lei non c’è problema, è il Sovrano e, dovunque andremo, sarà sempre ricco e amato, ma per noi, che garanzie ci sono?!”.

Leon aveva ascoltato l’invettiva in silenzio, la voglia di rispondere completamente schiacciata in lui. Perché si faceva tanti scrupoli? Suo padre aveva ragione: era lui il suo sovrano ed era a lui che dovevano obbedire. Punto e basta.

Sospirò. Non era mai stato quel genere di Re.

“Mi dica signorina, lei lo ama questo pianeta?” chiese sottovoce.

La ragazza, leggermente interdetta, annuì.

“E allora pensa che la magia di mio fratello lo renderà come era prima? O lo migliorerà per lei e per la sua famiglia? La natura è questa: un vulcano che esplode, un terremoto che scuote la terra, un uragano che spazza via le foreste. E’ la natura, dolcemente giusta e necessaria, di un pianeta giovane e in formazione, come il nostro. Cos’è la magia? Sono i poteri che ci ha dato la natura, questo è vero, ma è anche interferire con essa. Non possiamo usarla per cambiare forzatamente quello che deve succedere, lo capisce? E poi io amo troppo questo pianeta e questa gente per lasciare che possa eventualmente accadere qualcosa che li metta in pericolo. Finché esiste il popolo, esiste anche il regno e non c’è il problema del pianeta… lo si troverà, o magari un giorno torneremo qui…”.

Sapeva di non averla convinta, l’aveva sentita mormorare, mentre parlava, e muoversi impaziente di rispondergli.

“Lei si chiama?” chiese, solo per educazione, dato che la conversazione si stava protraendo per abbastanza tempo da rendere necessaria la presentazione.

“Elissa…” rispose lei.

Lui sentì il cuore perdere un battito. Elissa… doveva aveva sentito quel nome? Era una traccia chiara nei suoi ricordi, che lasciava una leggera scia di odore d’erba e di viole. Gli ricorda la sua infanzia quel nome, la sua vita tranquilla, se mai lo era stata, e poi, con una stretta al cuore, i suoi genitori. 

Si voltò rapidamente verso l’artefice di quel piccolo tuffo nel passato e vide una bella ragazza abbastanza alta, dai lunghi capelli rosso scuro e dagli occhi indaco.

La ricordava adesso… era quella strana bambina di tanti anni fa… gli venne da ridere a ricordare quella sua strana espressione, che era rimasta ancora sulle sue labbra, ben disegnate e rosse, come le fragole che la primavera regalava copiose all’inizio dell’estate.

“Certo che lei non ne vuole saperne di trattarmi come un membro della famiglia reale…” commentò, sorridendo. 

“Non riesco a seguirla…” disse lei, leggermente stupita.

“Non si ricorda di me, Elissa?” chiese smarrito, sentendosi al contempo un idiota. Era così compunta e regale quella ragazza, di fronte a lui. Era come se fosse lei la Regina all’interno della stanza.

“Dovrei? Le ho detto le mie origini e, tra le mie conoscenze, non figurano Altezze Reali…” rispose altezzosa.

Fu, forse allora, che Leon la guardò bene per la prima volta, trovandola la ragazza più bella che avesse mai visto, e dire che ne aveva viste di contessine, duchesse, marchesine e altre dozzine di nobildonne tra le più incantevoli del pianeta. Questa constatazione ferì il suo orgoglio e allora replicò stizzito: “Vedo che non è per niente cambiata… credo che sia solo diventata più superba…”.

Elissa arrossì di rabbia e disse: “Le ho già detto che non capisco di che cosa sta parlando… “.

“Basta! Non ho più intenzione di perdere tempo con lei! Devon !” urlò nervoso, mentre il suo attendente invitava poco gentilmente la ragazza ad uscire.

Leon sospirò di sollievo, mentre chiedeva di vedere qualcun’altro. Ma, mentre di nuovo di spalle, ascoltava le altre rimostranze, non riusciva a togliersi dalla mente gli occhi viola, brucianti di rabbia, pieni del fulgore delle piccole lacrime di orgoglio di Elissa.

 

Il vento tagliente mozzava il respiro dei pochi passanti, che camminavano nelle strade scavate nel ghiaccio della piccola capitale del nuovo Regno della popolazione, che aveva sempre vissuto sulla Terra. Al centro, il palazzo di ghiaccio del Re era spazzato dal vento siderale, ma rimaneva erto e immobile, protetto dalla magia riscaldante del sovrano, che aveva avvolto anche la maggior parte della città, che, nonostante questo, era però tuttavia sottoposta alla forte corrente d’aria. Era ormai notte fonda e poche persone camminavano a quell’ora, sotto il cielo nuvoloso e sgombro di stelle. Era pericoloso uscire a quell’ora, il sangue ghiacciava nelle vene e molti, caduti in buche o assiderati per le strade, non tornavano a casa l’indomani, al sorgere del pallido e tiepido sole. 

Una figura coperta da un pesante mantello azzurro, camminava per le strade, apparentemente incurante del freddo.

Leon voleva camminare, voleva vedere se ci fosse in giro qualcuno, che magari era svenuto per strada e portarlo a palazzo. Il popolo si fidava di lui e sapeva che stava cercando dei metodi per rendere il pianeta più vivibile, ma adesso era lui che stava perdendo la speranza. Suo fratello, poi, stava diventando sempre più potente di quelle strane arti magiche e non perdeva occasione per rimproverargli qualcosa.

