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Autore: JeanBobby    29/07/2010    1 recensioni
Il seguito de "L'Isola del Tesoro".~ p.s.: Da notare che è la pria storia pubblicata della categoria, infatti l'avevo postata tra "Altro" nei Libri... :) Tratto dal testo: "Da un manoscritto: Nello stesso anno di grazia 17.. in cui raccontai la mia avventura sull’Isola del Tesoro, decisi di narrare anche il seguito di quell’avventura, seppur senza il consenso dei miei due più importanti compagni, il dottor Livesey e il signor Trelawney."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da un manoscritto:  Nello stesso anno di grazia 17.. in cui raccontai la mia avventura sull’Isola del Tesoro, decisi di narrare anche il seguito di quell’avventura, seppur senza il consenso dei miei due più importanti compagni, il dottor Livesey e il signor Trelawney. Mi ordinarono di omettere la seconda parte perché, oltre ad essere meno importante e aver già raccontato abbastanza, potrebbe risultare leggermente scandalosa e di sicuro non troppo allegra, soprattutto per il dottore. Ma io dico: già che ho iniziato, perché non continuare? Così, decisi di scrivere ancora. Perciò, considerate la parola FINE del primo manoscritto un FINE PRIMA PARTE.

INIZIO SECONDA PARTE: Come già avevo raccontato, dopo essere sbarcati al porto di Bristol da quel tremendo viaggio, le strade di tutti gli uomini si separarono. Questo per tutti, tranne per me e per il dottore. Infatti, io, con la mia parte di denaro, ritornai all’ “Ammiraglio Bembow” da mia madre. Assumemmo un cuoco e trascorremmo felicemente alcune settimane, senza alcun tipo di problema, né di soldi né di visite sgradevoli. Ogni tanto, il Cavaliere e il dottore venivano a trovarci. Le visite del secondo, però, erano più frequenti, e, il più delle volte, lui e mia madre si ritiravano nel piano superiore, nei nostri alloggi, lasciando a me l’incarico di servire. Devo ammettere che la cosa all’inizio mi irritava, perché, oltre a scaricarmi tutto il lavoro, in fondo sono stato io il compagno di ventura del dottore e non capivo cosa avesse di interessante da dire a mia madre. Più la cosa continuava, più io mi scocciavo, ma un giorno mi venne un dubbio che mi fece sorridere: e se il dottore e mia madre si fossero innamorati? Decisi di indagare. Ogni qualvolta il dottore arrivava io, furbescamente, scaricavo a mia volta l’incarico di cameriere a un nuovo amico del paese vicino, che conquistai raccontandogli le mie fatiche, con il giusto compenso. Ormai sapevo in che giorni Livesey sarebbe arrivato, di conseguenza chiedevo a Mark (il mio amico) di venire alla locanda. In questo modo, avevo la possibilità di essere al corrente di quello che facevano e dicevano. Così, ogni volta mi precipitavo alla porta del nostro appartamento che dava in salotto e appoggiavo l’occhio al buco della serratura  e l’orecchio al muro lì vicino. Li vedevo sempre seduti sulle poltrone vicino alla finestra a parlare del più e del meno, mentre molti sorrisi sgorgavano dalle loro labbra. Andarono avanti così finché un giorno lui le chiese di sposarla senza scomporsi, come si addice a un gentiluomo di ventura e lei si alzò dalla sua poltrona e si chinò ad abbracciarlo. Poi si scambiarono un bacio. Subito ero un po’ sconcertato, ma mi ripresi in fretta. Mi dispiacevo molto per mio il vero padre, però era giusto che mia madre avesse un marito e che io avessi un nuovo genitore e in questo modo avremmo avuto più sostegno, sia economico che psicologico; e poi, conoscevo già abbastanza bene il dottore e mi fidavo di lui. Ma, come vedremo in seguito, mi sbagliavo.

