Il Bacio di Giuda
Quando riaprii
gli occhi, scosso da un terribile
fremito, respirai rumorosamente dalla bocca parando gli occhi al cielo
tinteggiato di nubi dense. Stritolai nella mano il terreno umido dalle
piogge e
annebbiato dal dolore alla ferita strinsi forte i denti serrando la
mascella.
Avidamente mi portai una mano al fianco, trattenendo a me, seppur
invano, il
sangue che colava fra le dita violate pur di abbandonarmi. Si era
mischiato
alla polvere, alla pioggia, alle lacrime, aveva abbeverato la mia sete
di
rancore, punendomi; tralasciai la mia occupazione al cielo per spiare i
mortali.
Se avessi potuto
avrei gridato, avrei pianto, avrei
bestemmiato, ma la voce era virtù dei forti, e io non ero
altro che vittima
della terra che di lì a poco mi avrebbe trascinato fra le
sue radici. Parallela
alla mia vista, non vedevo neanche l’oppido punteggiato del
vende bagnato degli
alberelli spogli, che altro non facevano che proteggermi dal flebile
vento
gelido di quei mesi freddi e taglienti.
Sarei morto,
sgomento a terra, inerme. Prima che il
pallore degli occhi avesse impresso la mia vista di un dolce sogno
ingannatore:
perché altro non poteva essere, che frutto della mia mente
che opinava ad
allontanare il monotono, caldo, cinabro colore che appannava gli occhi.
Riuscii a
genuflettermi esausto, attendendo la
sagoma sviata e poco chiara che stava giungendo ad abbracciarmi con un
ghigno pungente.
L’anima cupa sarebbe venuta ad avvelenarmi con un bacio che
sapeva di morte; mi
avrebbe piantato i suoi artigli nella carne e avrebbe sussurrato nel
orecchio
il mio nome, che si sarebbe cancellato dal esistenza una volta inalato
il mio
sospiro appagato dal sollievo.
Gli occhi
genuini e sottili, dal color di un
lapislazzulo imbevuto di vino, erano allineati perfettamente al viso
ovale e
chiaro. Con tutte le mie forze lanciai un ghigno orgoglioso;
chissà quale volto
avrebbe avuto la morte, se non il mio...
La creatura,
dall’essenza della nebbia, sfiorò il
mio viso gelandomi al suo passaggio, prima che con l’unghia
incavasse l’angolo
della mia bocca dischiusa. Eppure il dolore era lontano, era solo una
mia
immaginazione, mi ripetei. Le palpebre pesavano, e
l’oscurità che provocavano
bruciava le mie iridi sgualcite di sangue secco.
-E’
presto.. – gemetti, le mie braccia ricaddero ai
fianchi appesantite. Il viso della chimera mi squadrò
chinandosi di lato
silenziosa, mentre portava le sue dita affusolate a circondare il mio
collo per
segnarlo del suo passaggio. Assunse una nota di dissenso col capo,
lasciandomi
tacere. La mia cupidigia non solcava neanche il pensiero di
ciò che avesse
creato quel angelo, di ciò che avesse dato consistenza al
suo essere. Immota,
mi sembrava di vetro, o cristallo. Quel cristallo che scheggiato, stava
squarciando la mia gola intingendola di liquido, che percorreva il
busto in
bronzo della mia armatura danneggiata. Avrei voluto scindermi al suo
tocco;
avrei voluto piovesse fuoco su di me, causato da quel tramonto ardente.
-Non
è finita... – un filo di voce scosse ancora la
mia bocca, ma stavolta vidi il mio tormento annuire e sentire gli occhi
aggrediti da lacrime che fedivano come schegge di ferro. Ma ero avvezzo
a certe
battaglie; a quelle fra me e il mio essere; quello che al mio interno
scavava
nel mio petto per uscire e gridare al mondo quanto avesse bisogno di
aiuto. Ma
le sbarre dell’orgoglio e dell’onore, sono
indissolubili. Era una delle cose
che sapevo con certezza. Che atto fedifrago però, che ora
macchiava le mie
gote. Non avevo tenuto fede al mio onore, perché stavo
piangendo, e non potevo
mascherare la mia debolezza con la pioggia, stavolta, manco a me stesso.
