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Autore: marie le bon    25/07/2010    0 recensioni
Il dolore di una giovane donna nello scoprire le miserie di un matrimonio fallito. Ambientato in zone rurali.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E la giovane donna tornò dalla Madre con la bambina in braccio. Correndo attraversò l’aia polverosa che mille volte da piccola aveva percorso, sbucciandosi le ginocchia volando a perdifiato, con lo sguardo verso il cielo o la palla. La Madre era là.

Era ferma sulla soglia, seduta sul dondolo, intenta a cucire certe calze per il padre. Vedendo la figlia, che intanto stava ritta dinnanzi a lei, le chiese: “Cosa ci fai qui?dov’è tuo marito?”

La giovane Zita rispose: “Madre, non ce la faccio più, mio marito mi picchia, mi insulta, torna a casa tardi la notte sempre ubriaco, ha perso il lavoro e non so come dar da mangiare alla bimba. In più sua madre mi controlla in ogni momento, dice che sono una puttana perché le ho chiesto il permesso di andare a lavorare fuori casa. Madre ti prego fammi tornare!”.

La Madre alzò gli occhi, che nel frattempo aveva abbassati e replicò nel suo dialetto stretto, tipico di quella zona: “Non te voi pì chi, questa no l’è pì la to cà!” e poi “Torna da to marì e dala to suocera, no so sa dirte…” [1]

La bambina intanto iniziò a piangere. Era stata svegliata presto quella mattina, aveva dormito poco, ora erano le 10 della mattina, il sole batteva già a picco, si preannunciava essere una di quelle giornate di luglio dure e secche come la morte. Un grillo friniva là nella siepe che faceva da confine con l’orto, dove cresceva la verdura, abbondante quell’anno, si vedevano rossi i pomodori, solo ad osservarli si poteva immaginare quanto sapore potessero avere. Sì, era proprio una terra ricca.

 

La Madre prese con decisione la bimba in braccio e disse a Zita: “Neanca to fiola te se bona da far cresar!Solo a piansar te se bona!”[2].

Si alzò dal dondolo e, oltrepassando l’uscio, entrò in cucina. Una cucina piena di mosche morte alle pareti, con il profumo della polenta e dell’arringa stagnante dall’alba, quando ella aveva preparato la colazione per gli uomini, prima che andassero nei campi.

Aprì la credenza e prese un fiasco di vino. Ne versò un bel bicchiere pieno con due cucchiaini di zucchero e lo mise sul tavolo dinnanzi alla figlia, poi prese uno dei cucchiaini con dello zucchero versò qualche goccia di vino e lo diede alla nipotina.

Ordinò alla figlia di sedersi e di bere tutto il vino.  Zita lo fece senza discutere, con le lacrime che le scorrevano ancora sulle guance, gli occhi cerchiati di nero e iniettati di sangue per il troppo piangere e un livido sospetto vicino al mento.

Poi la Madre parlò. “Figlia” disse, “ la vita è dura, è lacrime e sangue e noi donne, specialmente noi donne, dobbiamo versarne più degli uomini perché è il nostro destino. Quando ti sei sposata, hai accettato di andare a far parte di un’altra famiglia, anche questo è il nostro destino. Non si può cambiare il corso degli eventi, né tornare indietro. Devi portare pazienza o usare furbizia. Ma tu non sei furba, non lo sei mai stata, neanche da piccola, quando giocavi insieme ai tuoi fratelli. Lo so che tuo marito è volgare, cattivo, e sua madre è una donna superba senza pietà, ma non puoi, non devi scappare, perché hai promesso davanti al Signore di stare in casa loro per sempre. Inoltre, dove vorresti andare?Qui non ti possiamo riprendere, tuo padre non lo vorrebbe mai e sarebbe uno scandalo troppo grande per tutti noi. La Irma, tua sorella che ormai ha 17 anni, non riuscirebbe a trovare nessun buon partito e sarebbe condannata per sempre come derelitta. Tuo fratellino andrebbe ramingo. Quindi come vedi non c’è soluzione devi tornare a casa tua, a quella che adesso è casa tua”.

Zita era ammutolita, respirava a fatica e un senso di angoscia la opprimeva. Si alzò dal tavolo e si recò fuori, in cortile. Prima di andarsene si voltò e chiese: “Madre, perché hai lasciato che mi sposassi se sapevi che il matrimonio era così brutto? E come puoi volere la stessa cosa per la Irma?”. Ella l’abbracciò e le disse all’orecchio: “L’è destin fiola, l’è destin butina”[3].

Da lontano, là  nei campi, si sentivano le bestemmie degli uomini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


[1] “Non ti voglio più qui, questa non è più la tua casa!” “Torna da tuo marito e da tua suocera, non so cosa dirti!”.

[2] “Non sei capace neanche di far crescere tua figlia!Sei capace solo di piangere!”

[3] “è destino figlia!è destino bambina!”



  
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