Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure
Segui la storia  |       
Autore: Juls18    30/07/2010    1 recensioni
certe storie sono fatte per essere tramandate, altre per essere mitizzate, altre per servire da insegnamento, altre semplicemente dimenticate... altre storie invece, vengono fatte dimenticare ma non sempre è possibile cancellarle per l'eternità. basta un piccolo indizio, un filo sfuggito al buio dell'oblio per farne rivivere il ricordo e per riportarla alla luce. è questo che capita ad un gruppo di amici. attraverso sogni che non sono solo sogni, ricerche e indizi che a volte non sembrano portare a niente, questo gruppo scoprirà che certe storie ci appartengono più di altre e che a volte i sentimenti e le emozioni sono fatti per superare i secoli e per rivivere, in un ciclo continuo di amore, amicizia, rivalità, invidia e inganno. cosa sarà più forte? l'amore o l'invidia?
Nuova versione della storia. si chiama "I ricordi del tempo"
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mimi Tachikawa, Yamato Ishida/Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Primi Dilemmi, Primi Indizi


(-Chiedetemi scusa-

-Prego?-

-Voi mi avete offesa, pretendo delle scuse-

-Le scuse si devono meritare, Milady, non si possono pretendere-

-Voi siete un arrogante...-

ma non potei finire la frase perché qualcosa mi urto improvvisamente, e mi ritrovai a perdere l'equilibrio. Sfortunatamente anche lui, colto alla sprovvista, e a causa dell'urto subito, si trovò in equilibrio precario, e prima di potercene rendere conto ci trovammo sdraiati sull'erba. Sentivo il suo corpo premere sul mio, non ero mai stata tanto vicina ad un uomo in vita mia. Mi trovai quasi ad urlare

-Alzati subito da me-

Lui non se lo fece ripetere e subito si alzò. Poi, mi offrì la mano per farmi alzare, mentre la mia preoccupata Marie si precipitava verso di me.

-Madame, madame, state bene?-

-Si Marie, non ti preoccupare-

Mi ritrovai ad afferrare la mano del conte e in un attimo mi ritrovai in piedi. Marie fece un passo verso di me, e dopo essersi assicurata che stavo bene, si tranquillizzò. Intanto la mia attenzione si era spostata su ciò che mi aveva fatto perdere l'equilibrio e rimasi piacevolmente sorpresa. Davanti a me si trovava un bellissimo cucciolo, un meraviglioso esemplare di razza canina, dal pelo lungo e morbido. Era di un colore grigio, con striature nere, e con due occhi chiari impressionanti. Mi ritrovai presto chinata verso quel meraviglioso esemplare e lo accarezzai. Sembrò apprezzare quel trattamento.

-Vi chiedo perdono Milady, è tutta colpa mia-

alzai lo sguardo verso il conte.

-Fino a prova contraria, sir, è stata colpa di questo cucciolotto a farmi perdere equilibrio, voi non c'entrate-

-Invece si, milady. Quel cucciolo, come dite voi, è mio, e non dovrebbe comportarsi così-

Mi ritrovai a ridere.

-Lo trovate divertente?-

-Mi scusi, ma è normale che abbia reagito così. È un cucciolo, vuole solo un po' di coccolo. Non è vero, tesoro mio?-

il cane, in compenso, si limitò ad abbaiare soddisfatto e a scodinzolare, in attesa di altre coccole. Fu così che alzai lo sguardo verso il conte e per la prima volta, trovai un sorriso sincero sul suo volto. E io non potei fare a meno di ricambiare.)





Stavo sognando. Sognavo di essere in un parco, un bellissimo parco, quando ad un tratto mia madre mi venne incontro. E improvvisamente mi schiaffeggiò. Faceva male, la guancia mi doleva. Era strano, nei sogni non si prova dolore. E poi compresi.

Quando aprii gli occhi, mi trovai seduta sul prato, con la testa appoggiata alle gambe di mio padre, e mia madre, preoccupatissima, che mi fissava in pieno stato ansioso. E sentivo un dolore terribile alla guancia. Appena misi a fuoco la scena, capii cosa era successo.

-Oh no, ancora!-

ero stufa di svenire. Ero stufa di vedere quelle cose nei miei sogni, ero stufa in generale.

-Tesoro, ti senti bene?-

-Si mamma, sto bene-

mi alzai. Attorno tutti mi fissavano preoccupati, tranne i miei amici. Ormai erano “abituati” a vedermi svenire di colpo e poi riprendermi come se non fosse successo niente. Naturalmente per i miei genitori non era normale. E mia madre, partì subito alla carica, cercando mille motivazioni per il mio mancamento

-Non è che ti stai ammalando? Forse è un calo di zuccheri? Ma no, stamattina hai mangiato. Che sia la stanchezza dovuta al viaggio? Non hai dormito a sufficienza? Non sarà mica una cosa da donne, vero? Sei nel tuo periodo? Non sarai incinta, vero???-

Il tutto detto nel giro di cinque secondi. Mia madre, da quel punto di vista, era davvero unica. Riusciva a dire tantissime cose nel giro di pochissimo, e senza prendere fiato. Ovviamente, diceva talmente cose imbarazzanti che questa sua dote l'ho sempre detestata. E dietro le risate divertite dei presenti, mi affrettai a bloccarla.

-Mamma, sta calma. Sono solo un po' stanca, non è niente-

-Davvero? Non mi devo preoccupare?-

-No, tranquilla-

sorrisi, tirando fuori il sorriso più convincente che avessi. Funzionò. Passato il momento di panico, Matt mi si avvicinò, mettendomi una mano sulla spalla e avvicinandomi a lui. Non gli importò dell'occhiataccia di mio padre, del sorriso ironico di mia madre, o delle occhiate degli altri. In modo che potessi sentirlo solo io, mi disse

-Hai visto qualcosa di interessante?-

-Si, ma te lo dico dopo-

e insieme, abbracciati, tornammo verso il pullman, diretti a Croftwell.



Durante il viaggio raccontai agli altri cosa avevo visto. Della fonte, del mio incontro con il mio salvatore, del nostro scambio di battute, e di quel sorriso.

