Capitolo
9 - You and I… years and years ago…
“…
and if you knew how I wanted someone to come along and change my life the way
you ’ ve done…”--- Chantal Kreviazuk
Il cielo era troppo terso e celeste, tanto da
sembrare quasi irreale, come se quel colore semplicemente non poteva esistere,
e fosse nato dalla fantasia di Qualcuno, che sapeva vedere molto più lontano di
quanto nessun’altro potesse fare.
L’erba si muoveva placida,
come un fresco oceano smeraldino, al richiamo della calda brezza primaverile, profumata
dell’odore delle margherite e delle viole, che punteggiavano il prato. Lontano
all’orizzonte, dalla sommità delle foglie degli alberi sempreverdi, che
ombreggiavano mollemente il terreno, si poteva vedere il vero oceano,
increspato dalle onde argentate e dai bagliori dorati del sole.
Su quell’albero, il bambino
sorrise leggermente a quella vista, quel paesaggio gli stava semplicemente
ritemprando l’anima. Dove aveva letto che non c’è miglior cura per l’anima che
i sensi? Che strano non se lo ricordava più… eppure il suo precettore gli aveva
sottolineato il nome dell’autore decine di volte con un pennarello rosso sulla
superficie ambrata del libro antico, che gli aveva regalato suo padre.
Appoggiò le braccia sul
tronco dell’albero, un piede sospeso nel vuoto, gli occhi azzurro chiaro semi
socchiusi. I capelli lunghi e biondi si muovevano dolci nel vento, andando di
tanto in tanto ad illuminare la camicia bianca di lino che portava.
Aveva uno sguardo troppo
serio, quel bambino di sette anni, uno sguardo che faceva paura a molti, che
sapeva leggere dentro senza possibilità di scampo per nessuno. Suo padre aveva
detto: “E’ un’ottima dote per un re…” e lui aveva semplicemente annuito a quel
primo ed unico complimento del suo genitore, mentre sua madre sorrideva e suo
fratello borbottava qualcosa, tirando la gonna di seta rosa di sua madre. Tanto
per cambiare, non voleva che l’attenzione si focalizzasse troppo su suo
fratello maggiore, già ingentilito agli occhi dei genitori dell’appellativo,
pesante come un macigno, di Erede al Trono del Regno della Terra.
Ad un tratto, la sua
attenzione fu attratta da un grande fracasso, proveniente dalle spalle della
collina. Alzò distrattamente lo sguardo e vide una mandria di bufali correre
impazziti.
Tutto assolutamente normale,
pensò il principe, se non fosse per la figura che correva davanti a loro,
sollevando polvere e urlando.
Il bambino distese le
braccia davanti a sé e aspettò che la figura, inseguita dagli animali, passasse
sotto il ramo, allora si chinò leggermente, afferrandola per le braccia e
tirandola in alto.
Si asciugò il sudore dalla
fronte e si risolse a guardare la figura, piegata in due per l’affanno, che
sedeva sul ramo vicino a lui. Era una bambina un po’ più piccola di lui, che
portava un vestitino leggermente strappato sull’orlo di colore giallo e un
cappellino di paglia, calato sicuramente da una mano materna a proteggere la
testolina, ricoperta di capelli ondulati color mogano.
Quando la bambina alzò lo
sguardo, mostrò due grandi occhi color ametista, rilucenti dallo spavento e
dalla gratitudine.
“Grazie” mormorò, ancora
scossa dall’affanno.
Il bambino, che non sapeva
perché aveva perso per qualche istante la capacità di pensare razionalmente di
fronte ai suoi bellissimi occhi, pieni di luce, alzò le spalle e disse: “Niente
di importante… non credi che dovresti stare più attenta? Potevano
calpestarti…”.
La bimba non si scompose e
disse: “Lo so benissimo… ma la mia mamma mi ha detto che l’erba per lo stufato
cresce vicino ai pascoli dei bufali, e perciò la dovevo prendere per forza… non
è mica colpa mia se si sono accorti di me…”.
Il principino sorrise
all’espressione, al contempo, buffa e serissima della bambina, poi,
rendendosene conto, arrossì e distolse lo sguardo forzatamente da lei.
Dopo pochi secondi, udì di
nuovo la voce cristallina di lei: “Come ti chiami?”.
Lui si voltò e mormorò:
“Leon… mi chiamo Leon…”.
Lei sorrise leggermente e
disse, porgendo la mano paffuta: “Io mi chiamo Elissa…”.
Strawberry sgranò gli occhi,
mentre quelle immagini continuavano a scorrerle dentro. Ecco chi era Elissa, la
voce che l’aveva guidata fino a quel momento…era una persona, che aveva fatto
parte del passato di Leon ed indirettamente perciò anche di quello di Ryan. Una
cosa la sconvolse, oltre misura, prima che altre immagini le si accavallassero
sugli occhi: a parte gli occhi viola e ovviamente le orecchie a punta, Elissa
era praticamente uguale a lei.
Leon sorrise, poi, volendo
colpire l’immaginazione di quella bambina, socchiuse gli occhi e disse:
“Elissa, tu sai almeno con chi stai parlando?”.
Lei non capì e ripeté
ingenuamente: “Con Leon… hai detto che ti chiami così, no?”.
Lui, reprimendo le risate,
disse: “Io sono il principe Leon, per tua informazione… sono in questo piccolo
ed insulso villaggio in vacanza… non dovresti trattarmi con più rispetto, non
credi? Considerano anche che ti ho salvato?”.
La sua reazione fu
completamente diversa da quella che Leon si aspettava. Si aspettava una
riverenza, un languido sospiro, o magari una bocca spalancata per la
meraviglia.
Invece Elissa lo spinse giù
per l’albero, mandando Leon a ruzzolare nell’erba, bagnata ancora di rugiada.
Lui sollevò il capo, verso la bambina, che lo guardava con un’espressione
indecifrabile.
“Ma che ti prende, razza di
mocciosa?!” urlò.
Lei non si scompose e scese
dall’albero, con un rapido salto. Poi esaminò
il ginocchio sbucciato di Leon, da cui usciva qualche goccia di sangue.
“Non è vero…” disse seria.
“Cosa?!” chiese lui
esasperato, massaggiandosi la spalla sinistra.
“Che sei il principe Leon…
non hai il sangue blu, sei solo un bugiardo!” replicò Elissa decisa, poi si
alzò e si allontanò, mentre Leon la guardava, chiedendosi se si comportava
così, perché era solo una bambina di cinque, sei anni, o se fosse semplicemente
matta. Allora non voleva minimamente sapere che razza di adulta sarebbe
diventata.
Mentre si alzava,
spazzolandosi i pantaloncini, sperò ardentemente di non rincontrarla mai più.
Ma si sa, il destino ama non
esaudire i nostri desideri.
