~Questa
storia l’ho scritta un anno fa come compito scolastico. Tra
tutte le storie che
ho scritto, questa mi piaceva di più, anche
perché il protagonista è un
appassionato di libri, come me. Il mio professore, invece,
l’ha valutata molto
male, e dal giudizio ho capito che l’ha considerata la
peggiore. Che rabbia! Perché?
Ma poi, quando ho letto che mi consigliava di far compiere delle
determinate
cose al protagonista, e quelle cose sono esattamente ciò che
fa…! Vabbè, spero
che vi piaccia!~
PRIMA
PARTE. Esisteva un ragazzo,
nell’Italia della seconda metà
dell’Ottocento, che aveva un’indole calma e
tranquilla e un’intelligenza non da meno raffinata. Tuttavia,
poteva risultare
piuttosto scontroso se si toccava, sia fisicamente che con i propri
discorsi,
la cosa che per lui aveva un bagliore di valore superiore a tutte le
altre: la
sua più che adorata collezione di libri. Ne aveva talmente
tanti da riempire
tutti i quattro scaffali che a loro volta coprivano le pareti della
biblioteca
e ogni due o tre settimane ne comprava uno che poi riponeva con
eccellente
garbo o nelle fessure tra un libro e l’altro sugli scaffali,
oppure nella
piccola biblioteca composta da tre mensole nella sua altrettanto
piccola camera
da letto. Tornando a parlare di quel grazioso quanto algido (sempre
solamente
se si ferivano i suoi sentimenti di brillante e raffinato lettore), si
può
riportare qualche sua descrizione fisica. Solo qualche
poiché il campo
dell’aspetto non era certo il suo, lui eccelleva per il
rapporto speciale che
aveva con i libri, che dopo vi sarà spiegato. E poi anche
perché, se solo
avesse vissuto e amato il mondo al di fuori, se solo avesse apprezzato,
o solo
avuto a che fare abbondantemente, con le altre cose oltre a quei, come
lui pensava
e diceva sempre, gioielli di carta e inchiostro, sicuramente avrebbe
posseduto
e mantenuto un aspetto affascinante e avvenente, soprattutto per le
fanciulle.
Perché ne aveva la possibilità, visto il suo viso
carino, la sua statura alta,
i suoi capelli biondi, i suoi occhi verdi e le sue labbra a forma di
cuore. Ma
lui era sempre stato timido, non aveva mai avuto occasione di farsi
degli amici
in carne ed ossa, amici con cui parlare, giocare, passare il tempo,
senza
sembrare un fuori di testa che dialoga con oggetti che non possono
rispondere;
in realtà non erano dei dialoghi veri e propri, ma vi
sarà detto dopo. Aveva
cominciato da piccino, e gli era piaciuto, perciò col tempo
la sua passione
andava saldandosi e diventando una forma leggera di ossessione; non
è un gran
male passare un po’ di tempo davanti a un libro, il problema
è che lui passava
quasi tutti i giorni quasi tutta la giornata, e leggeva e leggeva, fino
a
divorarne anche due o tre al giorno del suo genere preferito. Questo
provocava
tutti quei difetti di cui abbiamo fatto voce prima: la
quantità di
luce del sole lasciava la sua pelle smunta che lasciava intravedere
leggermente
sottili linee verdastre e la sua corporatura gracile. Per fortuna la
sua salute
non ne risentiva tanto quanto il suo aspetto, perciò non se
ne preoccupava più
di tanto. In fondo, un piccolo lavoretto lo svolgeva… non
era granché, ma fare
il commesso per la libreria del paese, e di conseguenza la strada a
piedi, gli
consentiva di avere una fugace vista di ciò che accadeva al
di fuori della sua
abitazione. Il lavoro l’aveva ottenuto un anno prima quando,
all’età di sedici
anni, aveva deciso di lasciare il ginnasio perché non gli
permetteva di leggere
quanti libri riteneva di dover leggere alla settimana. Ma, forse, era
un bene
che avesse lasciato la scuola… in fondo, che cosa servivano
le scienze, la
matematica, la storia e la geografia e tutte le altre stupide e inutili
materie
quando sei certo che il tuo lavoro da adulto dipenderà da
