Questa
storia si ispira al contest indetto da me e quella matta della mia
collega
lilyblack u.u sul forum di EFP (I Edizione contest artistico - Storie, coppie e colori
contest)
L’ho scritta così, assolutamente senza impegno e
non preoccupandomi troppo dell’originalità
e della correzione –quindi scusate eventuali errori di
battitura- dato che io
non ero una concorrente (muahahaah!)
Voglio dedicare questa storia innanzitutto a lilyblack *__* e ne
approfitto per
farle pubblicità ed invitarvi a leggere le sue fantastiche
storie! Ma la dedica
è soprattutto per le sei partecipanti (vogue91, Nike87,
jadina94, _Mary,
Uchiha_chan e Amalia895). Ne approfitto per fare loro i miei
complimenti, sia
per le storie che per la costanza. Ci tengo a spendere due parole anche
per
coloro che si sono dovute ritirare dal contest: non temete che con i
contest
artistici vi tortureremo! >.<
Detto
questo, buona lettura e buone vacanze! *O*
Nick:
MaBra
Titolo: Domani è un altro
giorno.
Coppia assegnata: Fred - Daphne
Pairing: Fred - Daphne
Prompt: Amore sacro e amor profano,
Tiziano
Genere: Introspettivo, sentimentale.
Rating: Giallo
Avvertimenti: One shot, OOC (?)
Trama: Un Fred piuttosto scosso e
nascosto sulla torre di Astronomia si lascia andare ad una serie di
riflessioni
sui valori della sua vita in pieno crollo. Tutto questo per aver
incontrato una
passione a lui sconosciuta ed apparentemente inarrivabile.
NdA: La contrapposizione tra i due
tipi di amore, quello sacro e quello profano, è il perno
centrale della storia.
Quello profano viene continuamente, e non erroneamente, associato
all’idea di
qualcosa di sbagliato, mentre quello sacro a ciò che
è giusto. Ovviamente non
si riduce tutto a questo, anche se io ho ripreso questo punto. Inoltre
non ho
messo il protagonista di fronte alla scelta tra due donne diverse, ma
alla
scelta tra un amore che l’ha sconvolto e i valori che gli
sono stati insegnati.
Ah, in questa storia Daphne è figlia di Mangiamorte.
Domani
è un altro giorno.
Com’è
irrimediabilmente
strana la vita!
Era
questo che si ritrovava a pensare il giovane Fred Weasley in cima alla
torre di
Astronomia tutto impettito nella sua maltrattata divisa rosso gialla.
I suoi occhi nocciola si spostavano rapidamente da un punto
all’altro del
paesaggio offerto da quella particolare posizione del castello.
Sembrava stesse
divorando ogni minimo particolare di quella vista, ma uno sguardo
più attento
avrebbe immediatamente capito che quegli occhi si stavano muovendo per
inerzia
senza prestare neanche la più piccola attenzione a quel
panorama capace di
mozzarti il fiato per la sua estensione. Aveva il potere di inghiottire
l’essenza delle persone e farla diventare un
tutt’uno con l’intero universo.
Fred Weasley nemmeno faceva caso a ciò che si stava
perdendo, anzi, quello stesso
sguardo attento, in breve, avrebbe colto anche il suo nervosismo.
Con i piedi puntati a terra aveva preso a tormentare il proprio labbro
inferiore con i denti così voracemente che l’aroma
metallico del sangue gli
stava inondando il palato. Non trascorreva un minuto in cui quelle
grosse mani,
rovinate dagli allenamenti di Quidditch non andavano a gettare
all’indietro le
ciocche ramate dei suoi capelli, sebbene non gli creassero alcun
fastidio.
Beh, non ci voleva un genio per capire che c’era qualcosa che
tormentava i
pensieri del giovane battitore.
Ad ogni minimo rumore la sua testa scattava all’indietro per
assicurarsi che
nessuno fosse venuto a disturbare la sua attività di
riflessione.
Si sentiva come il più infimo dei ladri, nascosto nel punto
più alto di Hogwarts.
Non che non si fosse già nascosto in passato, ma questa
volta era diverso.
Questa volta non aveva tirato nessun tiro al vecchio Gazza o a quella
massa
informe e spelacchiata che il custode si ostinava a definire
‘gatto’; questa
volta non aveva inserito nessuna pasticca vomitosa nei bicchieri dei
Serpeverde
presenti a cena.