Il palazzo di pietra bianca,
ornato dalle colonne e dai fregi delle varie epoche della loro civiltà,
splendeva niveo nel centro della città, stagliandosi anche contro il plumbeo
colore del cielo. Sembrava che l’azzurro del pianeta fosse evaporato
dall’atmosfera, lasciando quella sola parvenza di non colore.
L’aria era piena dell’odore
di gas, che provenivano dalle viscere della terra e che con il loro seguito di
lava incandescente, erano andati a lambire buona parte delle abitazioni della
periferia della capitale del Regno terrestre. Molta gente correva per le
strade, piangendo, mentre una piccola folla si era radunata davanti al cancello
dorato della Reggia.
Un paio di lucenti occhi
azzurri scrutarono la folla e si rivolsero ad una persona, dietro di loro.
“E così, mio fratello non è
d’accordo con la mia decisione di lasciare il pianeta…” disse Leon, le mani
sotto il mento “Non che mi stupisca… figuriamoci se per una santa volta può
essere d’accordo con me… l’unica cosa che davvero mi preoccupa è che ha
radunato parecchia gente attorno a sé…”.
“Vuole che la disperdiamo,
Vostra Maestà?”.
“No, assolutamente… voglio
sentire che cosa hanno da dire” replicò, voltandosi completamente “Ad accezione
di quella sottospecie di seguaci delle arti magiche di mio fratello, gli altri
sembrano persone normali… voglio sentirne qualcuno…”.
L’uomo lasciò la sala,
mentre Leon tornava a guardare distrattamente il cielo. Quei lunghi anni lo
avevano cambiato molto: era molto più alto, robusto, e i suoi capelli erano
cresciuti molto. Solo i suoi occhi erano gli stessi, anzi se era possibile, gli
si era aggiunta nuova tristezza e fierezza.
Era diventato Re, questo era
vero, ma aveva perso i suoi genitori in una maniera terribile. Uccisi dai suoi
oppositori, che li avevano rapiti, torturati e trucidati, come sicuramente
avrebbe desiderato suo padre, dopo non aver ricevuto da parte sua alcun segnale
di cedimento alle condizioni del riscatto, che gli imponevano di abdicare, a
favore del fratello minore.
E aveva perso anche suo
fratello, catturato dalle arti magiche e dal desiderio di rivalsa. Avrebbe
potuto arrestarlo, bandirlo, condannarlo e distruggerlo in quello stesso
istante, ma non lo faceva. Perché era il solo parente che gli era rimasto,
perchè era tutta la sua famiglia, perché era convinto che, un giorno, sarebbe
cambiato, perché aveva promesso sulla tomba dei suoi genitori di proteggerlo.
L’uomo ritornò nella stanza,
stringendo per il braccio una ragazza leggermente più giovane di Leon, che
appariva leggermente infastidita dalla stretta dell’uomo, che era parecchio più
imponente di lei.
“Lasciala andare, Devon.
Puoi andare adesso…” disse Leon, ancora voltato verso il cielo.
La ragazza, massaggiandosi
il braccio, chiese, la voce non minimamente intimorita:” Perché mi ha fatto
venire qui? Io non ho assolutamente niente da dirle, a parte che la sua
decisione è assolutamente sbagliata… se poi vuole giustiziarmi, faccia pure… i
miei compagni protesteranno abbastanza anche per me…”.
“Mi dica, perché ritiene che
la mia decisione sia sbagliata?” chiese Leon, ancora di spalle.
La ragazza prese fiato e
disse velocemente: “Lei non sa che cosa significa vivere di stenti e riuscire,
dopo anni di sacrifici, a conquistarsi una posizione di minimo benessere… la
mia famiglia è molto umile e i miei genitori sono anziani e malati. Non
vogliono lasciare la loro terra e non voglio neanche io, dopo quanto ci abbiamo
lavorato. Perché se esiste un modo per rimanere qui, non possiamo usarlo,
invece di sradicare tante famiglie dalle loro certezze e dalla loro modesta
sicurezza? Per lei non c’è problema, è il Sovrano e, dovunque andremo, sarà
sempre ricco e amato, ma per noi, che garanzie ci sono?!”.
Leon aveva ascoltato
l’invettiva in silenzio, la voglia di rispondere completamente schiacciata in
lui. Perché si faceva tanti scrupoli? Suo padre aveva ragione: era lui il suo
sovrano ed era a lui che dovevano obbedire. Punto e basta.
Sospirò. Non era mai stato
quel genere di Re.
“Mi dica signorina, lei lo
ama questo pianeta?” chiese sottovoce.
La ragazza, leggermente
interdetta, annuì.
“E allora pensa che la magia
di mio fratello lo renderà come era prima? O lo migliorerà per lei e per la sua
famiglia? La natura è questa: un vulcano che esplode, un terremoto che scuote
la terra, un uragano che spazza via le foreste. E’ la natura, dolcemente giusta
e necessaria, di un pianeta giovane e in formazione, come il nostro. Cos’è la
magia? Sono i poteri che ci ha dato la natura, questo è vero, ma è anche
interferire con essa. Non possiamo usarla per cambiare forzatamente quello che
deve succedere, lo capisce? E poi io amo troppo questo pianeta e questa gente
per lasciare che possa eventualmente accadere qualcosa che li metta in
pericolo. Finché esiste il popolo, esiste anche il regno e non c’è il problema
del pianeta… lo si troverà, o magari un giorno torneremo qui…”.
Sapeva di non averla
convinta, l’aveva sentita mormorare, mentre parlava, e muoversi impaziente di
rispondergli.
“Lei si chiama?” chiese,
solo per educazione, dato che la conversazione si stava protraendo per
abbastanza tempo da rendere necessaria la presentazione.
“Elissa…” rispose lei.
Lui sentì il cuore perdere
un battito. Elissa… doveva aveva sentito quel nome? Era una traccia chiara nei
suoi ricordi, che lasciava una leggera scia di odore d’erba e di viole. Gli
ricorda la sua infanzia quel nome, la sua vita tranquilla, se mai lo era stata,
e poi, con una stretta al cuore, i suoi genitori.
Si voltò rapidamente verso
l’artefice di quel piccolo tuffo nel passato e vide una bella ragazza
abbastanza alta, dai lunghi capelli rosso scuro e dagli occhi indaco.
La ricordava adesso… era
quella strana bambina di tanti anni fa… gli venne da ridere a ricordare quella
sua strana espressione, che era rimasta ancora sulle sue labbra, ben disegnate
e rosse, come le fragole che la primavera regalava copiose all’inizio
dell’estate.
“Certo che lei non ne vuole
saperne di trattarmi come un membro della famiglia reale…” commentò,
sorridendo.
“Non riesco a seguirla…”
disse lei, leggermente stupita.
“Non si ricorda di me,
Elissa?” chiese smarrito, sentendosi al contempo un idiota. Era così compunta e
regale quella ragazza, di fronte a lui. Era come se fosse lei la Regina
all’interno della stanza.
