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Autore: Leyla Mayfair    26/09/2005    2 recensioni
Il grande maniero di Angel Manhor sorgeva sull’isolotto nel centro della Baia di San Francisco, circondato da un immenso giardino a terrazze che degradava verso l’Oceano. La statua dell’angelo stava sul suo piedistallo imponente e silenziosa, a guardia di quella casa e dei suoi segreti. Tutto era avvolto nell’oscurità e nel silenzio, solo le luci provenienti dall’altra parte della Baia testimoniavano che c’era vita nel mondo. Un mondo ignaro, perennemente in bilico tra luce e oscurità.
Genere: Dark, Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rutenia

Rutenia

 

La casa si trovava in un paesino desolato del nord del paese, completamente tagliato fuori da ogni moderna via di comunicazione. Arrivarono verso il primo pomeriggio, dopo un viaggio allucinante su un autobus che scricchiolava ad ogni sobbalzo della strada. La strada, che si inerpicava su per quella montagna, correva poi di fianco a un profondo burrone, in fondo al quale scorreva un vorticoso ruscello. A confronto, il viaggio sulla bagnarola per il Sud America era stata una passeggiata. E poi lì faceva un freddo tremendo. Hanamichi si strinse nella giacca bordata di pelliccia e sospirò, mandando fuori una nuvoletta di fiato, guardandosi attorno. Il paesaggio era meraviglioso, quasi fiabesco…le cime degli alberi, in lontananza, scomparivano nella nebbia di quell’ora tarda. E il ghiaccio della galaverna ricopriva quasi interamente i rami spogli di quegli alberi…Ghiaccio e freddo…guardò per un attimo la schiena del suo compagno che gli camminava davanti, sembrava il suo ambiente ideale.

Appena l’autobus li aveva scaricati in una deserta piazza centrale del paesino, avevano lasciato i bagagli in custodia alla stazione di posta e si erano subito incamminati verso la casa:

- Non perdiamo tempo – erano state le parole di Rukawa, mentre si inerpicava per il sentiero che l’addetto allo sportello gli aveva indicato, non senza lanciare loro occhiate terrorizzate. Una donna, con un variopinto fazzoletto con le frange a coprirle i capelli bianchi, seduta sulla panca proprio fuori dalla casa, li aveva segnati per tre volte, mormorando un fiume di parole incomprensibili e finché il sentiero non aveva fatto una curva, nascondendo il paesino alla loro vista, era rimasta ferma a guardarli e ad Hanamichi pareva ancora di sentirla mormorare quella che aveva tutta l’aria di essere un preghiera:

- Ohi, Kitsune!! Cosa ha detto la vecchia?

- Ci ha benedetti, prima della nostra morte.

- Oh, Bhè… che...che cosa??? – chiese, balzando al fianco di Kaede e prendendolo per un braccio, quando la seconda parte della frase fu chiara nel suo cervello.

L’altro si divincolò sbuffando:

- E’ gente superstiziosa...crede che non torneremo indietro, dalla casa dei Damphyr.

- Damphyr?

- E’ come la gente chiama i vampiri da queste parti. Pare che quella casa appartenesse a un potente Clan...

- E ora, che fine ha fatto?

- E‘ stato sciolto...- Rukawa gli volse le spalle, riprendendo a camminare – muoviti, Do’hao, vorrei tornare alla locanda entro il tramonto.

- Perché diamine dobbiamo fare quello che vuoi tu? Potevamo andarci domani, no?

- Se volevi aspettarmi alla locanda, eri liberissimo di farlo...Sei tu, che fai sempre quello che dico...

- Baka kitsune...- imprecò Hanamichi, sentendosi arrossire – lasciare sola una stupida volpe come te? Chissà cosa potresti combinare…

- Hn, io so badare a me stesso e mi pare che, quello che combina guai, sia tu...soprattutto con i vasi precolombiani…

Hanamichi si zittì immediatamente, quelle allusioni alle sue distrazioni lo avevano ferito, più di quanto volesse ammettere con sé stesso. Rukawa allora sapeva che era stato lui a distruggere il vaso, e non aveva detto nulla? Perché? Riprese a camminare a testa bassa e con le mani affondate nelle tasche, cercando di concentrarsi su altri pensieri: Leyla aveva accennato loro la possibilità che la fondazione mettesse a disposizione una stanza, in un albergo della zona…Hanamichi ci sperava sul serio, dopo quello che aveva passato in Francia, non gli andava proprio l’idea di spendere il tempo delle indagini con Kaede, chiuso in una casa…Aveva ricordi vaghi delle ultime ore nella casa di Auteil. Rammentava solo con chiarezza la sua discussione con Kaede, in sala musica, poi la notte passata a crogiolarsi in dubbi e domande prive di risposta, che ancora lo tormentavano, a dire la verità. E poi la mattina seguente, quando…aggrottò la fronte, mentre cercava di rammentare qualcosa di più di quello che aveva letto nei rapporti di Anne e Leyla sulla vicenda…ricordi suoi, sensazioni…nulla. Aveva percezioni confuse, fino a quando non si era risvegliato nella sua camera di Angel Manhor e aveva trovato la Kitsune seduta in poltrona, che guardava silenziosamente la baia fuori dalla finestra…Erano passati quasi sei mesi da allora, ma nulla era cambiato nel suo rapporto con Kaede. Rapporto? Era un rapporto il loro? Ne dubitava...Sempre in giro per il mondo, a catalogare o a studiare strani fenomeni che venivano riferiti dagli informatori della Fondazione, non è che lui ne sapesse poi molto, a dire la verità. Si limitava a seguire Kaede e a fare ciò che gli veniva detto di fare, ma tutto si fermava lì. Aveva provato -qualche volta- a portare il suo rapporto con la Kitsune su un piano diverso, magari coinvolgendolo in qualche uscita con il suo amico Yohei, e tutte le volte la conversazione assumeva gli stessi toni:

- Ohi, kitsune, che fai stasera?

- Hn, nulla...

- Perché non vieni con Yohei e me? Potremmo andare al cinema e poi magari a fare un giro al porto.. ci sono dei localini niente male!

- No..

Oltre non si riusciva ad andare. Perché Kaede troncava sul nascere qualsiasi sua protesta, lasciandolo lì a guardare –sconsolato- la sua schiena che si allontanava. Sembrava che avesse eretto un muro tra sé e il mondo. Però lui era sicuro che fosse più per proteggersi, che per vera indifferenza, c’era qualcosa, in lui, che gli faceva pensare al fatto che indossasse una maschera. Non ricordava nulla di sé, non aveva vita, ricordi, passato a cui attingere. Doveva essere terribilmente difficile, per lui, andare avanti...Chissà, magari da qualche parte c’era qualcuno che lo piangeva morto...Chissà com’era Kaede, prima dell’incidente? Qual era la sua vita?. Era allegro e spensierato, magari. Forse sapeva anche ridere…Il pensiero di Kaede che rideva, chissà perché, gli tolse per un attimo il fiato. Non lo aveva mai sentito ridere, né l’aveva mai visto sorridere, a dire la verità. Ripensò, per un istante, con una fitta di qualcosa di molto simile alla gelosia, che lui era andato a San Francisco a giocare con Akira Sendoh...Forse, la Kitsune avrebbe preferito lavorare con il porcospino affetto da paresi, piuttosto che con lui...

 

Una figura, alta e sottile, fasciata in un pesante mantello bordato di pelli di lupo, osservava i due giovani che attraversavano il bosco arrancando verso la casa…

Un cappuccio celava interamente il suo volto, di cui si potevano distinguere gli stretti occhi azzurri con una luce sinistra…

Un corvo venne ad appollaiarsi sulla sua spalla:

- Pare che abbiamo visite…interessante, molto interessante, il nostro piano ha dunque avuto successo. Vediamo cosa possiamo scoprire..

Scrutò attentamente i due nuovi venuti.

 

Quello che camminava davanti, con i cappelli scuri, pareva il più interessante, con quella carnagione pallida, le dita lunghe e sottili, sembrava il più tranquillo e controllato dei due, cercò di sondare la sua mente, ma una potente barriera respinse il suo tentativo,. I imprecando tra sé, si accostò maggiormente all’albero velando la sua presenza, mentre quello si girava puntando due occhi blu, freddi e sottili, nella sua direzione, diede una scrollata di spalle e il corvo si alzò in volo gracchiando, uscendo dall’ombra, volando sopra le teste dei due giovani. Kaede alzò il capo di scatto, seguendo il volo del corvo e poi, quando questo fu scomparso alla sua vista, puntò il suo sguardo dal punto in cui era apparso...ma non c’era nulla, dietro quell’albero coperto di neve e ghiaccio, come tutti quelli attorno a loro:

- Che c’è, Kitsune?…

- Hn, nulla.. mi era parso…

 

- Dannazione!! Mi ha quasi scoperto. E’ molto potente...Vediamo l’altro,

mi pare più...- interruppe i suoi pensieri, mentre un sorriso gli piegava le labbra sottili-

Che insperata fortuna...avrei dovuto intuirlo. Bene…

Siamo stati fortunati. Molto fortunati!

La figura accanto all’albero concentrò la sua attenzione su quello con i capelli rossi, che era rimasto fermo a guardare l’altro allontanarsi, con una strana espressione negli occhi.

Piegando le labbra in un sorriso che mise in mostra i lunghi e affilati canini, il vampiro riuscì a penetrare senza sforzo nella sua mente, leggendo i sentimenti che si agitavano confusi verso chi camminava davanti a lui...

