ONE PIECE © 1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.
Premessa: Ho di recente riletto 'Il cavaliere inesistente' di Calvino e così, ho deciso di scrivere questa ff...
Grazie a tutti!
Un bosco dal nero abbraccio cingeva
una torre di pietre e rovi serpeggianti, separandola dal resto del
mondo.
Tutto ciò che s’avvertiva era l’oscura
presenza della malvagità del luogo. Né il cantare di timidi
animali, né lo scrosciare un placido torrente. Tutto era immerso nel
silenzio.
Solo chi fosse stato dotato d’udito sopraffino avrebbe potuto
ascoltare, in lontananza, il rumore riecheggiante di alcuni zoccoli che
percuotevano e sollevavano la fredda terra invernale.
Alcuni cavalieri dalle pesanti armature, conducevano i loro destrieri
nella terra madre dei loro guai.
Le bianche armature dei paladini dissolvevano le tenebre, mentre i
nitriti di quei validi compagni di viaggio s’intensificavano
dando segno di stanchezza, che assieme al freddo attanagliava le ossa.
Le corazze rinchiudevano i corpi invincibili dei paladini, le celate
degli elmi a becco nascondevano i loro volti, ma grazie ai disegni
incisi su scudi e spade si potevano riconoscere i loro nomi.
Le lamine di bianco acciaio che costituivano le armature, cozzavano tra
loro in un raggelante rumore metallico.
Le borse cariche in cuoio, strette da lunghe cinghia, pendevano in
bilico lungo i fianchi dei cavalli.
Gli ordini del paladino che li guidava, stretto in
un’armatura bianca candida, spezzata da una croce verde dalle
braccia prolungate sul cuore, giungevano metallici da dentro
l’elmo dall’alto pennacchio piumato verde e
arancio. Gli altri tre cavalieri tirarono le redini dei loro
purosangue,che gemettero disperdendo l’aria tiepida delle
loro gole tra la saliva ancora fluida a causa del morso sopra le loro
rosee lingue, fermandosi in quei neri boschi dalle ampie chiome.
Ogni corazza,balzando dalla sella in cuoio nero, posò i
talloni metallici sul terreno livido.
Nulla poteva essere più rassicurante dell’avere la
terra sotto i propri piedi, anche se essere cavaliere significava sia
fondersi con il proprio destriero, percepire la sua nauseante fatica,
ascoltare i suoi gemiti e il lento arrugginirsi dei ferri che
proteggono le unghie, sia difendere con arma bianca chiunque
supplicasse il loro aiuto.
Tre di loro alzarono le celate, ancora umide a causa del tiepido
respiro. Tremavano sotto l’effetto del vento gelido, i loro
visi erano pallidi. Iniziarono a sfilarsi i pesanti schinieri delle
armature bianche, attraversate da stemmi carmini più
complessi rispetto a quelli del paladino, per massaggiarsi le gambe,
che nonostante non avessero marciato, erano gonfie e stanche.
Il paladino che li guidava si tolse l’elmo pesante. Il volto
anemico era spezzato da purpuree linee sotto gli occhi.
Egli restò immobile, nella sua insonnia, ad osservare con
sguardo arcigno la torre vestita di rovi.
I tre si sedettero dopo aver coperto la terra arida e gelida con alcune
pelli e subito una grossa fiamma rosso carminio dissolse le tenebre
circostanti.
”Voi non vi riposate?”. A pronunciare tale domanda
fu Monkey D. Rufy, un uomo non ancora cavaliere e, pur non
dimostrandolo, figlio del re di Carnation, un regno così
chiamato per gli immensi campi di garofani
Il paladino si voltò scosso dalle calde parole del giovane
principe moro e con sguardo arcigno gli rispose: “Il fisico
di un uomo che vanta il titolo di paladino, a dispetto dei vostri, non
cede al freddo invernale …”.
”… ma la vostra mente si …”.
Chopper, un cavaliere anch’esso, non più uomo da
alcuni anni, conosceva le arti mediche e sapeva dal volto anemico e
dalle marcate linee sotto gli occhi di quel uomo che il riposo era
l’unico rimedio.