“Dovrei? Le ho detto le mie
origini e, tra le mie conoscenze, non figurano Altezze Reali…” rispose
altezzosa.
Fu, forse allora, che Leon
la guardò bene per la prima volta, trovandola la ragazza più bella che avesse
mai visto, e dire che ne aveva viste di contessine, duchesse, marchesine e
altre dozzine di nobildonne tra le più incantevoli del pianeta. Questa constatazione
ferì il suo orgoglio e allora replicò stizzito: “Vedo che non è per niente
cambiata… credo che sia solo diventata più superba…”.
Elissa arrossì di rabbia e
disse: “Le ho già detto che non capisco di che cosa sta parlando… “.
“Basta! Non ho più intenzione
di perdere tempo con lei! Devon !” urlò nervoso, mentre il suo attendente
invitava poco gentilmente la ragazza ad uscire.
Leon sospirò di sollievo,
mentre chiedeva di vedere qualcun’altro. Ma, mentre di nuovo di spalle,
ascoltava le altre rimostranze, non riusciva a togliersi dalla mente gli occhi
viola, brucianti di rabbia, pieni del fulgore delle piccole lacrime di orgoglio
di Elissa.
Il vento tagliente mozzava
il respiro dei pochi passanti, che camminavano nelle strade scavate nel
ghiaccio della piccola capitale del nuovo Regno della popolazione, che aveva
sempre vissuto sulla Terra. Al centro, il palazzo di ghiaccio del Re era
spazzato dal vento siderale, ma rimaneva erto e immobile, protetto dalla magia
riscaldante del sovrano, che aveva avvolto anche la maggior parte della città,
che, nonostante questo, era però tuttavia sottoposta alla forte corrente
d’aria. Era ormai notte fonda e poche persone camminavano a quell’ora, sotto il
cielo nuvoloso e sgombro di stelle. Era pericoloso uscire a quell’ora, il
sangue ghiacciava nelle vene e molti, caduti in buche o assiderati per le
strade, non tornavano a casa l’indomani, al sorgere del pallido e tiepido
sole.
Una figura coperta da un
pesante mantello azzurro, camminava per le strade, apparentemente incurante del
freddo.
Leon voleva camminare,
voleva vedere se ci fosse in giro qualcuno, che magari era svenuto per strada e
portarlo a palazzo. Il popolo si fidava di lui e sapeva che stava cercando dei
metodi per rendere il pianeta più vivibile, ma adesso era lui che stava
perdendo la speranza. Suo fratello, poi, stava diventando sempre più potente di
quelle strane arti magiche e non perdeva occasione per rimproverargli qualcosa.
Stava iniziando lentamente a
sentirsi stanco di quella vita da sovrano e voleva solo stendersi da qualche
parte, e non svegliarsi più.
Si accorse di una persona
accasciata per terra, davanti alla porta di un locale. Si chinò su di essa e
vide che era un’ anziana donna, le labbra viola e i capelli bianchi pieni di
ghiaccio.
Vide se respirava ancora e,
cogliendo un lieve battito, entrò nell’osteria e chiese dell’acqua calda per
riscaldarla. Un giovane gli venne incontro dall’atmosfera fumosa del retro del
locale e la riconobbe come sua nonna.
Lo ringraziò a lungo,
ovviamente senza sapere che si trattava del suo Re. Leon non si era fatto
riconoscere, e decise di sedersi per qualche minuto per riprendere fiato,
bevendo qualcosa per riscaldarsi.
Il cappuccio ancora calato
sugli occhi, sorseggiava la sua bibita, quando vide qualcuno salire sul
palchetto di fortuna, proprio di fronte a lui.
Una ragazza stupenda,
truccata pesantemente, le labbra innaturalmente rosse, corti capelli neri sul
capo… ma quegli occhi, cavolo i suoi occhi,
come poteva confonderli con qualcun’altra? Gli occhi più belli che avesse mai
visto, che, alle volte, sognava ancora di notte, gli occhi malva di Elissa.
Si erse sulla sedia,
osservandola ballare e muovere ritmicamente dei veli colorati annodati attorno
al suo corpo sinuoso e snello. Gli si strinse il cuore, a vederla così… la sua
Elissa che fine aveva fatto?
Poi…
“Per lei non c’è problema, è il Sovrano e, dovunque andremo,
sarà sempre ricco e amato, ma per noi, che garanzie ci sono?!”
Era colpa sua… adesso sapeva
che cosa significavano le sue parole, e lo seppe ancora meglio, quando la vide
accettare le avances di un tipo enorme, che le si strusciava addosso, mentre
lei guardava altrove con le lacrime che scendevano sul suo volto atteggiato ad
una smorfia provocante e seducente, che non le riusciva bene, non come la sua
espressione dolcemente ingenua di tanti anni prima, o come quella
meravigliosamente altezzosa di solo un anno prima.
Avvertì la rabbia e chissà
cos’altro fargli stringere le mani a pugno, che gli impediva da pensare. Non si
sentiva più il Re adesso, non c’era di meno importante in tutto l’Universo che
essere un monarca.
Fendé la folla accalcata
attorno al palco, salì e prese la ragazza in braccio, dopo aver mollato un
pugno al tipo che ballava scompostamente attorno ad Elissa.
Lei oppose resistenza,
calciando come un’ossessa, ma lui la strinse più forte a sé, e la portò fuori.
“Ma si può sapere chi
diamine sei?!” chiese lei, le lacrime ancora sospese sulle sue ciglia,
rabbrividendo per il freddo.
Lui si tolse semplicemente
il cappuccio ed Elissa sbarrò gli occhi, dicendo: “Lei?!”.
Lui le accarezzò il viso e
disse dolcemente: “Si ricorda di me adesso?”.
Elissa arrossì e sorrise,
annuendo con il capo. Poi, si accasciò sul suo petto, stringendosi intensamente
a lui, il volto affondato nella sua camicia.
Disse solo: “Portami via di
qui, Leon… per favore…”.
Lui la prese in braccio,
mentre lei cadeva nelle nebbie di un sonno agitato e pieno di incubi. E mentre
la stringeva a sé, temendo di perderla ancora, ripensò che era la prima volta,
dopo anni, che qualcuno gli dava del tu. Ed era la sensazione più bella che
avesse mai provato in vita sua.
Era una bella giornata quel
giorno su Nemesi, uno di quei rari giorni, in cui splendeva il sole e quando
l’aria si faceva tiepida ed estremamente dolce. Era bello, in fondo, quel
pianeta, ribattezzato dai nuovi abitanti con quel nome non stupendo. Il
ghiaccio brillava di luce cristallina, prima di sciogliersi e lasciare il posto
ad una sparsa e verdissima vegetazione.
Leon sedeva nella sua
stanza, lo sguardo fisso sulla piccola figura rannicchiata nel suo letto, la
testa leggermente coperta dal lenzuolo bianco e l’aria apparentemente serena.