-Wow-

fu il commento generale degli altri. Matt si limitò a guardarmi. Stava riflettendo, e sapevo che era preoccupato.

-Cosa c'è?-

gli chiesi. Se aveva un dubbio preferivo che me lo dicesse subito, odiavo non sapere cosa pensasse su questa storia.

-Niente, pensavo-

fu la sua laconica risposta. Odiavo quando faceva così. Sapevo che voleva dire qualcosa, e volevo saperlo.

-Su, sputa il rospo. Voglio sapere-

-Finiremmo per litigare, e non ne ho voglia-

-Non fare l'odioso, e non pensare di credere di sapere cosa mi faccia arrabbiare e cosa no-

-So perfettamente cosa ti fa arrabbiare e cosa no, per questo voglio evitare la conversazione-

-Se non me lo dici, io non ti parlo più. Chiaro?-

-Perché dici una cosa del genere, che tanto sai perfettamente essere falsa?-

-Credi che non ne sarei capace?-

-Di ignorarmi? Esatto-

-Se è questo che pensi di me, allora sarai costretto a cambiare idea-

e mi volsi dall'altra parte, ignorandolo. Intanto, sentivo su di me il suo sguardo, e ci avrei scommesso, stava facendo quello sguardo ironico, che odiavo. Intanto gli altri, che avevano assistito al nostro scambio di opinioni, se così lo vogliamo chiamare, cercavano si stemperare l'atmosfera che si era creata.

-Su ragazzi, non litighiamo. Siamo in vacanza, no?-

Tk ci aveva provato nel modo che credeva migliore. Fallì. Per tutta risposta lo ignorai. Ma Matt no.

-Io non sto litigando, Tk. È lei che è permalosa-

-Io sarei... COSA? Brutto antipatico che non sei altro, cafone, maleducato-

E aveva ancora quel sorriso. Quanto lo odiai in quel momento.

-E ora cos'hai da ridere?-

quasi glielo urlai in faccia. E per tutta risposta, lui mi disse

-Visto che non ce la fai ad ignorarmi?-

Rimasi in silenzio. Cavolo, lo odiavo. Aveva ragione, e lo odiavo. Anche se mi aveva obbligato a rivolgergli la parola, aveva vinto. E odiai me stessa soprattutto perché c'ero cascata così facilmente. Ho già detto che lo odiavo?

-E va bene, hai vinto. Ma ora mi dici cosa ti preoccupa?-

Matt, a quel punto cedette. Tirò un sospiro e mi disse

-Dovremmo tornare indietro-

rimasi scioccata da quelle parole. No, non lui, non poteva dirmi questo. Sapeva quanto significasse per me tutto quel viaggio, non poteva dire sul serio.

-Stai scherzando?-

non mi ricordo chi lo disse, se io o qualcun altro. So che non potevo distogliere i miei occhi dai suoi.

-Sono serio. Per Mimi è troppo pericoloso-

-PERICOLOSO UN CORNO!!!-

ora anche i nostri genitori ci stavano osservando. Mia madre mi guardò scioccata, non era da me usare un linguaggio simile. Mi alzai dal mio posto e mi diressi avanti, verso i posti dei nostri genitori. Volevo stare lontana da lui. Ma lui, mi seguì.

-Lo dico per te-

-Per me? Sai quanto questo significhi per me, quanto tutto questo sia importante per me! Io devo sapere!!!-

-E a te non pensi? Rifletti, infondo cosa sappiamo di preciso? Niente. Potremmo anche fare un buco nell'acqua o non trovare niente. O peggio, scoprire cose che non dovremmo sapere.-

-Non puoi dire sul serio-

-Sono serissimo-

la mia mano partì senza nemmeno che me ne accorgessi. Mi accorsi solo del leggero rossore che si stava formando sulla sua guancia, il segno di una mano. Nel pullman scese il silenzio. Io passavo lo sguardo dalla mia mano alla guancia di Matt. Lui mi fissava, ancora più stupito di me. Lo avevo schiaffeggiato. Poi vidi nel suo sguardo una cosa che non avrei mai voluto vedere. Rabbia, disprezzo e tristezza. Si girò, e tornò al suo posto, posando lo sguardo sul finestrino e sul panorama. Anche io mi voltai, e mi andai a sedere davanti, nel primo posto libero che trovai. Mi trovai seduta di fianco alla madre di Matt. Mi presi il volto tra le mani e inizia a piangere. Non ricordo altro del viaggio di andata fino a Croftwell, se non la sensazione di essere abbracciata, e di qualcuno che mi accarezzava la testa, in un gesto dolce e affettuoso. E un dolce profumo di rosa selvatica. Poi credo che scivolai nel mondo dei sogni, portandomi dietro quel profumo dolce e intenso.



Quando aprii gli occhi, mi accorsi subito di essere in un letto. Ero in una stanza buia. Sentivo la presenza di qualcun altro nella stanza. Piano piano i miei occhi si abituarono al buio, e potei distinguere altri due letti, un armadio e una finestra con le tende tirate. I letti erano occupati dalle mie amiche, Kary e Joley. Mi alzai lentamente, cercando di fare meno rumore possibile. Piano piano, mi diressi verso la finestra, e scostai un poco le tende. Fuori il cielo era scuro, coperto da una miriade di stelle. Doveva essere notte fonda. Non ricordavo di essere arrivata fin lì, non ricordavo niente. Mi voltai piano, lasciandomi alle spalle la finestra, in cerca dei miei abiti. Per fortuna erano appoggiati su una sedia. Al buoi, e cercando di fare meno rumore possibile, mi vestii. Poi, mi diressi verso la porta della stanza. La aprii piano piano, cercando di non svegliare le ragazze, e uscii, chiudendomi la porta dietro. Appena la porta fu chiusa, cercai di dirigermi verso la hall dell'albergo, sperando con tutto il cuore che a quell'ora, qualunque ora fosse al momento, il ristorante fosse ancora aperto. Avevo una terribile fame.



