Da
un manoscritto: Nello
stesso anno di grazia 17.. in cui raccontai la mia avventura
sull’Isola del Tesoro, decisi di narrare anche il seguito di
quell’avventura,
seppur senza il consenso dei miei due più importanti
compagni, il dottor
Livesey e il signor Trelawney. Mi ordinarono di omettere la seconda
parte
perché, oltre ad essere meno importante e aver
già raccontato abbastanza,
potrebbe risultare leggermente scandalosa e di sicuro non troppo
allegra,
soprattutto per il dottore. Ma io dico: già che ho iniziato,
perché non
continuare? Così, decisi di scrivere ancora.
Perciò, considerate la parola FINE
del primo manoscritto un FINE PRIMA PARTE.
INIZIO
SECONDA PARTE: Come già avevo
raccontato, dopo essere sbarcati al porto di Bristol da quel tremendo
viaggio,
le strade di tutti gli uomini si separarono. Questo per tutti, tranne
per me e
per il dottore. Infatti, io, con la mia parte di denaro, ritornai
all’
“Ammiraglio Bembow” da mia madre. Assumemmo un
cuoco e trascorremmo felicemente
alcune settimane, senza alcun tipo di problema, né di soldi
né di visite
sgradevoli. Ogni tanto, il Cavaliere e il dottore venivano a trovarci.
Le
visite del secondo, però, erano più frequenti, e,
il più delle volte, lui e mia
madre si ritiravano nel piano superiore, nei nostri alloggi, lasciando
a me
l’incarico di servire. Devo ammettere che la cosa
all’inizio mi irritava,
perché, oltre a scaricarmi tutto il lavoro, in fondo sono
stato io il compagno
di ventura del dottore e non capivo cosa avesse di interessante da dire
a mia
madre. Più la cosa continuava, più io mi
scocciavo, ma un giorno mi venne un
dubbio che mi fece sorridere: e se il dottore e mia madre si fossero
innamorati? Decisi di indagare. Ogni qualvolta il dottore arrivava io,
furbescamente, scaricavo a mia volta l’incarico di cameriere
a un nuovo amico
del paese vicino, che conquistai raccontandogli le mie fatiche, con il
giusto
compenso. Ormai sapevo in che giorni Livesey sarebbe arrivato, di
conseguenza
chiedevo a Mark (il mio amico) di venire alla locanda. In questo modo,
avevo la
possibilità di essere al corrente di quello che facevano e
dicevano. Così, ogni
volta mi precipitavo alla porta del nostro appartamento che dava in
salotto e
appoggiavo l’occhio al buco della serratura e
l’orecchio al muro lì
vicino. Li vedevo sempre seduti sulle poltrone vicino alla finestra a
parlare
del più e del meno, mentre molti sorrisi sgorgavano dalle
loro labbra. Andarono
avanti così finché un giorno lui le chiese di
sposarla senza scomporsi, come si
addice a un gentiluomo di ventura e lei si alzò dalla sua
poltrona e si chinò
ad abbracciarlo. Poi si scambiarono un bacio. Subito ero un
po’ sconcertato, ma
mi ripresi in fretta. Mi dispiacevo molto per mio il vero padre,
però era
giusto che mia madre avesse un marito e che io avessi un nuovo genitore
e in
questo modo avremmo avuto più sostegno, sia economico che
psicologico; e poi,
conoscevo già abbastanza bene il dottore e mi fidavo di lui.
Ma, come vedremo
in seguito, mi sbagliavo.
Il signor Livesey
uscì mentre io correvo di
sotto a riprendere il mio lavoro e a congedare Mark.
L’annuncio, che avrebbe
dovuto scaturire la sorpresa (non sono mica così ingenuo,
io), me lo diede mia
madre la sera stessa durante la cena. Io feci finta di sorprendermi e
mi
mostrai felice (questo, però, era vero). Invitammo alla
cerimonia tutti gli
uomini leali di cui conoscevamo l’indirizzo della loro nuova
dimora per poter
mandare gli inviti, ma la chiesa era aperta a chiunque. Decisi di
invitare anche
Mark. Una settimana più tardi si sposarono nella chiesa del
paese vicino.