Lo era davvero? Si chiese
Leon, mentre guardava il volto placido di Elissa. Era la prima volta che
concepiva tanta curiosità su una persona, e che voleva che qualcuno fosse
felice, come lo era lui in quel momento. Tutta la notte aveva fissato il viso
di lei, il sonno, che non veniva o che magari non era mai arrivato, troppo
disturbato dal battito incessante ed intenso del suo cuore.
Che gli succedeva? Si
chiedeva spietatamente.
Doveva andare, lo aspettava
un importante riunione con i suoi ministri, ma inaspettatamente non aveva
fretta, nessuna fretta. Che aspettassero, bastava che la guardasse ancora un
po’.
Perché?
Poi, lei si mosse nel sonno
e fece una smorfia strana, dolce e ilare al tempo stesso, e allora la chiarezza
lo avvolse.
Perché era innamorato di
lei, perdutamente e illogicamente innamorato di lei.
Chissà magari lo era, da
quando l’aveva incontrata da bambino, o forse da qualche giorno, o magari lo
era da tutta la vita. Adesso si ricordava che l’aveva sempre cercata, esaurendo
la sua ricerca nella consapevolezza di non sapere che cosa stava cercando e
neanche di volerlo minimamente sapere.
Perché non esisteva, o almeno
credeva che non esisteva.
E allora aveva pensato che
fosse l’essere felice, l’ascoltare i suoi sudditi, essere un buon figlio,
fratello e Sovrano.
Ma non era così.
Era lei, era lei, che stava
disperatamente cercando, era lei quel sentimento di insoddisfazione, che si era
attaccato alla sua anima, quella mania di fare tutto e dannatamente bene, il
voler essere perfetto sotto tutti i punti di vista…
Si ricordava che, quando
aveva sì e non cinque anni, aveva catturato un giorno in giardino una
bellissima farfalla, che aveva le ali bianche screziate di sfumature violette.
L’aveva chiusa in un barattolo di vetro e l’aveva messa vicino al suo letto.
La osservava per ore,
rapito, vedendola battere furiosamente le ali, per uscire, e chissà come mai,
non gli era mai passato minimamente per la mente, che per lei fosse quasi una
prigione, e che stava vivendo un’esperienza certamente non piacevole. Ma lui si
diceva che la farfalla era sua e che la doveva proteggere perché fuori c’erano
tanti pericoli per lei, e che sarebbe sicuramente morta se non l’avesse tenuta
con sé.
Due giorni dopo, la farfalla
morì e per tutta l’infanzia si chiese se fosse stato perché la vita delle
farfalle durava molto poco, o perché l’aveva tenuta prigioniera.
Non lo seppe mai.
Ma stavolta aveva un’altra
meravigliosa farfalla indaco tra le dita, stavolta di carne, sangue, ossa,
pelle, emozioni, dolore, angosce, collera, gioia, e poi di cuore. Un cuore che
poteva amare ed odiare, rispettare e insultare, stimare e disprezzare. E lui
voleva che lei lo amasse, voleva disperatamente che lei lo facesse.
Lasciò la stanza con un
sorriso sulle labbra, quel sorriso che non gli addolciva il volto da tanto,
troppo, tempo. Appena si sarebbe svegliata, avrebbe chiesto ad Elissa di
sposarlo.
Ma niente di quello che
voleva accadde, stavolta la sua farfalla gli scappò dalle mani, volandosene
via.
Al termine della riunione,
ritornò trafelato in camera sua per parlarle. Spalancò la porta contento, e
subito la sua gioia si seccò sulle sue labbra.
Il letto era vuoto,
perfettamente rifatto, e sul copriletto cremisi, spiccava solo un foglio di
carta bianca.
Lo prese di scatto tra le
mani e ne lesse le poche righe.
La
ringrazio davvero tanto per quello che ha fatto, Maestà. Mi ha dato il coraggio
di fare una cosa che volevo fare da tanto tempo, anche se avevo troppa paura di
fare. Ricomincerò da capo, non deve preoccuparsi per me. Mi dispiace molto per
quello che è accaduto nel nostro primo incontro, o meglio nel secondo. Ero
troppo legata alla mia famiglia e ai miei ricordi che non volevo assolutamente
lasciare, per capire che la sua era, in effetti, la soluzione migliore che lei,
da Re, potesse prendere. Quello che fa per il suo popolo è meraviglioso e credo
davvero che, alla fine, la sua sia stata la soluzione migliore; per questo, non
le porto assolutamente rancore per quello che mi è successo e non deve più
preoccuparsi per me.
So
che magari non le importa molto, ma la verità è che lo ricordo il nostro primo
incontro, ho solo finto di non sapere di che cosa stesse parlando. Le chiedo
scusa per questo, ma lei non poteva sapere che sto cercando di rimuovere buona
parte della mia infanzia dai miei ricordi. E’ il periodo più bello, che abbia
vissuto, ma adesso mi fa male ricordarlo.
Le
chiedo ancora scusa, anche per quello che le feci quel giorno.
La
ringrazio ancora.
Addio
Elissa
Leon strinse la lettera tra
le mani, per qualche secondo, incapace di pensare. Poi si sedette sul letto e
sospirò.
Si voltò e, guardando fuori
dalla finestra, mormorò: “Addio anche a te, Elissa”.
La strada era piena di
gente, festante ed urlante, che si sbracciava per vedere la carrozza reale, che
attraversava le vie della città. Il sole risplendeva sul ghiaccio, con cui
erano state costruite le abitazioni e il palazzo reale, creando giochi di luce
color dell’arcobaleno; la gente era felice, serena, erano ormai cinque anni,
che viveva su quel pianeta e lentamente vi si era abituata.
Il re, poi, aveva messo a
sua disposizione i suoi poteri e quelli delle persone più dotate del popolo, e
aveva reso Nemesi perfettamente abitabile. Era stata creata una cupola di
energia magica, che circondava il pianeta, e che rendeva l’aria molto più
calda. Certo, non avevano più le torride estati terrestri, ma almeno potevano
vivere serenamente.
Era stato persino possibile
creare delle coltivazioni, e la popolazione riteneva questo un vero e proprio
miracolo. Chiaramente la fedeltà al Re era ai vertici, e tutti si compiacevano
di aver dato fiducia completa a Leon, piuttosto che a suo fratello.
Leon, nella carrozza
scoperta, salutava la folla, mentre accanto a lui, una donna gli mise una mano
piena di anelli, sulla sua.
“Leon, tesoro, quando
torneremo al castello?” chiese, la voce suadente, certa di poter ottenere tutto
quello che voleva.
“Tra poco” rispose lui
velocemente alla fidanzata, guardando attentamente la folla, poi, sospirando,
si rivolse di nuovo a lei “Lo sai che ogni tanto devo farmi vedere dal popolo,
Dalia, o penseranno che sono un Re fantasma”.