Sfortunatamente per me, il ristorante era già chiuso, così come il bar. Sconsolata, mi diressi nella hall, e mi lasciai cadere pesantemente su un divanetto, sospirando.

-Tutte a me devono capitare-

e in quel momento, il mio stomaco brontolò.

-Tieni-

alzai il viso in tempo per vedere arrivare una stecca di cioccolato. La presi al volo, e senza nemmeno ringraziare, la aprii e iniziai a mangiare. Era cioccolata alle nocciole, la mia preferita. Ed era buonissima.

-Avevi fame, eh?-

mi limitai ad annuire, ingoiando l'ultimo quadrato di cioccolata. Anche se non lo potevo considerare un pasto completo, la mia fame un po' si era placata. Sfoderai il mio migliore sorriso per ringraziare il mio salvatore della cioccolata, quando realizzai chi era. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi, così mi limitai a bofonchiare in tono molto basso un

-Grazie-

non molto convinto. C'era un silenzio imbarazzante tra di noi. Mi ripetevo come avevo potuto fare quello che avevo fatto. Come avevo potuto io schiaffeggiarlo? Matt, seduto al mio fianco, non diceva niente. Era immobile. Non so quanto tempo rimanemmo così. Io avevo paura anche solo di fare un movimento brusco, di sbagliare qualcosa. Poi, improvvisamente, sentii le sue mani sul di me. Una si era posata sul mio fianco, l'altra mi aveva preso il mento e mi aveva sollevato il viso. Non mi accorsi di quello che stava succedendo, fino a quando non sentii le sue labbra sulle mie. Era un bacio diverso da tutti gli altri che ci eravamo dati. Le sue mani si erano spostate, ora erano entrambe sulla mia schiena, e mi spingevano contro di lui. Le sue labbra premevano sulle mie in un modo quasi disperato. Sentii prepotente la richiesta della sua lingua di potere incontrare la mia. Mi lascia andare a questo bacio così disperato. Mi aggrappai a lui come se fosse l'unico appiglio in una tempesta. Era Matt, il mio Matt, e io avevo bisogno di lui. Non mi accorsi di quando lui mi spinse giù, facendo toccare la mia schiena al divano, lui sopra di me. Ci stavamo lasciando andare un po' troppo, lo sapevo. Ma non mi volevo fermare, non volevo che lui si fermasse. Quello che stavo provando non lo avevo mai provato prima ad un livello tale di intensità. Quando le sue labbra lasciarono le mie per potersi posare sul mio collo, e iniziare a torturarmelo, non potei fare a meno di lasciarmi andare, e dalla mia bocca uscì un gemito. E l'incantesimo si spezzò. Matt improvvisamente si staccò da me, e mi fissò con uno sguardo imbarazzato e sorpreso al tempo stesso.

-Scusa Mimi io non...-

non gli lascia finire la frase. Posai un dito sulle sue labbra e mi tirai su a sedere. Ora eravamo entrambi seduti, come prima, ma non era come prima. Nei suoi occhi, scorsi in Matt qualcosa che non avevo mai visto prima. Desiderio. Non mi aveva mai guardato così. E sapevo che nei miei occhi era riflesso lo stesso. Di slancio mi precipitai tra le sue braccia, piangendo. Tra i singhiozzi, riuscii, tuttavia, a dire

-Matt, mi dispiace per oggi. Io non volevo, non volevo schiaffeggiarti. Non so cosa mi sia preso, io...-

-Tranquilla, non fa niente-

e intanto mi passava una mano tra i capelli, in un gesto che mi ricordò qualcosa che avevo già provato quello stesso giorno. Mi lascia coccolare da lui non so per quanto. Quando smisi di piangere, rimasi ancora un po' abbracciata a lui. Il suo profumo intenso, il suo abbraccio forte e delicato, il rumore del suo cuore... era tutto perfetto.

Quella notte non dormii molto. Io e Matt la passammo insieme, a parlare. Parlammo di tutto, anche di quello che era successo sul pullman. E lui mi spiegò il perché aveva detto quelle cose. Aveva paura per me. Non voleva vedermi soffrire, e per quello voleva che tornassimo indietro. Sapeva però che io non avrei mollato, ma almeno voleva provare. Non credeva però di farmi stare male come mi ero sentita durante la nostra discussione. Se ne era reso conto solo quando mi aveva visto piangere, vicino a sua madre. Mi aveva raccontato poi cosa era successo. Era stata sua mamma a consolarmi, a tenermi stretta a lei. Era suo il profumo di rosa che avevo sentito. E poi, quando eravamo arrivati a Croftwell, mi ero addormentata, e allora mi avevano portato in camera, dove avevo dormito per tutto il tempo. Mentre gli altri si sistemavano nelle stanze, Matt aveva parlato con sua madre, o meglio, Matt si era sorbito la ramanzina di sua madre.

-Dovevi sentirla. Mi ha urlato addosso che non mi sarei mai più dovuto comportare con te così, che se ti avessi fatto soffrire ancora me la sarei dovuta vedere con lei-

-Mi dispiace, non volevo farti litigare con tua madre-

-Non ti scusare. Infondo, credo che fossero anni che io e lei non parlavamo così tanto-

mi strinsi ancora di più a lui, facendogli capire che gli ero vicino. Lui mi diede un bacio sui capelli.

-Sai, tu piaci a mia mamma. Ha detto che sei l'unica che mi possa sopportare e tenermi testa. Ha detto che se ti lascio devo essere completamente matto.-

-E tu? Che cosa gli hai detto?-

-Che non si doveva preoccupare-

-Che intendi?-

-Che io non ho nessuna intenzione a lasciarti andare Mimi Takichawa-

il mio cuore prese e battere come un tamburo. Mi sposi verso di lui e lo baciai.

-Neanche io ho intenzione di lasciarti andare Matt Ishida-

di quella notte non ricordo altro, tranne il suo sorriso. Un sorriso vero, meraviglioso, che era tutto per me.