Stava iniziando lentamente a sentirsi stanco di quella vita da sovrano e voleva solo stendersi da qualche parte, e non svegliarsi più.

Si accorse di una persona accasciata per terra, davanti alla porta di un locale. Si chinò su di essa e vide che era un’ anziana donna, le labbra viola e i capelli bianchi pieni di ghiaccio.

Vide se respirava ancora e, cogliendo un lieve battito, entrò nell’osteria e chiese dell’acqua calda per riscaldarla. Un giovane gli venne incontro dall’atmosfera fumosa del retro del locale e la riconobbe come sua nonna.

Lo ringraziò a lungo, ovviamente senza sapere che si trattava del suo Re. Leon non si era fatto riconoscere, e decise di sedersi per qualche minuto per riprendere fiato, bevendo qualcosa per riscaldarsi.

Il cappuccio ancora calato sugli occhi, sorseggiava la sua bibita, quando vide qualcuno salire sul palchetto di fortuna, proprio di fronte a lui.

Una ragazza stupenda, truccata pesantemente, le labbra innaturalmente rosse, corti capelli neri sul capo… ma quegli occhi, cavolo i suoi occhi, come poteva confonderli con qualcun’altra? Gli occhi più belli che avesse mai visto, che, alle volte, sognava ancora di notte, gli occhi malva di Elissa.

Si erse sulla sedia, osservandola ballare e muovere ritmicamente dei veli colorati annodati attorno al suo corpo sinuoso e snello. Gli si strinse il cuore, a vederla così… la sua Elissa che fine aveva fatto?

Poi…       

“Per lei non c’è problema, è il Sovrano e, dovunque andremo, sarà sempre ricco e amato, ma per noi, che garanzie ci sono?!”

Era colpa sua… adesso sapeva che cosa significavano le sue parole, e lo seppe ancora meglio, quando la vide accettare le avances di un tipo enorme, che le si strusciava addosso, mentre lei guardava altrove con le lacrime che scendevano sul suo volto atteggiato ad una smorfia provocante e seducente, che non le riusciva bene, non come la sua espressione dolcemente ingenua di tanti anni prima, o come quella meravigliosamente altezzosa di solo un anno prima.

Avvertì la rabbia e chissà cos’altro fargli stringere le mani a pugno, che gli impediva da pensare. Non si sentiva più il Re adesso, non c’era di meno importante in tutto l’Universo che essere un monarca.

Fendé la folla accalcata attorno al palco, salì e prese la ragazza in braccio, dopo aver mollato un pugno al tipo che ballava scompostamente attorno ad Elissa.

Lei oppose resistenza, calciando come un’ossessa, ma lui la strinse più forte a sé, e la portò fuori.

“Ma si può sapere chi diamine sei?!” chiese lei, le lacrime ancora sospese sulle sue ciglia, rabbrividendo per il freddo.

Lui si tolse semplicemente il cappuccio ed Elissa sbarrò gli occhi, dicendo: “Lei?!”.

Lui le accarezzò il viso e disse dolcemente: “Si ricorda di me adesso?”.

Elissa arrossì e sorrise, annuendo con il capo. Poi, si accasciò sul suo petto, stringendosi intensamente a lui, il volto affondato nella sua camicia.

Disse solo: “Portami via di qui, Leon… per favore…”.

Lui la prese in braccio, mentre lei cadeva nelle nebbie di un sonno agitato e pieno di incubi. E mentre la stringeva a sé, temendo di perderla ancora, ripensò che era la prima volta, dopo anni, che qualcuno gli dava del tu. Ed era la sensazione più bella che avesse mai provato in vita sua.

 

 

Era una bella giornata quel giorno su Nemesi, uno di quei rari giorni, in cui splendeva il sole e quando l’aria si faceva tiepida ed estremamente dolce. Era bello, in fondo, quel pianeta, ribattezzato dai nuovi abitanti con quel nome non stupendo. Il ghiaccio brillava di luce cristallina, prima di sciogliersi e lasciare il posto ad una sparsa e verdissima vegetazione.

Leon sedeva nella sua stanza, lo sguardo fisso sulla piccola figura rannicchiata nel suo letto, la testa leggermente coperta dal lenzuolo bianco e l’aria apparentemente serena.

Lo era davvero? Si chiese Leon, mentre guardava il volto placido di Elissa. Era la prima volta che concepiva tanta curiosità su una persona, e che voleva che qualcuno fosse felice, come lo era lui in quel momento. Tutta la notte aveva fissato il viso di lei, il sonno, che non veniva o che magari non era mai arrivato, troppo disturbato dal battito incessante ed intenso del suo cuore.

Che gli succedeva? Si chiedeva spietatamente.

Doveva andare, lo aspettava un importante riunione con i suoi ministri, ma inaspettatamente non aveva fretta, nessuna fretta. Che aspettassero, bastava che la guardasse ancora un po’.

Perché?

Poi, lei si mosse nel sonno e fece una smorfia strana, dolce e ilare al tempo stesso, e allora la chiarezza lo avvolse.

Perché era innamorato di lei, perdutamente e illogicamente innamorato di lei.

Chissà magari lo era, da quando l’aveva incontrata da bambino, o forse da qualche giorno, o magari lo era da tutta la vita. Adesso si ricordava che l’aveva sempre cercata, esaurendo la sua ricerca nella consapevolezza di non sapere che cosa stava cercando e neanche di volerlo minimamente sapere.