La ragazza rise scioccamente
e, scuotendo la testa piena di riccioli neri, disse: “A me sembra che tu stia
cercando qualcuno…”.
Leon, punto sul vivo,
rispose: “Non dire sciocchezze, non sto cercando proprio nessuno…”.
Ad un tratto, la carrozza
inchiodò all’improvviso, frenando. Leon e Dalia capitombolarono in avanti,
mentre la ragazza urlava: “Devon, sei impazzito?! Che diamine fai?!”.
Leon si sporse e, vedendo
una sagoma per terra davanti alla carrozza, fece leva sullo sportello del
cocchio e scese giù.
C’era solo un bambino, che
era per terra e che visibilmente spaventato dalle urla di Dalia, era
praticamente pietrificato.
Lui si avvicinò e,
chinatosi, chiese: “Piccolo, dov’è la tua mamma?”.
Il bambino non rispose, ma,
in compenso, si sentì una voce femminile, che gridava trafelata: “Marik!”.
Leon si girò in direzione
della voce e il cuore gli si gelò in gola.
Era lei, era Elissa… quanto
l’aveva cercata quello stesso giorno nella folla multicolore davanti a lui… e
se ne rendeva conto solo allora, dopo tanto tempo che lo faceva…
Lei corse verso il bambino e
lo abbracciò, dicendo: “Cielo, Marik, non devi scappare via così!”.
Marik protestò debolmente:
“Ma io volevo vedere il Re!”.
Lei sorrise, sollevando lo
sguardo, e fu allora che si accorse di Leon. Arrossì e disse: “Mi dispiace,
Vostra Maestà… è solo un bambino molto curioso…”.
Leon sorrise e disse: “E’ da
tempo che non ci vediamo…”.
Lei sbarrò gli occhi e
disse, stupita dal tono confidenziale del Re: “Sa ho avuto da fare… comunque,
ho trovato un lavoro. Faccio la cameriera a casa di Marik…”.
“Quindi non è tuo figlio?”
disse sollevato Leon.
Lei negò con il capo, poi
sorridendo, disse: “Alle volte, vorrei incontrarla in circostanze normali,
Maestà…”.
Lui, improvvisamente serio,
disse: “Anch’io… ascoltami Elissa, io ho bisogno di parlarti… è una cosa
davvero molto importante per me… potresti seguirmi a palazzo per favore?”.
Lei annuì e, preso in
braccio Marik, salì sulla carrozza, sedendosi accanto a Dalia, visibilmente
seccata.
Il
giorno e la notte… pensava Leon, guardandole
l’una accanto all’altra.
Arrivati a palazzo, Leon
congedò Dalia e condusse in una stanza Elissa.
Le diede le spalle, non
sapendo esattamente che cosa dirle.
Le vere parole, che avrebbe
voluto dire, erano che l’amava, che gli era mancata immensamente, che voleva
che non se ne andasse più via, che non lo lasciasse più da solo.
Si voltò verso di lei, che
lo guardava curiosa, e il batticuore affiorò alle sue corde vocali, facendogli
dire cose completamente diverse.
“Ascoltami, Elissa… io,
insomma, bè… sai, c’è un lavoro qui che si è liberato, ma tanto adesso ne hai
già trovato uno, per cui…” disse imbarazzato, sentendosi un idiota.
La ragazza sorrise e ringraziò
il re, rimanendo anche lei immobile al centro della stanza.
Lui aveva finito di parlare,
e allora perché non si decideva ad andarsene?
Perché lo guardava immobile,
le labbra dischiuse, il cuore che batteva forte nel suo petto?
Chissà… le venne un leggero
capogiro, al pensiero di andarsene, di lasciare quella persona, che era davanti
a lei… di lasciarlo magari a quella ragazza mora, così bella e raffinata, che
gli si era stretta attorno al braccio, con aria possessiva…
Ma che vado a pensare?!
Si chiese risoluta, poi disse, senza nemmeno accorgersi di aver aperto bocca:
“Adesso devo davvero andare… ma se non le dispiace, mi piacerebbe venirla a
trovare uno di questi giorni…”.
Leon si illuminò e disse:
“Mi farebbe tanto piacere… ovviamente, se non è troppo occupata…”.
Elissa sorrise e, per la
prima volta, guardò il giovane Re di fronte a lei con un’espressione nuova.
Era sì il nobile Sovrano
della sua gente, la persona che aveva deciso quel cambiamento di pianeta, che
all’inizio le aveva arrecato tanta sofferenza, ma adesso le sembrava un normale
ragazzo poco più che ventenne, che aveva fatto molto per lei, molto più di
quello che lui effettivamente pensasse. Quel lontano giorno di qualche anno
prima, era stata finalmente in grado di porre una fine alla vita, che si era
scelta di vivere dopo la morte dei suoi genitori, una vita di degrado continuo,
in cui ogni volta che pensava di aver toccato il fondo, scopriva di poter
iniziare a scavare per trovare nuovi abissi. E il cruccio maggiore era stato
che i suoi genitori erano morti nella coerenza delle loro idee, spegnendosi
sulla Terra pochi giorni prima del Grande Esodo. Non volevano lasciare la Terra
e non l’avevano fatto. Lei, invece, così fiera e determinata a parole, aveva
finito per fare tutto quello che si era imposta di non fare mai e poi mai nella
sua esistenza.
Poi, era arrivato il
principe azzurro della sua infanzia a portarla via e farle ricordare quello che
era stata, a darle la forza di ricominciare, di non abbandonarsi,
prematuramente stanca e provata dalla vita.
E adesso era lì di fronte a
lei, ed Elissa si rendeva conto per la prima volta che lui non era il Re, che
si era immaginata sempre, era una persona dolce e meravigliosa e che,
nonostante tutto, si era ricordata di lei.
E poi, sebbene cercasse di
tenere a freno quella parte di sé stessa, era anche… semplicemente troppo
bello… rimase qualche secondo, persa nei riflessi biondi dei suoi capelli, in
quelli acquamarina dei suoi occhi, nelle sfumature di corallo delle sue labbra
sottili, piegate in quel delizioso sorriso, di cui splendeva tutto il suo viso
ambrato.
Scosse la testa,
allontanando quei pensieri dalla sua mente.
Basta, insomma! Lui è il Re e io sono solo una Cameriera… e
poi io non provo niente per lui… è solo gratitudine…
Che fosse gratitudine o no,
fu quel sentimento a farla andare ogni giorno a Palazzo con una nuova scusa per
i successivi sette mesi.
“Perché mi hai fatto
chiamare Leon?” chiese Elissa, mentre guardava il suo Re, seduto sulla veranda,
gli occhi socchiusi ad assaporare i tiepidi raggi del sole.
“Vieni qui per favore… “
disse lui, sollevando lentamente il capo.
Lei, arrossendo, si avvicinò
a lui e rimase immobile, davanti alla portafinestra.