No, questa volta, e per la prima volta, Fred Weasley si nascondeva
perché era
preoccupato. Sapeva che George e Ron avrebbero pagato fior di quattrini
per
vederlo in quello stato e non era per nulla intenzionato a dar loro una
così
succosa soddisfazione.
Mentre la brezza primaverile lo avvolgeva infilandosi impertinente
nelle pieghe
dei calzoni solleticandogli la pelle, il rosso non faceva altro che
ripensare
alla discussione avuta con Harry Potter quello stesso pomeriggio.
‘L’essenza di un vero Grifondoro’ era
l’argomento che non riusciva a togliersi
dalla testa.
Un vero Grifondoro affronta le situazioni a testa alta. Un vero
Grifondoro non
scappa di fronte ai problemi. Un vero Grifondoro non tradisce nessuno.
Alcune delle tante amate regole che avevano guidato la sua intera
esistenza,
adesso gli martellavano ogni punto del cervello e lui non poteva fare a
meno di
chiedersi quando aveva permesso che cominciassero ad andargli strette.
Erano
ore che cercava di respingere quelle immagini tanto limpide e
cristalline che
gli balenavano davanti agli occhi
e che
rappresentavano la risposta a quella domanda petulante. Ma lui sapeva
di non
essere tanto forte da riuscire a rigettarle in eterno. Così,
proprio mentre la
fresca aria pomeridiana lasciava il posto a folate decisamente
più pungenti,
Fred, con un enorme sospiro, si abbandonò allo sfogo dei
propri ricordi.
‘Ehi
Greengrass che c’è?
Ti si è rotta un’unghia?’
Qualche
mese prima Fred e
George avevano deciso di spiare quell’idiota di un capitano
dei Serpeverde,
Marcus Flint, per riuscire a scoprire la loro nuova strategia di gioco.
Ovviamente, il tutto grazie all’aiuto delle loro utilissime
orecchie oblunghe.
I due gemelli avevano deciso di dividersi per portare a termine in
anticipo la
loro operazione.
Così Fred, mentre percorreva furtivamente i corridoi dei
sotterranei, aveva
notato una figura biondo appollaiata col viso tra le ginocchia in una
nicchia,
scossa da singhiozzi che poco si addicevano alla sua persona. Appena il
rosso
aveva capito che si trattava dell’ochetta della banda di
Pansy Parkinson, sul
suo volto si era fatto strada un sorriso beffardo, tipico di chi ha
voglia di
girare il coltello nella piaga. Si divertiva sempre a prendere in giro
quella
smorfiosetta viziata a causa della sua aria snob da principessina
purosangue e
della lampante stupidità che trasudava.
La battutaccia, fuoriuscita dalle labbra del gemello Weasley,
rappresentava un
modo come un altro di trarre divertimento dall’occasione che
gli si era
presentata.
Al suono di quelle parole Daphne Greengrass sollevò il capo
per puntare gli
occhi cerulei diritti in quelli nocciola del ragazzo.
‘Vattene subito!’
Fred non si sorprese quando vide che lo sguardo della Serpeverde era
minaccioso. Ma non lascò perdere. Anzi, prese quelle parole
come un invito a
proseguire.
‘Allora, forse, ti è finita la pozione liscia
capelli?’ chiese con finto tono
innocente in netto contrasto con quell’espressione da
pagliaccio.
‘Cosa vuoi capire tu di problemi femminili, razza di
idiota!’ disse la bionda
mentre si strofinava gli occhi col dorso della mano destra mentre si
rimetteva
in piedi barcollando.
Sentendo le parole velenose della ragazza, gli angoli della bocca di
Fred si
piegarono così tanto verso l’alto da raggiungere
quasi le orecchie. Aveva colto
nel segno. In fondo, non era un segreto che lei moriva dietro a quello
scimmione di Blaise Zabini, mentre lui non se la filava per niente.
‘Invece ho capito tutto, Greengrass. Zabini ti ha dato il
benservito, eh?’ non
aveva pronunciato le parole con cattiveria, lui non era un tipo
cattivo, anche
se non aveva praticamente idea di cosa significasse la parola
‘tatto’. Ma sulla
ragazza quella frase ebbe l’effetto di un pugno in pieno viso.
Daphne aprì la bocca, anche se da essa non uscì
alcun suono, indietreggiò di un
passo e i suoi occhi si riempirono di nuove lacrime pronte a scorrerle
sulle
guance candide da un momento all’altro.
L’istante tanto atteso da Fred si era appena presentato, ma
stranamente non si
sentiva vittorioso come aveva previsto.