Perché non esisteva, o almeno credeva che non esisteva.

E allora aveva pensato che fosse l’essere felice, l’ascoltare i suoi sudditi, essere un buon figlio, fratello e Sovrano.

Ma non era così.

Era lei, era lei, che stava disperatamente cercando, era lei quel sentimento di insoddisfazione, che si era attaccato alla sua anima, quella mania di fare tutto e dannatamente bene, il voler essere perfetto sotto tutti i punti di vista…

Si ricordava che, quando aveva sì e non cinque anni, aveva catturato un giorno in giardino una bellissima farfalla, che aveva le ali bianche screziate di sfumature violette. L’aveva chiusa in un barattolo di vetro e l’aveva messa vicino al suo letto.

La osservava per ore, rapito, vedendola battere furiosamente le ali, per uscire, e chissà come mai, non gli era mai passato minimamente per la mente, che per lei fosse quasi una prigione, e che stava vivendo un’esperienza certamente non piacevole. Ma lui si diceva che la farfalla era sua e che la doveva proteggere perché fuori c’erano tanti pericoli per lei, e che sarebbe sicuramente morta se non l’avesse tenuta con sé.

Due giorni dopo, la farfalla morì e per tutta l’infanzia si chiese se fosse stato perché la vita delle farfalle durava molto poco, o perché l’aveva tenuta prigioniera.

Non lo seppe mai.

Ma stavolta aveva un’altra meravigliosa farfalla indaco tra le dita, stavolta di carne, sangue, ossa, pelle, emozioni, dolore, angosce, collera, gioia, e poi di cuore. Un cuore che poteva amare ed odiare, rispettare e insultare, stimare e disprezzare. E lui voleva che lei lo amasse, voleva disperatamente che lei lo facesse.

Lasciò la stanza con un sorriso sulle labbra, quel sorriso che non gli addolciva il volto da tanto, troppo, tempo. Appena si sarebbe svegliata, avrebbe chiesto ad Elissa di sposarlo.

Ma niente di quello che voleva accadde, stavolta la sua farfalla gli scappò dalle mani, volandosene via.

Al termine della riunione, ritornò trafelato in camera sua per parlarle. Spalancò la porta contento, e subito la sua gioia si seccò sulle sue labbra.

Il letto era vuoto, perfettamente rifatto, e sul copriletto cremisi, spiccava solo un foglio di carta bianca.

Lo prese di scatto tra le mani e ne lesse le poche righe.

La ringrazio davvero tanto per quello che ha fatto, Maestà. Mi ha dato il coraggio di fare una cosa che volevo fare da tanto tempo, anche se avevo troppa paura di fare. Ricomincerò da capo, non deve preoccuparsi per me. Mi dispiace molto per quello che è accaduto nel nostro primo incontro, o meglio nel secondo. Ero troppo legata alla mia famiglia e ai miei ricordi che non volevo assolutamente lasciare, per capire che la sua era, in effetti, la soluzione migliore che lei, da Re, potesse prendere. Quello che fa per il suo popolo è meraviglioso e credo davvero che, alla fine, la sua sia stata la soluzione migliore; per questo, non le porto assolutamente rancore per quello che mi è successo e non deve più preoccuparsi per me.

So che magari non le importa molto, ma la verità è che lo ricordo il nostro primo incontro, ho solo finto di non sapere di che cosa stesse parlando. Le chiedo scusa per questo, ma lei non poteva sapere che sto cercando di rimuovere buona parte della mia infanzia dai miei ricordi. E’ il periodo più bello, che abbia vissuto, ma adesso mi fa male ricordarlo.

Le chiedo ancora scusa, anche per quello che le feci quel giorno.

La ringrazio ancora.

Addio                                                                                                                                               Elissa

Leon strinse la lettera tra le mani, per qualche secondo, incapace di pensare. Poi si sedette sul letto e sospirò.

Si voltò e, guardando fuori dalla finestra, mormorò: “Addio anche a te, Elissa”.

 

 

La strada era piena di gente, festante ed urlante, che si sbracciava per vedere la carrozza reale, che attraversava le vie della città. Il sole risplendeva sul ghiaccio, con cui erano state costruite le abitazioni e il palazzo reale, creando giochi di luce color dell’arcobaleno; la gente era felice, serena, erano ormai cinque anni, che viveva su quel pianeta e lentamente vi si era abituata.

Il re, poi, aveva messo a sua disposizione i suoi poteri e quelli delle persone più dotate del popolo, e aveva reso Nemesi perfettamente abitabile. Era stata creata una cupola di energia magica, che circondava il pianeta, e che rendeva l’aria molto più calda. Certo, non avevano più le torride estati terrestri, ma almeno potevano vivere serenamente.

Era stato persino possibile creare delle coltivazioni, e la popolazione riteneva questo un vero e proprio miracolo. Chiaramente la fedeltà al Re era ai vertici, e tutti si compiacevano di aver dato fiducia completa a Leon, piuttosto che a suo fratello.

Leon, nella carrozza scoperta, salutava la folla, mentre accanto a lui, una donna gli mise una mano piena di anelli, sulla sua.

“Leon, tesoro, quando torneremo al castello?” chiese, la voce suadente, certa di poter ottenere tutto quello che voleva.