Non mi ricordai di essermi addormentata, fino a che una risata, un urlo e un CLACK di una macchina fotografica non mi svegliarono, anzi, non ci svegliarono. Io e Matt ci eravamo addormentati sul divano, e, nel sonno, avevo appoggiato la mia testa sulle sue spalle, e lui aveva appoggiato la sua testa sulla mia. Naturalmente, chi aveva scattato la foto poteva essere solo lei. Una sorridente Joley ci guardava, e con una naturalezza disarmante ci disse

-Buongiorno piccioncini!-

la risata apparteneva a Tk. Guardava suo fratello con uno sguardo a metà tra il divertito e il malizioso. Chissà cosa pensava fosse successo. Si limitò a salutarci con un semplice

-'giorno-

che non prometteva niente di buono.

L'urlo poteva essere solo di una persona. Mio padre. Alternava lo sguardo da me a Matt. Era arrabbiato... ok, era MOLTO arrabbiato. Con pochi passi arrivò al divano, mi afferrò il braccio, e iniziò a strattonarmi verso l'ascensore.

-Papà, lasciami, mi fai male!-

-Zitta-

fu la sua unica risposta. In un lampo mi ritrovai chiusa con mio padre nell'ascensore, diretta non so dove. Appena le porte si erano chiuse, mio padre iniziò ad inveirmi contro.

-Ma ti rendi conto di come ti comporti???-

-Cosa avrei fatto di così male?-

-E me lo chiedi anche?-

-Se te lo chiedo è perché...-

-Prima esci di notte per andare non so dove e rientri a casa ad un'ora assurda-

-Ma papà-

-Poi scappi di casa, facendo prendere un colpo a tua madre-

-Quella volta sei stato tu a...-

-POI ci obblighi a venire qua in Inghilterra per non so fare bene cosa...-

-Una vacanza?-

-Non solo ci porti in Inghilterra, e sai che è un posto che odio, ma ci obblighi anche alla presenza di quel, quel ragazzo...-

-Matt, papà-

-Non mi interessa sapere come si chiama. Naturalmente, non contenta di tutto questo, hai anche la bella idea di fare una scenata davanti a tutti con quel Matt, e finalmente penso che tu abbia ritrovato la ragione lasciandolo perdere, no, mi deludi ancora facendoti ritrovare non solo con lui, ma addormentata su un divanetto con lo stesso ragazzo che avevi mollato meno di ventiquattro ore prima!!!-

-Primo, papà, io e Matt ieri non ci eravamo lasciati, secondo Matt è il mio ragazzo, che ti piaccia o meno e terzo, tu papà, sei solo geloso!-

Detto questo, uscii dall'ascensore. La giornata era iniziata malissimo. Non poteva succedere niente di peggio. Proprio in quel momento un lampo e poi un tuono squarciarono l'aria. Correzione, succedeva sempre qualcosa di peggio.





Il risveglio non poteva essere stato peggiore. In tempo si stava rivelando il classico clima inglese, freddo e piovoso. Essere in campagna, in mezzo ad un bosco, e pioveva. Certamente non era quello che si definiva una vacanza perfetta. Ma per me era tutto fantastico. Ero nella mia camera, e avevo aperto la finestra. La campagna era intrisa di profumo. Era qualcosa di assolutamente fantastico e provavo una strana sensazione osservando quel fenomeno naturale. Quasi non mi resi conto della presenza di Kary. Era stata talmente silenziosa, che per poco non feci un gran balzo quando la sentii parlare.

-Ho saputo che questa mattina avete fatto scandalo, tu e Matt. Deduco che abbiate fatto pace, o sbaglio?-

-Si, abbiamo fatto pace-

-Mi fa piacere. Ieri Matt era molto giù. Si è chiuso nella sua camera, e per poco non faceva entrare nemmeno i ragazzi in stanza-

-In effetti si sentiva molto in colpa-

rimanemmo entrambe in silenzio, a osservare il panorama. La pioggia era ipnotica, come il resto del paesaggio. La pioggia faceva muovere le foglie degli alberi, che sembrava stessero danzando con le gocce d'acqua.

-E' meraviglioso, non trovi?-

-Si, è meraviglioso, e allo stesso tempo così...-

-Familiare?-

Io e Kary ci guardammo, entrambe un po' sorprese. Ecco cos'era quella sensazione che provavo prima. Familiarità. Quel paesaggio non mi spaventava, anzi. Era rassicurante, rilassante, familiare. La sorpresa per quella scoperta ci fece rabbrividire. Eravamo consapevoli che tutti noi fossimo collegati a quel luogo, ma nessun altro, a parte me, era abituato alla sensazione di vedere il passato. Ma per Kary era una cosa nuova, sconosciuta, e le faceva paura. Con un gesto secco e veloce chiuse la finestra e si allontanò.

-Vado un attimo in bagno-

fu il suo unico commento, e sparì, chiudendosi dietro la porta. Non posso giurarlo, ma sono sicura di avere scorto, prima che la porta si fosse chiusa, delle lacrime scendere dagli occhi della mia amica. E, per la prima volta da quando avevo iniziato la mia ricerca, ebbi veramente paura, non per me, ma per i miei amici. Li avevo coinvolti in una storia più grande di loro... Era la cosa giusta?





