[Appesantiti
dall’acqua
che scorre tra di essi, i capelli scuri le si appiccicano al volto, il
fiore
rosa piegato dalla forza delle gocce di pioggia. Titubante, apre
l’immenso
portone del salone e il chiarore arancione delle fiamme arriva fino a
lei,
svuotato da ogni eco di tepore.
L’uomo
piazzato a braccia conserte davanti al focolare si volta, avvisato dal
rumore;
la faccia è in ombra, l’unico tratto visibile
è lo sguardo rosso sangue che si
riflette cupo sulla pelle pallida.
La donna
deglutisce, aggrappandosi alla maniglia per contrastare quella visione
risorta
dall’inferno.]
Lacrimosa
dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus.
[In
silenzio,
lui si avvicina; si interrompe spesso, la guarda indeciso e ricomincia
a camminare.
Giunto
davanti
a lei, allarga le braccia per invitarla a colpirlo, se lo ritiene
necessario, con
un ghigno strafottente dipinto sul viso. Ma lei non ne ha il coraggio.
Continua a
sentire le guance umide.
Nella sua
mente
ora regna un vuoto che riecheggia vagamente di sollievo e, incredibile
solo a dirsi,
di gioia.]
Huic
ergo parce, Deus.
Elizaveta
apre
a malincuore gli occhi e rimane immobile ad ascoltare il suono continuo
della pioggia
fuori dalla finestra. Piove fuori, ma piove anche dentro, le gocce
continuano a
rimbalzarle sulle gote.
La donna
tiene
comunque le mani intrecciate sul cuore, cercando di far arrivare la sua
richiesta
a Dio.
«
Domani aprirò
le frontiere. Dio, riportalo da me» sillaba.
E Dio
risponde:
Amen.