A vederla così turbata, scossa dai tremiti, riusciva a
percepirla sua tristezza
e d’improvviso si sentì in colpa. Tremendamente in
colpa. Non si era sentito
così nemmeno quando aveva accusato ingiustamente Ron di aver
scambiato i boxer
di Percy con dei perizoma leopardati.
Mentre il sorriso malandrino spariva a poco a poco, Fred
osservò la ragazza. La
osservò per davvero, come non aveva mai fatto in passato,
cercando di catturare
ogni dettaglio. Fu in quel preciso istante che il gemello pestifero si
accorse
della bellezza della giovane Serpeverde.
La pelle nivea sembrava un fragile involucro di vetro che circondava le
caviglie sottili e gambe affusolate. Fece scorrere gli occhi sui suoi
fianchi
non troppo pronunciati per salire fino al seno e si chiese quando le
fosse
cresciuto, dato che aveva evidentemente perso questo passaggio della
metamorfosi della ragazza. Quando Fred arrivò a scrutarle il
viso rimase di
sasso: era piccolo e ovale, dai lineamenti aggraziati, incorniciato da
vaporosi
boccoli biondi lunghi fino alle spalle; le labbra rosse e carnose, il
nasino
alla francese e… gli occhi. Quegli occhi dello stello colore
del cielo di
maggio lo catturarono per un istante che parve un millennio, durante il
quale
incoronò mentalmente Zabini come il più grande
pezzo di imbecille che esistesse
sulla faccia della terra.
La fierezza che la biondina si ostinava a mostrare lo fece sorride
nuovamente,
ma Daphne interpretò male quella reazione. Girò
sui tacchi pronta ad andar via.
Come mosso da una forza invisibile, Fred le afferrò un
braccio per ritrovarsi a
fissare il volto stupito di lei.
‘Non ne vale la pena: tutti sanno che Zabini è un
omosessuale represso!’
nemmeno lui sapeva perché l’avesse fermata, era
solo certo di sentire il
bisogno di stapparle un sorriso. E ci riuscì.
Daphne lo fissò corrucciata per qualche secondo prima di
lasciarsi andare ad
una risata gioiosa e cristallina. Fred la guardava incantato, quasi
fosse una
sirena ammaliatrice che lo aveva reso schiavo con un canto melodioso.
Quando Daphne smise di ridere, il giovane ebbe uno spasmo nel collo
come se si
fosse appena svegliato da un sogno. Aprì e chiuse le
palpebre più volte per
riacquistare contatto con la realtà.
Attimi interminabili trascorsi a fissarsi privi della
capacità di pensare a
qualcosa di sensanto.
Fu allora che la ragazza fece qualcosa di inaspettato: si
avvicinò talmente
tanto da permettere a Fred di sentire il suo respiro freso e gli
posò un bacio
sulle labbra. Un bacio semplice, dolce, delicato, quasi casto. Quel
gesto
tracciò una linea al di là della quale si trovava
un mondo abitato solo da loro
due e che di casto aveva ben poco.
Era sorpreso da come l’amore che Daphne era capace di vivere
fosse diverso
dalla sua immagine. Sembrava una fragile bambola di porcellana da
custodire con
cura per evitare che si rompesse. Invece, era capace di cose che lui
stesso non
aveva mai nemmeno sognato.
All’inizio era diventata un’ossessione. Saltava gli
allenamenti e dava buca al
fratello solo per trascorrere un misero minuto a baciarla. Daphne
rappresentava
il proibito, rappresentava un mondo dal quale doveva stare alla larga.
E più
ripeteva a se stesso che non doveva pensarla, più la
desiderava. E più la
desiderava, più si sentiva in colpa. Era entrato in un
circolo vizioso dal
quale non riusciva ad uscire in nessuna maniera o, forse, era lui
stesso a non
volerne uscire. Daphne era una droga. Non poteva farne a meno. La sua
assenza
gli causava un dolore fisico all’altezza dellla bocca dello
stomaco. Non c’era
centimetro della sua pelle che non desiderasse toccare, non
c’era angolo del
suo corpo che non desiderasse baciare. Era un vortice di passione,
possesso e
desiderio. Non c’era spazio per la dolcezza. Fare
l’amore con lei non aveva
nulla di dolce. C’era disprezzo e c’era rabbia.
Disprezzo perché ognuno dei due
rappresentava per la l’altro la vergogno del mondo magico: un
traditore del suo
sangue e la figlia di un mangia morte. Rabbia perché
entrambi non accettavano
quella follia, quella situazione mossa da una sublime
irrazionalità che li
portava a volersi a vicenda senza soste, senza rimpianti, senza guerra
e senza
amore.