 

Hanamichi guardò di sfuggita Kaede, mentre si allontanava…era preoccupato, lo vedeva il sopraciglio sollevato, lo sguardo attento, c’era qualcosa che lo tormentava…eppure, anche in quel frangente, non poteva fare a meno di trovarlo affascinante…sospirò rassegnato. Aveva da tempo accettato che –forse- quello che sentiva per Kaede non era propriamente odio o indifferenza, e che andava al di là del piano fisico, certo, ma non aveva ancora avuto il coraggio di cercare di dare un nome, a ciò che si agitava in fondo al suo cuore…A volte, si svegliava da un sogno in cui, lui e la Kitsune, si lasciavano andare alla passione…Era un sogno strano…ricorrente e sempre uguale, che lo tormentava da quando erano tornati dalla Francia, si chiese se forse non avesse avuto ragione Kaede, nel dire che era stata tutta una suggestione…e quindi, forse, anche i sentimenti che provava per la volpaccia erano frutto di una suggestione...Da un po’ non capiva più molto, era confuso, avrebbe forse potuto parlarne con qualcuno...ma chi? Leyla? Era sempre gentile disponibile, molto dolce anche, ma non aveva la confidenza necessaria per entrare nel suo ufficio e dirle che si sentiva lievemente turbato dalla vicinanza della Kitsune...Anne, allora? Un moto di terrore lo avvolse, dire quelle cose ad Anne, pur con la confidenza che c’era tra loro, equivaleva ad essere vittima di battute per il resto della sua vita. Il diretto interessato? Sì, come no?! Ci si vedeva: andare da lui e dirgli “Ohi, Kitsune, verifichiamo se ciò che sento per te è solo suggestione o cos’altro.” Faticava anche lui a trovare un termine…Ci teneva alla vita, lui...E poi Kaede aveva già espresso la sua opinione su quella situazione. Lui era convinto che, ciò che era successo ad Auteuil, non fosse in alcun modo ricollegabile a loro. Dopo quella discussione nella sala musica, non erano più tornati sull’argomento e lui, nonostante i suoi dubbi e le notti in cui si era svegliato dopo quel sogno piuttosto movimentato con Kaede, si era guardato bene dal cercare di affrontarlo nuovamente.

Lo guardò camminare davanti a lui in silenzio, come sempre, avanzando nella neve che arrivava loro ai polpacci. A volte si chiedeva cosa passava dietro quella maschera impassibile e fredda, aveva dei dubbi, delle domande, delle paure? Era sempre così maledettamente sicuro di tutto su tutto…Mai un errore, mai un’esitazione…Una conoscenza perfetta di molte lingue, e una capacità di apprendimento davvero notevole. Assorbiva tutto come una spugna, lo aveva visto più di una volta dare una scorsa veloce a un documento, ed essere in grado di farne un rapido riassunto, con i punti salienti…E poi, il suo fascino angelico attirava le donne come le mosche…Più di una volta, mentre camminavano per le vie delle città in cui si trovavano in missione, aveva visto gli sguardi che le donne, e non solo, gli lanciavano…Era geloso? Sì, decisamente, ma non era invidia, la sua. Ammettere, con sé stesso, che la sua gelosia non era per il fatto che lui avesse successo con le donne o per tutte quelle sue straordinarie qualità, era stato un passo breve, e accettarlo, ancora più semplice…ma convivere con la consapevolezza che lui era geloso di Kaede, in quanto provava dei sentimenti, era tutta un'altra cosa. Sentimenti…che parola grossa!, non sapeva a cosa ricondurre quello che c’era tra lui e Kaede, Anne più volte gli aveva lanciato allusioni, neppure poi così velate, sulla natura del suo interessamento per Kaede, ma lui aveva negato tutto, negato fino all’evidenza davanti agli altri, arrivando a proclamare il suo odio per la Kitsune in una maniera talmente plateale che, a volte, si domandava se nessuno si accorgeva che stava recitando...ma poi, con sé stesso, era tutta un'altra faccenda. Ammettere che provava una qualche forma di sentimenti verso la volpe artica non era stato per nulla facile, e lui era certo che non fosse per via di quello che era successo ad Auteuil, forse neppure ci avrebbe mai pensato o forse no?…In fondo, un certo turbamento Kaede glielo aveva sempre provocato, ed era qualcosa di indefinito che però saliva piano piano, come la marea. Dapprima aveva pensato che fosse la sua aria di insofferenza e sufficienza, quel modo di ignorarlo e di trattarlo con poca considerazione, ma poi tutto ciò era stato dipanato, la nebbia si era dissolta rivelando un intricato ginepraio di sentimenti profondi e radicati, per colui che declamava di odiare. Sapeva benissimo che Kaede era infastidito dal dover lavorare con lui, non faceva certo mistero che si era piegato ad un ordine superiore. Aveva sempre lavorato da solo o con Leyla, qualche volta, e ora si trovava a lavorare con lui. E la cosa non lo entusiasmava di certo. Lo vedeva dalla sua freddezza, dal suo modo di rivolgergli quelle poche parole che le circostanze richiedevano, e a volte neppure quelle, limitandosi a fargli telegrafici segni per comunicargli cosa si aspettava che facesse…Figuriamoci se poteva provare dei sentimenti per lui!…

 

- Interessante, davvero interessante…Un po’ contorto magari, ma sicuramente divertente…- disse tra sé il vampiro, terminando la lettura della mente di Hanamichi.

Con un gesto della mano, richiamò il corvo e, avvoltosi maggiormente nel mantello, scomparve in un turbinio di neve.

Passando di fianco all’uomo con i capelli rossi come il fuoco.

 

Hanamichi era rimasto fermo, ad osservare la schiena di Kaede, sentì un brivido lungo la schiena quando una folata di vento gelido si insinuò nel suo collo, si volse alle sue spalle ma non c’era nulla oltre alla distesa di neve che recava le loro impronte. Eccezion fatta per un corvo che volteggiava sopra di loro.

- Do’hao, ti muovi?

La voce di Kaede lo riscosse e, dopo essersi stretto nella pesante giacca foderata di pelliccia, allungò il passo per quanto l’altezza della neve glielo consentisse.

Kaede aveva evitato di girarsi nella direzione di Hanamichi, per tutto il tempo del tragitto verso la casa sulla collina. Lo sentiva quello sguardo su di sé, pieno di domande e dubbi, sentimenti confusi e inespressi e paura, tanta paura. Aveva i guanti alle mani, era vero, ma li percepiva lo stesso, forse perché erano l’eco dei suoi stessi sentimenti, delle sue stesse paure e dubbi…Auteuil non aveva fatto altro che accentuare quella che poteva definirsi ‘la brace sotto la cenere’. C’era già qualcosa in partenza, certo, sin dall’inizio, da quella prima volta che lo aveva incontrato, una sorta di senso di predestinazione…Lo ricordava perfettamente: un gigante dinoccolato, con quella massa scompigliata di capelli rossi, ai piedi del grande scalone di Angel’s Manhor…Si era rivelato tutto il contrario di lui, pieno di vita, di entusiasmo capace di far più rumore di un branco di scimmie…anche lui avrebbe voluto essere così, vitale, coinvolto da tutto ciò che lo circondava, ma in fondo tutta la sua vita era un muro bianco prima dei tre anni precedenti, non aveva ricordi e solo incubi confusi popolavano le sue notti. Come poteva gettarsi a capofitto nella vita?...Gli incubi.. era un po’ che non gli capitavano, ma ultimamente avevano cominciato a tornare, popolando le sue notti una dopo l’altra. Eppure aveva la sensazione che non riguardassero solo lui, ma qualcun altro, un avvertimento, una sorta di ammonizione per un pericolo incombente…Avrebbe dovuto parlarne con Leyla, ma non se l’era sentita, e poi, per dirle cosa? Non ricordava mai nulla, al suo risveglio, solo angoscia e senso di un pericolo imminente, qualcosa che era in grado di paralizzarlo, visto che non riusciva a contrastarlo. C’era da dire che erano diversi dai vecchi incubi, ma anche questo non aveva cambiato la sua determinazione a non informare Leyla. Era stufo delle sedute di ipnosi regressiva che lo lasciavano stremato, come se avesse combattuto con chissà cosa. Era stufo di essere trattato come una cavia da laboratorio, per via del suo potere straordinario. C’era da dire che Leyla non l’aveva mai fatto sentire così, però lui cominciava a diventare insofferente a tutti quei test, quelle domande, sempre le stesse, poi. Si fermò un attimo, passandosi una mano sugli occhi come a scacciare tutto quello, chiedendosi ancora una volta perché lui...Perché era toccato a lui, risvegliarsi privo di memoria su una spiaggia? Che disegno c’era, in tutto questo? E poi, c’era un disegno? Lui aveva sempre pensato che quella situazione fosse frutto di qualcuno che controllava la sua vita e che possedeva un discutibile senso dell’umorismo. Leyla diceva che doveva essere grato di quel dono. Dono? Quella era una maledizione bella e buona, ecco cosa era!, e lui ne avrebbe fatto volentieri a meno. Sapeva che, anche per Leyla, non era una cosa facile convivere con quel potere, in più lei aveva dei ricordi una vita passata e un dolore grande, che aveva scavato una profonda lacerazione nel suo cuore. Sapeva tutto questo perché l’aveva percepito e sapeva che riguardava l’uomo ritratto nella foto incorniciata sulla scrivania di Leyla, ma non aveva mai fatto domande. E anche quando lei gli aveva permesso di sfiorarla, sei mesi prima, dopo le vicende di Auteuil, per fargli comprendere qualcosa sulla reincarnazione, non aveva cercato di forzare le cose…C’era una ferita che sanguinava ancora: e che pareva non volersi rimarginare mai. Cosa aveva detto in quell’occasione?

 

“Imparerai che, molte volte...basta possedere un cuore, per provare dei sentimenti e soffrire.”

Soffrire...ecco! Non voleva provare quel dolore lancinante e profondo...C’era una cosa che lo stupiva, tutte le volte che percepiva la sofferenza di qualcun altro...Aveva sempre pensato che il dolore fosse una sorta di sensazione fisica, come quando viene strappato un lembo di pelle o ci si ferisce materialmente con qualcosa. E invece nessun dolore, ma solo quella sensazione di vuoto, quel buco nero profondo e freddo che occupava il cuore e l’animo di chi lo provava.

Se qualcosa di positivo avrebbe dovuto trovare nel suo modo di essere, allora, che fosse questa assoluta incapacità di provare sentimenti. Chiudere il cuore ad ogni stimolo o sensazione, ignorare ogni cosa, lasciare che tutto fosse lasciato scivolar via, come su una corazza impermeabile, senza tentare di trattenere nulla...