“Siediti vicino a me,
Elissa…”.
Lei si sedette titubante
accanto a lui, il cuore che le batteva talmente forte che aveva paura che lui
potesse sentirlo. Erano mesi che lo vedeva praticamente ogni giorno, che lui
era diventato il suo migliore amico, a cui confidava tutto, dimenticandosi
troppo spesso, come si rammaricava molte volte, che lui era un Re, e che non
aveva molto tempo per lei. Ma lui la invitava sempre a tornare e allora lei,
come spinta da un impulso naturale, puntualmente finiva di lavorare e lo andava
a trovare, intrattenendosi per ore con lui.
Eppure, nonostante quella
complicità e amicizia tra loro, bastava che l’aria che li separava, diventasse
uno strato sottile, troppo sottile e il suo cuore iniziava a battere forte,
come se fosse impazzito. E lei non sapeva darsene una spiegazione, o meglio
quella che aveva e sapeva darsi, era la più terrificante fra tutte.
Leon si uscì dalla tasca un
cofanetto oro, che aprì con un piccolo scatto, rivelando un piccolo anello con
una pietra lucente rossa.
“Lo sai che cos’è
questo?”chiese, mostrandolo ad Elissa.
“Un anello…” rispose lei,
ingenuamente.
“Con Leon… hai detto che ti chiami così, no?”.
Quel ricordo di lei bambina,
lo fece sorridere e martellare il cuore, ma, al contempo, capì ancora una volta
che stava facendo la scelta giusta.
“Questo è l’anello di
fidanzamento che dovrò dare alla donna che sposerò… è forgiato da una goccia
del mio sangue e rappresenta un legame eterno con la persona, a cui sceglierò
di darlo… un legame di sangue, come quelli familiari…”.
“E allora?” chiese Elissa,
confusa. Aveva paura delle sue successive parole e si strinse una mano sul
cuore. Paura della felicità, e paura della delusione.
“Quest’anello è destinato a
Dalia… è la mia fidanzata…” disse lui, abbassando lo sguardo.
Lei, avvertendo il petto
squarciato, ricacciò indietro le lacrime e disse, fingendo una falsa allegria:
“E allora che aspetti a darglielo? Ne sarà felicissima… a proposito, mi sono
ricordata di avere delle cose da fare…”.
Lui sollevò lo sguardo,
finora basso e fisso sui riflessi corallo dell’anello, e fu sconvolto dal volto
della sua Elissa: pallido, gli occhi lucidi, le labbra morse a sangue dai
denti.
“Aspetta…” disse solo. La
afferrò per il polso, costringendola a girarsi, mentre lei stava uscendo.
Lei lo fissò, le lacrime che
le rigavano ormai il volto.
“Perché stai piangendo?”chiese
Leon confuso.
Lei voltò il viso dall’altra
parte e disse tagliente: “Muoviti… me ne devo andare…”.
Lui respirò profondamente,
prendendo ad accarezzare con il pollice la mano di Elissa, la cui pelle fredda
era scossa dai brividi.
“Dovrei dare quest’anello a
Dalia, te l’ho detto… eppure, io da quando ti ho vista entrare, da quando ti
conosco, da quel giorno su quell’albero… io ho sempre desiderato prendere e
stringere la tua mano, infilarci quest’anello e vedere i tuoi occhi, pieni di
quelle farfalle di luce, che mi incantano sempre quando sei felice… quello che
voglio dire è… Elissa, è tutta la vita che sono innamorato di te ed è te e
solamente te che voglio sposare…”.
Elissa non credeva alle sue
orecchie, pensando di aver capito male, ma guardando gli occhi di Leon, capì
che lui aveva detto davvero quelle cose. Le più belle parole che aveva sentito
nella sua vita…
Cielo, ti amo anch’io così tanto, ma chi mi dice che non te
ne pentirai un giorno? Chi mi dice che non mi lascerai da sola?
Rimase in silenzio,
cosciente che qualsiasi parola, che la sua mente era minimamente era in grado
di formulare, era quella sbagliata. Le lacrime scendevano sul suo volto, e non
sapeva più dire se fossero di felicità o di tristezza. Non lo sapeva. E adesso
che aveva capito che la complessità dei suoi sentimenti era spiegata in una
sola parola, che lei era innamorata di Leon, e che lui era innamorato di lei,
niente sembrava essere diventato più facile, anzi…
Leon la guardò a lungo,
accarezzandole ancora la mano, mentre chiedeva ancora insistentemente a Dio che
lei gli dicesse qualcosa, qualsiasi cosa… l’importante era risentire di nuovo
la sua voce, ma, visto che lei non parlava ancora si decise a dire, lasciando
la sua mano: “Elissa, io non voglio farti del male… questo ha a che fare solo
con me, se tu non provi niente per me… noi resteremo amici e io sposerò Dalia…
io devo sposare al più presto qualcuno, perché mio fratello vuole il mio trono,
lo sai, e solo le nozze e poi un erede, mi renderanno più sicuro… io voglio sposare
te, ma non ti posso imporre niente. Ti amo troppo per importi qualcosa che non
vuoi, e per toglierti la tua libertà… io stasera darò la mia festa di
fidanzamento; se ti vedrò, vorrà dire che hai accettato, altrimenti ci vedremo
domani…”.
La guardò in viso,
sollevando il suo capo con la mano. La fissò negli occhi e disse: “Non piangere
più… voglio solo che tu mi prometta che qualsiasi cosa succeda, non mi lascerai
mai da solo…”.
Elissa annuì lentamente,
poi, asciugate le lacrime con il palmo della mano, disse solo: “Non ti potrei
mai lasciare da solo… semplicemente perché poi lo sarei io, senza di te…”.
Poi, sorrise e corse fuori,
chiudendo la porta alle spalle e appoggiandosi ad essa, il viso affondato nelle
palme delle mani, le lacrime che scendevano libere sulle sue labbra.
Si sentiva una stupida e al
contempo, aveva una voglia matta di tornare dentro da lui, ma doveva aspettare
e riflettere bene, in fondo si trattava di cambiare completamente la sua vita.
Corse fuori senza meta e
direzione, il vento freddo che le congelava le lacrime sul viso. Uscì in
cortile e si sedette sul bordo dell’enorme fontana, che c’era al centro del
giardino.
Si mise le mani nei capelli,
sentendo dentro un’enorme battaglia tra il suo cuore e la sua mente.
La sua mente le diceva di
lasciare perdere, che erano troppo diversi, che la vita da Regina non faceva
per lei, che era sempre stata abituata a vivere libera e che le restrizioni
della vita da palazzo non facevano per lei, che lui si sarebbe stancato di lei.