“Tra poco” rispose lui velocemente alla fidanzata, guardando attentamente la folla, poi, sospirando, si rivolse di nuovo a lei “Lo sai che ogni tanto devo farmi vedere dal popolo, Dalia, o penseranno che sono un Re fantasma”.

La ragazza rise scioccamente e, scuotendo la testa piena di riccioli neri, disse: “A me sembra che tu stia cercando qualcuno…”.

Leon, punto sul vivo, rispose: “Non dire sciocchezze, non sto cercando proprio nessuno…”.

Ad un tratto, la carrozza inchiodò all’improvviso, frenando. Leon e Dalia capitombolarono in avanti, mentre la ragazza urlava: “Devon, sei impazzito?! Che diamine fai?!”.

Leon si sporse e, vedendo una sagoma per terra davanti alla carrozza, fece leva sullo sportello del cocchio e scese giù.

C’era solo un bambino, che era per terra e che visibilmente spaventato dalle urla di Dalia, era praticamente pietrificato.

Lui si avvicinò e, chinatosi, chiese: “Piccolo, dov’è la tua mamma?”.

Il bambino non rispose, ma, in compenso, si sentì una voce femminile, che gridava trafelata: “Marik!”.

Leon si girò in direzione della voce e il cuore gli si gelò in gola.

Era lei, era Elissa… quanto l’aveva cercata quello stesso giorno nella folla multicolore davanti a lui… e se ne rendeva conto solo allora, dopo tanto tempo che lo faceva…

Lei corse verso il bambino e lo abbracciò, dicendo: “Cielo, Marik, non devi scappare via così!”.

Marik protestò debolmente: “Ma io volevo vedere il Re!”.

Lei sorrise, sollevando lo sguardo, e fu allora che si accorse di Leon. Arrossì e disse: “Mi dispiace, Vostra Maestà… è solo un bambino molto curioso…”.

Leon sorrise e disse: “E’ da tempo che non ci vediamo…”.

Lei sbarrò gli occhi e disse, stupita dal tono confidenziale del Re: “Sa ho avuto da fare… comunque, ho trovato un lavoro. Faccio la cameriera a casa di Marik…”.

“Quindi non è tuo figlio?” disse sollevato Leon.

Lei negò con il capo, poi sorridendo, disse: “Alle volte, vorrei incontrarla in circostanze normali, Maestà…”.

Lui, improvvisamente serio, disse: “Anch’io… ascoltami Elissa, io ho bisogno di parlarti… è una cosa davvero molto importante per me… potresti seguirmi a palazzo per favore?”.

Lei annuì e, preso in braccio Marik, salì sulla carrozza, sedendosi accanto a Dalia, visibilmente seccata.

Il giorno e la notte… pensava Leon, guardandole l’una accanto all’altra.

Arrivati a palazzo, Leon congedò Dalia e condusse in una stanza Elissa.

Le diede le spalle, non sapendo esattamente che cosa dirle.

Le vere parole, che avrebbe voluto dire, erano che l’amava, che gli era mancata immensamente, che voleva che non se ne andasse più via, che non lo lasciasse più da solo.

Si voltò verso di lei, che lo guardava curiosa, e il batticuore affiorò alle sue corde vocali, facendogli dire cose completamente diverse.

“Ascoltami, Elissa… io, insomma, bè… sai, c’è un lavoro qui che si è liberato, ma tanto adesso ne hai già trovato uno, per cui…” disse imbarazzato, sentendosi un idiota.

La ragazza sorrise e ringraziò il re, rimanendo anche lei immobile al centro della stanza.

Lui aveva finito di parlare, e allora perché non si decideva ad andarsene?

Perché lo guardava immobile, le labbra dischiuse, il cuore che batteva forte nel suo petto?

Chissà… le venne un leggero capogiro, al pensiero di andarsene, di lasciare quella persona, che era davanti a lei… di lasciarlo magari a quella ragazza mora, così bella e raffinata, che gli si era stretta attorno al braccio, con aria possessiva…

Ma che vado a pensare?! Si chiese risoluta, poi disse, senza nemmeno accorgersi di aver aperto bocca: “Adesso devo davvero andare… ma se non le dispiace, mi piacerebbe venirla a trovare uno di questi giorni…”.

Leon si illuminò e disse: “Mi farebbe tanto piacere… ovviamente, se non è troppo occupata…”.

Elissa sorrise e, per la prima volta, guardò il giovane Re di fronte a lei con un’espressione nuova.

Era sì il nobile Sovrano della sua gente, la persona che aveva deciso quel cambiamento di pianeta, che all’inizio le aveva arrecato tanta sofferenza, ma adesso le sembrava un normale ragazzo poco più che ventenne, che aveva fatto molto per lei, molto più di quello che lui effettivamente pensasse. Quel lontano giorno di qualche anno prima, era stata finalmente in grado di porre una fine alla vita, che si era scelta di vivere dopo la morte dei suoi genitori, una vita di degrado continuo, in cui ogni volta che pensava di aver toccato il fondo, scopriva di poter iniziare a scavare per trovare nuovi abissi. E il cruccio maggiore era stato che i suoi genitori erano morti nella coerenza delle loro idee, spegnendosi sulla Terra pochi giorni prima del Grande Esodo. Non volevano lasciare la Terra e non l’avevano fatto. Lei, invece, così fiera e determinata a parole, aveva finito per fare tutto quello che si era imposta di non fare mai e poi mai nella sua esistenza. 