un’unica materia, e
cioè dalla lingua nazionale? Lui era certissimo che da
adulto sarebbe diventato
un ottimo romanziere e avrebbe fatto invidia a tutti quelli che lo
prendevano
in giro chiamandolo vampiro. Lavorando tre ore la settimana, guadagnava
quel
tanto da poter pagare i libri che in seguito leggeva, e leggere lo
aiutava a
diventare esperto della tecnica della scrittura e quindi lo preparava
per il
lavoro. Dunque, perché andare a scuola? I suoi genitori non
avevano approvato
la sua scelta, ma lui non li aveva ascoltati, e ora praticamente gli
davano
solo il vitto e l’alloggio, niente di più, niente
affetto. Sua sorella quando
portava in casa le sue amiche, si accertava che la biblioteca, ovvero
la camera
da giorno di suo fratello, fosse chiusa e che ogni qualvolta venisse a
casa dal
lavoro non si incrociassero, in modo che non vedessero “quel
topo da
biblioteca”. Ma lui non se ne curava, lui in cuor suo sapeva
di essere
superiore a tutti in città, in provincia,
nell’intera regione, se non in tutta
Italia o addirittura nel mondo, perché conosceva una gran
quantità di opere,
nazionali o straniere, da far spavento a una persona normale, e
disprezzava
tutti coloro che lo criticavano e che dimostravano ignoranza in
proposito.
Molti libri che fanno parte della sua collezione discendono da
generazioni
dalla sua famiglia, formata da grandi lettori, seppur non troppo
ricchi, anche
se non quanto lui. Per il resto, li ordinava dalla libreria e se li
prendeva al
posto dello stipendio. I suoi preferiti erano i romanzi medievali e
rinascimentali d’amore e d’avventura composti da
più d’un migliaio di pagine e
li leggeva come fossero menù d’osteria.
Ora
sapete abbastanza della sua vita.
E’ giunto il momento che vi venga raccontato ciò
che riguarda la sua
particolare abilità.
La
sua abilità era cresciuta assieme
alla sua passione per i libri. In un certo senso, non era un
abilità, era un
potere magico. Era in grado, dopo aver letto almeno la metà
o comunque quanto
bastava per concretizzare la trama e aver inspirato
“il delizioso e
sublime” profumo di carta stampata di un libro, di indovinare
la parte seguente
della storia senza averla letta. Quindi, i libri per lui erano una vera
droga
che, nel momento in cui infilava il naso tra le pagine, lo mandavano in
estasi.
Avrebbe potuto fruttare soldi quel suo potere, ma non se la sentiva di
mettersi
al centro dell’attenzione, di rischiare di essere preso in
giro e umiliato
davanti a tutti o da tutti, che lo canzonassero “Guardate lo
psicopatico che va
in trance! Guardate quel pazzo!”. I libri piacevano a molti,
ma una persona con
quegli atteggiamenti poteva sembrare poco sana, se non indemoniata.
Perciò,
preferì tenersi la sua arte per sé e godersela da
solo. Questo finché non
giunse il momento in cui decise di lasciare il lavoro da commesso della
libreria per scrivere. Aveva compiuto da qualche mese i
diciannove anni e
si sentiva prontissimo per affrontare la nuova avventura
dell’editoria, e,
chissà!, anche della fama. In tutta la sua vita, ma
soprattutto nei tre anni in
cui non frequentava più la scuola, aveva effettuato
abbastanza letture da
diventare ricco sia di stili e di capacità di scrittura sia
di fantasia, perciò
decise di provare con la macchina ereditata dal nonno. Ben presto,
però, si
accorse che scrivere non era proprio la stessa cosa che leggere, era
molto più
complessa e tutto quello che buttava giù gli risultava
banale e patetico, anche
se grammaticalmente corretto. Era molto difficile essere un romanziere
affermato! Passarono giorni e giorni e lui faceva utilizzava talmente
tanti di
quei fogli da distruggere moltissimi alberi, ma lui non si
demoralizzava e
continuava a spingere i tasti in modo frenetico.