Hanamichi era rimasto stupito del suo accenno all’incidente del vaso precolombiano. Credeva davvero che si fosse bevuto la panzana di Anne (ohi Ciccio...moderiamo i termini! >_< ndA) sul fatto che mancava un vaso? Le aveva controllate lui stesso le casse, quando erano arrivate e il vaso c’era…Per cui, qualcosa Hanamichi doveva avere combinato, dal momento che era a lui che era stato affidato il compito di imballare le casse per la spedizione a Mosca. Sapeva anche Hana si stava chiedendo perché non aveva detto nulla…e, a dire la verità, non lo sapeva neppure lui, perché lo aveva fatto. Un po’ forse perché gli era dispiaciuto scorgere lo sguardo di delusione nei suoi occhi, quando lo aveva visto rientrare a Angel’s Manhor con Akira Sendoh...Era andato in città perché doveva fare un paio di commissioni per Leyla, e quello si era offerto di accompagnarlo e poi aveva insistito per fermarsi in quel campetto a giocare a basket, così, tanto per passare un po’ il tempo mentre aspettavano la consegna dei documenti dalla biblioteca...Non era sua abitudine giustificarsi, né con Hanamichi né con nessun altro, ma lo aveva visto ferito in quell’occasione, e la cosa lo aveva colpito. Non aveva detto niente, è vero, nessuna sparata madornale, nessun insulto. Era solo uscito dalla biblioteca seguendo Anne, per scendere nei sotterranei, solo gli aveva lanciato quello sguardo deluso, ferito, appena da sopra la spalla, mentre usciva. Ricordava perfettamente quel senso di frustrante dolore. Sofferenza. Per avergli fatto del male...che diamine! Lui non riusciva a capire come diavolo facesse a tirargli fuori sentimenti e sensazione che mai aveva provato, solo con uno sguardo o una smorfia. Non poteva essere diventato così importante...Importante? Niente o nessuno era mai stato così importante, per lui, da quello che ricordava...Eppure la cosa era evidente ed inequivocabile, davanti ai suoi occhi.

Finalmente, si parò di fronte a loro l’imponente figura della casa. Era quasi un castello: il cancello arrugginito, spalancato per il loro ingresso. Il giardino, malcurato, si svolgeva lungo i lati di una imponente collina, alla sommità della quale sorgeva la casa. Già da quella distanza, si poteva intuire quanto fatiscenti fossero le condizioni di quelle mura… il tetto era praticamente inesistente, grossi buchi facevano la loro apparizione su quasi tutta la sua superficie, quindi c’era da supporre che i muri e i soffitti fossero marci.

Gli alberi spogli creavano una cornice irreale attorno alla casa, coi loro rami che si intrecciavano lungo le pareti e davanti alle finestre. La neve che ricopriva il tutto pareva attenuare un po’ quell’atmosfera ma, nonostante questo, tutt’intorno c’era un aria inquietante.

- Meno male, che non dovremo dormire là dentro!! – borbottò Hanamichi, raggiungendo Kaede, fermo davanti al cancello arrugginito e pendente su uno solo dei cardini.

- Hn...hai visto la locanda?

Hanamichi lo guardò scotendo la testa, trovava irresistibile la visione di Kaede con le guance arrossate e la nuvoletta di fiato a velare il suo sguardo e non era sicuro della fermezza della sua voce, in un momento come quello:

- Era la prima casa sulla sinistra...

- cheee… quella bettola fatiscente????

- Che ti aspettavi?

Borbottando contro Leyla (^^’’’ Etchium! ndL), Hanamichi si fece strada verso il portone massiccio, lasciandosi indietro Kaede, che sollevò il viso verso il cielo. Piccoli fiocchi candidi cominciarono a cadere lievi e si posarono sui suoi capelli scuri, mentre restava lì in silenzio, era strano per tutto il tragitto si era sentito osservato ed era sicuro di aver percepito un tentativo di intrusione… eppure non percepiva nessuno attorno a loro, questo non voleva dire però che  l’altro non fosse abbastanza potente da schermarsi anche a lui…Dovevano stare attenti…Quel posto era sinistro e poco, sicuro, non gli piaceva l’atmosfera che si percepiva lì attorno. Da quello che aveva letto sul dossier e che gli aveva detto Leyla, si era fatto un’idea ben precisa di quello che doveva aspettarsi, ma quella concentrazione di odio era così profonda e radicata da essere quasi palpabile. Si volse a guardarsi in giro, la neve che cadeva stava ricoprendo ogni cosa con un manto morbido e candido, che contrastava con l’aria che aleggiava in quei luoghi.

- Speriamo di non trovare altre anime inquiete. – borbottò tra sé Hanamichi, e un brivido di paura lo percorse, mentre spingeva il portone per entrare, ricordando cosa era successo l’ultima volta che era entrato in una casa simile...

Si girò per richiamare Rukawa e rimase con la voce spezzata in gola al vederlo laggiù, in fondo alla breve scalinata, con il viso rivolto alla neve che cadeva e si posava candida sui suoi capelli, creando un contrasto quasi abbagliante, dovette deglutire un paio di volte prima di ritrovare la voce:

- Ohi, Kitsune, ti vuoi ibernare sul serio?

Kaede si riscosse dalle sue considerazioni e si volse a guardarlo, fermo sul portico di quel castello, sbatté gli occhi…un’ombra passò attorno a lui, avvolgendolo…pareva un manto di oscurità pronto a ghermirlo. Come l’avverarsi di questo pensiero, vide Hanamichi voltarsi verso la porta dandogli le spalle e a lui parve che venisse letteralmente inghiottito.

Spalancò gli occhi, mentre la voce gli moriva sulle labbra nel tentativo di chiamarlo. Chiuse gli occhi e li riaprì un paio di volte e scosse la testa, ma Hanamichi era ancora lì fermo sotto il portico, che lo guardava perplesso, la testa leggermente reclinata da un lato, una ciocca di capelli rossi ad accarezzargli la fronte:

- Kitsune, allora?

- Hn.

 

L’alta figura era rimasta discosta, celata nel suo mantello con il cappuccio, il corvo continuava  a volteggiare sopra la sua testa.

Sollevò una mano facendo ricadere il cappuccio sulle spalle, rivelando un viso spigoloso e magro, in cui due freddi occhi azzurri brillavano di malvagia aspettativa.

I lunghi capelli grigi scendevano sulle spalle, formando un manto che si confondeva con la pelliccia del lupo che bordava il cappuccio.

- Occorre prepararsi.

Dobbiamo accogliere il nostro ospite di riguardo.

 

Il portone si chiuse cigolando sotto la spinta di Hanamichi, che subito si scrollò di dosso la neve, mentre seguiva Rukawa nell’ampio ingresso, guardandosi intorno con curiosità:

- questa casa doveva essere stupenda...un tempo...

- muoviamoci, prima che cali il buio.

Hanamichi seguì Kaede, cercando di reprimere il brivido di paura che gli era sceso sulla schiena, al pensiero di quello che era successo in quella casa. In effetti, sapevano molto poco di quanto accaduto lì. Durante il volo in aereo, mentre immancabilmente Rukawa era scivolato nel sonno, Hanamichi aveva dato una scorsa al dossier che Leyla aveva fornito loro. A quanto pareva, le vittime erano ormai una dozzina, sparse in quasi tutti i paesi, e quella casa era l’ultima dove si era verificato l’evento.

Secondo le indagini che la Fondazione aveva svolto negli altri casi, tutte le vittime erano morte per una abbondante perdita di sangue e tutte presentavano due forellini alla base della carotide. Vampiri. Chissà poi perché Leyla si era fatta affidare quella indagine. Per un momento accarezzò l’idea di chiederlo a Rukawa, lui aveva parlato per più di mezz’ora chiuso nell’ufficio di Leyla, dopo che lo aveva mandato fuori, ma qualcosa gli diceva che la volpaccia non avrebbe risposto alle sue domande, come sempre, del resto.

Entrarono in un salone non molto vasto e, dopo aver lanciato uno sguardo veloce attorno a sé, Hanamichi riconobbe con un brivido la stanza riprodotta dalle immagini che erano nel dossier...Kaede posò lo zaino sul tavolo di legno posto accanto alla finestra, e tirò fuori la cartellina gialla e la macchina fotografica digitale, oltre che il computer portatile.

- Ehi, Kitsune…- arrischiò ad attirare l’attenzione dell’altro.

- Hn.

-…cosa credi ci sia dietro tutto questo?

- Vampiri.

Hanamichi sbuffò spazientito, mentre l’altro sparpagliava le foto sul tavolo, cercando di dare loro la disposizione della stanza:

- Sì, certo, bhè, questo lo avevo intuito anche io, ma il perché di tutto questo…- indicò le foto sparse sul tavolo di legno davanti a loro che ritraevano la scena:

- Sembra un rituale o qualcosa del genere.

Hanamichi si passò una mano tra i capelli:

- effettivamente, in tutti gli altri casi, i cadaveri sono posti allo stesso modo…- esitò qualche istante, era da un po’ che quella domanda gli si agitava nella testa, ma temeva a formularla -… tu credi che Anne c’entri qualcosa? Insomma, voglio dire – si affrettò ad aggiungere, vedendo il sopraciglio di Kaede sollevarsi -…sembrava alterata, quando ha visto le foto...E poi, il comportamento di Leyla…

- No, non credo. – disse Kaede, continuando ad esaminare le foto.

- E allora?

- Non ne ho idea. – sollevò la testa dalle polaroid che stava osservando e, puntando il suo sguardo su un punto oltre le spalle di Hanamichi, dicendo semplicemente – Là...

- eh?

- Là, erano posizionati i cadaveri delle vittime...