La giornata prevedeva un programma molto intenso. Avevamo poco tempo per cercare di risolvere il mistero, quindi dovevamo muoverci. Il nostro primo obbiettivo era il palazzo dei conti Foster. Avevamo scoperto che era possibile visitarlo, e così, quella era la nostra prima meta. La residenza della famiglia non distava molto dal centro di Croftwell, una quindicina di minuti in macchina. Appena arrivammo, lo spettacolo che si mostrò davanti a noi era incredibile. Una cancellata di ferro battuto, alta una decina di metri, impediva l'accesso ad un viale non asfaltato. Alberi enormi coprivano la visuale. Dal cancello ero impossibile vedere cosa si nascondesse dietro la fitta vegetazione. Alcuni alberi dovevano essere secolari, tanto era la loro imponenza. La pioggia della mattina era terminata, e un tiepido sole estivo si stava infiltrando tra lo spesso strato di nuvole. Percorremmo il viale, e davanti a noi vedemmo uno spettacolo ancora più impressionante del viale. Il viale ad un tratto curvava, gli alberi si diradarono e davanti a noi comparve il palazzo signorile dei conti Foster. Era un palazzo imponente, di notevole dimensioni. La strada portava davanti al palazzo, e poi proseguiva dall'altra parte, formando una curva che permetteva l'uscita dalla proprietà nel senso opposto. Era un palazzo che aveva una sola via da accesso e una sola via di uscita. Chi veniva ospite, doveva rimanere impressionato dalla maestosità della residenza e dalla immensa proprietà. Fermandoci davanti all'ingresso principale, potemmo notare meglio come fosse strutturata l'abitazione. Aveva una forma a ferro di cavallo, con una grande scalinata centrale, posta tra le due ali che venivano avanti rispetto al corpo centrale. Se si voltavano le spalle alla residenza per vedere l'ingresso della residenza, si poteva notare un meraviglioso giardino con al centro una fontana ellissoidale, enorme. Il giardino era disseminato di fiori, cespugli e siepi. Era un incanto. Avevamo prenotato la visita alla residenza dei conti Foster. La casa era ancora abitata dai conti, ma su richiesta si potevano vedere alcune zone del palazzo, per non parlare del giardino. Ad accoglierci, sulle scale che portava all'ingresso, c'era una ragazza, non doveva avere più di venticinque anni. Era la nostra guida. Scoprimmo con molta sorpresa che parlava perfettamente la nostra lingua, il che avrebbe reso la visita piacevole, in più non potemmo sperare in una guida migliore. Infatti, la giovane ragazza si presentò come Josephine Foster. Era la figlia più piccola dei conti, e aveva studiato lingue all'università. Per questo motivo faceva da guida nel suo stesso palazzo, non solo perché conosceva perfettamente la storia del palazzo, essendo la sua “umile” dimora, in più approfittava degli stranieri per migliorare le sue conoscenze linguistiche. Non ero mai stata al cospetto di una contessa, e non sapevo come comportarmi. Ma subito, Josephine ci mise a suo agio, dicendo che ora era solo una semplice guida, e che la dovevamo trattare come tale. Eravamo anche fortunati, perché eravamo l'unico gruppo che aveva prenotato per una visita, quindi non avevamo fretta e avremmo potuto goderci il giro in pace e tranquillità. Mi piacque come persona. Era gentile e spontanea, non aveva niente a che vedere con l'immagine del nobile con la puzza sotto al naso. La visita si prospettava molto interessante.



Iniziammo il nostro percorso proprio dalle scale.

-Allora, prima di iniziare la visita vera e propria del palazzo, vi annoierò un pochino con la storia di questo palazzo. La residenza fu costruita intorno al 1650, quando il conte Henry Wentworth decise di allontanarsi dalla vita politica di Londra, e di ritirarsi in campagna. La costruzione durò circa una ventina d'anni, compresi i lavori del giardino e della fontana che potete vedere alle vostre spalle. Quando la costruzione fu completata, non la dovete immaginare come appare oggi. Le due ali laterali sporgenti non facevano parte del complesso. Le ali furono un'aggiunta dell'ottocento quando il palazzo passò in eredità al conte William Foster. A parte questo il complesso edilizio, e il giardino, in linea generale, sono rimasti pressoché immutati dal 600. Ora, se mi volete seguire, entriamo-

seguimmo Josephine, dentro quello che, presumibilmente, doveva essere l'ingresso. Con ingresso intendo una stanza, rettangolare, enorme. Il pavimento era di marmo policromo, bianco e nero, che formava un disegno geometrico intricato e complesso. Le pareti erano bianche, in perfetta sintonia con il pavimento. Nei lati corti della stanza erano incastonati tre specchi per lato, quelli laterali che arrivavano fino al pavimento, quello centrale più corto, perché sotto lo specchio era posto un tavolo, imponente, di legno rifinito con bordature in oro, sopra il quale era posto un vaso, con dentro dei fiori. Il suo gemello era posto nell'altra parete. Ferma al centro della sala, la nostra guida riprese il suo racconto

-Questo è l'ingresso del palazzo come era originalmente. L'unico elemento di novità è costituito dai due mobili posti sotto gli specchi centrali. Sono settecenteschi, ed erano mobili che erano parte della dote che la contessa Joleen Emily Norford in Foster, che sposò il conte Kendal Harry Wentworth nel 1745. I vasi sono di porcellana dipinti a mano, anche loro del settecento-

-Facevano sempre parte della dote?-

solo una persona poteva interessarsi di una cosa del genere, mia madre.

-No signore, non erano parte della dote. In effetti, di preciso non si sa da dove vengano. Si presume fossero un dono, probabilmente per un anniversario. Magari un dono del conte Wentworth per la sposa, ma di preciso non si sa. Ora se volete seguirmi, proseguiamo verso le sale principali del palazzo-

mentre gli altri seguivano Josephine, io mi avvicinai, seguita da Matt. Rimanemmo solo noi in sala, ma sentivamo le voci degli altri. Io ero attratta dai vasi.

-Cosa c'è che ti attrae tanto?-

-Il disegno della porcellana-

-Cos'ha che non va?-

-Niente. Solo che...-

-Solo che cosa?-

-Niente di speciale. Seguiamo gli altri?-

e feci per avviarmi quando Matt mi prese per mano, mi fece fare una piccola giravolta e mi ritrovai tra le sue braccia.

-Ti conosco Mimi. Non inizi mai un discorso se non puoi finirlo. Perciò te lo ridomando: cosa c'è che non va?-

-Come sei noioso! Ho fatto solo una supposizione, non credo ti possa interessare-

-Su, spara-

-Ne sei sicuro?-

-Mimi-

-Ok, ok, te lo dico. Credo che i vasi siano stati un regalo femminile, non un regalo maschile-

-Cosa?-

-Josephine crede che i vasi siano stati un regalo del marito per sua moglie, io non credo-

-Cosa te lo fa supporre?-

-Il disegno-

-Cos'ha che non va?-

-Guarda-

lo feci avvicinare al vaso, mostrandogli il disegno della porcellana. Era un disegno non troppo complesso, ma delicato e fine. Era raffigurata una fanciulla, con un complesso vestito, che recava in mano un mazzo di rose rosa. Lei era vestita di azzurro, l'incarnato era quasi tendente al bianco. I capelli erano castani, raccolti, ma c'era qualcosa di strano. Di fianco a lei stava un giovane, che aveva in mano un ombrello con il quale faceva ombra alla dama. La donna era triste.