SECONDA
PARTE. Quando si accorse che
il vero motivo per cui il suo genio non veniva fuori sottoforma di
testo
brillante, cioè perché viveva in una
società monotona e repressiva di
provincia, decise di partire alla volta di Torino per frequentare
qualche
caffè, qualche luogo pieno di personaggi colti, qualche
salotto nobile.
Annunciò la sua decisione ai suoi familiari che la accolsero
con una faccia indifferente,
“poveri stupidi”. Raccolse qualche soldo e
pagò una carrozza per il viaggio.
Arrivato a Torino, passeggiò per il centro in cerca di una
pensione non troppo
costosa e qualche caffè, e, nel farlo, si accorse delle
bellezze del mondo al
di fuori. Torino era decisamente diversa dal suo paesino, per quanto ne
potesse
sapere lui del suo paesino, era più interessante. Girando
per le vie, osservò i
negozi di dolci, quadri, mobili, cose bizzarre, gente che chiacchierava
amabilmente, bambini che giocavano e tante altre scene simpatiche;
sicuramente,
Torino gli sarebbe piaciuta. Poi, girando in una via a destra dal corso
principale, scorse una visione paradisiaca: un’enorme
libreria in tre piani. Il
suo istinto gli disse di andare a visitarla; assecondò il
suo istinto molto
volentieri. Vicino all’ingresso c’era la cassa, e a
sinistra di essa una scala
portava al piano superiore. Diede un’occhiata veloce ai libri
in quel primo
piano e si diresse al secondo. In fondo alla stanza zeppa di libri,
c’era un
grande tavolo circondato da ragazzi/e e signori/e di molte
età diverse che
discutevano, molto probabilmente, di libri. Si avvicinò. Un
ragazzo interruppe
la conversazione e, mentre gli faceva segno di raggiungerli, disse agli
altri
di accoglierlo. Una ragazza gli indicò una sedia libera e lo
salutò; così
fecero anche gli altri. Il primo ragazzo gli chiese se voleva stare con
loro;
lui fece di sì con la testa. Finalmente poteva discutere con
molte persone dei
suoi preziosissimi libri! Finalmente poteva condividere la sua passione
con
molte persone che non lo giudicavano per il suo aspetto! Era
felicissimo. Si
sedette e ascoltò tutto ciò che dissero e si
inserì nella conversazione.
Discussero di moltissimi libri e del sogni di molti di scriverne di
propri; era
molto tentato di rivelare il suo segreto, ma non osò,
aspettò. Da quel momento
frequentò sempre più assiduamente quel fantastico
circolo letterario e si fece
dei nuovi amici simili a lui. La sua preferenza andò verso
il primo ragazzo che
lo aveva accettato nel gruppo, Luca, anche se tutti erano molto
simpatici,
intelligenti e brillanti. Quasi ogni giorno, prima o dopo essere uscito
dal suo
nuovo lavoro o dal suo appartamento che aveva trovato a poco prezzo ,
faceva il
commesso in un negozio di giocattoli, andava lì alla
biblioteca per svagarsi e
fare quel più gli piaceva. Aveva fatto decisamente bene a
trasferirsi in quella
città così artistica, ora si sentiva decisamente
più ispirato e aveva dei nuovi
amici con cui divideva, oltre che pensieri, anche momenti al di fuori
di ciò
che riguardava i libri. Infatti, raccoglievano delle collette e quei
soldi li
spendevano per andare al teatro, ai concerti, a cena… era
molto divertente. In
questo modo, la sua vita era molto più ricca e interessante,
e ciò influiva
abbondantemente sulla sua fantasia e il suo genio creava
racconti e
storielle incantevoli e avvincenti molto più facilmente.