Hanamichi si volse con la sensazione che li avrebbe visti tutti in fila uno accanto all’altro, anche se sapeva che i corpi erano nell’obitorio della Casa di Praga. Kaede lo superò, muovendosi leggero e silenzioso, cominciando a togliersi i guanti:

- vai a fare un giro esplorativo del piano di sopra – gli disse, senza voltarsi nella sua direzione – non ho bisogno di te, qui...

Guardò per alcuni istanti la schiena di Kaede che stava sfiorando le pietre del pavimento dove erano stati adagiati i cadaveri, poi uscì, senza dire nulla. Si infilò le mani in tasca, sospirando piano. Insomma, non riusciva a capire come doveva comportarsi con lui. Erano colleghi, no? Avrebbero dovuto collaborare, darsi una mano, e invece Rukawa lo teneva all’oscuro di tutto, preferendo fare sempre tutto da solo. Sì, bhè, non era solito essere un tipo loquace, certo, era già tanto se diceva cinque parole in una frase, senza rischiare una paresi delle corde vocali. Però, insomma.. che diamine!! Se lavoravano assieme, avrebbero dovuto comunicare! Era questo che ci si aspettava, quando si faceva parte di una squadra? E invece lui pareva ostinarsi a volere fare sempre tutto da solo.

“Devi fidarti di lui.”  aveva detto Anne, una volta, quando lui aveva provato ad esporle i suoi dubbi riguardo al modo di lavorare di Kaede “di solito, lui non interagisce con nessuno.” Perché con lui interagiva? Era anche vero che sopportava la sua vicinanza e le sue chiacchiere e qualche volta gli era parso di scorgere un lampo di attenzione in quegli occhi blu, che erano diventati la sua ossessione.

Cercò di concentrarsi su quell’esplorazione, scacciando dalla sua testa l’immagine di quella dannata volpe siberiana…Anche se avrebbe voluto correre indietro, sbatterlo al muro e dirgli tutto quello che pensava di lui…Già, cosa pensava di lui? Scosse la testa, meglio non indagare oltre, su questo punto, era un terreno decisamente pericoloso.

Il castello aveva un che di inquietante, si disse Hanamichi, mentre girava per quelle stanze, ogni cosa era coperta di ghiaccio, per via della neve che era entrata dai numerosi crolli del tetto…La cosa strana, poi, era quella sensazione che ci fossero due occhi che lo seguissero, era una sorta di carezza mentale, come un mormorio indistinto.

Si guardò in giro, nulla pareva essere fuori posto in quella casa, era -con ogni evidenza- disabitata da tempo, e allora perché quelle persone si erano radunate proprio lì? Cosa era successo? Attaccate dai vampiri? Perché poi? E se ne erano andati? O si aggiravano ancora in quei dintorni? L’idea di lasciare Kaede da solo, al piano di sotto, non lo entusiasmava, come il fatto di dover girare da solo in quelle stanze...

non ho bisogno di te.”

Quella frase gli vorticava in testa, da quando l’aveva lasciato. Era una frase banale, che però assumeva contorni davvero poco piacevoli. Oh, certo, lo sapeva che per lui non rappresentava certo il massimo della compagnia e nemmeno il centro dei suoi pensieri, sapeva anche che non l’aveva detto con l’intenzione di ribadire una cosa assoluta, solo una semplice constatazione di fatto. Quando Kaede liberava i suoi poteri empatici, non aveva bisogno di nessuno attorno, per non rischiare di veder falsate le sue percezioni. Però sentirselo dire con quel tono freddo, noncurante...

A volte, avrebbe voluto che lui e Kaede andassero d’accordo. La cosa in sé aveva del ridicolo, se ci pensava bene. Erano completamente diversi…Kaede non sopportava il suo essere impulsivo, il fatto che fosse incapace di fermarsi a riflettere fidandosi dell’intuito, più di ogni altra cosa, ma che male c’era? Lui era fatto così, non sarebbe mai riuscito a fermarsi e ragionare sulle cose: agiva e basta, molte volte partendo in quarta, era vero, e andando quasi a sbattere, però Leyla una volta aveva detto che questa impulsività poteva essere anche considerata una qualità. Era anche vero che Kaede aveva sbuffato, di fronte a questa constatazione, che altro non era che un riconoscimento del suo Genio, no?…Lui, d’altro canto, non capiva bene neppure la freddezza di Kaede, questo mettersi continuamente al di fuori di tutto e di tutti, cercando di non farsi toccare da nulla…o forse sì, forse riusciva a comprenderlo o almeno così credeva, perché con Kaede non c’era nulla di assoluto e certo: era il fatto di non sapere nulla di sé, del proprio passato, a spingerlo a questo comportamento…Molte volte si era trovato a considerare che, in fondo, lo invidiava. Anche Hanamichi avrebbe voluto dimenticare, cancellare ogni cosa, una voglia di non provare più dolore, di non farsi travolgere dal passato, dalla morte di sua madre e da quella del patrigno. Era arrivata in ospedale troppo tardi: emorragia interna, avevano sentenziato i medici...quel bastardo le aveva spappolato la milza a suon di calci...Mentre lo aspettava seduto al tavolo della cucina, ancora ignaro delle condizioni in cui versava sua madre, aveva pensato più volte che lo avrebbe ucciso. Lo avrebbe ucciso, con le sue mani…non era più un bambino solo, spaventato e in lacrime, non gli avrebbe più concesso quel potere su di lui…Dopo, quando era tutto finito e lui si era ritrovato solo al mondo, a salvarlo era stato proprio il suo carattere aperto, solare. Non si era chiuso in un silenzio, gli piaceva stare con gli altri, i suoi amici, Yohei e gli altri, gente che lo conosceva da sempre e che lo faceva sentire al sicuro e protetto...certo, ora che lavorava per la Luna Foundation poteva vederli poco, ma quando aveva un momento libero, correva in città a cercare quella banda di smidollati…ma la Luna Foundation era ormai diventata parte di lui. Lavorare lì in mezzo a  loro era qualcosa che lo gratificava, certo, ne aveva viste di cosa strane in quei pochi mesi, però era stupefacente come Leyla e Anne riuscissero a farlo sentire a casa, a suo agio.La vita non era sta facile per lui, tutt’altro, aveva sempre dovuto lottare. Non c’era stato nulla che non avesse dovuto raggiungere sputando sangue, e a suon di lotte con le unghie e con i denti. E più cercava di avanzare, più le cadute erano rovinose e dolorose. Ricordava come anche all’università (dove era riuscito ad entrare per una borsa di studio concessa da un anonimo benefattore) le cose fossero state tutt’altro che facili. Non c’era stato mai nulla di semplice, nella vita di Hanamichi Sakuragi…La Luna Foundation era stata la sua oasi di felicità, sin dal primo giorno in cui c’era entrato…e Kaede faceva parte di tutto quello, che lui lo volesse, o no. Anche con i suoi insulti, anche con la sua indifferenza, anche se lui continuava a proclamare di odiarlo, la presenza di Kaede aveva assunto una importanza notevole nella sua esistenza, poteva dire che ne era diventato il centro, e la cosa cominciava  a spaventarlo non poco, per le implicazioni che portava con sé.

Girò nel corridoio, quella era un’ ala del castello che pareva essere stata risparmiata dai crolli. C’era un lungo corridoio con le pareti in pietra nuda e alcune porte che vi si affacciavano…Aprì quella più vicina a lui, spinto da un impulso strano.

La stanza era ampia e fredda, considerò guardandosi intorno, mentre il fiato si condensava davanti al viso. Una parte del tetto era crollata, distruggendo completamente un angolo del castello. Dal crollo, era entrata molta neve e anche adesso, che nevicava, piccoli fiocchi entravano portati dalle folate di vento. Un massiccio caminetto di pietra occupava la parete di fronte a lui, e ai due lati c’erano due alte e strette finestre. Oltre i vetri opachi e sporchi, si poteva scorgere la landa innevata che circondava quei luoghi. Il silenzio era avvolgente e pesante, nessuno rumore o voce giungeva da fuori…pareva di essere in mezzo al nulla. Si avvicinò alla finestra, guardando quella bianca distesa attorno alla casa. Il villaggio non si vedeva, restava dietro la curva della collina. Ripensò alla vecchia con lo scialle frangiato, fuori dalla stazione di posta...Li aveva benedetti, perché convinta che andassero incontro alla morte. Un brivido gli cose lungo la schiena.

 

Un vortice di neve sibilò silenzioso nell’angolo della stanza, dove il tetto era crollato. Ricomponendosi piano, in una figura avvolta in un mantello nero bordato di pelliccia, le braccia incrociate al petto e il capo coperto dal cappuccio.

 Mosse lievemente una mano, mentre un sorriso si dipingeva sul suo volto e, dal lato opposto, apparve un pianoforte lucido con il coperchio sollevato.

“Lo spettacolo comincia. Risvegliamo il fuoco.”

 

Hanamichi si voltò, e solo allora notò che in fondo alla stanza c’era un pianoforte. Strano, prima entrando non vi aveva fatto caso, chissà che ci faceva lì.. era decisamente fuori posto, in mezzo a quella desolazione, lo guardò un attimo, mordendosi il labbro inferiore, si sentiva formicolare le mani, era una strana sensazione, quasi di aspettativa.

Ad Angel’s Manhor non si era mai arrischiato a farlo, non aveva mai osato chiedere a Leyla di poter suonare il lucido Stainway che c’era nella vasta sala a pianterreno, vicino alla biblioteca.

Eppure, da Auteuil gli era rimasto un certo vago desiderio di posare nuovamente le dita su una tastiera, ma come spiegarlo a loro? E a Kaede, poi? Ricordava la sua reazione, quando ad Auteuil lo aveva trovato seduto al pianoforte. Lo aveva guardato come se fosse pazzo…Ma lui non lo era…Lui sapeva di conoscere la musica, di conoscere la disposizione delle note sui tasti bianchi e neri e di saper leggere uno spartito…era un qualcosa che gli promanava da un punto indefinito dell’animo, era come se lo avesse sempre saputo, senza bisogno di apprenderlo, secondo i canoni normali.