 Il signor Livesey uscì mentre io correvo di sotto a riprendere il mio lavoro e a congedare Mark. L’annuncio, che avrebbe dovuto scaturire la sorpresa (non sono mica così ingenuo, io), me lo diede mia madre la sera stessa durante la cena. Io feci finta di sorprendermi e mi mostrai felice (questo, però, era vero). Invitammo alla cerimonia tutti gli uomini leali di cui conoscevamo l’indirizzo della loro nuova dimora per poter mandare gli inviti, ma la chiesa era aperta a chiunque. Decisi di invitare anche Mark. Una settimana più tardi si sposarono nella chiesa del paese vicino. L’edificio era discretamente pieno e quasi tutti dei nostri compagni erano giunti: il Cavaliere, Ben Gunn, Gray, il capitano Smollett... In fondo c’era anche una figura con uno scialle in testa in modo da coprire la faccia e gran parte del busto. Sotto l’ascella sinistra aveva una gruccia, il che mi fece pensare a Silver… che momenti di paura, di eccitazione, di eroismo che ho passato con lui… Alla fine della cerimonia, tutti gli invitati e i festeggiati andarono alla nostra locanda per il pranzo che il nuovo, ed eccellente, cuoco aveva preparato. Io rimasi indietro perché, pensando e ripensando, mi convinsi dell’idea che quella persona imbacuccata fosse davvero Silver e che, venuto a sapere del matrimonio, avesse deciso di partecipare; in fondo, non era una persona al 100 % cattiva, era solo un furfante… Mi lanciò un’occhiata furtiva  e se ne andò da tutt’altra parte rispetto a quella che dovevamo prendere noi, lasciandomi con quel dubbio. La festa finì e Livesey andò a prendere le sue cose per venire a vivere con noi.

Passarono alcuni mesi e mia madre accusò alcuni malori. Il mio nuovo padre la visitò e  ci diede una lieta notizia: mia madre aspettava un bambino! Oh, ero molto felice di avere un fratellino da prendermi in cura e da insegnare tutto quello che sapevo e anche (eh, eh, eh!) cui raccontare la mia avventura. Purtroppo, però, non sapevo che saremmo stati, entrambi, protagonisti di un’altra…

Ogni tanto, nel corso dei nove mesi, andavo a posare l’orecchio sulla pancia di mia madre per sentire i segnali del mio fratellino e, tutte le volte che sentivo un calcetto o un altro colpo, mi emozionavo molto. L’ultima volta, però, sentii un colpo molto forte e mia madre si mise a strillare. Corsi a chiamare il dottore che mi chiese di aiutarlo nel parto. Dopo che il bambino, il mio fratellino, fu lavato e pulito, lo mettemmo in una mia vecchia culla e lo guardai: com’ era carino!  

Gli anni passarono e Hugo, così lo chiamammo, divenne un bel bambino. Nell’anno del suo 5 compleanno successe una cosa terribile che ebbe ripercussioni su tutti noi: nostra madre si ammalò di colera e morì dopo poche settimane. Per la disperazione io ogni giorno andavo a passeggiare verso la scogliera e mi lasciavo in un pianto dirotto, Hugo, invece, perché era ancora piccolino, non si faceva problemi a piangere in pubblico e lo faceva giorno e notte, dovunque fosse. Ma ebbe ancora una conseguenza più grave per il signor Livesey; iniziò a bere molti alcolici al giorno, non andava più dai suoi pazienti, generava risse con i clienti per il troppo alcool, vomitava per terra e creava molti problemi nella locanda. Molti clienti abituali cominciarono a non presentarsi e quelli che alloggiavano nelle camere se ne andarono, infastiditi dal clima che regnava. Io cercavo di convincere il mio patrigno a smettere, predicendogli che avremmo dovuto chiudere la locanda, ma lui il più delle volte mi intimava di lasciarlo in pace e una volta è pure passato alle mani, tirandomi uno schiaffo, e poi mi ha chiesto scusa. Insomma, lui era diventato lascivo e irritabile, mentre la locanda stava diventando sempre di più scarna di clienti e squallida. Col tempo, ahimè, ciò che pensavo sarebbe successo avvenne e dovemmo chiudere la locanda. Ero disperato, non sapevo che cosa sarebbe successo; saremmo riusciti a sopravvivere in qualche altro modo? Ma come? Il dottore non era in grado, per il momento, di continuare a lavorare! Proprio mentre mi trastullavo in cerca di idee, mi venne un’idea tanto ovvia quanto pericolosa: tornare all’Isola del Tesoro per prendere gli argenti, le armi e gli strumenti e vendere quest’ultimi. Decisi che avrei chiesto e convinto tutti a creare una nuova spedizione per l’isola; dovevo farlo, costasse quel che costasse! Così, ne parlai al dottore e, dopo varie esitazioni e qualche sospiro, accettò; allora, era