Solo testi corti,
però. Non era ancora riuscito a formare un intero romanzo,
anche con gli
impulsi creativi che riceveva. Un giorno, mentre lui e Luca sceglievano
un
nuovo libro al terzo piano, il suo amico gli disse che suo zio aveva un
conoscente che lavorava in una nota casa editrice di Torino e che
cercavano
nuovi talenti. Si può dire che questa notizia diede una
nuova spinta, oppure
che gliela diede il libro che aveva in mano mentre la sentì,
dal titolo “
Streghe, vampiri e uomini lupo. Storie dal folklore in
Italia”, ma si sentì
ancora di più motivato. Decise che avrebbe accontentato
quella casa editrice
con un suo romanzo; cominciò a pensare a cosa scrivere.
Intanto, mentre
aspettavano che gli altri arrivassero, si lesse il libro che aveva in
mano. Era
un libro molto antico e quasi consunto. Non gli interessava veramente,
lui
preferiva le storie, ma grazie a quello si formò
un’idea geniale su cosa
scrivere. In un borgo medievale afflitto dalla
siccità e dalla carestia,
viveva una coppia di amorevoli sposini. Lui faceva il boscaiolo, mentre
lei
l’erborista. I due non erano ben visti perché la
gente a quel tempo era
superstiziosa e ignorante, per ogni minimo particolare strano pensava
che ci
fosse l’intervento del diavolo e diffidava dei poveri due. Il
marito era molto
forte e aveva una folta peluria, mentre lei aveva i capelli rossicci,
amava i
gatti ed era abilissima a produrre pozioni con erbe e, a volte, rospi e
rane.
Poi, un giorno, la signora rimase incinta. La gente non aveva mai visto
il
bambino e tutti pensavano che dovesse ancora venire alla luce, quando i
due
genitori l’avevano portato al centro del paese di
domenica mattina per andare
in chiesa. Quando furono usciti, il bambino sorrise e mostrò
i denti che gli
erano cresciuti da poco; tutti rimasero scioccati alla vista di un
bambino nato
con i denti, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Servivano dei
capri
espiatori per i danni che non permettevano il raccolto e di conseguenza
la loro
sopravvivenza, quindi, quando un uomo fu trovato squarciato e con gli
occhi
sbarrati e le mani divaricate vicino alla loro casetta, il popolo li
incolpò di
essere un licantropo e una strega e un vampiro e li condannarono al
rogo; in
realtà l’uomo era stato ucciso da un lupo. Loro
cercarono di scappare, ma
furono braccati e condotti in piazza. E fu così che la loro
vita finì, insieme
come erano vissuti, tutti e tre insieme, tra atroci sofferenze. Era
sicuro
che avrebbe avuto un certo successo, perciò
iniziò a scriverlo non appena fu
arrivato a casa e si concentrò sulla macchina per tutta la
notte. Era arrivato
ad un buon punto quando lo investì una crisi da pagina
bianca; non sapeva se
farli morire davvero o rendere la trama più sofisticata con
un colpo di scena
che li facesse sopravvivere. Che non fossero un vero licantropo e una
vera
strega, era sicura, doveva denunciare il fatto che molte povere persone
erano
state uccise per colpa dell’ignoranza della gente; lui odiava
l’ignoranza della
gente. Indeciso su cosa scegliere, gli venne un’idea.
Perché non utilizzare la
sua capacità speciale? L’unico problema era che
quella parte di bozza doveva
essere stampata, se no non avrebbe potuto immaginare la fine, senza
l’odore di
carta stampata e inchiostro. Chiese al suo amico bibliofilo di
accompagnarlo a
visitare la casa editrice; Luca gli rispose che non era aperta al
pubblico, e
che solo se si aveva un manoscritto si poteva entrare.
Ribatté che lui un manoscritto
ce l’aveva, solo che non poteva parlarne per scaramanzia.