Ma il suo cuore, dannazione…
Sei innamorata persa di lui e lui lo è di te. Che cosa c’è di
sbagliato? Pensi di voler passare tutta la vita a fingere di essere forte,
quando in realtà non lo sei? Non lo sei Elissa, sei debole, e, se non pensi che
sia vero, chiediti al perché sono sette mesi che vieni qui ogni giorno e
risponditi. E poi, la vita da Regina non fa per te? E chi l’ha detto? E poi tu
stai pensando solo se diventare moglie o non di Leon, dì la verità che non ti
importa niente del diventare Regina! Hai solo paura che lui ti lasci e che si
stanchi di te, mentre tu non potresti mai di lui…
Le lacrime iniziarono a
scorrere ancora, ma all’improvviso si accorse di una sagoma lontana, che
avanzava verso di lei.
La vista offuscata, disse
solo: “Leon…”.
Ma non era lui. Era suo
fratello, Profondo Blu.
Possibile che fosse così
simile alla persona, che lei amava, a parte che per i lunghi capelli corvini,
ma al contempo così diverso? Guardare Leon e parlare con lui scaldava il cuore,
guardare Profondo Blu e parlare con lui congelava l’anima.
“Ciao Elissa” disse lui
mellifluo, sedendosi accanto a lei “E’ da tempo che non ci vediamo… l’ultima
volta che ti ho vista, non ti permettevi neanche di chiamare mio fratello,
Leon, lo odiavi e basta…”.
“Le cose cambiano…” rispose
gelida. Non aveva voglia di parlare con lui di niente, figuriamoci di Leon.
“Lo vedo, tesoro mio… un
tempo, ero io il tuo principino preferito… e devo dire che neanche tu mi
dispiacevi tanto…” proseguì, una mano ad accarezzarle una gamba.
Lei si scostò subito e si
alzò immediatamente, la fronte imperlata di sudore freddo. Le faceva paura
quell’uomo dallo sguardo freddamente ceruleo, che tanto aveva ammirato in
passato e che adesso si ritrovava a temere.
Lui la imitò e si mise di
fronte a lei, sorridendo malevolo, attirandola a sé.
“Non così in fretta, piccola
mia” disse, il viso affondato nei suoi capelli ad aspirarne il dolce profumo
“Sono anni che ti voglio rivedere e adesso mi scappi così, io il tuo vecchio
amico… povera, povera Elissa… che cosa ti ha fatto mio fratello?”.
Sorrideva, cercando di
baciarla, mentre lei si ritraeva, cercando di liberarsi della sua morsa.
Riprese a piangere, graffiando con le unghie la mano di Profondo Blu.
Fu in quell’istante che capì
quanto fosse debole, quanto aveva bisogno di Leon, quanto lo amava, quanto la
vera libertà fosse quella di seguire il proprio cuore.
Mentre con forza Profondo
Blu univa le sue labbra a quelle di Elissa, la ragazza udì un rumore alle sue
spalle e vide un garzone di palazzo, che lei conosceva guardarli spaventato e
incerto su che cosa fare.
Fu sufficiente a distrarre
Profondo Blu, che allentò la presa, permettendo ad Elissa di correre via.
Profondo Blu l’avrebbe
ricondotta a sé con la magia, ma era meglio non rischiare. Era troppo vicino a
suo fratello, e non si sentiva ancora pronto ad affrontarlo. Leon sarebbe
sicuramente accorso, se avesse sentito che Elissa era in pericolo.
Sciocco stupido fratello mio… si
disse, ridendo Lei sarà mia prima o poi,
e invece sarà per te solo la rovina… non si deve amare mai nessuno, fratello…
l’amore ti ammazza…
Elissa, intanto, era corsa a
casa sua e si era rifugiata tra le braccia di Lilion, la madre di Marik, che
era diventata una sorta di sua madre adottiva. Piangendo, le raccontò tutto dei
due fratelli e di quello che le avevano fatto provare.
Amore e dolcezza uno,
l’altro paura e rabbia… se sceglieva di diventare la moglie di Leon, avrebbe
dovuto fare il conto con entrambe, vivendo sotto lo stesso tetto di Profondo
Blu, ma se non lo fosse diventata, avrebbe avuto il coraggio di rinunciare per
sempre a quelle calde sensazioni, che il suo re le faceva provare?
La sala era così luminosa da
fare male agli occhi, le tante candele che si riflettevano sui cristalli dei
lampadari e sui marmi, con cui era stata costruita la stanza più grande e
importante del palazzo. Gli invitati, vestiti elegantemente, erano tutti
intenti a parlare, interrogandosi su chi avrebbe scelto il Re come sua
legittima sposa. Non c’era nessuno tra loro che non avesse una parente, nella
rosa delle venti ragazze, scelte come probabili consorti del Re. Anche Profondo
Blu era in un angolo della sala, godendosi lo spettacolo, anche se per i suoi
piani non era proficuo che Leon si sposasse, rafforzando il suo potere con una
donna, che poteva dargli degli eredi al trono. Ma, in fondo, non gli importava,
gli era sempre rimasta l’ultima carta da giocare… poteva sempre assorbire suo
fratello e i suoi poteri.
Sorrise compiaciuto,
ripensando anche ad Elissa. Non la vedeva in sala, quindi aveva rifiutato la
proposta di Leon. Il giorno dopo, sarebbe andato a cercarla e l’avrebbe
convinta a diventare la sua amante. O con le buone, o con le cattive…
Ad un tratto, l’attenzione
degli invitati fu catturata dal repentino spegnersi di tutte le luci, ad
eccezione di alcune candele rosa, che baluginavano tra le dita delle ragazze,
che si erano disposte in fila, aspettando l’arrivo di Leon, che stava scendendo
in quel momento la scalinata.
Come si aspettava, Elissa
non era venuta. Sospirò a lungo, sentendo il cuore spezzarsi in mille
frammenti. Che cosa si aspettava?
Lei non sarebbe mai venuta,
non lo amava e non lo avrebbe mai amato, per lei era sempre stato il re viziato
e autoritario, che le aveva donato quella vita, che lei non aveva mai voluto,
ma che adesso difendeva con tutte le sue forze.
Continuò a scendere
pigramente le scale, gettando distrattamente un’ occhiata alle ragazze, tra cui
spiccava per bellezza e fastosità Dalia, ricoperta di un vestito verde, pieno
di merletti e trine.
Davvero lei sarebbe
diventata la sua Regina? Non ci riusciva nemmeno a pensare, senza sentire gli
occhi pizzicare e il cuore stringersi in una morsa glaciale.
Fu tentato di tornare
indietro, ma poi ripensò al fatto che, se non poteva sposare Elissa, una
ragazza valeva l’altra. Era estremamente cinico il suo atteggiamento, ma non
gli interessava. Per una volta, voleva disperatamente essere cattivo, crudele
ed egoista. Lui amava Elissa ed era solo lei, che voleva sposare. E invece
adesso stava per scegliere una ragazza, che a malapena sopportava e che sarebbe
stata la compagna della sua vita.