-Fammi sentire
la tua voce.. saziami del tuo tocco..
– la gola lanciò sguaiati gemiti, e tedio a
noncuranza, assoluto disinteresse,
tesi la mano a toccare il suo viso immacolato, adescato da tanta
bellezza. La peculiarità
del viso marmoreo mi resero vittima a logori interni, che ebbero
parvenza di singulti
forsennati e insofferenti.
-Ezio..
– chiamò. Serrai gli occhi.
“No!
Non ancora, ti prego!” La sinuosa bocca
si curvò a
sussurrare il mio nome, portando al contempo le mani al mio viso e
riempirsele
delle mie guance umide.
-Ezio..
– ancora.
“Basta...”
Nella mia testa,
la
voce spettrale e terribilmente soave rimbombava fra le pareti dei miei
pensieri. Le pupille mi si dilatarono di sofferenza, al suo richiamo.
-Non temere.. la
morte a te riservata.. – respirai urgente
dalla bocca, inalai l’aria fredda a riempirmi i polmoni.
-Nulla...-
cominciai, sotterrando i suoi sussurri. Ad
ogni suo tocco alla mia carne, scie di veleno seguivano i suoi gesti.
Si calò
su di me; contemplava i dettagli al mio viso succinto di tagli e
cicatrici,
impegnata ad agognare il mio essere portando a sfiorare la mia bocca
con la
sua. La sua lingua sorpassò la mia dentatura, cercando la
mia. Paragonabile fu’,
al sapore ferroso e amarognolo del sangue fresco. Lambì le
mie labbra ancora
col suo tocco, e si ritrasse facendomi deglutire con fatica.
-Partirà
da qui, un morbo silenzioso.. – il suo dito
traforò il punto ove batteva ancora furente il mio cuore,
sentendo il suo alito
scontrarsi sul mio viso.
-E
scorrerà piano, senza fretta, il suo artiglio
letale.. – non fui sicuro di ciò che sentii, la
sua mano scese al mio petto
sentendola come fossi nudo.
-Nulla..
è
reale – la mia voce parve un inudibile fruscio.
Sogghignò ella; l’irrazionale
creatura dei miei pensieri, di quella realtà. Con una mano
avvinghiata al mio
braccio, fermò quasi il mio flusso di sangue che scorreva in
esso, lasciando
che diventasse pallido quasi quando lei.
-Percorrerà
ogni arto, ogni vena, articolazione. Si
insinuerà fra la densità del tuo sangue, e lo
renderà suo. – alzai la mano ad
allontanarla, ma deviò il mio languido tentativo.
-Ti
mancherà la padronanza del resto.. – il mio
braccio, d’un tratto, s’abbandonò
infermo ad affiancare il mio fianco.
-Ti
mancherà il respiro.. – cercai di inalare il suo
odore. Pesantemente, stava allontanandosi. Accennavo a sospiri gravi.
-Ti
mancherà la voglia di combattere, abbandonandoti;
giovane assassino, non puoi far altro che attendere, perché
sei segnato oramai
dal mio stigmate di morte. – la sua mano scese lungo il mio
braccio,
abbandonando il mio viso. La sentii trattenere fra le sue, la mia mano
sinistra
e sfiorare dolcemente la bruciatura alla falange
dell’anulare. Mi sorrise.
-Non puoi
farlo.. – trattenni il respiro che già
stava mancandomi, tossendo pesantemente, chinandomi a trattenermi il
petto.
-..Tutto..
è
lecito – Mi strinse al petto, affettuosa come una
madre dal ventre impuro. Posai
il capo al suo seno, ma impossibile fu sentire il battito del suo cuore. Mancai di un respiro; sentenziai il mio
abbandono sulle ginocchia e ricaddi su quel corpo di ghiaccio che
sorpassai
come dilatatasi d’un tratto, finendo in terra.
