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Autore: Rota    31/07/2010    5 recensioni
Dopotutto, da quanto tempo conosceva Kiba Inuzuka? Da quando, due anni prima, si era trasferito in quella piccola casa prima dell’incrocio che dava sulla farmacia, ereditando l’edificio da una lontana parente che era venuta a mancare.
Due anni, in quel paesino non s’era mai visto nessuno con una passione così smodata per i cani. E specialmente, nessuno che avesse anche un semplice e vago interesse per un entomologo fallito costretto a fare l’insegnante di matematica in una scuola media pubblica.

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Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shino Aburame | Coppie: Shino/Kiba
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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certe cose Fandom: Naruto
Pair: ShinoKiba
Prompt: Passeggiate mattutine
Note: ShinoKiba, Au, shonen ai. Cosa devo dirvi di più? XD




Certe cose



-Ohilà, Aburame!-
Sempre così, sempre la solita frase d’apertura. Il medesimo saluto che piegava le labbra in un sorriso sghembo e un po’ ferino.
L’uomo lo aspettava sotto i pochi gradini che elevavano il suo piccolo appartamento dalla strada grigia – lì, dove un alberello indefinito fungeva da toilettes pubblica al suo fido Akamaru.
Shino non diceva mai nulla dopo averlo visto in viso ed avergli riservato una sola occhiata frettolosa: chiudeva la porta di casa e usciva dal cancelletto, iniziando a camminare piano giusto per poter osservare con la coda dell’occhio d’essere fedelmente seguito.
La mattina iniziava così.
L’Aburame certo non pensava davvero che la routine quotidiana potesse rivelarsi fonte di siffatto piacere.
Dopotutto, da quanto tempo conosceva Kiba Inuzuka? Da quando, due anni prima, si era trasferito in quella piccola casa prima dell’incrocio che dava sulla farmacia, ereditando l’edificio da una lontana parente che era venuta a mancare.
Due anni, in quel paesino non s’era mai visto nessuno con una passione così smodata per i cani. E specialmente, nessuno che avesse anche un semplice e vago interesse per un entomologo fallito costretto a fare l’insegnante di matematica in una scuola media pubblica.
Ma Kiba non era una persona normale – Shino l’aveva capito dopo il terzo giorno che la stessa scena si ripeteva.
Usciva, veniva salutato, veniva scortato fino a scuola e lì salutato, dopo essere stato costretto a sentire vita, morte e miracoli dei cavoli dell’Inuzuka, troppo preso evidentemente dalle sue parole per chiedersi se mai fossero state realmente interessanti.
Shino almeno aveva la decenza di fingere di ascoltare in silenzio, guardando con insistenza la strada che calpestava dietro le lenti dei suoi occhialetti scuri, oppure Akamaru, quel cane peloso e bianco che tirava il suo guinzaglio come un dannato, costringendo il padrone a tenere il braccio rigidamente porto in avanti.
Anche in estate la scena si ripeteva, sempre uguale a sé stessa. Shino usciva di casa presto per sbrigare le proprie commissioni prima di pranzo così da avere la giornata libera per ogni altro impegno, e se da una parte il suo zelo lo portava a essere fin troppo abitudinario anche in questo, dall’altra la malizia del suo vicino arrivava a far collidere i due anche in contesti assolutamente inaspettati.
Così, mentre l’altro taceva con educazione e caparbietà, l’altro cianciava parlando del più e del meno senza premurarsi se le proprie parole arrivassero effettivamente a destinazione.
-Aburame, ti dico che la cassiera del supermercato ce l’aveva proprio con me! Non è possibile che una tale zitella acidona rompa il cazzo a tutti! Sono il privilegiato, sono il suo preferito! Pensa che l’ultima volta mi ha rotto i coglioni perché non avevo “legato bene” Akamaru alla maniglia dell’ingresso. Mi ha detto con quella faccia da lumaca che ha che sarebbe potuto scappare e fare disastri. Ma mica è colpa mia se in quel cesso di supermercato non fanno entrare i cani e io sono costretto a lasciare Akamaru proprio lì! Che palle!-