L’edificio era discretamente pieno e quasi tutti dei nostri
compagni erano
giunti: il Cavaliere, Ben Gunn, Gray, il capitano Smollett... In fondo
c’era
anche una figura con uno scialle in testa in modo da coprire la faccia
e gran
parte del busto. Sotto l’ascella sinistra aveva una gruccia,
il che mi fece
pensare a Silver… che momenti di paura, di eccitazione, di
eroismo che ho
passato con lui… Alla fine della cerimonia, tutti gli
invitati e i festeggiati
andarono alla nostra locanda per il pranzo che il nuovo, ed eccellente,
cuoco
aveva preparato. Io rimasi indietro perché, pensando e
ripensando, mi convinsi
dell’idea che quella persona imbacuccata fosse davvero Silver
e che, venuto a
sapere del matrimonio, avesse deciso di partecipare; in fondo, non era
una
persona al 100 % cattiva, era solo un furfante… Mi
lanciò un’occhiata
furtiva e se ne andò da tutt’altra parte
rispetto a quella che dovevamo
prendere noi, lasciandomi con quel dubbio. La festa finì e
Livesey andò a
prendere le sue cose per venire a vivere con noi.
Passarono
alcuni mesi e mia madre
accusò alcuni malori. Il mio nuovo padre la
visitò e ci diede una lieta
notizia: mia madre aspettava un bambino! Oh, ero molto felice di avere
un
fratellino da prendermi in cura e da insegnare tutto quello che sapevo
e anche
(eh, eh, eh!) cui raccontare la mia avventura. Purtroppo,
però, non sapevo che
saremmo stati, entrambi, protagonisti di un’altra…
Ogni
tanto, nel corso dei nove mesi,
andavo a posare l’orecchio sulla pancia di mia madre per
sentire i segnali del
mio fratellino e, tutte le volte che sentivo un calcetto o un altro
colpo, mi
emozionavo molto. L’ultima volta, però, sentii un
colpo molto forte e mia madre
si mise a strillare. Corsi a chiamare il dottore che mi chiese di
aiutarlo nel
parto. Dopo che il bambino, il mio fratellino, fu lavato e pulito, lo
mettemmo
in una mia vecchia culla e lo guardai: com’ era
carino!
Gli
anni passarono e Hugo, così lo
chiamammo, divenne un bel bambino. Nell’anno del suo 5
compleanno successe una
cosa terribile che ebbe ripercussioni su tutti noi: nostra madre si
ammalò di
colera e morì dopo poche settimane. Per la disperazione io
ogni giorno andavo a
passeggiare verso la scogliera e mi lasciavo in un pianto dirotto,
Hugo,
invece, perché era ancora piccolino, non si faceva problemi
a piangere in
pubblico e lo faceva giorno e notte, dovunque fosse. Ma ebbe ancora una
conseguenza più grave per il signor Livesey;
iniziò a bere molti alcolici al
giorno, non andava più dai suoi pazienti, generava risse con
i clienti per il
troppo alcool, vomitava per terra e creava molti problemi nella
locanda. Molti
clienti abituali cominciarono a non presentarsi e quelli che
alloggiavano nelle
camere se ne andarono, infastiditi dal clima che regnava. Io cercavo di
convincere il mio patrigno a smettere, predicendogli che avremmo dovuto
chiudere la locanda, ma lui il più delle volte mi intimava
di lasciarlo in pace
e una volta è pure passato alle mani, tirandomi uno
schiaffo, e poi mi ha
chiesto scusa. Insomma, lui era diventato lascivo e irritabile, mentre
la
locanda stava diventando sempre di più scarna di clienti e
squallida. Col
tempo, ahimè, ciò che pensavo sarebbe successo
avvenne e dovemmo chiudere la
locanda. Ero disperato, non sapevo che cosa sarebbe successo; saremmo
riusciti
a sopravvivere in qualche altro modo? Ma come? Il dottore non era in
grado, per
il momento, di continuare a lavorare! Proprio mentre mi trastullavo in
cerca di
idee, mi venne un’idea tanto ovvia quanto pericolosa: tornare
all’Isola del
Tesoro per prendere gli argenti, le armi e gli strumenti e vendere
quest’ultimi. Decisi che avrei chiesto e convinto tutti a
creare una nuova
spedizione per l’isola; dovevo farlo, costasse quel che
costasse! Così, ne
parlai al dottore e, dopo varie esitazioni e qualche sospiro,
accettò; allora,
era ancora lucido da prendere la scelta giusta. Eh, si,
perché, anche se
quell’isola ci aveva portato tante difficoltà, era
l’unico modo per racimolare
qualche soldo in attesa di un nuovo lavoro o per riaprire la locanda,
chissà!