Kaede era al piano di sotto, non lo avrebbe sentito…e quel pianoforte era lì, silente da tanto tempo. Si avvicinò al piano, sollevando il coperchio che fortunatamente era stato risparmiato dal gelo. Sfiorò i tasti ingialliti traendone suoni leggeri, anche al suo orecchio non allenato era chiaro che il piano era scordato; alcuni tasti non suonavano neppure, probabilmente il meccanismo del martelletto era rovinato. Peccato, gli sarebbe piaciuto molto poter provare a suonare.

Hanamichi era talmente teso e concentrato sulla tastiera, che non si accorse dell’apparizione, neppure quando quella gli posò una mano sulla spalla.

Sussultò, quando sentì un dolore lancinante al collo, cercò di divincolarsi, ma qualcosa gli teneva ferma la testa, inclinandola di lato…La sensazione gli tamburellava nella testa incessante come un rumore sordo, aveva gli occhi spalancati, ma la luce si affievoliva piano, come qualcosa che velava la fiamma di una candela.

 

L’estasi, quella era l’estasi. Non c’era altro modo di descrivere la sensazione

di quel sangue che gli scendeva in gola, dopo aver accarezzato il palato.

Deglutì, ingoiando fino all’ultima goccia e mentre beveva quella coppa d’ambrosia

creò il suo legame con quell’umano dai poteri così straordinari e ancora latenti.

Ancora per poco, presto, lui -Eugenij Ravnjos- li avrebbe risvegliati

e allora il mondo sarebbe stato suo e soltanto suo.

“Che insperata fortuna...”

Ripeté, mentre lasciava accasciare il corpo di quel giovane sul pianoforte.

Che fortuna davvero, che un tale potere fosse rinchiuso in un essere umano così fragile e

vulnerabile.

Un sorriso si distese sulle sue labbra, mentre considerava che

sarebbe bastato semplicemente fare leva sul suo punto debole, che ignaro di tutto

si stava aggirando nella stanza sotto di loro...

Davvero la cosa era molto divertente.

 

Poi d’un tratto tutto ebbe termine, sbatté gli occhi, cercando di rimettere a fuoco quanto c’era attorno a lui. La luce fuori dalla finestra era più fioca, segno che era passato del tempo da quando era entrato in quella stanza…Doveva essersi addormentato…si passò una mano sugli occhi, si sentiva strano, come avvolto in un bozzolo, qualcosa che smorzava tutto ciò che lo circondava, cercò di alzarsi, ma la voce di Kaede lo bloccò:

- Do’hao!- si volse, cercando di mettere a fuoco l’immagine dietro di lui, faceva fatica a comandare i suoi sensi, erano come addormentati, probabilmente per via del sonno...Kaede era fermo sulla porta, il sopraciglio sollevato, le braccia incrociate al petto che lo guardava impassibile….- Cosa stai facendo?

Si strinse nelle spalle:

- volevo provare questo pianoforte…

- E’ così che svolgi l’incarico….

- Ohi, kitsune, mi sono solo seduto al pianoforte e poi non c’è nulla in questa casa.

- Quando hai finito di trastullarti...ti aspetto di sotto, così ce ne andiamo, per oggi abbiamo finito.

Si alzò dal pianoforte sentendo le gambe incapaci di sorreggerlo, si passò le mani sulla fronte, stava sudando freddo…Possibile che avesse la febbre? Si mosse barcollante verso il centro della stanza. Si guardò le mani, lievemente, ma tremavano. Il cuore gli correva nel petto come impazzito, aveva la gola secca e riarsa…

 

La figura con il mantello si guardò intorno, mentre i due giovani uscivano dalla stanza e una risata gli salì alle labbra...

Dannatamente facile e pure divertente.

La vita era stata davvero clemente con lui, dopo anni passati a vivere come un reietto

senza dimora, Clan, denaro per vivere, costretto a strisciare lungo i muri nella notte per potersi nutrire...

e ora, tutto a un tratto, la possibilità di vendicarsi.

Doveva stare attento e giocare bene le sue carte. Una sola mossa avventata e tutto sarebbe andato perduto. E lui -Eugenij Ravnjos- non poteva permetterselo.

 

 

Hanamichi scese le scale, percependo distintamente il rumore dei suoi passi sulla nuda pietra; tutto sembrava risuonare nella sua testa, come un’eco ripetuta e lontana. Raggiunse Kaede nella sala dove erano stati trovati i cadaveri…

- Trovato nulla?

Scosse la testa, poi resosi conto che Kaede gli dava le spalle disse:

- No.

La voce probabilmente gli era uscita mozzata, perché Kaede si volse a guardarlo, alzando un sopraciglio, ma lanciandogli uno sguardo distratto mentre si rimetteva i guanti, probabilmente era ancora infastidito dall’averlo trovato seduto al pianoforte. Reagì d’istinto irrigidendosi. Dannazione! lui non aveva fatto nulla di male...

- Cos’è…?- chiese Hanamichi, indicando un simbolo inciso nella pietra sopra il caminetto, qualcosa nella sua testa si risvegliò...un lampo un pensiero

 

“Vuoi bruciare nel fuoco?”

Tutto passò veloce come era venuto. Un’illusione.

- Il simbolo di un clan, probabilmente. – rispose Kaede.

- Clan? – Hanamichi si sentiva la testa leggera, faticava a seguire le parole dell’altro, era come se gli giungessero lontane e ovattate, c’era qualcosa nella sua testa un ronzio strano, come l’eco di un rumore di fondo…

 - Vampiri, Do’hao, - Kaede non riuscì a reprimere il tono lievemente spazientito – Fai qualche foto...

- Eh?

- Insomma…- Kaede lo superò, chinandosi sulla borsa che era posata ai suoi piedi, estraendo una macchina fotografica digitale.

Scattò alcune foto in silenzio, e Hanamichi scosse la testa un paio di volte. Continuava a sentirsi fuori fase…Aveva la testa leggera e anche i rumori e la voce di Kaede gli giungevano ovattati. Forse aveva la febbre, magari era stato contagiato durante il viaggio in sud America, dopotutto avevano combattuto con le zanzare per tutta la durata della missione.

 - ci conviene andare, sta facendo buio…- tagliò corto Kaede, cercando di ricacciare il cuore al suo posto. Da quando era entrato in quella stanza e lo aveva visto lì abbandonato sul pianoforte, gli batteva pericolosamente in gola…non era stato il fatto di trovarlo addormentato a sconvolgerlo tanto, era stato il mutare della visione...i capelli lunghi raccolti in una coda e trattenuti da un nastro di velluto nero e il nome che gli era salito quasi istintivamente alle labbra:

Philippe.”

Il tragitto di ritorno fu fatto nel più completo silenzio. La neve non aveva smesso di cadere e una spessa coltre morbida era scesa a ricoprire il loro precedente passaggio. Ci impiegarono più di un’ora a tornare al villaggio e, quando arrivarono, erano completamente fradici di neve, anche per colpa di Hanamichi che, a causa dello stato precario delle sue gambe, era inciampato un paio di volte trascinando con sé anche Kaede, in un paio di occasioni. Il freddo contatto con la neve però aveva avuto il benefico effetto di schiarirgli un po’ la mente e ora si sentiva vagamente meglio, sicuramente dopo un bagno caldo e una buona dormita sarebbe tornato in forma, chissà, magari riusciva anche a trovare un’aspirina...per evitare di prendersi un’influenza. Arrivarono alla locanda, dopo essere passati alla stazione di posta a ritirare i loro bagagli. E lì, accadde qualcosa di insolito...Hanamichi era rimasto fuori, sotto la neve, ad aspettare Kaede che era entrato nella stazione, non serviva entrare in due, si era detto, e poi dopotutto gli piaceva la gelida carezza della neve che cadeva sulla sua pelle. La vecchia era ancora lì, seduta fuori dalla porta, fasciata nel suo scialle multicolore, li squadrò da capo a piedi con espressione stupita, evidentemente non si aspettava proprio di vederli tornare indietro da quella casa. E quando il suo sguardo si posò su Hanamichi, ebbe una reazione strana: sgranò gli occhi terrorizzata, facendosi un paio di volte il segno della croce:

- Damphyr...Damphyr.. – continuava a ripetere e altre parole che lui non capiva.

- Taci, stupida vecchia! – proruppe Hanamichi sbuffando spazientito, senza saper neppure lui perché, non avrebbe voluto essere sgarbato, non lo era mai con nessuno, ma la cantilena di quella donna e il modo in cui lo indicava...Girò sui tacchi e si diresse verso la Locanda che portava appesa fuori un insegna in legno con l’immagine di San Giorgio che uccide il Drago.

Kaede uscì in quel momento dalla posta e rimase a fissarlo con un sopraciglio sollevato, mentre si allontanava verso l’ostello, stava per seguirlo quando la vecchia lo prese per un braccio trattenendolo e attirando la sua attenzione:

- Hn. – cercò di non scrollarsi bruscamente, d’altronde quella non poteva sapere la sua idiosincrasia ad essere toccato. La donna parve non accorgersi del suo fastidio e cominciò a parlare velocemente, Kaede conosceva un po’ lo slavo, ma quella parlava troppo velocemente, capì solo alcune parole come Damphyr, Fuoco e bruciare….mentre gli indicava la figura di Hanamichi che si allontanava con le mani affondate nelle tasche.

Improvvisamente la donna smise di parlare e indietreggiò lasciandolo andare e con quel movimento lo scialle le scivolò dalla testa canuta. Kaede si chinò a raccoglierlo per aiutarla a risistemarlo e solo in quel momento, incrociando gli occhi della donna, si accorse con stupore che era cieca, una patina bianca velava la sua pupilla. La donna si accorse della sua vicinanza e, prendendogli una mano, gli mormorò un flebile grazie, allontanandosi poi senza voltarsi indietro.

Si volse a guardare la figura di Hanamichi, ormai giunto nei pressi della locanda, che lo aspettava nell’arco di luce del portico…eppure la luce attorno a lui assumeva contorni strani, come se  venisse riflessa da un’oscurità latente, ancora quella visione di Sakuragi ghermito da un manto di tenebra. Si affrettò a raggiungerlo, cominciava a sentire il freddo penetrargli nelle ossa per via dei vestiti bagnati.