Scese fino alla fine le
scale, fermandosi davanti alla prima ragazza, che aveva due grandi occhi verdi
e capelli rossi ed ondulati sul capo. Quasi, sarebbe stato meglio sposare una
perfetta sconosciuta, che Dalia, ma poi sospirò e spense la candela, che
portava, facendo capire che non l’aveva scelta.
Continuò a passare tra le
varie ragazze, finchè arrivò alla penultima della fila, Dalia, e si apprestò a
porgerle l’anello, che l’avrebbe designata per sempre sua moglie. Dalia lo
guardava rapita, tendendo già la mano sottile, e Leon le stava infilando già
l’anello, quando sentii un leggero sospiro accanto a lui, proveniente dalla
ragazza accanto a Dalia.
Si voltò adirato verso di
lei. Poteva anche non fingere che le dispiacesse che avesse scelto Dalia, tanto
lui lo sapeva che la metà di loro era stata solo mandata a fare tappezzeria, o
perché costretta dalla propria famiglia.
Il suo cuore si fermò,
quando vide che era Elissa. Rimase immobile, fissandola a lungo; mai come
allora, gli era sembrata così bella, illuminata dai riflessi dorati della
fiamma della candela, che portava, avvolta in un vestito celeste, molto simile
ad un peplo, i capelli leggermente raccolti ai lati da alcuni fiori bianchi,
che le lasciavano tuttavia delle ciocche, che le cadevano sulle spalle nude.
Era rossa in viso, ma gli
sorrise dolcemente, mentre si sentiva il cuore incandescente. Era nella stessa
stanza di Profondo Blu, che in quel momento strinse violentemente i pugni, ma
non aveva mai provato una sensazione tanto lontana dalla paura.
Leon lasciò bruscamente
Dalia, che lo guardò adirata, e si diresse verso Elissa, guardandola negli
occhi indaco.
“Che ci fai qui?” chiese
stupidamente.
Lei spense la candela e la
poggiò per terra. Poi si sollevò ancora, attirando con le mani il viso di Leon
vicino al suo, incurante delle decine di persone che li stavano guardando.
“Sono qui perché ti amo”
disse lei, le labbra che sfioravano quelle del ragazzo “E voglio diventare tua
moglie…”.
Leon la strinse a sé e la
baciò, mormorando sulle sue labbra: “E pensare che credevo che fossi solamente
un’illusione…”.
Elissa rise dolcemente, per
poi unirsi a lui in quel bacio profondo, che avrebbe suggellato per sempre
l’unione delle loro anime, molto più che l’anello scarlatto, che splendeva
ancora nella mano di Leon.
Vi è piaciuto questo nuovo capitoletto? Spero davvero di sì, anche
se non sono apparsi né Ryan e nemmeno Strawberry, ma solamente Elissa e Leon,
che poi indirettamente ricordano molto Ryan e Strawberry, no? Anche se questo
capitolo, vi sarà sembrato inutile ai fini della mia storia, in realtà è molto
importante per capire che cosa succederà dopo, perché questa storia vecchia di
mille anni condizionerà molto i sentimenti e il comportamento di Ryan e
Strawberry! Sto dicendo troppo, accidenti a me! Comunque sono sicura che il
prossimo capitolo vi piacerà, perché finalmente succede qualcosa tra i due… ho
bisogno ancora di rifinirlo, ma lo pubblicherò presto! I soliti messaggi:
Azzurrina: che bel nickname hai! È sempre bello trovare
qualcuno di nuovo che legge la mia fic! Grazie del tuo applauso, e ti ringrazio
soprattutto di aver notato le mie difficoltà spesso nel reggere una storia del
genere, che devo dirla tutta, è abbastanza complicata, sia per me che la scrivo
che per voi che la leggete! Grazie della tua fiducia e spero che ti piaccia
fino alla fine!
Aya chan: che bello, un’altra lettrice nuova! Grazie della tua ammirazione,
spero di meritarla in pieno! In effetti, è veramente molto difficile capire
quella fessa di Strawberry, durante l’anime mi sarò arrabbiata almeno venti
volte con lei, gettando cose contro il televisore! Nella mia storia, ho cercato
di renderla più intelligente e soprattutto di far capire che in realtà è
solamente molto insicura e che questo l’ha fatta convincere di amare il pesce
lesso! Spero anch’io che nella seconda serie, anche se piccola, Strawberry
capisca di amare Ryan, anche perché in caso contrario, ritiro la mia tesi
sull’insicurezza! E’ solo scema! Spero di risentirti presto!
Nadia Sakura Kan: come ti ho detto sempre, le tue
recensioni mi fanno sempre molto piacere! Come sempre, mi hai molto elogiato e
di questo ti ringrazio! Ho cercato di non affrettare troppo le cose, proprio
perché penso che se sono davvero innamorati, ma non l’abbiano capito prima, non
possano capirlo subito! La frase della fine è mia, mi è venuta naturale, anche
se ho pochissima esperienza in campo sentimentale! Comunque, alla fine si sono
sentiti male, perché era Leon che si metteva in contatto con loro, ti riferivi
a questo quando mi hai detto di non fare scherzi? Comunque spero che questo
capitolo ti sia piaciuto! Grazie ancora!
Strega 91: davvero hai capito che cosa succederà? Spero
che almeno la storia di Leon&Elissa ti abbia sorpreso un po’! comunque, mi
auguro che la tua deduzione sia sbagliata, in maniera da sorprenderti fino alla
fine! In caso contrario, sei davvero una veggente! A presto!
Miyu: grazie tantissimo, sono contenta che ti sia piaciuta la storia e
che ti piaccia come scrivo, soprattutto ti ringrazio per avermi detto che è una
storia diversa! Era proprio quello che volevo, e spero di esserci riuscita!
Hermy 6: hai visto che ancora una volta sei nei miei ringraziamenti? Grazie
per i tuoi complimenti, sei davvero molto carina, anche se non credo di
meritarmi il geniale che mi hai dato!
Mew Pam: ho cercato di fare quanto prima ad aggiornare, ma ho avuto qualche
problema! Purtroppo per la loro dichiarazione ci vuole ancora parecchio, ma già
dal prossimo capitolo accadrà qualcosa, che scommetto che ti piacerà molto, o
almeno spero! Intanto mi auguro che questa storia nella storia ti sia piaciuta,
anche se credo di sì, perché da quello che ho capito dalle tue recensioni sei
una persona molto romantica! Un bacione!
Pfepfer: grazie come sempre dei tuoi complimenti! Sei quasi sempre la prima
a recensire!
Bene, allora ci vediamo presto! A proposito, dato che sono
particolarmente legata a questo capitolo, voglio dedicarlo a mia sorella, con
cui litigo un giorno sì e l’altro no, ma a cui in fondo voglio bene! Ieri ha
festeggiato nove mesi con il suo ragazzo, e spero che stiano ancora assieme per
molto, esattamente come Elissa e Leon! Ciao ciao da Cassie chan!