ancora lucido da prendere la scelta giusta. Eh, si, perché, anche se quell’isola ci aveva portato tante difficoltà, era l’unico modo per racimolare qualche soldo in attesa di un nuovo lavoro o per riaprire la locanda, chissà! Insieme andammo dal Cavaliere Trelawney per pregarlo di aiutarci e alla fine con molta riluttanza accettò anche lui. Poi chiedemmo al capitano Smollet, e fu lo stesso per lui. Cercando e cercando, trovammo una barca non troppo costosa, e, ovviamente, non troppo affidabile. La allestimmo di tutto il necessario per affrontare la traversata, di armi, cibo e acqua. Era una barchetta piccola e non in grado di contenere molte persone, perciò dovemmo arruolare non  più di dieci marinai. Decidemmo per i più, a prima vista, validi; questa volta, anche io diedi la mia opinione. Quando tutto fu organizzato, dopo un paio di settimane, partimmo. Ma, all’improvviso, mentre eravamo prossimi a salpare, una figura nascosta da un tessuto che le ricopriva la testa si presento innanzi la nave e chiese se poteva partecipare anche lei la traversata; era la stessa del funerale, era lo stesso tessuto. Sul subito, mi sentii un po’ incuriosito ma anche intimorito, perché non sapevo chi fosse però il primo indiziato era Silver. Il Cavaliere lo fece entrare nella saletta per decidere se fosse la cosa giusta accettarlo; andai anch’io. La voce non era quella di Silver, non poteva essere lui. Ma allora chi era? A una seconda analisi, mi resi conto che, anche se non era dell’ex cuoco di bordo, era conosciuta; l’avevo già sentita, ma mi sfuggivano la situazione e il proprietario. Disse che voleva lavorare come cuoco di bordo, e la cosa mi sorprese, pensai ancora una volta che fosse Long John. Ma poi, afferrò un lembo dello scialle e cominciò a srotolarlo lentamente; alla fine, vidi chi era veramente, e a quel punto fui sorpreso davvero. Non sapevo che i morti potessero resuscitare e quando vidi il viso della persona mi spaventai alquanto: era il secondo Arrow! Aspettò che ci riprendessimo dalla sorpresa e poi ci spiegò:- In realtà non sono morto. Silver mi diede tutto quel rum per ottenere quel risultato, lo capii in uno dei pochi momenti in cui ero sobrio. Così, una notte finsi di cadere dalla nave, ma in realtà mi rifugiai nella stiva e là mi sono rifugiato fino al ritorno a Bristol; il cibo lo racimolavo di notte in silenzio. Il mare è sempre stata la mia passione, perciò voglio essere riarruolato qui, posso anche cucinare.- Rimanemmo molto colpiti dalle sue parole, tanto da scegliere di accettarlo sulla barchetta. A quel punto, tutti presero i loro posti e si poté partire. Tutti si diedero da fare e svolsero il loro lavoro correttamente, non ci furono più ammutinamenti e il viaggio procedette senza problemi anche se più lentamente rispetto a prima per via della barca meno affidabile. Il dottore e il nuovo cuoco si aiutavano a vicenda a non bere e ottennero buoni risultati per un po’ di tempo, ma poi cominciarono a litigare per piccole sciocchezze e ricominciarono a bere leggermente; insomma, si crearono delle discordie. Ma per il resto tutto bene. Dopo qualche settimana arrivammo nella costa della famigerata isola e abbordammo. Ormai sapevamo dove si trovava il tesoro, perciò pensai che ci sarebbero state poche complicazioni. Invece mi sbagliavo. Per prima cosa, uno dei nuovi marinai, Paul venne morso da un serpente velenoso e morì successivamente sulla barca. Successe così: eravamo scesi dalla barca e ci stavamo dirigendo verso il fortino per erigere il nostro accampamento quando Paul, che stava passando sotto un albero venne attaccato e morsicato da un serpente verde e rosso che faceva decisamente schifo. Così, il Cavaliere mandò altri due uomini a prendere le medicine nella barca. Intanto noi continuammo il percorso sorreggendo Paul. Quando i due tornarono nel fortino, dissero che le medicine le avevano portate, però erano scadute di qualche giorno. –Questa non ci voleva!