-Non ci vedo niente di strano-

mi disse Matt.

-Ma guarda il disegno dell'altro vaso-

-Non è uguale?-

-NO, guarda-

Matt si avvicinò all'altro vaso. Il disegno ritraeva la stessa donna, ma questa volta aveva i capelli sciolti, e teneva una mano nella mano di un uomo, diverso da quello raffigurato nell'altro vaso. L'uomo teneva in mano una rosa rossa, lei teneva in mano un'altra rosa, sempre rossa. La donna sorrideva

-Cosa hanno di strano?-

-Ma non vedi?-

-No-

-La donna è la stessa, ma i compagni sono diversi. Anche lei appare diversa. Se in un vaso è tutta composta, nell'altro ha i capelli sciolti, e passeggia mano nella mano con un uomo. Nel 700 un dipinto così in un vaso era qualcosa di sconveniente-

-Per quale motivo?-

-Mostrare i propri capelli sciolti ad un uomo si faceva solo in una occasione, e solo ad un uomo-

-Intendi dire?-

-Intendo dire che solo il marito poteva vedere i capelli della donna, e li vedeva la prima volta...-

-la prima notte di nozze-

-Esatto-

-Quindi questo secondo vaso tratterrebbe un argomento sconveniente per il 1700?-

-Esatto, soprattutto se conti la nobiltà-

-E quindi?-

-Quindi quale marito avrebbe potuto regalare una cosa del genere alla propria moglie?-

la mia domanda rimase senza risposta, perché entrambi sapevamo già quale sarebbe stata.

-Quindi quale sarebbe la tua conclusione?-

-La mia conclusione- mi affrettai a rispondergli- è che solo una donna avrebbe potuto fare un regalo del genere, oppure che i vasi abbiano un significato particolare-

-Quale significato?-

-Ancora non lo so-

-Secondo me ti preoccupi troppo-

forse aveva ragione. Ma quei vasi, non so perché, mi sembravano importanti. Ma prima che potessimo continuare con le nostre deduzioni e supposizioni, fummo chiamati dagli altri. Il tour doveva riprendere.





Il palazzo era meraviglioso. Non c'erano altre parole per definirlo. Passammo la giornata intera a vedere il palazzo, con tutte le sue stanze e i suoi tesori nascosti. Per fortuna, o per sfortuna, non mi venne nessuna visione. Da un lato ne ero sollevata. Non volevo finire lunga distesa sul pavimento, ma dall'altro... speravo in un indizio, un particolare che mi avrebbe potuto aiutare nel passo successivo. Per fortuna, fu la nostra guida Josephine a darci un indizio importante, o meglio, a permetterci di trovarlo. Ci trovavamo in una galleria. Alle pareti erano appesi tutta una serie di quadri.

-Eccoci arrivati nella galleria dei ritratti di famiglia, una sorta di albero genealogico visivo della famiglia Wentworth-Foster. I ritratti coprono un arco temporale di 400 anni, più o meno-

-Cavolo!-

fu il commento di Joley

-Impressionante, vero?-

-Già-

fu il commento generale di noi altri. Joley era particolarmente attratta da quel posto. E voleva saperne di più,

-Quanti quadri ci sono?-

-I ritratti sono circa duecento-

-Duecento?-

-Si. È tradizione della nostra famiglia fare un ritratto a tutti coloro che fanno parte della famiglia, siano essi parenti acquisiti con il matrimonio, o membri nati nella famiglia stessa-

-Anche tu hai un ritratto?-

-Si, come i miei fratelli-

-Wow... impressionante-

-Dovete contare che una volta le fotografie non esistevano, e l'unico modo per mantenere vivo il ricordo dei genitori o dei nonni era quello di fissarli su una tela-

e mentre Josephine iniziava a raccontare di questo, o dell'altro, io seguivo Joley. Era strana, lo sentivo. Si era staccata dal gruppo, e stava percorrendo la galleria. Non ero la sola a seguirla, con me c'erano anche Kary, Matt, Tk e Ken. Arrivai appena in tempo per sentire ciò che diceva Joley

-Questa galleria non era così lunga una volta-

-Cosa?-

era stata Joley ha parlare, ma era come se non fosse stata lei. La sua voce era diventata più dolce, più matura. Ma quello che mi colpì di più erano i suoi occhi. Era come se fosse assente, come se fosse sotto uno strato di trance. E intanto continuava a parlare

-A mio marito non piacerà tutto questo!-

-Marito?- chiedemmo in coro io e Kary.

-Si, il conte Wentworth, mio marito. Adora questa sala, e non gli piacerà sapere come l'hanno ridotta-

-Perché Joley?-

-Joley, perché mi chiamate con quel nome? Io sono la contessa Wentworth-

io e gli altri ci fissammo. L'unica cosa che mi venne spontaneo fare, era stare al suo gioco.

-Mi scusi contessa, non volevo offenderla-

Joley, o chi per lei, si mise a ridere. Si rivolse verso di me e mi disse

-Cosa sono tutte queste formalità tra me e lei, amica mia? Devo pensare che non mi consideriate più degna della vostra amicizia?-

gli altri mi guardarono un po' allibiti. Non sapendo bene come comportarmi, ma decisi di continuare questa conversazione.

-Certo che no, contessa. Siamo sempre amiche-

-Mi fa piacere-

Intanto Joley si era fermata davanti ad un quadro, un quadro di una bambina.