Allora, Luca si
convinse e annuì. Non era sicuro che avrebbero pubblicato un
mezzo libro,
perciò decise che avrebbe fatto tutto in gran segreto e in
modo decisamente
illecito. Fu proprio in quell’occasione che il suo essere
algido e dispotico
con le persone e le cose diverse dai libri venne fuori. Lui e Luca
erano
arrivati davanti alla casa editrice e si stavano dirigendo verso
l’ingresso,
lui a grandi falcate. Appena attraversata la porta, aspettò
che il suo “amico”
lo raggiungesse per salire le scale. Quando Luca gli chiese
perché non andava
negli uffici dove lavoravano i critici per mostrare loro il
suo lavoro,
gli rispose di seguirlo. Qualche gradino più tardi, si
fermò, prese un vaso di fiori
molto grande dalla finestra e glielo scaraventò in testa in
modo da farlo
crollare in terra privo di sensi. Però, la circostanza si
aggravò e, dopo la
lunga discesa dell’intera scala, il povero Luca
arrivò vicino alla porta
propriamente esanime, freddo. Bisogna aggiungere che al nostro
protagonista un
po’ dispiaceva della morte del migliore tra i suoi pochi
amici, ma di certo
preferiva che non lo vedesse fare ciò aveva
l’intenzione e che stava per fare;
sicuramente sarebbe stato d’impiccio e lo avrebbero scoperto,
non se lo poteva
permettere, sennò addio carriera di scrittore. Attento a non
far rumore, perché
ne aveva già fatto abbastanza ed era difficile che nessuno
lo avesse sentito,
andò a raccogliere i cocci e la terra del vaso; mise il
tutto in uno
sgabuzzino. Tornò indietro, raccolse il cadavere e lo mise
nello stesso
sgabuzzino. Proseguì nel suo intento. Salì ancora
le scale fino al piano
successivo, alla sezione tipografia. Bussò. Un addetto si
affacciò dalla porta
ed ebbe fugace momento per vedere in faccia il suo assassino prima che
lo
strangolasse con una corda che si era portato dietro. Entrò.
Vide un altro
addetto, e, con un cassettone pieno di fogli e blocchetti, lo
mandò a miglior
vita. Ora l’intera stanza era a sua disposizione.
Studiò per qualche minuto il
meccanismo della stampa, e, siccome, è da sottolineare, era
una persona
estremamente intelligente, lo capì completamente, non era
troppo difficile.
Interruppe la pubblicazione dell’opera precedente e tolse le
copie dal tapis
roulant; le dispose a terra senza sgualcirle (Perché
rovinare quegli oggetti
divini?). Inserì il suo manoscritto alla base della macchina
e aspettò che ne
uscisse almeno una copia. Quando finalmente vide uscire il
mezzo-manoscritto
diventato mezzo-romanzo, provò un’emozione
indescrivibile che si manifestò, per
una persona instabile come lui, nella distruzione di tutte le
copie del
precedente libro. In quel momento si era sentito uno scrittore
più che
affermato e l’avere lì vicino a sé una
storia non sua, era stato come se il suo
prestigio fosse stato ridotto, come se quella concorrenza fosse
umiliante e,
soprattutto perché quel romanzo era completo e il suo, no.
Se ne andò più
infastidito che soddisfatto. Questo da prova di quanto quel giovane
fosse
volubile e perennemente insoddisfatto; in realtà, i libri
non lo rendevano
veramente felice. Ora non restava che andarsene. Prese il suo
mezzo-libro e si
legò la vita, poi aprì la porta e
attraversò il pianerottolo verso la finestra.
Là, legò la corda a un gancio lì
vicino. Si preparò per calarsi, quindi mise le
mani sulla corda e saltellò sul muro. Era a metà
del muro quando notò che da
una finestra spuntava una mano. All’improvviso moltissime
immagini e moltissimi
pensieri si affollarono nella sua mente… aveva ucciso il suo
migliore amico,
non ne avrebbe più avuto uno come lui, era stato un
mostro… in fondo, i libro
possono fare molta compagnia, non sostituire un amico…
Staccò le mani dalla
corda e precipitò nel vuoto.