- esclamò il dottore. Le somministrammo lo stesso allo sventurato, sperando che funzionassero lo stesso. Era ormai notte, così ci mettemmo a dormire. Il giorno dopo lasciammo nel fortino Paul con un altro marinaio e andammo nel luogo dove era sotterrato il resto del tesoro. Ma successe un’altra cosa sgradevole: una noce di cocco colpì in testa Martin, un marinaio, facendolo crollare privo di vita. Tutti era sgomenti, ormai per tutti era chiaro quell’isola era maledetta e forse lo spirito di Flint faceva di tutto per allontanarci. Ci riunimmo in un gruppo compatto e procedemmo in fretta, lasciando in terra il cadavere. Finalmente giunti, ci mettemmo a scavare con le vanghe che ci eravamo portati dietro in cerca delle monete d’argento. Dopo un paio d’ore ne avevamo raccolte abbastanza da pagare i nuovi uomini e per sopravvivere per qualche mese. Però nella strada del ritorno successe ciò che conferma il detto “non c’è il due senza il tre”: avvenne un’altra disgrazia. Un uccello cantò e Andrew lo guardò, non vedendo, però, una cosa più importante: il ciglio di un dirupo. Inciampo e cadde di botte passando a miglior vita. Era troppo ripido per poter recuperare il corpo, perciò lo dovemmo lasciare lì. Raggiungemmo il fortino e raccontammo le cose che erano successe ai nostri due compagni. Ero molto turbato da quegli avvenimenti e continuavo a pensarci, ed arrivai a una conclusione! Tutti gli avvenimenti avevano in comune una caratteristica: tutte le vittime si trovavano al margine della strada e perciò era più facile venire colpiti o cadere. Potevano benissimo essere assassinati indirettamente. Disse ciò che avevo formulato al Cavaliere e lui mi diede ragione ma mi disse anche che ormai era troppo tardi per preoccuparci, che stavamo per tornare alla barca. Mi fidai. Ma sbagliavo. Infatti, un ramo cadde proprio mentre il dottor Livesey stava passando di là, ma, per fortuna, io lo spinsi via prima del disastro; da quando avevo cominciato a sospettare ero molto attento ad ogni minimo movimento o rumore. Il ramo cadde fragorosamente e io ebbi il tempo di vedere una figura fuggire via. Sembrava tanto Black Dog! Ma come faceva ad essere arrivato fino a là? Grazie all’aiuto di qualcuno… E dove si nascondeva nella nave? Nella stiva! … Mi venne in mente subito che poteva averlo aiutato: Arrow! Si era tradito rivelando il modo in cui era sopravvissuto nel nostro precedente viaggio! E il motivo era chiaro: sabotarci e rubarci il tesoro. Dunque, era diventato cattivo! Dissi tutto a Trelawney che mi rispose:- Tutto quadra, Jim! Ci accerteremo di ciò e se è davvero così, lasceremo qua questi due manigoldi e li faremo venire a prendere dalla marina militare. Poi cercò di raggruppare tutti e lasciare indietro Arrow. Quando il gruppetto compatto raggiunse la barchetta, il Cavaliere si fermò alla fine della scaletta vicino alla porticella e aspettò che Arrow passasse. Quando anche il cuoco ebbe attraversato l’uscio rimase qualche tempo a controllare che non salisse nessuno, poi alzò la scaletta.  Mi disse di fare il giro della nave dalla parte di destra partendo da poppa e lui controllò dalla parte di sinistra. Raggiunta prua, gli dissi che non avevo visto niente di sospetto e lui confermò. Ma dopo qualche minuto, sentimmo uno sparo e ci precipitammo verso il punto in cui era finito il proiettile. Nello stesso istante Arrow sguainò la spada e menò fendenti a destra e a manca mentre Black Dog cercava di arrampicarsi nella barca. Dovetti intervenire. Presi un bastone e con quello feci cadere Black Dog, poi gli presi la pistola e, dopo aver sperato in aria, la puntai verso Arrow. Questi fremette mentre lo obbligavo con l’arma puntata contro a disegnare insieme a me un cerchio immaginario. Quando raggiunse il muro, mi avvicinai ulteriormente e lo feci cadere in mare. Proprio in quel mentre, Black Dog, che era riuscito a fuggire dai marinai cercava di sbattermi in testa lo stesso bastone che usai io per farlo inciampare. Ma io me ne accorsi e in un batter d’occhio già puntavo la pistola contro la sua brutta faccia rugosa e rovinata dalle intemperie. Feci disegnare lo stesso cerchio anche a lui e, anche se con maggiore difficoltà, cadde di fianco al suo amico. –Spero di non incontrarvi mai più!- dissi lanciando l’arma per terra. Partimmo lasciando i due vinti lì dov’erano. Più tardi, il signor Trelawney accompagnato dal dottore e da tutti i marinai restanti (tranne Paul che era in convalescenza) mi si avvicinarono e mi disse:- Bravo, Jim! Sei stato davvero coraggioso e abile! Ti meriti anche la mia parte di tesoro!- Tutti gli altri mi strinsero la mano e mi fecero complimenti simili. E fu così che, una volta tornati a Bristol, potemmo ricominciare una nuova vita con i soldi d’argento in pezzi da otto fino a che il dottore non si riprese completamente e non ricominciò a lavorare. FINE. LA VERA FINE.    

  
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