-Non è bellissima la mia Madeleine?-

-E' vostra figlia?-

-No, contessa, ma che dite. Mia figlia è quella a fianco. No, questa è la mia Madeleine, la mia nipotina. Ma che sciocca che sono, è vero, voi non la potete conoscere. Purtroppo non siete riuscita a conoscerla, che peccato. È un angelo quella piccola, vi sarebbe piaciuta, è l'orgoglio mio e di mio marito-

-Ci credo, è veramente splendida-

-Per forza! È l'unione tra mio figlio e vostra nipote-

-Mia nipote?-

-Certo, contessa. Devo dedurre che vi siate dimenticati di tutti noi? Eppure credevo che vi foste ricordata. Dovete ricordare contessa, solo ricordando, scoprirete-

-Aspettate. Perché mi chiamate contessa?-

-Lo so che non adorate essere chiamata così, ma è ciò che siete. Non vi preoccupate, cara amica mia, presto saprete-

-Sapere che cosa?-

ma prima che mi potesse rispondere se ne andò. Al suo posto tornò la nostra solita Joley. Credo si spaventò abbastanza nel vedere che tutti noi la osservavamo stupiti.

-Che c'è ragazzi?-

-Joley, non ti ricordi?-

-Ricordarmi cosa?-

-Quello che hai fatto!-

-Oddio, che ho fatto? Ho rotto qualcosa?-

ma prima che potessimo rispondere, arrivarono i nostri genitori e la nostra guida.

-Vedo che vi siete fermati davanti al ritratto più importante della galleria-

noi tutti ci voltammo a fissare Josephine. Il ritratto più importante?

-Ora vi spiego. Quella che vedete è la piccola Madeleine Wentwroth, l'unica erede nata nel 1795 dall'unione del conte Wentworth, il signore alle vostre spalle, e della bellissima Anne-Marie Horner. La piccola Madeleine è l'ultima ad avere portato il cognome Wentworth. Infatti, essendo l'unica erede della famiglia, infatti dal matrimonio dei suoi genitori non erano nati altri bambini. La giovane Madeleine, erede di due delle famiglie più ricche di tutta la contea, sposò il conte Foster. I Foster erano una nobile famiglia londinese. Per molti anni la coppia Foster visse a Londra, il conte Foster era un membro del parlamento. Ma conclusa la vita politica decisero di tornare qui, in campagna-

-Ha detto che Madeleine Foster era la figlia della contessa Horcer?-

-Il nome intero è Craword-Horner. Erano conti molti ricchi e molto influenti nella società di Croftwell. La loro famiglia era molto potente-

-Mi scusi- mi azzardai a chiedere ad un tratto.

-Dimmi-

-Tra la prima metà del 700 i conti Craword-Horner erano più di uno?-

Josephine mi guardò un attimo sorpresa. Anche gli altri mi lanciarono sguardi perplessi, ma se era vero che la piccola Madeleine era la figlia di mia nipote, io dovevo sapere.

-In effetti si. I conti Craword-Horner erano due. Madeleine era la figlia della contessa Anne-Marie Craword-Horner, nato dall'unione di Fitzwilliam Craword-Horner e di Katherine Jane Haterwood. Importante però è che Fitzwilliam Craword-Horner, il nonno di Madeleine, era il secondo genito-

-Perché è importante?-

-È importante perché del primogenito della famiglia non si sa quasi nulla-

-Come nulla?-

-Si hanno sue notizie fino ad un certo punto. Dopo il 1748 le tracce su Mathew Craword-Horner spariscono. Si sa che era fidanzato una volta, ma poi il fidanzamento fu annullato, i motivi non si sanno. Documenti, ritratti, tutto è sparito. Alcuni credono che il conte lasciò l'Inghilterra, altri che se ne andò in Scozia. Ma non ci sono tracce, non c'è niente. È come se la famiglia l'avesse eliminato. Non sono presenti nemmeno i ritratti del conte, ed è strano, visto che il fratello più giovane dipingeva-

-Dipingeva? Un nobile?-

-Non c'è da stupirsi. Il ritratto della piccola Madeleine è stato fatto da suo nonno. Per cui capite che la cosa è strana. Volete che non abbia mai ritratto il fratello?-

la domanda rimase senza risposta. Intanto io cercavo di assimilare al meglio le informazioni ricevute. Fino a che Matt non pose una domanda

-Il palazzo dei conti Craword-Horner è visitabile?-

Josephine scosse la testa.

-Purtroppo no, perché è un palazzo abbandonato-

-Abbandonato?-

-Si, esatto. Non dista molto da questa proprietà, e come dimensioni è anche maggiore e più imponente di questo palazzo. E teoricamente il palazzo appartiene a noi. Infatti i Foster sono gli eredi naturali del palazzo-

-E allora? Perché è abbandonato?-

-Perché, che voi ci crediate o no, il conte Fitwilliam Craword-Horner ha impedito a tutti i suoi eredi di potere entrare nelle proprietà-

-Come sarebbe a dire?-

-E' una cosa un po' complicata. Allora, Fitzwilliam, nel suo testamento, lasciò scritto che nessuno aveva il diritto di entrare, tranne il discendente naturale o spirituale del fratello-

-Come sarebbe a dire? Tu hai detto che...-

-Si, del fratello non ci sono tracce, è vero, e non si sa di nessun erede. Tuttavia la legge britannica è chiara, nessuno può entrare nella proprietà. Le chiavi del palazzo sono ormai andate perdute, se si vuole accedere al palazzo si deve entrare di nascosto, il che è reato. È una proprietà ancora privata, non si può fare niente-

-Quindi il palazzo è rimasto chiuso e sigillato da 300 anni?-

-Si. Ormai tutto quello che si trova al suo interno sarà marcito. La struttura sarà anche pericolante. L'unico peccato vero è per l'immenso giardino che è inaccessibile. Si dice che sia enorme, almeno 500 ettari di giardino-

-500?-

-Solo di giardino costruito e tenuto, almeno una volta. Poi c'erano almeno altri 300 ettari di foresta-

-Deve essere enorme?-

-Già. È l'unico peccato di non potere accedere al palazzo. Ma ora continuiamo, la visita non è ancora finita-

-Cosa dobbiamo ancora vedere?-

-Oltre al giardino, c'è la stanza segreta nelle cantine-

a quel punto io e Matt ci fissammo. Era la stanza dove avevano ritrovato il quadro, la stanza di cui ci aveva parlato il direttore della pinacoteca. Finalmente stavo per vedere il posto dove per più di 300 anni, il mio ritratto era stato dimenticato e sepolto.