 

Hanamichi era strano quella sera: Kaede lo osservò attentamente a cena, mentre svogliatamente mangiava il suo gulasch: era stranamente silenzioso e apatico e poi c’era una luce febbrile nei suoi occhi. Le parole della donna però erano strane...Bruciare nel fuoco...sì, gli pareva avesse detto questo, però non aveva molto senso, certo.. se si fosse riferita al colore dei capelli di Hanamichi, poteva avere un qualche significato recondito, c’era -se non rammentava male- qualche tradizione sui vampiri slavi che aveva come segno distintivo i capelli rossi, ma la sua conoscenza si fermava lì e poi c’era il fatto che quella donna era cieca, per cui non poteva essere a conoscenza del colore dei capelli di Hanamichi. E fatto non trascurabile, Hana non era un vampiro.

- Ohi, kitsune...- alzò lo sguardo e vide Hanamichi davanti a lui che lo fissava.

- Hn.

- Io vado a farmi un bagno...

- Hn...

- Sempre loquace, eh?

Lo osservò allontanarsi verso le scale, camminava incerto, quasi barcollando, sembrava non avere un equilibrio molto stabile e poi anche nel cammino di ritorno dal castello era caduto un paio di volte, si alzò e lo raggiunse:

- Do’hao, sei sicuro di stare bene?- disse, mentre salivano le scale che portavano al piano di sopra, trattenendosi dallo stendere un braccio per sorreggerlo.

- sì, Baka kitsune, di che ti preoccupi? Il Grande Tensai sa badare a sé stesso.

Spalancò la porta della camera con il numero che c’era sulla chiave che stringeva in mano. Si bloccò sulla porta, imprecando. E Rukawa, sbirciando da sopra la sua spalla, non replicò, non lasciando trapelare lo sgomento che gli aveva attanagliato il cuore alla vista dell’unico letto nell’angolo della stanza. Ci mancava solo questa! Dividere il letto con Hanamichi! Hanamichi –stranamente- non proferì parola, prese le sue cose e uscì dalla stanza, dirigendosi verso il bagno in fondo al corridoio. Rukawa si sedette al tavolino e accese il computer, trascrivendo i dati raccolti quel giorno e scaricando le foto dalla macchina digitale...doveva spedire tutto il materiale a Leyla ed Anne il giorno seguente, dalla stazione di posta.

 

Eugenij Ravnjos osservò la scena dalla finestra...

“Quella dannata vecchia...”

poco male, comunque, pareva non avessero capito molto dello sproloquio che aveva fatto.

Meglio così, e anche se avessero compreso, si sarebbe semplicemente limitato ad eliminare gli ostacoli...

Guardò l’essere umano dai capelli rossi rientrare nella stanza...

La sete cominciò a tormentarlo, si passò la lingua sulle labbra.

Sangue...aveva bisogno del sangue di quell’essere, un disperato bisogno.

Sapeva che quello che stava facendo era pericoloso, per lui.

Diventare così dipendente dal sangue di un essere umano non

era una cosa molto saggia, c’erano molto pericoli nascosti

in quell’incantesimo, ma la posta in gioco valeva i rischi, dopotutto.

Li osservò cambiarsi e andare a dormire...quando gli parve di avere atteso il tempo sufficiente

a far crescere la sua sete,

con un gesto della mano, socchiuse la finestra e vi entrò sotto forma di turbinio di neve,

Ricomponendosi poi nella sua forma di vampiro, sopra il giovane addormentato con i capelli rossi, rossi come il fuoco che gli scorreva nelle vene.

Rossi come il sangue, che lui presto avrebbe assaggiato.

I suoi freddi occhi azzurri brillarono di aspettativa.

Doveva impiegare molta della sua energia mentale, per impedire che l’altro sdraiato dall’altro lato del letto si svegliasse.

Gli lanciò un’occhiata di traverso, soffocando una risata...

Allungò una mano, un movimento delle dita lunghe e sottili con le unghie ben curate.

E i bottoni della camicia si slacciarono piano, scoprendo la base del collo.

Hanamichi sollevò il corpo inarcandosi contro quel tocco sulla sua pelle, socchiuse leggermente le palpebre. Eugenij gli inviò l’immagine di Kaede davanti agli occhi, la sensazione dei suoi baci sulla pelle, le sue carezze scivolare su di lui mescolando il profumo di lui e i suoi capelli solleticargli la cute.

Era così semplice! Bastava attingere ai ricordi e ai desideri sepolti nella parte più recondita del cuore della sua vittima.

Si chinò sul collo leccando lieve la pelle morbida sotto l’orecchio, per poi scendere alla base. Sentiva il profumo del sangue invadergli le narici e il rumore del suo scorrere nelle vene

gli risuonava nelle orecchie.

La sua sete era giunta al culmine, non poteva più aspettare.

Affondò i denti sentendo, come la prima volta, la pelle lacerarsi e un fiotto caldo riversarsi sulla sua lingua, il corpo percorso da brividi inebrianti...

Le dita correvano leggere sulla sua pelle accendendo milioni di brividi al loro passaggio...la sensazione di dolore al collo lo colse impreparato, facendolo inarcare...

E ancora quel senso di scivolamento, come se venisse risucchiato via.

Il sangue che gli scorreva nelle vene, lo sentiva riecheggiare nelle sue orecchie, così come il tamburellante rumore del cuore...

Eugenij sollevò la testa, mentre un rivolo di sangue gli scendeva dal lato della bocca.

La lingua saettò fuori dalle labbra a raccoglierlo, neppure una goccia andava sprecata.

Si sollevò levitando sopra il letto e atterrando davanti alla finestra.

Per quella sera, poteva bastare. Schioccò le dita e scomparve nella notte.

 

Sakuragi si sollevò sul letto ansante...Dove si trovava, prima di tutto…? Cercò di fare mente locale, spazzando via la ragnatela che gli ottenebrava la mente. Erano in Rutenia, in un paesino sperduto nel cuore del paese, tagliati fuori dalle vie di comunicazione e in mezzo a una popolazione che pareva rimasta ferma al secolo precedente, da come si vestivano e si comportavano. La vecchia aveva detto qualcosa riguardo a lui e pareva molto spaventata, ma lui non aveva capito nulla di quel fiume di parole che gli aveva riversato addosso…Aveva riconosciuto solo la parola Damphyr, perché l’aveva sentita pronunciare da Kaede. Nient’altro.

Kaede…Ecco un altro problema…Che razza di sogni si ritrovava a fare, su quella dannata volpe spelacchiata? Arrossì al pensiero delle immagini che fino a poco prima avevano popolato la sua mente, anche se chiudeva gli occhi, poteva ancora vederle davanti a sé scorrere nella sua  testa. Si passò una mano sugli occhi, ma non riuscì a scacciare l’immagine dello sguardo di Kaede annebbiato dalla passione... Evitava di voltarsi a guardarlo pacificamente addormentato.

Quando era tornato dal bagno, dopo essersi fatto un lungo bagno caldo, lo aveva trovato seduto al tavolo, intento a scrivere il rapporto da spedire l’indomani a Leyla dalla Stazione di posta, l’unica ad avere la linea telefonica. Si era seduto accanto a lui, senza parlare per alcuni minuti. Avrebbe voluto -a dire la verità- raccontargli della donna e di quello che era successo, ma non sapeva come cominciare il discorso e neppure era in grado di riportare tutto ciò che la donna aveva detto. Dopo un po’, stufo di quel silenzio, si era diretto verso il letto e aveva cercato di dormire, senza molto successo. Dopo qualche tempo, non avrebbe saputo dire quanto, Kaede si era mosso, cambiandosi e sdraiandosi accanto a lui. Questo non aveva certo aiutato il suo autocontrollo, né tanto meno aveva conciliato il suo sonno. Forse era per questo, che quel sogno si era infilato nella sua testa? Sinceramente ne dubitava fortemente, anche a San Francisco era già successo che si svegliasse da un sogno simile… pareva incontaminato e, tutto sommato, lo era: senza passato, senza ricordi, senza dolori. Era innocente e fragile. Gli scappò una risata involontaria: erano due termini che poco si addicevano alla kitsune ibernata e spelacchiata, eppure non poteva fare a meno di pensarlo, anche se era convinto che Rukawa lo avrebbe preso a pugni se solo glielo avesse detto. D’improvviso si accorse che la finestra era aperta, la neve entrava a folate accumulandosi ai piedi del muro. Rabbrividendo si alzò per chiuderla, rendendosi conto di avere di nuovo le gambe molli, la pelle incendiata e la gola riarsa.

Mentre tornava verso il letto, rimase di nuovo incantato a guardare Rukawa dormire:

- Perché mi respingi, Kaede? – si ritrovò a mormorare, mentre si chinava a scostargli una ciocca di capelli dalla fronte.

L’altro si girò nel sonno, avvicinandosi inconsciamente a lui.

- Do’hao...-

- Ecco, appunto...

 

§ § §

 

Sentiva il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto, era certo di non sbagliarsi, due occhi lo osservavano, ne era sicuro, li sentiva su di sé mentre si aggirava per quelle stanze vuote...Due occhi rossi come il sangue e brucianti come il fuoco...Un fuoco e un calore che lo attiravano inesorabili, ma che sentiva di dover temere. Per tutta la notte non era riuscito a dormire, si svegliava sempre di soprassalto, come se qualcuno lo scuotesse bruscamente...E poi c’era quella sensazione di essere seguito, come se un paio di occhi...ricordava il colore: azzurro con l’iride cerchiata di rosso...lo pedinassero perennemente, anche nei sogni. Sbadigliò per l’ennesima volta, mentre quella sensazione non lo abbandonava neppure in quel momento.

Era il secondo giorno che giravano per quella casa. Non sapeva cosa Kaede aveva trovato, né se aveva trovato qualcosa. Tutte le volte che si apprestava a ispezionare una stanza, lo mandava fuori con l’incombenza di fotografare tutto ciò che poteva sembragli anomalo o fuori posto. Come se, in quel castello completamente sventrato, ci fosse qualcosa di normale!.