Assieme al turpiloquio si mescolava fatti di vita quotidiana, opinioni sensate o meno, invettive contro governo, donne, cinofobi e chiunque non rientrasse nella categoria ristrette delle simpatie dell’Inuzuka – categoria entro cui, incredibilmente, stava anche Shino. Una volta, arrivò persino a parlare male della disposizione delle piante lungo il viale principale della città.
Ridicolo, così l’aveva sempre definito il signor Aburame.
Eppure, un bel giorno, un giorno di quelli che i due erano costretti a passare sotto un ombrello ben spesso a causa di una pioggia più che battente, Kiba fece una domanda diretta al suo compagno di passeggiata.
-E dimmi un po’, Aburame, tu cosa pensi?-
Lui aveva sbuffato, alzando le spalle e stringendosi nel proprio cappotto.
-Io penso, e già questo vuol dire tanto…-
-Sicuramente, ma a cosa pensi più spesso? Non ti sei mai accorto di quanto è grigia la nostra città?-
-Come dovrebbe essere altrimenti?-
-Non lo so… tu cosa pensi?-
Non era una di quelle solite domande che l’Inuzuka porgeva a Shino, non una di quelle di convenienza e di rito, come “come stai?” “tutto bene a lavoro?” “passato buone ferie?”, domande alle quali se anche non rispondevi ma già eri  vivo e vegeto – e possibilmente in salute – allora fornivi un’ottima risposta ed esauriente.
No, per una volta Kiba riuscì a sorprendere il serio entomologo.
Questi alzò l’ombrello, sollevando lo sguardo da terra e guardando dritto negli occhi l’altro uomo. Poche erano le volte che lo faceva di propria sponte e non obbligato da qualche cazzata detta a cuor leggero da sedare immediatamente, pochissime erano quelle che lo avevano visto impegnato per più di mezzo minuto.
Si sistemò gli occhiali sul naso, cercando in anfratti di cervello una risposta da non definire banale Alla fine, l’Inuzuka non pareva più così stupido.
-Penso che più che la città sono grigie le persone, Inuzuka…-
Kiba aveva sorriso, sollevando le labbra sui denti – malevoli zanne di bestia.
-Lo stesso che penso anche io, Aburame… E dimmi ancora una cosa, pensi che io sia grigio a mia volta? Non so, che io sia solo un insetto in un cimitero di zanzare spiaccicate contro un muro?-
L’immagine colpì moltissimo l’insegnante, che si rabbuiò un poco. Tornò a guardare in basso, ma per pochi istanti solamente.
Intanto, la pioggia continuava a battere, bagnando vestiti e il pelo bianco del povero Akamaru.
-Per il semplice fatto che persisti a rompere le scatole al tuo prossimo direi di sì, Inuzuka… ma più che grigio io ti definirei semplicemente vivo…-
Subito, l’Inuzuka disse la propria, quasi affogando l’altro uomo con le sue parole.
-Anche io non penso che tu sia grigio, Aburame. Io penso che tu sia fin troppo colorato, che tu sia una bomba di colori assurdi pronta ad esplodere da un momento all’altro. Ma è qui che sta il punto. Fuori sei grigio, di un grigio scuro atto all’omologazione. Sei così grigio che si fa fatica a considerarti diverso! Io ho impiegato due anni a capire cosa si nascondesse dietro i tuoi occhiali! E’ impossibile capirti se tu per primo non ti fai capire, Aburame! Solo gli adolescenti hanno paura di sé stessi! Tu non mi pari un adolescente in piena crisi ormonale, Aburame! E non sai quanto mi dia fastidio vederti sempre così!  Non pensi sia semplicemente un’ingiustizia bella e buona? Insomma, non sei un insetto, sebbene sembra che tu lo pensi veramente!-
Shino rimase in silenzio per qualche istante. Poi sorrise, protetto dalla sua felpa, e riprese a camminare mentre mescolava le proprie parole al suono flebile della pioggia.
-Sì, forse hai ragione…-
Kiba tentò, avvicinandosi all’uomo dopo un paio di falcate ben lunghe.
-Di che colore sono i tuoi occhi, Aburame?-
-Forse lo vedrai da te un giorno, Inuzuka…-
Da quel momento tutto e niente cambiò. Dopo quel pomeriggio di pioggia, Shino Aburame e Kiba Inuzuka continuarono a condividere quei dieci minuti di tempo assieme, passeggiando fianco a fianco, chi ascoltando e chi parlando, come se niente fosse volato tra di loro – come se niente si fosse sentito.
Ogni incontro era dettato da quelle due parole dette a bruciapelo, dette come strafottente saluto. Seguite da un cenno del capo e tanti altri passi.
Sempre, sempre la solita frase.
Sempre la benevolenza della certezza che certe cose non sarebbero mai cambiate.
-Ohilà, Aburame!-
   
 
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