Il veleno
solcava il mio corpo richiamando con la
sua immacolata voce il mio nome. E stavo lì, attendendo
ancora per poco però.
Quel bacio di
Giuda, aveva regalato me una pace che
avevo fin ora desiderato, ma che stavo temendo con tutto me stesso,
impaurito
da ciò che avrebbe comportato un giudizio.
Un giudizio su
di me: su ciò che avevo fatto, su ciò
che avevo perso, su ciò.. che ero diventato..
Il vessillo di
Monteriggioni si abbandonava ad un
vento padrone. Lo seguii con gli occhi, fin quando la pioggia,
pesantemente
gravava su quella energia, come veleno. Colpì anche me,
slittava i dettagli
della mia armatura, e del mio profilo impiantato al terreno. Rendeva
tutto suo
ora, quel tormentoso sfogo di un cielo caliginoso.
Ma seppur
cercassi di dissimulare fino all’ultimo,
tenendo alto il mio orgoglio, seppi per certo riconoscere le mie
lacrime alla
pioggia. Ma probabilmente non ero l’unico: anche chi
d’un tratto mi venne
incontro, quell’irriconoscibile sagoma che chiamava a gran
voce il mio nome, in
singulti ovattati nella mia mente, aveva riconosciuto il pungente
abbandono nei
miei occhi. Mi issò con le braccia e mi strinse al suo
petto, crogiolato da
quel tepore chiusi gli occhi..
-Abbracciami.
– sussurrai avvinghiando al mio petto
l’esile braccio imbevuto d’acqua.
-Almeno tu, non
hai lo stesso odore della morte... Rosa...
– Il buio brancolò ai miei pensieri.
Non feci altro che gemere all’acuto dolore. Ma non era poi così male, quel torpore che stava aggredendo pian piano il mio essere.
-Non provare ad abbandonarmi, Ezio, o giuro che ti ammazzo! - aveva minacciato con voce rotta da un flebile singhiozzo. Sentivo tutto affievolirsi, anche quelle labbra che stavano sfiorando con un bacio timido la mia fronte, che sembravano tanto l’antidoto a quel bacio che invece.. mi aveva condannato.
Non potei fare altro che ridacchiare però, prima di abbandonarmi all'incoscienza.
-Voi donne siete... davvero pericolose... - cosa
accadde dopo, lo sa solo Dio...
Fine
Non chiedetemi
cosa, o perché ritorno in scena in sezione con una fanfic
del genere. Non lo so, non ne ho idea. Mi è parso tutto
così chiaro, così fuori
dai limiti che scriverlo è stato un gioco.
Essì,
dopo undici mesi signori e signore, di pausa dal mondo della
scrittura amatoriale mi perdo con una terribile scena di morte, ed
addirittura
un bacio descritto.. con la morte.
Nel frattempo spero sia stata gradita, anche se può far nascere disagio o sorpresa. Mi sento molto su uno stile oscuro ultimamente; magari ritornerò in voga come prima, a scrivere come una forsennata nel completare le mie creazioni mai concluse, o mi richiuderò nuovamente a riccio in un ispirazione che rimane segregata nel mio essere.
Ma
chissà poi, vi potrebbe essere all'orizzonte una piccola
pencentuale che continui anche questa... a voi la decisione!
Lasciatemi
aggiungere per ultimo sulla mia collaborazione con Boss_pride,
e sulla storia che stiamo scrivendo insieme: La verità
scritta nel sangue. Se
vi va correte a dargli un’occhiata! Nel mentre mi perdo io,
in giro un po’ per
la sezione. Mi mancano le mie giornate passate fra una storia e
l’altra, e con
tanti nuovi arrivati, ci sarà sempre di qualcosa di nuovo da
scoprire ^^
Grazie in anticipo a
tutti!!
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F4n§