Comunque lui eseguiva diligentemente e fotografava ogni angolo, ogni ombra...quando era entrato nella stanza del pianoforte il giorno prima, le sue percezioni avevano subito un tracollo, era come se fossero implose tutte insieme, per poi ritornare ai livelli normali. Aveva percepito un black out totale di pensieri di alcuni secondi e alla fine si sentiva spossato e stanco, privo di energie...Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo. Anche la notte precedente si era risvegliato in quelle condizioni, dopo quel sogno...Scosse la testa, cercando di non richiamare alla sua mente quelle immagini...

 

“Lui non ti ritiene all’altezza…per questo, ti tiene all’oscuro.”

 

Si girò, guardandosi intorno, ma quell’ala della casa era deserta, non c’era nessuno oltre a loro e allora da dove veniva quella voce viscida, insinuante?... che pareva girargli attorno come un’eco che si ripercuoteva nella sua testa incessantemente.

 

“Non ha grande opinione di te, ti reputa un idiota…”

 

- Chi è là??…- aprì di scatto la porta guardandosi attorno nel grande salone, ma questo era vuoto e silenzioso. Solo l’eco del vento riecheggiava fuori, facendo vorticare la neve tutt’intorno. Che strano paese.. da che erano lì, non aveva mai smesso di nevicare. La neve… da bambino, restava per ore con il naso incollato alla finestra, nella speranza di veder scendere quei fiocchi candidi dal cielo azzurro terso della California. Non ne aveva mai vista così tanta. Quella mattina, mentre si dirigevano verso il castello, aveva seguito un impulso improvviso e, raccolta una manciata di neve fresca tra le mani, aveva chiamato Rukawa:

- Ohi, Kitsune...

Quando l’altro si era voltato, gli aveva tirato la palla di neve diretta sul viso, scoppiando subito a ridere, quando l’aveva colpito in pieno...mentre si teneva le mani sui fianchi, la voce gelida di Rukawa gli era scesa nel cuore congelando la sua ilarità:

- Do’hao!

Si era voltato ripulendosi il volto, riprendendo a camminare dritto davanti a sé. Hanamichi si era sentito improvvisamente solo e triste...

 

“Non ha bisogno di te….”

 

Di nuovo quella voce, questa volta era certo di averla sentita attorno a sé, volteggiare come un’ eco nella stanza, si guardò intorno ma non c’era nessuno.

Però era vero, per quanto lui si sforzasse, non c’era verso di far riconoscere a Kaede la sua presenza come persona, se non indispensabile, per lo meno utile. Anche quelle incombenze che gli aveva affidato erano più che altro modi per tenerselo lontano da i piedi. Sospirò, doveva decidersi a chiedere a Leyla di non farlo lavorare più con Kaede nelle prossime missioni. Quel pensiero gli provocò una fitta dolorosa al petto, ma era necessario, prima che tutti quei sentimenti confusi si tramutassero in qualcosa di profondo e ben più difficile da estirpare.

 

“Il Fuoco è in te...seguimi e vi brucerai.”

 

Sussultò, mentre aveva la netta sensazione che qualcosa lo avesse sfiorato...si volse da quella parte e gli parve di vedere l’ombra ritrarsi in maniera innaturale sul muro...come una mano che si scostava...una mano? Corse precipitosamente indietro, verso la stanza dove aveva lasciato Kaede poco prima, ed entrò travolgendolo e facendo cadere entrambi per terra:

- Do’hao!- il tono di Rukawa tradiva la sua irritazione.

- Kitsune, c’è qualcuno qui…l’ ho sentito parlare e poi ho visto...

- Hn, sarà il vento, questa casa è praticamente sventrata…- si alzò da terra spazzolandosi i pantaloni.

- Baka Kitsune!! Ti dico che c’è sicuramente qualcuno!! – insistette, strattonandolo per il braccio, cercando di trascinarlo via con sé nella direzione da dove era venuto.

- Hanamichi, insomma! – la sua voce aveva assunto quella nota fredda che denotava la pericolosa vicinanza a perdere la pazienza e il rossino si morse le labbra chinando il capo, di fronte allo sguardo freddo del compagno.

Rukawa era spazientito, era la terza volta che entrava nella stanza che lui stava esaminando blaterando che qualcuno lo stava seguendo nei suoi giri di ispezione per la casa.

- Ti dico che c’è qualcuno, in questa casa!! – tentò di nuovo, ma con meno foga.

- Hn…- il sopraciglio si sollevò oltre il livello di guardia e Hanamichi preferì allontanarsi senza insistere oltre, borbottando qualcosa mentre si scostava, ma lui non vi prestò attenzione: in quella stanza c’era qualcosa...una concentrazione di odio e risentimento notevolmente potente. Qualcosa che aveva a anche fare con quel simbolo inciso sul muro. Se solo fosse riuscito a mettersi in contatto con Leyla, la connessione con il server quella mattina era saltata, e lui non era stato in grado di spedire il suo rapporto...La situazione stava prendendo una piega alquanto inquietante. Sfiorò la pietra davanti a lui, cercando di concentrarsi, mentre liberava il suo potere...

 

“vediamo se possiamo dargli qualche cosa di cui preoccuparsi seriamente,

giusto per non togliermi del divertimento.”

Eugenij si concentrò, liberando delle immagini dalla sua mente,

dirigendole verso la pietra che Kaede stava toccando...

Kaede percepì il familiare mormorio farsi sempre più sommesso, mentre qualcosa emergeva dalla pietra...

Una stanza...quella stessa stanza, con il pavimento interamente ricoperto di candele,

la luce aranciata disegnava ombre sul muro.

Una figura stava al centro di un cerchio di persone...erano le vittime del sacrificio?

Non riusciva a distinguerne i volti.

La figura attrasse la sua attenzione, cominciando a parlare in una lingua a lui sconosciuta.

Una cantilena ipnotizzante.

Due figure si mossero entrando nel cerchio, portavano entrambi un mantello con il cappuccio calato a coprire il capo.

Una delle due figure alzò le braccia facendo ricadere con gesti lenti e misurati la stoffa,

rivelando un viso spigoloso incorniciato da lunghi capelli grigi e due occhi azzurri

freddi e malvagi...come il sorriso che gli piegava le labbra, mettendo in mostra i canini.

Le sue braccia si rinchiusero attorno alle spalle dell’altro e il suo viso

affondò nel collo...

La cantilena delle persone attorno a loro crebbe di intensità.

Alla fine, dopo un tempo che poteva essere parso interminabile, il volto del vampiro dagli occhi azzurri riemerse con le labbra macchiate del sangue della sua vittima. Lo attirò a sé porgendogli il collo, affinché questo lo mordesse e si nutrisse a sua volta.

Quando si sciolsero dall’abbraccio, lasciò ricadere il mantello...

I rossi capelli della figura rilucevano carezzati dalla luce aranciata delle candele.

Si volse piano, rivelando il viso che emergeva piano piano dall’ombra...

 

- Hanamichi...- boccheggiò Kaede cadendo sulle ginocchia, mentre il cuore gli scoppiava nel petto e le immagini si dissolvevano davanti a lui...

 

 

§ § §

 

Hanamichi si svegliò con una sensazione strana…gli era parso di sentire una voce, un sussurro che lo chiamava…restò in ascolto, ma fuori c’era solo il lieve fischiare del vento, gli ululati dei lupi che si aggiravano per la steppa…Si sollevò a sedere…affacciandosi alla finestra, l’oscurità avvolgeva la campagna desolata attorno al paese. Laggiù in fondo, illuminata dalla luce della luna, poteva scorgere le rovine di quella casa. Mentalmente ringraziò il fatto che mancasse buona parte del tetto, così non avevano dovuto dormire là…Non che quella sistemazione fosse migliore…e non lo diceva tanto per le condizioni generali dell’alberghetto in cui erano alloggiati. Il fatto era che avevano dovuto dividere la camera e lo stesso letto…Deglutì rumorosamente, sbirciando dal vetro la visione addormentata di Kaede…

Lanciò un’occhiata all’angolo di quella stanza e il fiato gli si mozzò in gola, quando si rese conto che dei lamenti provenivano da lì…Kaede gemeva e si agitava nel sonno, mormorando parole incomprensibili, tendeva le mani fasciate nei guanti di pelle…

Si avvicinò al letto, restando affascinato, gli sfiorò la fronte mentre si inginocchiava accanto a lui, prendendolo per le spalle e scotendolo leggermente. Nulla! L’altro sembrava avvinto dalle spire di un sogno tenace…senza pensare a quello che stava facendo, si sdraiò accanto a lui avvolgendolo con le braccia, gli accarezzò i capelli con movimenti lenti e carichi di dolcezza. Parve avere un effetto calmante su Kaede, che smise di agitarsi ma non si svegliò del tutto.

Un ricordo vago, lontano, dei di quella pelle, di quel profumo, lo invase mentre una immagine del volto di Kaede steso sopra di lui lo colpì come un flash…era come nel sogno della notte precedente...eppure, eppure c’erano altri particolari che parevano riguardare la casa di Auteuil.

Lo scosse piano, chiamandolo, pronto a schivare il pugno che partiva praticamente in automatic mode quando l’altro veniva svegliato…

Kaede emerse dalle nebbie del sonno cercando di capire dove si trovasse...Acqua gelida lo avvolgeva...Freddo...due mani forti lo afferravano per le spalle e poi una voce...un viso sopra di sé...mise a fuoco una massa di capelli rossi, due occhi castani e un profumo che lo stordiva...spalancò gli occhi e si mise a sedere sul letto, passandosi una mano sul volto sudato.

- che ci fai?- disse, rendendosi conto che Hanamichi era sdraiato accanto a lui e che praticamente lo stava abbracciando.

- hai avuto un incubo…

Hanamichi lo guardava preoccupato, continuando a tenergli le mani sulle spalle, di nuovo quell’espressione impensierita negli occhi nocciola.