Le cantine era più giusto definirle sotterranei. Erano immensi, ci si poteva perdere. Josephine ci spiegò che proprio a causa della sua enorme estensione, nessuno si era accorto della finta parete che aveva nascosto per 300 anni la stanza sotterranea, fino a quando, per dei lavori di restauro della fondamenta del palazzo, non era saltata fuori, rivelando il suo tesoro. La stanza non era grandissima, ma era piena di oggetti. C'erano diversi bauli, un cassettone a 5 cassetti e alcuni elementi di arredo, tra cui alcuni candelabri in oro e uno scrigno portagioie.

-La stanza è stata lasciata esattamente con dentro quello che ci vedete. Naturalmente sono stati riportati a lucido i candelabri e risistemati i bauli e il cassettone. Era esattamente come doveva apparire al momento della sua chiusura. Nessuno sa a chi appartengano queste cose, non fanno parte del nostro mobilio. È tutto un mistero, reso ancora più impressionante da quello che è stato ritrovato in uno dei bauli-

-Cosa?-

ma a quella domanda rispondemmo contemporaneamente io, Matt, Tk, Kary, Joley e Ken

-Il ritratto-

Josephine ci guardò piacevolmente stupita.

-Esatto! Allora voi lo sapete?-

ci limitammo ad annuire.

-Che ritratto?-

fu il commento di qualche genitore. L'unica a non parlare fu la mamma di Matt, che si limitò a fissare intensamente il figlio. Lui, in risposta mi afferrò la mano.

-Ora vi spiego- aveva intanto ripreso a parlare la nostra guida.

-Quando aprimmo i bauli, in uno trovammo delle lettere, e altri documenti, in un altro dei gioielli e elementi per la toeletta femminile, e nell'ultimo, avvolto in uno spesso strato di panno, un ritratto, il ritratto di una nobildonna con al collo un ciondolo meraviglioso. Non si sa niente della dama ritratta, ne del perché il suo ritratto fu seppellito qui, ma la cosa ancora più strana è che il ciondolo si trovava qui, dentro quel portagioie che vedete lassù sul cassettone. E ora, volete vedere il ritratto, o meglio la sua copia?-

il mio cuore prese a battermi furiosamente. I nostri genitori annuirono, erano curiosi. A nessuno, nemmeno ai miei avevo detto della mia somiglianza con il ritratto, a parte i miei amici, nessuno sapeva. Osservai Josephine chinarsi verso un baule, aprirlo, e tirare fuori la tela. Appena la mostrò, mia madre lanciò un grido, mio padre rimase allibito, e anche gli altri rimasero pietrificati. Finché, con un filo di voce, mia madre disse

-Non ci posso credere-

poi fissando me disse solo

-Mimi-









*****************************************************************************

eccomi qua, sono tornata! Che ne dite, ho aggiornato in fretta questa volta, non è vero? (potevi farlo prima ndtutti; -.- ndme). Ok, a parte gli scherzi, questo è il meglio che sono riuscita a fare. Di questo capitolo mi sento molto fiera, ora si inizia veramente ad entrare dentro la storia, anche se so che i misteri sono aumentati e so che forse vi ho lasciato con più dubbi che chiarimenti. Prometto che prima o poi vi svelo tutto, lo giuro^^

Spero di non avervi annoiato con tutta la parte storica, ma essendo io una futura storica e archeologa, almeno ci spera, non ho resistito^^

e ora passiamo ai ringraziamenti:



Mijen: ciao cara! Mi fa piacere che la scena tra i due “piccioncini” ti sia piaciuta, e spero di non averti deluso con questo capitolo! Se odierai Sora nella fic, credo lo saprai solo un po' più avanti, mi sa che devi aspettare ancora un , come per sapere chi ha urlato “prendetela”^^ un bacio Juls



Didda94: ciao^^ mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto, spero che anche questo ti abbia divertito. Per sapere chi ha detto “prendetela” devi aspettare ancora un po', non posso dire niente ancora, mi dispiace... spero di avere aggiornato abbastanza in fretta, e spero di riuscire a continuare il prima possibile, ci proverò! Grazie per il sostegno, fa sempre piacere ricevere appoggio^^ un bacio Juls



Selhin: ciao cara! Leggere le tue recensioni mi fa sempre un grande piacere, veramente. A dire il vero mi ero un po' preoccupata quando non avevi recensito, credevo non ti fosse piaciuto il capitolo, sono sincera. Poi invece, sei arrivata e mi sono divertita come sempre a leggere quello che mi avevi scritto. Ma non ti preoccupare e non ti sentire in colpa se non hai recensito subito, tranquilla, soprattutto se hai passato un periodo un po' brutto, come mi hai scritto. Tranquilla, sei perdonata, e grazie per avere detto che la storia è fantastica, fa sempre piacere sentirselo dire^-^ e mi fa piacere che ti sia piaciuta la scena di lei in camicia da notte, mi ero troppo divertita a scriverla, e speravo fosse divertente anche per chi la leggesse... missione riuscita. Cmq a Robin Hood non ci avevo ancora pensato a infilarlo nella storia, ma chissà, forse... ok, questo ringraziamento è quasi più lungo della tua recensione, quindi, forse è meglio se la faccio finita anche io. Un bacione grande anche a te, grazie sempre per tutti i tuoi consigli, sono sempre preziosissimi. Con affetto Juls





Ancora una cosa, prima di finire. So che questo capitolo è molto lungo, ma non volevo lasciarlo a metà. Ci ho anche pensato di concluderlo prima, ma non ho resistito e ho voluto concluderlo così. Grazie ancora anche per chi solo la legge la storia, sapere che qualcuno la segue è sempre un piacere per me, e mi spinge ad andare avanti! Grazie ancora e alla prossima Juls18

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure / Vai alla pagina dell'autore: Juls18