Poi, era arrivato il principe azzurro della sua infanzia a portarla via e farle ricordare quello che era stata, a darle la forza di ricominciare, di non abbandonarsi, prematuramente stanca e provata dalla vita.

E adesso era lì di fronte a lei, ed Elissa si rendeva conto per la prima volta che lui non era il Re, che si era immaginata sempre, era una persona dolce e meravigliosa e che, nonostante tutto, si era ricordata di lei.

E poi, sebbene cercasse di tenere a freno quella parte di sé stessa, era anche… semplicemente troppo bello… rimase qualche secondo, persa nei riflessi biondi dei suoi capelli, in quelli acquamarina dei suoi occhi, nelle sfumature di corallo delle sue labbra sottili, piegate in quel delizioso sorriso, di cui splendeva tutto il suo viso ambrato.

Scosse la testa, allontanando quei pensieri dalla sua mente.

Basta, insomma! Lui è il Re e io sono solo una Cameriera… e poi io non provo niente per lui… è solo gratitudine…

Che fosse gratitudine o no, fu quel sentimento a farla andare ogni giorno a Palazzo con una nuova scusa per i successivi sette mesi.

 

 

“Perché mi hai fatto chiamare Leon?” chiese Elissa, mentre guardava il suo Re, seduto sulla veranda, gli occhi socchiusi ad assaporare i tiepidi raggi del sole.

“Vieni qui per favore… “ disse lui, sollevando lentamente il capo.

Lei, arrossendo, si avvicinò a lui e rimase immobile, davanti alla portafinestra.

“Siediti vicino a me, Elissa…”.

Lei si sedette titubante accanto a lui, il cuore che le batteva talmente forte che aveva paura che lui potesse sentirlo. Erano mesi che lo vedeva praticamente ogni giorno, che lui era diventato il suo migliore amico, a cui confidava tutto, dimenticandosi troppo spesso, come si rammaricava molte volte, che lui era un Re, e che non aveva molto tempo per lei. Ma lui la invitava sempre a tornare e allora lei, come spinta da un impulso naturale, puntualmente finiva di lavorare e lo andava a trovare, intrattenendosi per ore con lui. 

Eppure, nonostante quella complicità e amicizia tra loro, bastava che l’aria che li separava, diventasse uno strato sottile, troppo sottile e il suo cuore iniziava a battere forte, come se fosse impazzito. E lei non sapeva darsene una spiegazione, o meglio quella che aveva e sapeva darsi, era la più terrificante fra tutte.

Leon si uscì dalla tasca un cofanetto oro, che aprì con un piccolo scatto, rivelando un piccolo anello con una pietra lucente rossa.

“Lo sai che cos’è questo?”chiese, mostrandolo ad Elissa.

“Un anello…” rispose lei, ingenuamente.

“Con Leon… hai detto che ti chiami così, no?”.

Quel ricordo di lei bambina, lo fece sorridere e martellare il cuore, ma, al contempo, capì ancora una volta che stava facendo la scelta giusta.

“Questo è l’anello di fidanzamento che dovrò dare alla donna che sposerò… è forgiato da una goccia del mio sangue e rappresenta un legame eterno con la persona, a cui sceglierò di darlo… un legame di sangue, come quelli familiari…”.

“E allora?” chiese Elissa, confusa. Aveva paura delle sue successive parole e si strinse una mano sul cuore. Paura della felicità, e paura della delusione.

“Quest’anello è destinato a Dalia… è la mia fidanzata…” disse lui, abbassando lo sguardo.

Lei, avvertendo il petto squarciato, ricacciò indietro le lacrime e disse, fingendo una falsa allegria: “E allora che aspetti a darglielo? Ne sarà felicissima… a proposito, mi sono ricordata di avere delle cose da fare…”.

Lui sollevò lo sguardo, finora basso e fisso sui riflessi corallo dell’anello, e fu sconvolto dal volto della sua Elissa: pallido, gli occhi lucidi, le labbra morse a sangue dai denti.

“Aspetta…” disse solo. La afferrò per il polso, costringendola a girarsi, mentre lei stava uscendo.

Lei lo fissò, le lacrime che le rigavano ormai il volto.

“Perché stai piangendo?”chiese Leon confuso.

Lei voltò il viso dall’altra parte e disse tagliente: “Muoviti… me ne devo andare…”.

Lui respirò profondamente, prendendo ad accarezzare con il pollice la mano di Elissa, la cui pelle fredda era scossa dai brividi.

“Dovrei dare quest’anello a Dalia, te l’ho detto… eppure, io da quando ti ho vista entrare, da quando ti conosco, da quel giorno su quell’albero… io ho sempre desiderato prendere e stringere la tua mano, infilarci quest’anello e vedere i tuoi occhi, pieni di quelle farfalle di luce, che mi incantano sempre quando sei felice… quello che voglio dire è… Elissa, è tutta la vita che sono innamorato di te ed è te e solamente te che voglio sposare…”.

Elissa non credeva alle sue orecchie, pensando di aver capito male, ma guardando gli occhi di Leon, capì che lui aveva detto davvero quelle cose. Le più belle parole che aveva sentito nella sua vita…

Cielo, ti amo anch’io così tanto, ma chi mi dice che non te ne pentirai un giorno? Chi mi dice che non mi lascerai da sola?