- puoi lasciarmi andare, ora…

- mia madre diceva che..

- non me li ricordo mai...- lo interruppe.

- Eh?

- Al risveglio, non mi ricordo…

- Beh, ma magari..

- Lasciami, Do’hao! – gli scostò le mani dalle sue spalle - non ho bisogno di niente e di nessuno.

Le mani di Hanamichi scivolarono sulle sue spalle ricadendo inerti sul letto, si alzò senza parlare e si vestì velocemente, uscendo poi dalla stanza; rimase, però, alcuni istanti con la schiena contro la porta…perché doveva sempre respingerlo? Allontanarlo? Non c’era modo di perforare quella barriera? E poi, era così importante farlo?

Uscì nella notte andando a sedersi nel giardino, le ginocchia ripiegate al petto, incurante del freddo pungente e della neve attorno a lui. Si guardò in giro, con un vago senso di inquietudine...Erano giorni che si sentiva osservato, e anche nei suoi sogni vedeva due occhi freddi che lo scrutavano attenti...si volse a guardarsi alle spalle, ma non c’era nessuno...o forse gli era parso di scorgere il lembo di un mantello sparire velocemente laggiù, oltre quell’angolo...

Si diresse in quella direzione...svoltò l’angolo, ma non c’era nessuno nel buio profondo.

 

- Sciocco...- si volse attorno a sé, guardandosi in giro...Nessuno, non c’era nessuno, cominciava a spazientirsi.

- Il colore dei tuoi capelli..

- Chi è là..?!.

Un’ ombra prese forma dalla terra, presentandosi avvolta in un mantello scuro e pesante con il collo bordato di pelliccia di lupo,

i lunghi capelli grigi che si confondevano con il pelo.

- I tuoi capelli… il loro colore, sono singolari.. mi piacciono.

Hanamichi si ritrasse, sentendo le dita fredde di quella cosa muoversi tra i suoi capelli, non si era accorto che si era avvicinato...

Fissò impaurito quelle iridi azzurre cerchiate di rosso che lo avevano seguito per tutto

quel tempo:

- morbidi e vivi…come le fiamme...Dimmi, vorresti bruciare nel fuoco?

Hanamichi si rendeva conto di respirare con affanno…I suoi occhi erano avvinti a quelli di quell’essere che aveva davanti, non riusciva a muoversi…quelle dita si muovevano sinuose sulla sua pelle, erano gelide contro la sua guancia.

Di nuovo quella sensazione di smarrimento, vide il volto del vampiro chinarsi sul suo collo...

‘Vampiro’ la sua mente registrò quella realtà prima ancora che riuscisse a formulare un pensiero coerente, ma non riusciva a staccare da sé le mani di quell’essere, mani brucianti e calde sulla sua pelle stranamente fredda, gelida…

 

 

Kaede si alzò, vestendosi rapidamente, mentre pensieri vorticavano nella sua testa movendosi come impazziti. Tante cose che erano successe troppo in fretta…Era molto tempo che gli incubi non si presentavano alla sua mente, incubi di cui non ricordava molto, se non il grande senso di angoscia e la sensazione, al risveglio, di dover ricordare qualcosa di molto importante: il volto di qualcuno, una voce che diceva qualcosa. Vide che Hanamichi non era rientrato la notte scorsa, sarebbe uscito a cercarlo, non era un bene che andasse in giro da solo. Ripensò alla visione che aveva avuto il giorno prima nel castello...Un brivido di paura e orrore gli corse lungo la schiena...Aveva sempre avuto visioni chiare e precise...ma quella non poteva corrispondere alla realtà, né tanto meno avere un briciolo di possibilità di avverarsi...E allora? Prima di tutto, doveva trovare Hanamichi...

Camminava spedito per le viuzze del paesino...dove diavolo si era cacciato quel Do’hao? Era uscito la notte scorsa, dopo che lui aveva avuto il primo incubo...lo aveva respinto, è vero, ma che ci poteva fare se non riusciva a sopportare di essere toccato? Anche in ospedale, i primi giorni del suo ricovero dopo l’incidente...se un dottore o l’infermiera si avvicinavano lui, si irrigidiva...anche il più piccolo contatto gli portava alla mente immagini, visioni, sentimenti che si piantavano nella sua mente vuota come chiodi incandescenti...anche quando aveva imparato a controllare i suoi poteri, alzando quella barriera filtro che gli permetteva di potersi proteggere solo con i guanti, gli era rimasta la paura dei contatti umani. Li rifuggiva, anche quelli minimi: del dover stringere le mani o prendere un oggetto che qualcuno gli porgeva.

Non era quello il motivo, per cui l’aveva respinto la sera prima. Il contatto delle mani di Hana non era fastidioso...anzi, risvegliava sensazioni e ricordi che gli mozzavano il fiato. Sapeva cosa era successo quell’ultima notte ad Auteuil, lo ricordava perfettamente. Dopo i primi giorni di buio, la nebbia aveva incominciato a diradarsi sugli avvenimenti di quella notte...Lui aveva fatto l’amore con Hana...lo aveva posseduto, ma non come Julien Morrel bensì come Kaede Rukawa...cercò di scacciare quei pensieri, quelle immagini...lo sguardo offuscato di Hana, quegli occhi nocciola velati dalla passione, offuscati dal piacere e la sua voce roca, spezzata, che invocava il suo nome...Era stata una pazzia, ma non poteva incolpare le due anime disperate che popolavano la casa. Lo aveva fatto perché lo desiderava, ardentemente e con tutto sé stesso. Hanamichi probabilmente non ricordava nulla di quello che era successo e forse era meglio così...Già era uscito confuso dalla vicenda di Auteuil, se avesse saputo che loro erano diventati amanti...la cosa poteva essere preoccupante...

Strinse le mani a pugno, sentendo la pelle dei guanti tendersi e scricchiolare. Quella notte, quando si era risvegliato e lo aveva visto lì davanti a sé, i capelli scarmigliati, gli occhi spalancati e le labbra socchiuse, aveva dovuto fare leva su tutta la sua forza di volontà per non sporgersi e baciarlo, assaggiare quelle labbra e farlo stendere sotto di sé...

Si volse sussultando, quando sentì qualcosa sfiorargli il braccio. Alla sua sinistra, la vecchia cieca era lì, ferma di fianco a lui in silenzio, con il suo scialle frangiato a coprirgli i capelli.

- Damphyr...- le stesse parole di quella sera.

Spazientito le afferrò il braccio:

- spiegati!! Cosa vuol dire...?-

La vecchia si ritrasse impaurita, scuotendo la testa:

- Lui brucerà nel fuoco.

- Chi? – la voce di Kaede si alzò leggermente.

Scosse la testa e, prima di allontanarsi, gli indicò un angolo nascosto oltre una casa lì vicino. Mentre la vecchia se ne andava segnandosi con il rituale segno della croce ortodosso, un vago senso di terrore lo invase...un brivido lontano...indefinito...qualcosa come una cappa, come nella visione in cui aveva visto Hana trasformarsi in vampiro...Si mise a correre nella direzione indicata dalla vecchia. Girò l’angolo della casa, mentre il cuore gli si fermava in gola. Lo vide seduto sotto l’albero, le bracca incrociate la petto, il viso dai lineamenti rilassati dal sonno...quel dannato idiota dormiva? Lui era preoccupato e quello dormiva?

Si avvicinò e lo scosse bruscamente con un piede.

- Do’hao! – sibilò, mentre la rabbia gli montava alla testa sostituendo tutti i precedenti sentimenti.

L’altro aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco chi gli parlava.

- ti pare questo il momento di dormire?

- Che vuoi Kitsune?, tu dormi più di me...

- Alzati!

Si sentiva stanco...Eppure aveva dormito, ricordava di essersi steso sotto quell’albero per cercare un po’ di riposo...perché era tanto stanco, allora?

- Ero stanco. – protestò, tirandosi in piedi.

- Razza di idiota, vedi di dormire di più la notte...- la voce di Kaede era stata più dura di quello che avesse avrebbe voluto, ma vederlo lì, addormentato pacificamente, mentre lui lo credeva in chissà quale pericolo mortale...

- Lo farei molto volentieri, se....- si interruppe barcollando...si sentiva spossato, aveva caldo e stava sudando, mentre Rukawa lo guardava sollevando il sopraciglio, chinò il viso sentendosi avvampare e si dedicò a togliere la polvere dai suoi pantaloni ...”non pensassi continuamente a te.” concluse tra sé...si passò una mano sul collo...si sentiva stranamente indolenzito. E aveva la gola secca.

- Andiamo... – sbottò Kaede, cercando di trattenersi dal dargli un pugno.

Vedendo che l’altro non dava segni di rispondere, si avvicinò a lui e lo guardò da vicino, notando uno strano luccichio negli occhi castani di Hanamichi e fece per posargli una mano sulla fronte dopo essersi tolto i guanti:

- Idiota, hai la febbre!

- Lasciami, stupida Kitsune!

Si scostò bruscamente da lui. Non voleva che Rukawa lo toccasse, per qualche motivo non doveva toccarlo senza guanti. Hanamichi si sentiva strano, confuso, le sue percezioni erano ovattate, una voce secca risuonò nella sua mente:

 

Comportati normalmente!

 

Si raddrizzò subito, scostando Kaede e avanzando sul terreno gelato con passo sicuro:

- andiamo, Kitsune...abbiamo un lavoro da finire.

Rukawa rimase fermo a guardarlo allontanarsi. Sembrava lo stesso Hanamichi di sempre...Però le parole della vecchia gli riecheggiavano nella testa e poi le immagini di quella visione...La vampirologia non era la sua materia, ma quello che aveva visto era una cerimonia di affiliazione bella e buona. Chi era quell’uomo che vampirazzava Hanamichi? Lo aveva distinto chiaramente, tanto da essere in grado di descriverlo nei dettagli...Doveva parlarne con Leyla e Anne il prima possibile...e dovevano lasciare la Rutenia.

 

   
 
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