”Dovreste dormire almeno qualche ora, anche se non volete
mostralo, siete stanco …”. Insistevano le lusinghe
implicite del principe.
”Fate silenzio …”. Lo sguardo del
paladino lo trafisse, come la lancia in frassino penetra nella carne
del cavaliere impegnato a sfoggiare la sua nobiltà nel
torneo della giostra.
Il principe ricordava
bene il primo incontro con il paladino.
Era sotto la sua spada da due settimane, ma il tempo trascorso non
aveva portato alla benevolenza del suo mentore, probabilmente
perchè lo considerava troppo infantile per ciò
che avrebbe rappresentato una volta guadagnato il titolo di cavaliere.
”Figlio mio …”. Le terse parole di suo
padre gli tornarono in mente.
”Figlio mio, come ben sai, vostro fratello Ace
diverrà re dopo la mia scomparsa, mentre a voi
affiderò alcune terre, ma non siete ancora cavaliere
… è un titolo che purtroppo dovrete acquisire con
imprese che faranno riecheggiare il vostro nome nelle terre
più lontane, per questo dovete partire … ormai
avete raggiunto la maggiore età …”.
”Partire?! Mi auguro che scherziate padre!”.
”Tranquillizzatevi, vi sposterete sotto la spada di un
paladino, il migliore di queste terre … Sir Roronoa,
avanzate pure …”.
Un uomo prigioniero in un’armatura bianca si fece avanti con
portamento fiero e passo veloce.
Il suono del tocco degli schinieri con il duro pavimento scandivano i
suoi passi metallici.
Il fodero in cuoio nero che nascondeva la fredda lama della spada,
scivolava lungo il fianco destro del cavaliere.
I suoi occhi sembravano cicatrizzati su foglie d’edera umida,
le pupille erano cupe, perfettamente rotonde, nelle quali ci si poteva
perdere come in un labirinto, profondo e colmo di nero.
Le labbra sottili come lame.
Il tocco bizzarro dato dall’insolito colore dei capelli,
simile all’iride, e da tre orecchini dorati tintinnanti sul
lobo dell’orecchio sinistro.
Lo seguivano, ma nascondendosi nella sua ombra, altri due cavalieri,
anch’essi rinchiusi nelle corazze metalliche.
Uno di loro aveva una sola caratteristica umana, il camminare sulle
gambe, zampe poichè spostandosi la luce permetteva di
vederne il corpo.
Era simile ad un cucciolo di renna, dall’insolito naso blu
oltremare e lucido.
Le piccole orecchie appuntite sembravano soffici.
L’estremità delle zampe terminavano in zoccoli
neri lucenti biforcati e taglienti.
Due piccole corna avorio emergevano dall’elmo roseo.
Gli occhi enormi e neri, vagamente dalla forma animalesca.
Al fianco destro della renna, camminava intimorito un uomo che
stringeva al petto una balestra a mano.
Lungo il fianco sinistro pendeva la faretra in cuoio scarlatto, colmo
di frecce dall’impennaggio rosso.
I capelli crespi e mori, leggermente serpeggianti.
La carnagione era bronzea e gli occhi di un nero profondo, a piccoli
tratti sfumati di bruno opaco.
La caratteristica più bizzarra del suo aspetto, oltre ad un
portamento troppo sicuro, era il naso smisuratamente lungo.
La bizzarra compagnia si fermò di colpo poco distante dalle
ginocchia del mio fiero padre.
S’inchinarono, ponendo la mano destra chiusa a pugno sul
cuore.
"Andrai con loro, figlio mio …”.
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Achamo &
il suo inutile monologo...
"E' un'epoca che ancora non padroneggio molto bene, comunque ho deciso
di provare a scrivere qualcosa... spero di non aver esagerato... spero
non risulti pacchiano... ho paura di aver descritto troppo...
Ditemi che ne pensate... spero sia stato di vostro gradimento ^^
Grazie a tutti. Ciao!"
PURA FINZIONE SCARLATTA
J.