Rimase in silenzio, cosciente che qualsiasi parola, che la sua mente era minimamente era in grado di formulare, era quella sbagliata. Le lacrime scendevano sul suo volto, e non sapeva più dire se fossero di felicità o di tristezza. Non lo sapeva. E adesso che aveva capito che la complessità dei suoi sentimenti era spiegata in una sola parola, che lei era innamorata di Leon, e che lui era innamorato di lei, niente sembrava essere diventato più facile, anzi…

Leon la guardò a lungo, accarezzandole ancora la mano, mentre chiedeva ancora insistentemente a Dio che lei gli dicesse qualcosa, qualsiasi cosa… l’importante era risentire di nuovo la sua voce, ma, visto che lei non parlava ancora si decise a dire, lasciando la sua mano: “Elissa, io non voglio farti del male… questo ha a che fare solo con me, se tu non provi niente per me… noi resteremo amici e io sposerò Dalia… io devo sposare al più presto qualcuno, perché mio fratello vuole il mio trono, lo sai, e solo le nozze e poi un erede, mi renderanno più sicuro… io voglio sposare te, ma non ti posso imporre niente. Ti amo troppo per importi qualcosa che non vuoi, e per toglierti la tua libertà… io stasera darò la mia festa di fidanzamento; se ti vedrò, vorrà dire che hai accettato, altrimenti ci vedremo domani…”.

La guardò in viso, sollevando il suo capo con la mano. La fissò negli occhi e disse: “Non piangere più… voglio solo che tu mi prometta che qualsiasi cosa succeda, non mi lascerai mai da solo…”.

Elissa annuì lentamente, poi, asciugate le lacrime con il palmo della mano, disse solo: “Non ti potrei mai lasciare da solo… semplicemente perché poi lo sarei io, senza di te…”.

Poi, sorrise e corse fuori, chiudendo la porta alle spalle e appoggiandosi ad essa, il viso affondato nelle palme delle mani, le lacrime che scendevano libere sulle sue labbra.

Si sentiva una stupida e al contempo, aveva una voglia matta di tornare dentro da lui, ma doveva aspettare e riflettere bene, in fondo si trattava di cambiare completamente la sua vita.

Corse fuori senza meta e direzione, il vento freddo che le congelava le lacrime sul viso. Uscì in cortile e si sedette sul bordo dell’enorme fontana, che c’era al centro del giardino.

Si mise le mani nei capelli, sentendo dentro un’enorme battaglia tra il suo cuore e la sua mente.

La sua mente le diceva di lasciare perdere, che erano troppo diversi, che la vita da Regina non faceva per lei, che era sempre stata abituata a vivere libera e che le restrizioni della vita da palazzo non facevano per lei, che lui si sarebbe stancato di lei.

Ma il suo cuore, dannazione…

Sei innamorata persa di lui e lui lo è di te. Che cosa c’è di sbagliato? Pensi di voler passare tutta la vita a fingere di essere forte, quando in realtà non lo sei? Non lo sei Elissa, sei debole, e, se non pensi che sia vero, chiediti al perché sono sette mesi che vieni qui ogni giorno e risponditi. E poi, la vita da Regina non fa per te? E chi l’ha detto? E poi tu stai pensando solo se diventare moglie o non di Leon, dì la verità che non ti importa niente del diventare Regina! Hai solo paura che lui ti lasci e che si stanchi di te, mentre tu non potresti mai di lui… 

Le lacrime iniziarono a scorrere ancora, ma all’improvviso si accorse di una sagoma lontana, che avanzava verso di lei.

La vista offuscata, disse solo: “Leon…”.

Ma non era lui. Era suo fratello, Profondo Blu.

Possibile che fosse così simile alla persona, che lei amava, a parte che per i lunghi capelli corvini, ma al contempo così diverso? Guardare Leon e parlare con lui scaldava il cuore, guardare Profondo Blu e parlare con lui congelava l’anima.

“Ciao Elissa” disse lui mellifluo, sedendosi accanto a lei “E’ da tempo che non ci vediamo… l’ultima volta che ti ho vista, non ti permettevi neanche di chiamare mio fratello, Leon, lo odiavi e basta…”. 

“Le cose cambiano…” rispose gelida. Non aveva voglia di parlare con lui di niente, figuriamoci di Leon.

“Lo vedo, tesoro mio… un tempo, ero io il tuo principino preferito… e devo dire che neanche tu mi dispiacevi tanto…” proseguì, una mano ad accarezzarle una gamba.

Lei si scostò subito e si alzò immediatamente, la fronte imperlata di sudore freddo. Le faceva paura quell’uomo dallo sguardo freddamente ceruleo, che tanto aveva ammirato in passato e che adesso si ritrovava a temere.

Lui la imitò e si mise di fronte a lei, sorridendo malevolo, attirandola a sé.

“Non così in fretta, piccola mia” disse, il viso affondato nei suoi capelli ad aspirarne il dolce profumo “Sono anni che ti voglio rivedere e adesso mi scappi così, io il tuo vecchio amico… povera, povera Elissa… che cosa ti ha fatto mio fratello?”.

Sorrideva, cercando di baciarla, mentre lei si ritraeva, cercando di liberarsi della sua morsa. Riprese a piangere, graffiando con le unghie la mano di Profondo Blu.

Fu in quell’istante che capì quanto fosse debole, quanto aveva bisogno di Leon, quanto lo amava, quanto la vera libertà fosse quella di seguire il proprio cuore.

Mentre con forza Profondo Blu univa le sue labbra a quelle di Elissa, la ragazza udì un rumore alle sue spalle e vide un garzone di palazzo, che lei conosceva guardarli spaventato e incerto su che cosa fare.