Insieme andammo dal Cavaliere Trelawney per pregarlo di aiutarci e alla
fine
con molta riluttanza accettò anche lui. Poi chiedemmo al
capitano Smollet, e fu
lo stesso per lui. Cercando e cercando, trovammo una barca non troppo
costosa,
e, ovviamente, non troppo affidabile. La allestimmo di tutto il
necessario per
affrontare la traversata, di armi, cibo e acqua. Era una barchetta
piccola e
non in grado di contenere molte persone, perciò dovemmo
arruolare non più
di dieci marinai. Decidemmo per i più, a prima vista,
validi; questa volta,
anche io diedi la mia opinione. Quando tutto fu organizzato, dopo un
paio di
settimane, partimmo. Ma, all’improvviso, mentre eravamo
prossimi a salpare, una
figura nascosta da un tessuto che le ricopriva la testa si presento
innanzi la
nave e chiese se poteva partecipare anche lei la traversata; era la
stessa del
funerale, era lo stesso tessuto. Sul subito, mi sentii un po’
incuriosito ma
anche intimorito, perché non sapevo chi fosse
però il primo indiziato era
Silver. Il Cavaliere lo fece entrare nella saletta per decidere se
fosse la
cosa giusta accettarlo; andai anch’io. La voce non era quella
di Silver, non
poteva essere lui. Ma allora chi era? A una seconda analisi, mi resi
conto che,
anche se non era dell’ex cuoco di bordo, era conosciuta;
l’avevo già sentita,
ma mi sfuggivano la situazione e il proprietario. Disse che voleva
lavorare
come cuoco di bordo, e la cosa mi sorprese, pensai ancora una volta che
fosse
Long John. Ma poi, afferrò un lembo dello scialle e
cominciò a srotolarlo
lentamente; alla fine, vidi chi era veramente, e a quel punto fui
sorpreso
davvero. Non sapevo che i morti potessero resuscitare e quando vidi il
viso
della persona mi spaventai alquanto: era il secondo Arrow!
Aspettò che ci
riprendessimo dalla sorpresa e poi ci spiegò:- In
realtà non sono morto. Silver
mi diede tutto quel rum per ottenere quel risultato, lo capii in uno
dei pochi
momenti in cui ero sobrio. Così, una notte finsi di cadere
dalla nave, ma in
realtà mi rifugiai nella stiva e là mi sono
rifugiato fino al ritorno a
Bristol; il cibo lo racimolavo di notte in silenzio. Il mare
è sempre stata la
mia passione, perciò voglio essere riarruolato qui, posso
anche cucinare.- Rimanemmo
molto colpiti dalle sue parole, tanto da scegliere di accettarlo sulla
barchetta. A quel punto, tutti presero i loro posti e si
poté partire. Tutti si
diedero da fare e svolsero il loro lavoro correttamente, non ci furono
più
ammutinamenti e il viaggio procedette senza problemi anche se
più lentamente
rispetto a prima per via della barca meno affidabile. Il dottore e il
nuovo
cuoco si aiutavano a vicenda a non bere e ottennero buoni risultati per
un po’
di tempo, ma poi cominciarono a litigare per piccole sciocchezze e
ricominciarono a bere leggermente; insomma, si crearono delle
discordie. Ma per
il resto tutto bene. Dopo qualche settimana arrivammo nella costa della
famigerata isola e abbordammo. Ormai sapevamo dove si trovava il
tesoro, perciò
pensai che ci sarebbero state poche complicazioni. Invece mi sbagliavo.
Per
prima cosa, uno dei nuovi marinai, Paul venne morso da un serpente
velenoso e
morì successivamente sulla barca. Successe così:
eravamo scesi dalla barca e ci
stavamo dirigendo verso il fortino per erigere il nostro accampamento
quando
Paul, che stava passando sotto un albero venne attaccato e morsicato da
un
serpente verde e rosso che faceva decisamente schifo. Così,
il Cavaliere mandò
altri due uomini a prendere le medicine nella barca. Intanto noi
continuammo il
percorso sorreggendo Paul. Quando i due tornarono nel fortino, dissero
che le
medicine le avevano portate, però erano scadute di qualche
giorno. –Questa non
ci voleva!- esclamò il dottore. Le somministrammo lo stesso
allo sventurato,
sperando che funzionassero lo stesso. Era ormai notte, così
ci mettemmo a
dormire. Il giorno dopo lasciammo nel fortino Paul con un altro
marinaio e
andammo nel luogo dove era sotterrato il resto del tesoro. Ma successe
un’altra
cosa sgradevole: una noce di cocco colpì in testa Martin, un
marinaio,
facendolo crollare privo di vita. Tutti era sgomenti, ormai per tutti
era
chiaro quell’isola era maledetta e forse lo spirito di Flint
faceva di tutto
per allontanarci. Ci riunimmo in un gruppo compatto e procedemmo in
fretta,
lasciando in terra il cadavere. Finalmente giunti, ci mettemmo a
scavare con le
vanghe che ci eravamo portati dietro in cerca delle monete
d’argento. Dopo un
paio d’ore ne avevamo raccolte abbastanza da pagare i nuovi
uomini e per sopravvivere
per qualche mese. Però nella strada del ritorno successe
ciò che conferma il
detto “non c’è il due senza il
tre”: avvenne un’altra disgrazia. Un uccello
cantò e Andrew lo guardò, non vedendo,
però, una cosa più importante: il ciglio
di un dirupo. Inciampo e cadde di botte passando a miglior vita. Era
troppo
ripido per poter recuperare il corpo, perciò lo dovemmo
lasciare lì.