Parte
della vigliaccheria di Fred Weasley era morta in quel momento. Aveva
ammesso,
almeno a se stesso, per quale motivo stava gettando nel gabinetto quei
tanto
importanti ideali. Ripensava a sua madre, a suo padre, ai suoi
fratelli, ai
suoi amici, a cosa avrebbero detto se avessero saputo, a cosa avrebbero
pensato. Era sicuro che l’opinione di sua madre sarebbe stata
la più doloroso.
Mentre tutti gli altri avrebbero disprezzato il suo comportamento
rivolgendogli
sguardi e parole piene di disgusto, sua madre gli avrebbe preso il viso
tra l
mani e l’avrebbe guardato con occhi pieni di delusione. Gli
avrebbe detto che
non riconosceva più il suo bambino, che lei aveva cresciuto
i suoi figli
lontano da quel mondo di odio e omicidi, che aveva educato i suoi figli
perché
cercassero l’amore. L’amore. Quello vero. Quello
che ti permette di vedere una
donna per quello che rappresenta davvero, quello che ti apre al
rispetto, alla
vita di coppia; quello che quando accarezzi la pelle liscia della tua
amata ti
fa sentire un re che ha imprigionata un angelo tra le proprie braccia;
quello
sincero, puro e incontaminato, in grado di donarti felicità.
Una felicità
insuperabile che ti porti nel cuore per sempre, che non ti abbandona
nemmeno
dopo la vita. Fred pensava a tutto questo e non riusciva proprio a non
sentirsi
un fallito, un codardo e un traditore al tempo stesso.
Il primo perché non era in grado di uscire dal mondo della
perdizione a testa
alta, anzi, abbassava il capo ogni volta e si sottometteva alla sua
illogica
volontà; il secondo perché non affrontava il
problema, ma cercava di aggirarlo
in ogni modo per rimandare il momento in cui avrebbe dovuto fare i
conti con la
sua coscienza; infine, sapeva che stava tradendo tutto e tutti per
quella
sottospecie di relazione che aveva in corso: i suoi ideali da bravo
Grifondoro,
i suoi amici, i suoi fratelli, suo padre e sua madre. Pensare al volto
ricolmo
di amara delusione della madre gli faceva male al petto, una fitta
insistente
accompagnata da una nausea più zelante di quella da cui sono
affette le donne
in gravidanza.
Proprio in quel momento avvertì un cigolio provenire dalla
scale e si voltò di
scatto. La Dea del Peccato era ferma di fronte a lui con le mani
incrociate
dietro la schiena in modo da risaltare il verde e l’argento
della sua
impeccabile divisa e un sorriso che malizioso che le piegava le labbra
rosse.
Daphne Greengrass. Bella come una dea e dello stesso sapore della mela
che il
serpente aveva dato ad Eva. Candida come il Paradiso e travolgente come
l’Inferno più devastante. Non che lui fosse un
santarellino. In fondo, sapeva
di essere un peccatore molto prima di avventurarsi in quella selva di
emozioni
qual era Daphne.
‘Ti ho trovato…’ esordì
lei,avvicinandosi con passo cadenzato senza staccare
gli occhi da quelli di lui. Fred la osservò come ormai era
abituato a fare da
mesi. La divorò senza vergogne partendo dai piedi e
percorrendo tutto il suo
corpo con foga. Improvvisamente tutti i pensieri che avevano afflitto
il suo
tormentato pomeriggio scivolarono fuori dalla sua mente. In meno di un
secondo
sua madre, suo padre, i suoi fratelli, i suoi amici, le regole del
bravo Grifondoro
non esistevano più. Esistevano solo i suoi occhi talmente
chiari da dargli
l’impressione di volare nel più alto dei cieli,
esistevano solo lui, lei e il
loro desiderio, esistevano solo lui, lei e il peccato.
‘Sei bellissima.’ sussurrò quando fu
abbastanza vicina da poterle posare un
bacio sulle labbra. Uno di quei soliti baci che gli facevano rizzare
tutti i
peli del corpo facendogli dimenticare persino il proprio nome.
Il peccato ti si presenta col volto di un
angelo. Quanto aveva ragione sua nonna!
Fred Weasley era un fallito, un codardo e un traditore e, soprattutto,
aveva
smesso di essere un bravo Grifondoro da tempo, me se ne sarebbe
preoccupato un
altro giorno.