Fu sufficiente a distrarre Profondo Blu, che allentò la presa, permettendo ad Elissa di correre via.

Profondo Blu l’avrebbe ricondotta a sé con la magia, ma era meglio non rischiare. Era troppo vicino a suo fratello, e non si sentiva ancora pronto ad affrontarlo. Leon sarebbe sicuramente accorso, se avesse sentito che Elissa era in pericolo.

Sciocco stupido fratello mio… si disse, ridendo Lei sarà mia prima o poi, e invece sarà per te solo la rovina… non si deve amare mai nessuno, fratello… l’amore ti ammazza…

Elissa, intanto, era corsa a casa sua e si era rifugiata tra le braccia di Lilion, la madre di Marik, che era diventata una sorta di sua madre adottiva. Piangendo, le raccontò tutto dei due fratelli e di quello che le avevano fatto provare.

Amore e dolcezza uno, l’altro paura e rabbia… se sceglieva di diventare la moglie di Leon, avrebbe dovuto fare il conto con entrambe, vivendo sotto lo stesso tetto di Profondo Blu, ma se non lo fosse diventata, avrebbe avuto il coraggio di rinunciare per sempre a quelle calde sensazioni, che il suo re le faceva provare?

 

La sala era così luminosa da fare male agli occhi, le tante candele che si riflettevano sui cristalli dei lampadari e sui marmi, con cui era stata costruita la stanza più grande e importante del palazzo. Gli invitati, vestiti elegantemente, erano tutti intenti a parlare, interrogandosi su chi avrebbe scelto il Re come sua legittima sposa. Non c’era nessuno tra loro che non avesse una parente, nella rosa delle venti ragazze, scelte come probabili consorti del Re. Anche Profondo Blu era in un angolo della sala, godendosi lo spettacolo, anche se per i suoi piani non era proficuo che Leon si sposasse, rafforzando il suo potere con una donna, che poteva dargli degli eredi al trono. Ma, in fondo, non gli importava, gli era sempre rimasta l’ultima carta da giocare… poteva sempre assorbire suo fratello e i suoi poteri.

Sorrise compiaciuto, ripensando anche ad Elissa. Non la vedeva in sala, quindi aveva rifiutato la proposta di Leon. Il giorno dopo, sarebbe andato a cercarla e l’avrebbe convinta a diventare la sua amante. O con le buone, o con le cattive…

Ad un tratto, l’attenzione degli invitati fu catturata dal repentino spegnersi di tutte le luci, ad eccezione di alcune candele rosa, che baluginavano tra le dita delle ragazze, che si erano disposte in fila, aspettando l’arrivo di Leon, che stava scendendo in quel momento la scalinata.

Come si aspettava, Elissa non era venuta. Sospirò a lungo, sentendo il cuore spezzarsi in mille frammenti. Che cosa si aspettava?

Lei non sarebbe mai venuta, non lo amava e non lo avrebbe mai amato, per lei era sempre stato il re viziato e autoritario, che le aveva donato quella vita, che lei non aveva mai voluto, ma che adesso difendeva con tutte le sue forze.

Continuò a scendere pigramente le scale, gettando distrattamente un’ occhiata alle ragazze, tra cui spiccava per bellezza e fastosità Dalia, ricoperta di un vestito verde, pieno di merletti e trine.

Davvero lei sarebbe diventata la sua Regina? Non ci riusciva nemmeno a pensare, senza sentire gli occhi pizzicare e il cuore stringersi in una morsa glaciale.

Fu tentato di tornare indietro, ma poi ripensò al fatto che, se non poteva sposare Elissa, una ragazza valeva l’altra. Era estremamente cinico il suo atteggiamento, ma non gli interessava. Per una volta, voleva disperatamente essere cattivo, crudele ed egoista. Lui amava Elissa ed era solo lei, che voleva sposare. E invece adesso stava per scegliere una ragazza, che a malapena sopportava e che sarebbe stata la compagna della sua vita. 

Scese fino alla fine le scale, fermandosi davanti alla prima ragazza, che aveva due grandi occhi verdi e capelli rossi ed ondulati sul capo. Quasi, sarebbe stato meglio sposare una perfetta sconosciuta, che Dalia, ma poi sospirò e spense la candela, che portava, facendo capire che non l’aveva scelta. 

Continuò a passare tra le varie ragazze, finchè arrivò alla penultima della fila, Dalia, e si apprestò a porgerle l’anello, che l’avrebbe designata per sempre sua moglie. Dalia lo guardava rapita, tendendo già la mano sottile, e Leon le stava infilando già l’anello, quando sentii un leggero sospiro accanto a lui, proveniente dalla ragazza accanto a Dalia.

Si voltò adirato verso di lei. Poteva anche non fingere che le dispiacesse che avesse scelto Dalia, tanto lui lo sapeva che la metà di loro era stata solo mandata a fare tappezzeria, o perché costretta dalla propria famiglia.

Il suo cuore si fermò, quando vide che era Elissa. Rimase immobile, fissandola a lungo; mai come allora, gli era sembrata così bella, illuminata dai riflessi dorati della fiamma della candela, che portava, avvolta in un vestito celeste, molto simile ad un peplo, i capelli leggermente raccolti ai lati da alcuni fiori bianchi, che le lasciavano tuttavia delle ciocche, che le cadevano sulle spalle nude.