Raggiungemmo il fortino e raccontammo le cose che erano successe ai
nostri due
compagni. Ero molto turbato da quegli avvenimenti e continuavo a
pensarci, ed
arrivai a una conclusione! Tutti gli avvenimenti avevano in comune una
caratteristica: tutte le vittime si trovavano al margine della strada e
perciò
era più facile venire colpiti o cadere. Potevano benissimo
essere assassinati
indirettamente. Disse ciò che avevo formulato al Cavaliere e
lui mi diede
ragione ma mi disse anche che ormai era troppo tardi per preoccuparci,
che
stavamo per tornare alla barca. Mi fidai. Ma sbagliavo. Infatti, un
ramo cadde
proprio mentre il dottor Livesey stava passando di là, ma,
per fortuna, io lo
spinsi via prima del disastro; da quando avevo cominciato a sospettare
ero
molto attento ad ogni minimo movimento o rumore. Il ramo cadde
fragorosamente e
io ebbi il tempo di vedere una figura fuggire via. Sembrava tanto Black
Dog! Ma
come faceva ad essere arrivato fino a là? Grazie
all’aiuto di qualcuno… E dove
si nascondeva nella nave? Nella stiva! … Mi venne in mente
subito che poteva
averlo aiutato: Arrow! Si era tradito rivelando il modo in cui era
sopravvissuto nel nostro precedente viaggio! E il motivo era chiaro:
sabotarci
e rubarci il tesoro. Dunque, era diventato cattivo! Dissi tutto a
Trelawney che
mi rispose:- Tutto quadra, Jim! Ci accerteremo di ciò e se
è davvero così,
lasceremo qua questi due manigoldi e li faremo venire a prendere dalla
marina
militare. Poi cercò di raggruppare tutti e lasciare indietro
Arrow. Quando il
gruppetto compatto raggiunse la barchetta, il Cavaliere si
fermò alla fine
della scaletta vicino alla porticella e aspettò che Arrow
passasse. Quando
anche il cuoco ebbe attraversato l’uscio rimase qualche tempo
a controllare che
non salisse nessuno, poi alzò la scaletta. Mi
disse di fare il giro della
nave dalla parte di destra partendo da poppa e lui controllò
dalla parte di
sinistra. Raggiunta prua, gli dissi che non avevo visto niente di
sospetto e
lui confermò. Ma dopo qualche minuto, sentimmo uno sparo e
ci precipitammo
verso il punto in cui era finito il proiettile. Nello stesso istante
Arrow
sguainò la spada e menò fendenti a destra e a
manca mentre Black Dog cercava di
arrampicarsi nella barca. Dovetti intervenire. Presi un bastone e con
quello
feci cadere Black Dog, poi gli presi la pistola e, dopo aver sperato in
aria,
la puntai verso Arrow. Questi fremette mentre lo obbligavo con
l’arma puntata
contro a disegnare insieme a me un cerchio immaginario. Quando
raggiunse il
muro, mi avvicinai ulteriormente e lo feci cadere in mare. Proprio in
quel
mentre, Black Dog, che era riuscito a fuggire dai marinai cercava di
sbattermi
in testa lo stesso bastone che usai io per farlo inciampare. Ma io me
ne
accorsi e in un batter d’occhio già puntavo la
pistola contro la sua brutta
faccia rugosa e rovinata dalle intemperie. Feci disegnare lo stesso
cerchio
anche a lui e, anche se con maggiore difficoltà, cadde di
fianco al suo amico.
–Spero di non incontrarvi mai più!- dissi
lanciando l’arma per terra. Partimmo
lasciando i due vinti lì dov’erano. Più
tardi, il signor Trelawney accompagnato
dal dottore e da tutti i marinai restanti (tranne Paul che era in
convalescenza) mi si avvicinarono e mi disse:- Bravo, Jim! Sei stato
davvero
coraggioso e abile! Ti meriti anche la mia parte di tesoro!- Tutti gli
altri mi
strinsero la mano e mi fecero complimenti simili. E fu così
che, una volta tornati
a Bristol, potemmo ricominciare una nuova vita con i soldi
d’argento in pezzi
da otto fino a che il dottore non si riprese completamente e non
ricominciò a
lavorare. FINE.