Era rossa in viso, ma gli sorrise dolcemente, mentre si sentiva il cuore incandescente. Era nella stessa stanza di Profondo Blu, che in quel momento strinse violentemente i pugni, ma non aveva mai provato una sensazione tanto lontana dalla paura. 

Leon lasciò bruscamente Dalia, che lo guardò adirata, e si diresse verso Elissa, guardandola negli occhi indaco.

“Che ci fai qui?” chiese stupidamente.

Lei spense la candela e la poggiò per terra. Poi si sollevò ancora, attirando con le mani il viso di Leon vicino al suo, incurante delle decine di persone che li stavano guardando.

“Sono qui perché ti amo” disse lei, le labbra che sfioravano quelle del ragazzo “E voglio diventare tua moglie…”.

Leon la strinse a sé e la baciò, mormorando sulle sue labbra: “E pensare che credevo che fossi solamente un’illusione…”.

Elissa rise dolcemente, per poi unirsi a lui in quel bacio profondo, che avrebbe suggellato per sempre l’unione delle loro anime, molto più che l’anello scarlatto, che splendeva ancora nella mano di Leon.  

 

 

Vi è piaciuto questo nuovo capitoletto? Spero davvero di sì, anche se non sono apparsi né Ryan e nemmeno Strawberry, ma solamente Elissa e Leon, che poi indirettamente ricordano molto Ryan e Strawberry, no? Anche se questo capitolo, vi sarà sembrato inutile ai fini della mia storia, in realtà è molto importante per capire che cosa succederà dopo, perché questa storia vecchia di mille anni condizionerà molto i sentimenti e il comportamento di Ryan e Strawberry! Sto dicendo troppo, accidenti a me! Comunque sono sicura che il prossimo capitolo vi piacerà, perché finalmente succede qualcosa tra i due… ho bisogno ancora di rifinirlo, ma lo pubblicherò presto! I soliti messaggi:

Azzurrina: che bel nickname hai! È sempre bello trovare qualcuno di nuovo che legge la mia fic! Grazie del tuo applauso, e ti ringrazio soprattutto di aver notato le mie difficoltà spesso nel reggere una storia del genere, che devo dirla tutta, è abbastanza complicata, sia per me che la scrivo che per voi che la leggete! Grazie della tua fiducia e spero che ti piaccia fino alla fine!

Aya chan: che bello, un’altra lettrice nuova! Grazie della tua ammirazione, spero di meritarla in pieno! In effetti, è veramente molto difficile capire quella fessa di Strawberry, durante l’anime mi sarò arrabbiata almeno venti volte con lei, gettando cose contro il televisore! Nella mia storia, ho cercato di renderla più intelligente e soprattutto di far capire che in realtà è solamente molto insicura e che questo l’ha fatta convincere di amare il pesce lesso! Spero anch’io che nella seconda serie, anche se piccola, Strawberry capisca di amare Ryan, anche perché in caso contrario, ritiro la mia tesi sull’insicurezza! E’ solo scema! Spero di risentirti presto!

Nadia Sakura Kan: come ti ho detto sempre, le tue recensioni mi fanno sempre molto piacere! Come sempre, mi hai molto elogiato e di questo ti ringrazio! Ho cercato di non affrettare troppo le cose, proprio perché penso che se sono davvero innamorati, ma non l’abbiano capito prima, non possano capirlo subito! La frase della fine è mia, mi è venuta naturale, anche se ho pochissima esperienza in campo sentimentale! Comunque, alla fine si sono sentiti male, perché era Leon che si metteva in contatto con loro, ti riferivi a questo quando mi hai detto di non fare scherzi? Comunque spero che questo capitolo ti sia piaciuto! Grazie ancora!

Strega 91: davvero hai capito che cosa succederà? Spero che almeno la storia di Leon&Elissa ti abbia sorpreso un po’! comunque, mi auguro che la tua deduzione sia sbagliata, in maniera da sorprenderti fino alla fine! In caso contrario, sei davvero una veggente! A presto!

Miyu: grazie tantissimo, sono contenta che ti sia piaciuta la storia e che ti piaccia come scrivo, soprattutto ti ringrazio per avermi detto che è una storia diversa! Era proprio quello che volevo, e spero di esserci riuscita!

Hermy 6: hai visto che ancora una volta sei nei miei ringraziamenti? Grazie per i tuoi complimenti, sei davvero molto carina, anche se non credo di meritarmi il geniale che mi hai dato!

Mew Pam: ho cercato di fare quanto prima ad aggiornare, ma ho avuto qualche problema! Purtroppo per la loro dichiarazione ci vuole ancora parecchio, ma già dal prossimo capitolo accadrà qualcosa, che scommetto che ti piacerà molto, o almeno spero! Intanto mi auguro che questa storia nella storia ti sia piaciuta, anche se credo di sì, perché da quello che ho capito dalle tue recensioni sei una persona molto romantica! Un bacione!

Pfepfer: grazie come sempre dei tuoi complimenti! Sei quasi sempre la prima a recensire!

Bene, allora ci vediamo presto! A proposito, dato che sono particolarmente legata a questo capitolo, voglio dedicarlo a mia sorella, con cui litigo un giorno sì e l’altro no, ma a cui in fondo voglio bene! Ieri ha festeggiato nove mesi con il suo ragazzo, e spero che stiano ancora assieme per molto, esattamente come Elissa e Leon! Ciao ciao da Cassie chan!

 

 

   
 
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